lunedì 19 dicembre 2016

Il 2017 e quelli che vorrebbero ammainare il blu stellato dell'UE

SPIGOLATURE - di Renzo Balmelli 

 

SIMBOLO. Nel bene, come ci auguriamo, o nel male, come temiamo, l'Europa sarà l'indubbia protagonista dei maggiori snodi politici del 2017. Senza scomodare la sfera di cristallo, basta la cabala, con quel 17 che i superstiziosi doc temono peggio del 13, a fare presagire un anno burrascoso per le sorti della Comunità. Sullo sfondo si stagliano i molto poco romantici amorosi sensi tra Putin, Trump, Le Pen e Salvini, in gara per l'Oscar dei cinguettii più deflagranti. E non c'è motivo per essere tranquilli. Anzi. Difatti, sebbene possa sembrare un paradosso, dalla fine della guerra il Vecchio Continente non ha mai avuto così tanti nemici interni come ora, in un periodo di pace. Solo la memoria corta impedisce di valutare pienamente l'assurdità di una situazione a così alto livello di criticità che tende a riportarci al passato. Nei prossimi mesi capiremo quanto il sogno dei Padri fondatori riuscirà a tenere a bada il livore demagogico di chi vorrebbe ammainare il blu stellato dell'UE, un simbolo dorato che a sessant'anni dai Trattati di Roma resta la migliore garanzia per risparmiare alla popolazione europea le immani tragedie del secolo breve.

 

CEROTTO. Per l'Italia uscita frastornata dall'infelice battaglia referendaria e alla ricerca di un futuro dai contorni meno incerti, la solidarietà dell'Unione Europea sarà un sostegno prezioso per riprendere la navigazione in un clima più sereno. Ma sono in tanti a remare contro. Dal suo quasi e indecoroso Aventino, l'opposizione non perde una sola occasione per piantare solo bandierine negative sulla carta del continente con lo scopo deliberato di delegittimare l'esecutivo di Gentiloni, mentre Roma prova a riannodare la sintonia con Bruxelles incrinata durante la campagna per il voto del 4 dicembre. Tra l'altro, durante le consultazioni post-renziane è parso di avvertire l'eco lontana della Dc in cui era pratica corrente la formula del governo fotocopia inteso come un mantra rituale per non perdere privilegi e vitalizi. Nel segno della discontinuità imitare quei metodi sarebbe un passo falso che probabilmente non verrebbe capito dagli alleati europei. Dal Paese che ha tenuto a battesimo la Costituzione dell'Europa nel l957 e si prepara a presiedere il solenne anniversario, è lecito attendersi qualcosa di più di un incarico inteso come un banale cerotto, dando l'impressione, così facendo, che lo Scudo crociato, in un modo o nell'altro, sia sempre presente, nell'ombra, ma non troppo.

 

AMNESIA. Forse ci siamo distratti nell'ammirare la giacca rosso-shocking della ministra. Oppure riflettevamo sulle battute di pessimo gusto rivolte alla signora Agnese Landini, moglie di Matteo Renzi, a proposito del suo pullover bianco. Ma, come si diceva, presi nel vortice della battaglia per un SI o per un NO abbondantemente infarcita di pettegolezzi e gossip, siamo stati colti da un improvviso attacco di amnesia. E ci siamo dimenticati che là fuori, a non poi così tanti chilometri da casa nostra, è in corso, senza un attimo di tregua, il genocidio di Aleppo. Durante la sbornia referendaria abbiamo perso di vista quanto accade ogni giorno, ogni ora in una regione che da anni non conosce un solo istante di pace. Dove la vita non ha più valore e dove l'Isis, lungi dall'essere sconfitta, è la pedina fuori controllo di un gioco al massacro da mettere sul conto della follia umana e della smania di potere. Come ha osservato il Corriere della Sera la storia con i suoi risvolti più crudeli non si è fermata e mentre l'Italia palpitava per il referendum, altrove, in una dimensione spettrale, il calvario dei profughi continuava a mietere vittime innocenti. Riflettiamoci. 

 

VERGOGNA. Nella lotta all'evasione fiscale, che origina scompensi e madornali ingiustizie sociali, sono state fatte promesse a iosa. Ma erano tutte da marinaio. Le strategie di contrasto che sulla carta sembravano dare risultati incoraggianti in realtà nella stragrande maggioranza dei casi sono rimaste lettera morta. Senza il contributo di organizzazioni come Oxfam che si battono per l'aiuto umanitario ed i progetti di sviluppo, le notizie provenienti dal mondo sommerso e impenetrabile della fuga di capitali finirebbero in ultima pagina, vittime dell'assuefazione. Si constata invece che lo scandalo dei peggiori paradisi fiscali ( 15 sono quelli recensiti, tra cui quattro europei, Paesi Bassi, Svizzera, Lussemburgo, Irlanda) prosegue indisturbato. Con esiti spaventosi: le truffe ai danni del fisco privano ogni anno i paesi più poveri di oltre 100 miliardi di dollari. Mille e passa miliardi dal 2012 a oggi. Lungo è l'elenco delle multinazionali che sottraggono risorse agli Stati generando disuguaglianze incolmabili e negando a centinaia di milioni di bimbi il diritto all'istruzione e all'assistenza sanitaria. Nella loro aridità queste cifre sono un durissimo, implacabile "j'accuse" per le rapine a scopo di lucro commesse ai danni degli anelli più deboli della società senza che gli autori di quello che si configura come un crimine contro l'umanità abbiano almeno la decenza di arrossire dalla vergogna.

martedì 13 dicembre 2016

Ed è subito sera.

di Renzo Balmelli 

 

RICADUTE. Evocare lo scollamento tra politica e società è talmente ovvio da non trovare, paradossalmente, nulla di meglio da aggiungere per provare a decifrare la confusione che ci circonda. Nell'intreccio di situazioni sempre più complesse, persino Diogene con la sua filosofica saggezza e il suo mitico lanternino, farebbe fatica a rischiarare la scena. I nervi sono a fior di pelle e l'eccitazione spasmodica, enfatizzata dalla rete, che ha contrassegnato la Brexit, l'elezione di Trump e in ultima analisi anche il referendum italiano, ne è d'altronde una dimostrazione eloquente. I vecchi schemi sono saltati e quelli nuovi sono come certe idee: pochi, ma confusi. Ovunque, nei luoghi in cui il disagio sociale coniugato alla rabbia si rivolta contro la casta e non pare più disposto a fare sconti, prevale la sensazione – e qui chiediamo venia a Quasimodo per l'indebita citazione – che sia subito sera. Anzi, notte.

 

DIGA. Avrebbe dovuto essere la marcia funebre dell'Europa. Dal Danubio, ancora blu nonostante l'inquinamento, sono sgorgate invece, tra il sollievo generale, le immortali melodie di Strauss. La slavina populista che minacciava di trasformarsi in una valanga capace di contagiare e travolgere i valori di libertà, uguaglianze e solidarietà che stanno alla base dell'Unione si è fermata davanti alla solida diga eretta dagli elettori di un Paese che a dispetto dei cattivi profeti ha deciso di restare europeista. La vittoria per la presidenza dell'ecologista Van der Bellen ha inoltre evidenziato che la battaglia contro l'estrema destra si può vincere anche se sarà lunga e difficile. Difatti la partita non si è chiusa il 4 dicembre. Dai ranghi dello sconfitto, l'ultra nazionalista Hofer, già si levano propositi di rivincita che guardano al futuro con l'intento di riportarci al passato. Per intanto prendiamo atto con soddisfazione dello smacco inferto alle forze reazionarie e intolleranti, augurandoci che il verdetto delle urne non sia una fugace eccezione.

 

INCOGNITE. Il referendum è alle spalle. E adesso? Oggi, domani, fra un mese, fra un anno? Sono capitoli tutti da scrivere senza sapere come. Al netto dei passi falsi di Renzi, per i quali si è ormai esaurito il breviario dei commenti, dei possibili scenari e della satira pungente, l'impressione è che il dado, in assenza di una leadership credibile e nella prospettiva di frettolose elezioni anticipate, sia tornato alla casella di partenza in un clima carico di incognite. Se "del doman non v'è certezza", un punto fermo comunque c'è. La grande affluenza ha reso evidente il fatto che la gente, attraverso la democrazia referendaria, sa di poter disporre di uno strumento col quale partecipare, farsi sentire e ottenere udienza per i problemi quotidiani. Che non son pochi. Le ultime statistiche dicono che un italiano su quattro è a rischio povertà, che il divario tra ricchi e poveri continua a crescere e che l'emigrazione aumenta di giorno in giorno. Come si vede l'emergenza è altrove, e l'avere caricato di toni apocalittici e plebiscitari la riforma costituzionale è stato un errore fatale. A questo punto l'esigenza di una sinistra coesa, meno litigiosa e meno condizionata da mai sopiti rancori personali, diventa un fattore fondamentale per uscire dal labirinto e sgombrare il campo da antipatici equivoci. Si può infatti supporre che qualche dolorino di pancia sia stato avvertito in seguito alla corposa minoranza del NO in casa Pd che pur con argomenti legittimi e di ben altro spessore ha finito comunque col trovarsi , sicuramente senza averlo ne voluto ne cercato, sullo stesso carro di Salvini e Grillo che scalpitano per entrare nella stanza dei bottoni. Magari con una strategia condivisa sarebbe stato meno arduo affrontare le sfide che si affacciano all'orizzonte proprio ora, in una fase in cui un brutto vento di destra soffia su tutti i Paesi del mondo e l'Europa, che deve poter contare sul ruolo di un' Italia stabile, si trova ad affrontare la più insidiosa delle sue crisi.

 

ESAMI. Diffidiamo dei sondaggi, d'accordo. Ma qualche considerazioni di carattere generale si può comunque fare nella prospettiva degli esami elettorali che agitano l'Europa in vista delle scadenze programmate l'anno prossimo. Ma come? Nelle valutazioni dei media internazionali balza subito all'occhio il fatto che i due maggiori leader di centro sinistra, Renzi e Hollande, hanno già dato o stanno dando addio alle loro cariche con onestà non usuale che però suona come un un gesto di resa. In Francia, con la sinistra indebolita, Marine Le Pen viene persino data in vantaggio anche rispetto al candidato repubblicano Fillon, mentre in Germania Angela Merkel , eletta con qualche punticino in meno per la sua nona presidenza alla guida della CDU, dovrà stringere i denti per limitare i danni nel momento in cui l'onda populista e la scalata del partito di estrema destra si fa vieppiù inquietante. Su questo panorama ben poco rassicurante troneggia la figura di Trump che se già ne combina di tutti i colori adesso, chissà cos'altro avrà in serbo quando sarà il proprietario unico di un micidiale arsenale atomico da fare impallidire il dottor Stranamore. Per scongiurare l'insonnia non resta che confidare nell'effetto benefico della cara, vecchia Austria riscopertasi un pochino "felix" in un ritrovato contesto liberale e cosmopolita. Finché dura!

 

ORELLI. Alla lingua e alla letteratura italiana in Svizzera che non di rado deve sgomitare per avere lo spazio che le compete, è venuto a mancare un interprete di primissimo piano. Nella città di Lugano, dove ha trascorso gran parte della sua vita, si è spento a 88 anni, Giovanni Orelli, scrittore, poeta, saggista e alfiere di " un allegro espressionismo", come amava definirsi, contrassegnato da un grande rigore morale e intellettuale. Politicamente impegnato a sinistra, per decenni Orelli, laureato in filologia a Milano, professore e umanista , ha marcato il mondo politico e culturale della Confederazione. E non solo. Sia per gli studi universitari, sia per la consapevolezza di essere sospeso tra due realtà diverse, ha sempre avuto l'Italia nel cuore. L'Italia, il Paese che considerava depositario della sua lingua e cultura di appartenenza. Della sua passione per Dante e Montale e di tanti altri nomi parlò diffusamente nel corso di una memorabile serata letteraria al Coopi di Zurigo in cui diede al pubblico un saggio, frizzante come l'aria delle montagne in cui era nato , della sua biografia di uomo e di autore. Biografia, disse in una intervista apparsa sulla rivista di Pro Helvetia, deducibile "dai non pochi libri che ho letto". E dai non pochi che ha scritto e che gli sono valsi, tra tanti riconoscimenti, anche il Gran Premio Schiller per l'insieme della sua produzione che costituisce oggi uno straordinario patrimonio di cultura.

martedì 6 dicembre 2016

Cuba dopo Castro

di Renzo Balmelli

EREDITÀ. Quando scompare un personaggio carismatico e contro­ver­so come Fidel Castro si usa dire che con lui è finita un'epoca. Ci si spinge addirittura più in là per affermare che con il Leader Maximo si è chiuso definitivamente il Novecento. Adesso la prima cosa a cui si pen­sa è come i suoi successori riusciranno a gestire un'eredità storica tanto importante, quanto ingombrante. L'altro interrogativo, non meno cru­ciale, è provare a capire quale sarà la sorte di Cuba senza il Coman­dan­te che ha riscattato un popolo umiliato dalla feroce dittatura di Ba­ti­sta e dalla pedantesca tutela americana. L'isola caraibica, col suo fasci­no immutato, oggi è a un bivio: conservare la sua identità o diventare un rifugio per facoltosi dandy annoiati. Con la svolta alla Casa Bianca e l'ingresso del suo prossimo, edonista, imprevedibile inquilino l'oriz­zonte appare cupo.

OPA. Solo i grandi lasciano dietro di sé sentimenti fortemente contrastanti. Fidel Castro, artefice di una storica rivoluzione che ha entusiasmato e diviso, mobilitato e deluso, appartiene a questa categoria sia per i risultati conseguiti in vari campi, dall'istruzione al sistema sanitario considerato tra i più avanzati al mondo, sia per avere lasciato i dissidenti in prigione. Nonostante le evidenti contraddizioni, all'Avana il cordoglio è sincero tra la popolazione, memore della stagione in cui l'Isola era asservita agli Stati Uniti che la consideravano uno zerbino sulla soglia di casa. Il ruolo della CIA nel sostenere il regime militare è uno dei lati oscuri dalla politica americana in una delle regioni più calde del globo dove la crisi causata dall'istallazione dei missili sovietici si risolse per un pelo sull'orlo della guerra nucleare. Ora come ora è difficile valutare quali intenzioni abbia l'amministrazione repubblicana prossima ventura che però non ha mancato di anticipare le proprie riserve all'operato di Obama determinato ad avviare una nuova era nelle relazioni tra i due Paesi. Con l'OPA su Cuba che a quanto pare Trump sarebbe intenzionato a lanciare per rivedere i trattati di buon vicinato, potrebbe aprirsi una ulteriore partita sulla scacchiera caraibica carica di incognite.

CONFUSIONE. Ma che succede? Dove vogliono portarci gli impresari del potere? Si parla di una seconda Yalta, ipotesi inquietante come poche. Intanto a Parigi sale l'astro di Fillon, in pole position per l'Eliseo, pragmatico, conservatore nei costumi, liberale in economia, che strizza l'occhio a Mosca e all'elettorato lepenista. In Italia Silvio medita il ritorno dopo il referendum, non si capisce da dove e per dove. Salvini esulta e si capisce ancora meno. In Austria Hofer, favorito dai sondaggi che ultimamente però sono usciti piuttosto screditati, scalpita come un bianco Lipizzano della Scuola spagnola di Vienna. In Olanda furoreggia il partito anti-immigrati e la Gran Bretagna si scopre vieppiù populista. Solo la destra – e non c'è di che stare allegri – sembra in grado di raccogliere il grido di rabbia che sta assordando il mondo. Nella gigantesca confusione della platea internazionale, la sinistra vecchia maniera, quella buona rosso antico, è una N.P., una non pervenuta, alla quale si addice la battuta d Woody Allen: Dio è morto, Marx pure e anch'io non mi sento tanto bene.

ASSETTI. Sono in molti a chiedersi, come dicevamo all'inizio, se la preoccupante prospettiva di una nuova Yalta sia destinata davvero a concretizzarsi ed a ridisegnare, come fece la precedente, gli assetti del pianeta. Rispetto al primo vertice in Crimea – oggi tra l'altro teatro di gravi e sintomatiche tensioni stile guerra fredda – sono cambiati i protagonisti e gli scenari. Ma l'idea che gli attuali attori, ossia Putin e Trump, si ispirino ai loro predecessori per spartirsi il mondo in zone d'influenza non è tra le più allettanti. Anzi, mette paura. Sappiamo cosa successe dopo la conferenza del 1945 e quante attese andarono deluse. Ancora non è chiaro che cosa potrebbe scaturire dall'incontro tra il leder americano e quello russo se Washington e Mosca decidessero di giocare la partita da soli, senza fastidiosi intrusi e lasciando in disparte l'Europa di cui oltre tutto non hanno un'altissima considerazione. Sembra insomma di assistere a un nostalgico ritorno di fiamma in cui prevale la tentazione di riesumare dalle catacombe della storia un passato infarcito di pessime ideologie che non si vorrebbe più rivivere e che pesa e condiziona il presente e il futuro. No, così non va.

STILLICIDIO. La sera prima del 25 novembre, alla vigilia della giornata indetta in tutto il mondo per dire basta alla violenza contro le donne, la giovane Elisabeth è andata incontro a una fine atroce, così com'è accaduto ad Angela, Giada, Martina e Rossana a loro volta vittime in pochi giorni del tremendo fenomeno noto come femminicidio. Fenomeno che non è il prodotto di una distorsione mediatica, ma l'espressione di una brutale forma di prevaricazione che continua a persistere. Di casi analoghi in Italia ve ne sono stati quasi seicento (599 per la precisione) dal 2012 a oggi. Uno stillicidio pazzesco a opera di mariti, fidanzati, spasimanti. In tutti questi anni – si poteva leggere sul Corriere della Sera – non sono mancati gli appelli e le riflessioni su come cambiare questo brutto racconto al quale manca tuttora la fine. Invano. Purtroppo il paradosso di questa società è che insegna alle donne a difendersi dallo stupro anziché insegnare agli uomini a non stuprare le donne.

mercoledì 30 novembre 2016

Un sereno weekend al calor bianco

di Renzo Balmelli

TENDENZE. Collocate entrambe il 4 dicembre, una giornata destinata per le bizzarrie del calendario a diventare una domenica al calor bianco, le prove elettorali che avranno come protagoniste Italia e Austria saranno l'ultimo, emblematico, atto politico di un anno che non è stato certo avaro di emozioni forti e contrastate. Dopo la Brexit, l'ascesa di Trump e l'insorgere prepotente di vecchi fantasmi, sia il ballottaggio presidenziale austriaco, su cui aleggia lo spettro dell'estrema destra, sia il referendum di Renzi, quasi un anticipo di elezioni politiche, si configurano come eventi combattuti con toni sempre più accesi. Negli equilibri del potere gli scenari che un esito o l'altro apriranno saranno diversi a seconda del Paese, ma anche indicativi su un piano più generale per capire come si muoveranno le lancette della storia nel Vecchio Continente su cui soffiano venti burrascosi. La drammatizzazione dello scontro fa si che il verdetto delle urne concorra a tenere tutta l'UE col fiato sospeso. 

 

COMMIATO. Per ovvia ragion di stato, Obama prima di lasciare non poteva che esortare gli alleati europei a mantenere stretti legami di collaborazione con gli USA. Ma dal tono accorato si intuiva che il suo animo non era del tutto tranquillo nel passare le consegne a colui che fin dal primo giorno si sta muovendo come un elefante in un negozio di porcellane. Tranne qualche "trumpiano" lesto a salire sul carro del vincitore, nelle principali cancellerie europee regna un clima di inquietudine sulle prossime mosse di un Presidente dal quale è facile aspettarsi di tutto e il contrario di tutto così come gli garba, e che si circonda di collaboratori addirittura inneggiati dal Ku Klux Klan. No davvero, alla cena di commiato in Germania a piangere non era soltanto il cielo sopra Berlino.

 

WATER. Ah, gli scherzi del mercato globale. C'è un neo che offusca il trionfo elettorale dell'uomo dal ciuffetto color canarino. Non, come si potrebbe pensare, il fatto ininfluente, ma fastidioso per il suo ego sconfinato di avere avuto meno voti popolari della Clinton. No, ciò che lo irrita è la battaglia per fare togliere il suo nome da un marchio di gabinetti super accessoriati molto popolari in Cina e molto venduti all'estero. Marchio che nella traduzione significa appunto Trump. Avere come sfondo quel popò di "water" seppur dotato di raffinatissimi marchingegni idraulici, non è proprio lo scranno più indicato per costruire il nuovo ordine mondiale da lui vagheggiato. Quell' immagine va tolta di mezzo per non essere bersaglio dalla satira. Ma è sorto un inghippo: i cinesi non cedono e fanno – è il caso di dirlo – orecchio da mercante

 

TACCHI. In taluni frangenti la politica è anche una questione di stile come ha ben evidenziato il confronto tra l'eleganza discreta di Obama e le tenute sgargianti indossate da Trump in sintonia col personaggio. Anche tra Angela Merkel, candidata per un quarto mandato, e Marine Le Pen, che aspira all'Eliseo, si preannuncia una battaglia non solo sulle idee, distanti anni luce, ma anche sul modo di presentarsi in pubblico. La sfida che manda in estasi gli studiosi del costume sarà tra le infinite sfumature degli immancabili tailleur coi quali la Cancelliera ha modellato la sua fama di brava "Mutti" della patria e la bellicosa leader del Fronte Nazionale che ha invece optato per un look più spigliato, rinunciando ai pantaloni e presentandosi in gonna e tacchi a spillo. Insomma a volte anche l'abito fa il monaco, o la monaca!

 

REBUS. Senza un candidato comune, la sinistra francese rischia di presentarsi alle presidenziali dell'anno prossimo in ordine sparso e non certo attrezzata per tenere testa al centro destra che allo scopo non ha esitato a sacrificare il sempre meno amato Sarkozy. Nei ranghi della gauche comincia a serpeggiare il timore di non arrivare al secondo turno e quindi di dover scegliere il male minore come fece con Chirac per sbarrare il passo a Le Pen padre. Questa volta l'avversario comune è ancora una Le Pen, la figlia Marine, che ha lanciato la sua sfida sicura di farcela. Nello scompiglio dei partiti che precede il voto di maggio, appuntamento clou del 2017 assieme alle elezioni tedesche, la corsa all'Eliseo è ormai sempre più un rebus dall'esito quanto mai incerto, ma con un punto fermo: la sinistra deve ricompattarsi e superare le vecchie divisioni nella consapevolezza che in politica il male minore alla lunga può rivelarsi il peggiore. 

 

PUTIN. Quando militava nei piani alti del KGB, che non era proprio una leggiadra confraternita di francescani, Putin non godeva certo di grandi simpatie nel mondo occidentale. Nella terminologia di Reagan apparteneva " all'impero del male". Come abbia fatto l'attuale Presidente russo a diventare l'idolo di una parte consistente della destra europea è uno di quei misteri che non aiuta a capire l'esatta natura di questo fenomeno. Ma che però andrebbe analizzato attentamente. Le durissime reazioni dei suoi sostenitori alla risoluzione UE che accusa il Cremlino di sfidare i valori democratici e dividere l'Europa è d' altronde sintomatica. L'alzata di scudi, non priva di giudizi irriverenti nei confronti dell'euro parlamento, mostra un mutato e per certi versi acritico atteggiamento di alcuni settori dell'opinione pubblica che ora vede la Russia come l'approdo della terra promessa dopo averla considerata per anni una sterminata prigione a cielo aperto. Un cambio di passo radicale in cui non mancano i motivi di riflessione.

 

CORAGGIO. Al tema, delicato e controverso, celebrati autori hanno dedicato memorabili capolavori. Fra questi il grande Bergman con " Il settimo sigillo". Nel caso della ragazza inglese condannata dal cancro che ha scelto di farsi ibernare per rivendicare il suo diritto alla vita in un futuro senza tempo, non avrebbe comunque senso lambiccarsi in congetture filosofiche. D'altronde chi siamo noi per giudicare. Molto più semplicemente, con quel suo gesto che tanto ha fatto discutere, la giovane ha voluto portare via con sé un brandello di speranza, sorretta dall'ingenua convinzione di avere ancora in serbo un'ultima mossa, la mossa che non esiste, per dare scacco matto al mistero insondabile della morte. Aggrappandosi così, prima di chiudere gli occhi, all'illusione di risvegliarsi guarita in un mondo inesplorato. Nel suo cammino oltre i bastioni dell'ignoto, salutiamola con una carezza, perché, come canta Fabrizio de André, per morire a quell'età, ci vuole tanto, tanto coraggio.

martedì 22 novembre 2016

Nello sgomento dell'ora, occorre reagire

di Renzo Balmelli 

DISSENSO. "Ha da passà 'a nuttata" è la celebre frase con la quale Eduardo De Filippo in Napoli milionaria affrontava le avversità dell'esistenza e della commedia umana. Adesso, sul palcoscenico americano un milionario che non va tanto per il sottile ci è finito per davvero e per gli eredi della grande stagione illuminista del Common sense, il senso comune della democrazia anti autoritaria teorizzata da Tom Paine, la notte rischia di essere molto lunga. Un cielo carico di oscuri nuvoloni incombe sui valori condivisi della cultura liberale e progressista che hanno forgiato la moderna società dei lumi. Nello sgomento dell'ora seguito all'elezione di Trump sarebbe però un errore cedere alla rassegnazione. Occorre reagire e mobilitare le coscienze al fine di indagare sulle ragioni della sconfitta e porvi rimedio in tempi brevi. Un diffuso malessere si è impadronito dell'America e i tanti giovani che esprimono il loro dissenso ne sono una testimonianza eloquente.

FALCHI. A vedere come sgomitano per un posto al sole, devono avere una fame feroce di rivincita i repubblicani dell'ala meno moderata. Con metodi che fanno assomigliare la transizione a un gigantesco “spoil system” teso a riportare nelle stanze del potere i falchi nascosti negli armadi, il presidente eletto non fa mistero delle sue intenzioni. I toni concilianti non traggano in inganno. Ciò che si va consumando è l'ansia di revanscismo non limitato solo agli Stati Uniti nei confronti del “negretto" che nella distorta visuale del Tea Party ha avuto l'impudenza di “usurpare” la supremazia bianca. Evocare quale pilastro del programma la deportazione di milioni di clandestini e il muro col Messico trasuda linguaggi tristemente noti da noi da quasi un secolo con un altro nome. Il buon senso consiglia prudenza nei giudizi, ma il pessimismo della ragione suggerisce di prepararsi al peggio.

PATRIMONIO. Con lo stile e la leadership morale di due mandati mai lambiti nemmeno dall'ombra di un pettegolezzo, Obama nell'ultima sua missione si sta prodigando per depotenziare l'effetto Trump sull'Europa. Nel solco della buona educazione diplomatica non prenderà iniziative che potrebbero turbare il pacifico avvicendamento alla Casa Bianca. Ma chi gli succede mostra di muoversi sulla scacchiera internazionale come il liquidatore di Pulp Fiction, la qual cosa non è fatta certo per rasserenare gli alleati del Vecchio Continente. Con la svolta delle presidenziali, sugli Stati Uniti è calata una cortina di tristezza resa ancor più pesante dalla euforia della destra populista ed euroscettica convinta che con il presidente eletto si aprirà una stagione di travolgenti successi. E il guaio è che potrebbe accadere davvero se andasse in porto il radicale, estremo cambio di passo in grado di decretare la fine di un'epoca e archiviare un patrimonio prima culturale che politico.

A MOSCA. A MOSCA! Chissà se Matteo (non Renzi, l'altro) conosce l'invocazione che Cechov fa dire alle Tre Sorelle, ansiose di sfuggire dalla mediocrità della provincia. Sta di fatto che al leader leghista la capitale russa è sembrata l'ideale palcoscenico sia per promuove il NO al referendum, sia per dare corpo alle sue ambizioni. Sotto le mura del Cremlino, non più spauracchio della destra, Salvini ha provato a muovere i suoi primi passi da candidato premier, tra il visibilio dei suoi devoti sostenitori. Che poi la foto con Putin, grande amico dell'amico americano, sia vecchia di un anno è un dettaglio trascurabile per chi cerca un posto nella storia. L'importante è essere visti da chi deve vedere. Certo è che il voto del 4 dicembre ne ha risvegliati di appetiti!

NODI. Quando si evoca l'ipotesi di mobilitare l'esercito per riportare l'ordine in città, tra l'altro quasi sempre con scarsi risultati, il più delle volte significa che qualcosa di importante non ha funzionato nella pubblica amministrazione. Se poi l'opzione riguarda Milano, un tempo capitale morale finita non sempre in buone mani, la politica tende a dividersi poiché il problema legato alla sicurezza dei cittadini minacciati dalla criminalità e dalle bande armate che si fanno la guerra per il controllo del territorio vale a fare luce su alcuni nodi critici. E che uno di questi nodi sia l'integrazione fallita in quella camaleontica, sfuggente corte dei miracoli che è diventata via Padova, con le sue gerarchie, lo spaccio e la prostituzione, evidenzia quanto sia difficile mettere a frutto progetti di inclusione sociale che pure esistono e altrove hanno dato risultati positivi.

IDEALI. Se Bob Dylan ha avuto il Nobel per la letteratura, Leonard Cohen, scomparso all'età di 82 anni, lo avrebbe a sua volta meritato per l'importanza storica della sua produzione ispirata da un lato dal pessimismo politico-culturale e dall'altro da un forte senso della giustizia. Il poeta che volle essere cantautore e divenne il poeta della musica se n'è andato alla vigilia delle elezioni americane e non ha fatto in tempo a conoscerne l'esito che sicuramente avrebbe disapprovato. Non solo in campo musicale, Cohen ha saputo suggerire orizzonti ed emozioni personali sorrette dalla sensibilità e dalla comprensione verso chi per sfortuna o altro si è trovato in ambasce. La sua vena autoironica è stata un modello per l'indipendenza creativa di molti artisti che per loro stessa ammissione si sono a lui liberamente ispirati. Nel sostegno agli oppressi e contro la guerra è stato l'alfiere instancabile degli ideali che oggi non di rado danno l'impressione di vacillare.

martedì 8 novembre 2016

Dopo ciò che… andava fatto prima

di Renzo Balmelli 

 

PRIMA E DOPO. Quante parole al vento da parte della politica, stremata dalla battaglia costituzionale, mentre la terra trema e l'Italia vive nell'incubo di disastri ambientali non solo imputabili agli elementi scatenati. La tragedia sismica che sta provocando un esodo biblico di sfollati ha messo in evidenza una catena mostruosa di inadempienze e di miliardi buttati al vento che chiama in causa le pesanti responsabilità della classe dirigente. Se tra le tante cose venute a galla tutte assieme, persino un cavalcavia talmente marcio che crolla come fosse un castello di sabbia, non ci sono attenuanti. Siamo di fronte alle conseguenze di un sistema parassitario e di mal governo che per ragioni inconfessabili non ha saputo o voluto ascoltare gli avvertimenti e ora prova a correre ai ripari per fare dopo ciò che andava fatto prima.

 

RISPETTO. In questa fase piuttosto avara di proposte per la storia delle idee, il dibattito politico si sta spesso incartando su polemiche sterili e rivalità personali. Senza avere quale scopo principale l'interesse per il Paese. Di sicuro non ha certo pensato al terremoto che ha sconvolto il Centro della Penisola l'esponente del M5S dettosi convinto che se il Senato, inteso come edificio, ha assorbito senza danni le scosse giunte fino a Roma, saprà reggere anche alla riforma. Una tale mancanza di rispetto verso chi ha perso tutto è semplicemente inconcepibile, ma è anche un sintomo di quanto sia avvelenato il clima nell'imminenza del referendum che ormai si è caricato di significati estranei alla posta in palio per diventare una prova generale delle elezioni.

 

AVVENIRE? Fondato settant'anni fa sulle ceneri del fascismo e sulle rovine della guerra voluta dal Duce, il Movimento sociale italiano fa i conti con il proprio destino attraverso una mostra di volantini, manifesti e altri polverosi cimeli da poco inaugurata nella capitale. E' la prima volta che le icone missine vengono esibite in pubblico nel tentativo di ricostituire una comunità ormai dilaniata dalle divisioni e che un tempo aveva potuto contare su oltre 2 milioni di elettori, 56 seggi alla Camera e 26 al Senato. Finiti dalla parte sbagliata della storia, nostalgici erano i fondatori del MSI nel 1946, determinati a rivalutare il Ventennio, e tali sono rimasti al punto da titolare la mostra "Nostalgia dell'avvenire" che evidenzia in modo fin troppo palese quali sono le loro mai sopite motivazioni. Ma quale avvenire?

 

HIDALGO. Famoso per certe sue battute al vetriolo, Andreotti disse una volta che gli spagnoli erano come gli italiani ai quali mancava però l'italica finezza. Forse il leader democristiano voleva alludere alla tortuosità di certi percorsi politici in cui la nazione iberica si è trovata invischiata senza trovare il bandolo della matassa fino al "sacrificio" dello Psoe che turandosi il naso ha spianto la strada al suo storico avversario. A pagare dazio in questa dolorosa operazione che consente alla destra di governare senza merito è stato più di altri Pedro Sanchez, giovane promessa del socialismo madrileno, che si è fatto da parte per non tradire i suoi ideali e meritandosi - come poteva essere diversamente - la fama di novello don Chisciotte. Un bel gesto da eroico hidalgo in un partito tormentato e per ora senza grandi prospettive.

 

INCUBO. Si diceva che soltanto eventi fuori dal comune avrebbero potuto cambiare le sorti delle presidenziali americane che davano ormai quasi per scontata la vittoria di Hillary Clinton. Ad agitare invece fino all'ultimo le acque già torbide di una corsa alla Casa Bianca che ha conosciuto punte di asprezza di una violenza inusitata ha provveduto la stangata dell'FBI che ha riaperto le indagini sulle famose mail private dell'ex segretaria di stato. Quali considerazioni abbiano motivato l'operato dell'attuale capo dell'ufficio federale, tra l'altro nominato da Obama, resta un mistero tutto da sondare tanto più che a pochi giorni dalle elezioni non sono prevedibili massicci spostamenti di voti. Al netto di fantomatiche tesi complottiste, resta l'incubo di un successo di Trump che sta già mandando in fibrillazione i mercati azionari.

 

VENTO. Quanto discutere e polemizzare per il Nobel della letteratura attribuito a Bob Dylan. Anche il menestrello ha fatto la sua parte prima di rompere il silenzio e comunicare che accettava il premio. Il fatto di avere evitato qualsiasi commento gli stava addirittura alienando le simpatie di non pochi ammiratori, tanto da definire il suo modo di fare "arrogante". Ma il genio non è acqua e il cantore di "Blowin in the wind" ha capito che certi vezzi di artista potevano nuocere alla sua fama. Dylan fedele però al suo carattere introverso ancora non ha garantito se andrà a Stoccolma per ritirare l'onorificenza che conferisce dignità poetica e letteraria a quei versi memorabili che chiedono " quante volte le palle di cannone dovranno volare prima di abolirle per sempre. La riposta – ammonisce l'autore – vola via nel vento!

 

giovedì 3 novembre 2016

Il pericolo corre sulla rete

di Renzo Balmelli 

FRAGILITÀ. Il pericolo corre sulla rete. Avvalendosi delle multiformi possibilità di internet fruibili senza ostacoli, il terrorismo di matrice fondamentalista e quello informatico viaggiano spesso lungo lo stesso binario, dando vita a un fenomeno globale in costante crescita e sviluppo. Entrambi sono complementari l'un l'altro, legati da insidiose forme di complicità e uniti dalla capacità di agire nell'ombra, in modo subdolo. All'occorrenza sanno colpire a tradimento come ha dimostrato in maniera eloquente il recente cyber-attacco ai sistemi di mezzo mondo. A volte insomma le storie della fantascienza si avverano evidenziando inquietanti similitudini e sottolineando in pari tempo, nonostante i forti controlli, una certa quale fragilità degli sbarramenti difensivi per prevenire sabotaggi devastanti, considerati come veri e propri atti di guerra.

SEGNALE. Mano a mano che si avvicina la data fatidica dell'8 novembre calano vistosamente le possibilità che a Trump riesca il colpaccio tanto temuto da chi mantiene la testa sulle spalle e all'opposto tanto agognato da chi aspira a fare tabula rasa nel senso comune di questa espressione. La prudenza consiglia tuttavia di non dare nulla per scontato e di aspettare lo spoglio dell'ultima scheda prima di fare i conti. Secondo l'acuta riflessione di un blogger che riassume le preoccupazioni di tanta gente, sia in Europa che negli Stati Uniti siamo in una fase pericolosa in cui il peggio affascina più del meglio. Col rischio, qualora dovesse prevalere il peggio, di accorgersene quando è troppo tardi. Ecco perché dall'America che pure sta mutando pelle nel contesto di un nuovo ordine internazionale è lecito attendersi un segnale incoraggiante per non rivivere il passato.

VIATICO. Dalla Spagna all'Italia passando dalla Francia si ha la sgradevole impressione di trovarsi al cospetto di una sinistra in stato confusionale, spaccata al suo interno e indecisa a tutto. Mal si comprende infatti l'atteggiamento dello PSOE che a Madrid non trova nulla di meglio da proporre che spianare la strada al governo conservatore senza essere riuscito a elaborare un serio progetto alternativo. A Parigi non parliamone: la "gauche" naviga a vista e Hollande è sempre più un Presidente a mezzo servizio. In Italia più che a un referendum costituzionale, che dovrebbe essere la vera posta in palio, pare di assistere a una marcia di avvicinamento alle elezioni anticipate che coglie il Pd non solo in ordine sparso, ma nel totale disordine. In ogni caso il pasticcio in casa socialista non è un buon viatico per l'Europa assediata dalla destra nazionalista.

RIGURGITI. Con un contributo dell'ex direttore Ezio Mauro, il quotidiano la Repubblica dedica un corposo articolo al saggio di Pierre André Taguieff, filosofo e storico delle idee francese, sull'antisemitismo di ieri e di oggi ed i brutali rigurgiti di una infamia che ha prodotto ferite mai cicatrizzate. L'indagine su questa tragedia frutto della bestiale ottusità burocratica dei peggiori regimi che mai abbiano insanguinato il secolo scorso, si colloca anche in parallelo con l'incresciosa mozione antiebraica dell'Unesco che ha lasciato sconcertati chi considerava l'organizzazione dell'ONU il luogo deputato a promuovere la pace mondiale attraverso l'arte, la scienza e la cultura. In quest'ottica il saggio di Taguieff si legge anche come la condanna delle pratiche che prescrivono le liste degli stranieri e propongono il desolante, disumano calvario dei profughi di Calais.

"ITALI". Immaginiamoci la gioia di Dante e Manzoni nello scoprire che dopo l'inglese, lo spagnolo e il cinese, l'italiano è la quarta lingua più studiata sul pianeta alla faccia di chi vorrebbe relegarla tra le anticaglie. Qualche titolo di merito in questo campo può vantarlo anche L'Avvenire dei Lavoratori che da quasi 120 anni si impegna “per tenere vivo l'uso della nostra lingua presso la comunità italiana nel mondo” e presso chi abbia voglia di impararla. Tra i cultori dell'idioma che ha tenuto a battesimo il Rinascimento non figura però l'ex sindaco di Londra. Boris Johnson volendo essere spiritoso ha abbozzato un maldestro tentativo di risposta in merito al futuro degli italiani nel Regno Unito dopo la Brexit assicurando che tutti gli "itali" sono benvenuti. Tra l'ilarità generale, il Telegraph ha commentato l'intervento del Lord Major ora promosso ministro degli esteri con il titolo “Magnifico” che la dice lunga.

mercoledì 19 ottobre 2016

Stavolta è tardi

I pesi massimi repubblicani si affannano, con capriole da circo, a prendere le distanze da un candidato prima sostenuto senza vergogna e ora diventato di colpo ingombrante. Non è mai troppo tardi?

 di Renzo Balmelli 

AMBIGUITÀ. Dopo la bufera sulle parole sessiste di Trump, nel GOP – il Grand Old Party repubblicano – di grande sono rimaste due cose: il caos in un clima di guerra civile secondo l'analisi del New York Times, e il fuggi-fuggi disperato dei pesi massimi del partito che con capriole da circo si affannano a prendere le distanze da un candidato prima sostenuto senza vergogna e ora diventato di colpo ingombrante. Certo, cambiare idea è legittimo e dopotutto non è mai troppo tardi per fare ammenda. Stavolta però no. Stavolta è davvero tardi e nessun espediente dei voltagabbana riuscirà a rammendare i guasti provocati dall'irrazionale deriva estremista della destra americana. Tanto più che il ravvedimento appare poco plausibile e dettato, più che altro, non dalle preoccupazioni per il bene del Paese, ma per il proprio tornaconto e il timore di restare a secco di poltrone. In questa sceneggiata, ex ministri, senatori, governatori e deputati sfidano il giudizio della storia avvolgendosi in una cappa di ipocrisia che la grande scrittrice Carol Oates sul Corriere della Sera bolla quale "ambiguità etica".

 

APOCALISSE. A volte la politica, a dispetto delle sue magagne, riesce ad accendere improvvisi bagliori, magari di breve durata, ma capaci per un istante di riscattarla dallo squallore in cui l'ha confinata il populismo imperante. Così, mentre Obama sul finire del suo mandato si spinge oltre i confini del mondo e regala agli americani il sogno di realizzare un giorno la conquista pacifica di Marte, Hillary Clinton, di par suo, si colloca quale baluardo tra gli Stati Uniti e l'Apocalisse. Poiché questa sarebbe la prospettiva in caso di una vittoria del suo rivale. Ammesso che i sondaggi non prendano l'ennesima cantonata, sembra che la cavalcata di Donald sia destinata a fermarsi sulla soglia della Casa Bianca. In queste elezioni, tuttavia, potrebbe accadere qualsiasi cosa nelle ultime settimane, ragion per cui è bene sperare, ma anche prepararsi al peggio. Scongiurato il rischio di vedere il repubblicano eletto Presidente, rimane comunque l'interrogativo sul futuro del "trumpismo", con tutto quanto di negativo comporta. Certe ricette di facile suggestione sono dure da sradicare. Lo si vede anche in Europa dove il “lepenismo” edulcorato di Marine, il leghismo senza Bossi e il berlusconismo rielaborato hanno sì cambiato il doppiopetto, ma in sostanza sono uguali a prima, se non peggiori. Difatti, guarda caso, sono molti in quella galassia gli estimatori di Trump.

 

MOSSA. A tre mesi dal referendum, la Gran Bretagna del Brexit ha gettato la maschera riposizionandosi in modo sempre più marcato nel ruolo defilato rispetto al Continente che fu già suo. Guidato non tanto dalla ragione bensì dalle emozioni, il cambio di passo sembra una mossa obbligata per sviare l'attenzione dalle pesanti ricadute interne del referendum. Nuove stime sull'uscita indicano infatti che potrebbe costare fino a 73 miliardi l'anno, con gravi conseguenze per il Pil. Le tendenze neo isolazioniste si sono manifestate in modo clamoroso con il varo delle liste di proscrizione nei confronti dei lavoratori stranieri, liste che non contribuiscono certo a rendere meno conflittuale il divorzio dall'UE, ma che hanno già provocato un coro di reazioni indignate. Intuita l'impopolarità del provvedimento, il governo conservatore ha fatto marcia indietro attenuandone i passi più scabrosi e punitivi. Permane tuttavia il disagio per il contraccolpo subito dall'immagine di una delle nazioni più ospitali del mondo, ora non più immune dal nazionalismo. 

 

FUGA. Addio, Italia bella. Non corrono più alla stazione con le valige di cartone, ma oggi come allora gli italiani se ne vanno, varcano la frontiera per raggiungere le mete favorite. In cima alle preferenze la Germania, la Svizzera, la Gran Bretagna (ma fino a quando con l'aria che tira?) dove sperano di costruirsi un futuro migliore. I numeri dicono che i nuovi emigranti sono sempre di più, sempre più giovani e freschi di studio. A muoverli in gran parte non è una libera scelta, ma una necessità per la mancanza in patria di lavoro e prospettive. Il boom di migrazioni rappresenta un segno di impoverimento poiché non di rado chi parte non torna reinvestendo altrove competenze e risorse di qualità di cui il Paese avrebbe invece bisogno. Sebbene le motivazioni siano diverse rispetto al passato, urge a questo punto un intervento della politica per invertire quella che appare come una vera e propria fuga di cervelli non priva di rischi.

 

NOSTALGIA. Che rimpatriata per chi era giovane idealista negli anni sessanta e in fondo al cuore lo è rimasto. C'era tutto il mito della Abbey Road, la strada di Londra immortalata dai Beatles, sul palco del festival di Indio dove Paul McCartney ha dato libero sfogo ai ricordi di un'epoca in cui la musica cambiò per sempre. All'appuntamento con le leggende del rock nella località californiana, appuntamento posto all'insegna della nostalgia, sono tornate a rivivere le speranze e le illusioni di una intera generazione che identificandosi nei brani dei "Fab Four" voleva cambiare il mondo oltre alla musica, per crearne uno migliore. Sentimenti che sono venuti a galla nel ricordo di chi non c'è più. Del gruppo di Liverpool sono rimasti Ringo Starr e Sir Paul che ha reso omaggio a John Lennon e alla sua Imagine, la canzone pacifista pensata per un mondo senza frontiere e senza muri che anche 45 anni dopo, a maggior ragione, nulla ha perso della sua straordinaria potenza evocativa.

lunedì 10 ottobre 2016

Due immagini

SPIGOLATURE 

 

Siamo rimasti allibiti davanti alla foto dei bambini di Aleppo che si tuffavano nella pozza limacciosa provocata da una bomba. Non meno sconvolgente il filo spinato che nell'est europeo sbarra il cammino ai migranti.

 

di Renzo Balmelli 

 

BUROCRATI. Nell'era della comunicazione virale, l'accostamento tra due immagini diffuse in Internet e viste da migliaia di utenti a volte vale più di mille parole. Siamo rimasti colpiti davanti alla foto dei bambini di Aleppo che si tuffavano in una pozza d'acqua limacciosa ricavata nel cratere di una bomba. Quel tenero gioco ai bordi di una improbabile piscina era per loro un momentaneo antidoto alle brutalità quotidiane cui li condanna la follia umana. Non meno sconvolgente è il filo spinato che nell'est europeo, dimentico di quando a sua volta era prigioniero di un sistema liberticida, sbarra il cammino ai migranti. Sono entrambe testimonianze del nostro tempo in cui il cuore tace e si è perso il senso della ragione. Il futuro per quei piccoli è già stato cancellato, ha detto Dacia Maraini. E per il dolente corteo dei profughi il cammino della speranza che si infrange davanti allo sguardo impassibile dei burocrati.

 

PIFFERO. Venne per suonare e fu suonato. Chissà se il premier ungherese Orbán conosce il detto popolare dei pifferai decisi a fare valere le proprie ragioni e che rimasero scornati. La stessa sorte è toccata a lui, convinto di vincere il referendum che doveva condannare le quote sui rifugiati. Invece, sbagliando bersaglio, ha fatto la figura del piffero. Voleva dare uno schiaffo a Bruxelles, ma i suoi connazionali e non i "cattivi" europei glielo hanno restituito. Ora si tratta di analizzare le ricadute di una sconfitta che in se è una buona notizia, ma che però è maturata in virtù del troppo assenteismo piuttosto che per intima convinzione. Il mancato quorum può infatti significare due cose. Una, quella positiva, che nella patria dei saggi ragazzi della via Pal non è ancora calato il sipario. L'altra, negativa, che Budapest non terrà conto del risultato e andrà avanti col suo giro di vite. La questione magiara resterà quindi ancora inquietante per l'UE e per giunta resa ancor più grave dalla smania di rivincita dei perdenti di oggi. 

 

SFIDA. Al di là dei guai di Orbán, finito al tappeto per l'eccessiva sicumera, il verdetto delle urne ungheresi riporta al centro del dibattito una delle sfide maggiori portate all'ideale comunitario sul quale già pesa la gravosa ipoteca del recente Brexit. La sfida della destra radicale. In effetti, nonostante la battuta d'arresto incassata in Ungheria, non sarà certo la galassia nazional-populista, che sperava e spera ancora nell'effetto domino, a fare marcia indietro. In Francia non si può escludere che Marine Le Pen diventi presidente. L'Austria è pericolosamente in bilico. In Italia risuonano le intemperanze leghiste e in alcune parti del continente si segnalano pulsioni da anticamera del fascismo. Se per delirio d'ipotesi negli USA vincesse Trump, per l'Europa sarebbe una tragedia. Per sventarla il Vecchio Continente dovrà chiamare alla mobilitazione le sue forze migliori, liberali e di sinistra, onde costruire, in antitesi all'oscurantismo, un UE di accoglienza, diritto e giustizia.

 

APATIA. Fino a ieri si sprecavano gli elogi per la fine del conflitto tra la Colombia e i guerriglieri delle FARC dopo oltre mezzo secolo di lotta armata. Purtroppo è andato tutto storto. Il sorprendente "no" dei colombiani che ha fatto fallire il referendum ha avuto l'effetto di una doccia gelata per le speranze di pace. Il rifiuto riporta infatti il destino del martoriato Paese alla casella di partenza. Ma forse era troppo pretendere di cancellare mezzo secolo di orrori da un giorno all'altro. I sorrisi e le strette di mano tra gli ex nemici non sono bastati a esorcizzare il ricordo ancora fresco di una storia fatta di morti, paura, rapimenti, sospetti, veleni, cartelli della droga e vecchi rancori. Sebbene tutte le parti in causa assicurino che il processo di pacificazione comunque non si ferma, in realtà nessuno ha vinto nello Stato dell'America meridionale. Nessuno tranne l'apatia della popolazione sfociata anche qui, come in Ungheria, nel forte astensionismo. Che però, in questo caso, non è una buona notizia.

 

POTERE. A quattrocento anni dalla morte e al netto delle speculazioni su chi fosse realmente, William Shakespeare non solo continua a infiammare accademici e studiosi, ma conserva la sua aura di genio universale che aveva previsto tutto. Tale convincimento è così diffuso da indurre il Washington Post a chiedersi cosa avrebbe detto il bardo di Stratford-upon-Avon in merito al duello Clinton-Trump. In questo contesto si citano i discorsi di Bruto e di Marco Antonio nel Giulio Cesare: il primo razionale, il secondo emozionale. La qualcosa porta la testata che smascherò i misfatti di Nixon nello scandalo del Watergate a domandarsi se "il popolo americano sia tentato dal populismo a causa del fallimento della politica". Lo sapremo quando parleranno le urne. La lotta per il potere, sosteneva Shakespeare, si consuma facendo fuori gli altri, il che conferisce una nota davvero intrigante all'originale chiave di lettura del quotidiano a un mese dall'infiammato rush finale per la Casa Bianca.

 

giovedì 22 settembre 2016

Fatti e misfatti di cui siamo testimoni

Dire che stiamo vivendo in un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà…

 

di Renzo Balmelli

 

MEMORIA. Al cospetto dei fatti e misfatti di cui siamo testimoni, dire che quello che stiamo vivendo è un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà. Stretta tra due pericoli maggiori, il terrorismo di matrice jihadista da una parte, il neo fascismo nazional populista dall'altra, la società sta attraversando una profonda crisi dalle molteplici sfaccettature etiche, politiche e culturali. A volte pare addirittura in affanno nel produrre gli anticorpi atti a contrastare le malsane pulsioni oscurantiste. Fortunatamente c'è la sinistra che assieme agli altri schieramenti progressisti tiene il punto per non darla vinta a chi trama nell'ombra. Sotto tiro sono finiti i valori che affondano le radici nel nostro comune vissuto e che non sono retorica, ma lo strumento indispensabile per crescere e per guardare avanti nel rispetto della memoria troppo manipolata e troppo poco condivisa. Contro i ripetuti attacchi impregnati di razzismo e xenofobia, l'Europa può e deve offrire una risposta forte attraverso solide forme di resistenza morale che però, per non fallire, non consentono di abbassare la guardia anche soltanto per un secondo.

 

GALASSIA. Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l'ultima, che l'estremismo di destra, imbevuto di sconsiderate ideologie, prova a conquistare spazio col suo linguaggio vieppiù esplicito e aggressivo. In questa galassia tenuta assieme non da un programma ma da un impasto di volgarità e slogan fallaci, non passa giorno senza che vengano aggiunti altri mattoni al muro dell'odio eretto contro il mondo e la civiltà. E non è difficile immaginare quale potrebbe essere lo scenario se la corrente eversiva a furia di cavalcare la paura tra le pieghe della sfiducia e dell'insoddisfazione, dovesse moltiplicare i consensi ai prossimi grandi appuntamenti elettorali in Austria, Germania, Francia. La deplorevole tendenza di indicare un capro espiatorio ha individuato la causa di tutti i mali nei migranti, facendoli diventare la facile preda e il comodo pretesto per procacciare consensi. In quest'ottica, senza un deciso cambio di passo si finirà col correre verso una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche, mentre già adesso più non si contano le fosse in quell'orrendo cimitero in cui si è trasformato il Mediterraneo.

 

SFIDE. Neppure il più fervente europeista poteva restare indifferente di fronte alla scarsità di proposte uscite dal vertice di Bratislava che ha disatteso clamorosamente le aspettative della vigilia. Sola voce fuori dal coro del conformismo di facciata a farsi sentire è stata quella dell'Italia. L'Italia che dopo avere dato tante dimostrazioni di generosità non vuole più essere lasciata sola a gestire l'emergenza dei profughi, ma esige che la crisi venga affrontata e risolta nei luoghi di provenienza. Giustamente, viene da dire. A Palazzo Chigi si possono rimproverare molte cose, ma non di essere rimasto inoperoso nel dare la sveglia ai 27 che non sono riusciti ad andare oltre il proprio orticello. La sfuriata sarà stata anche il frutto di impellenti urgenze elettorali legati al referendum costituzionale. Ma se non tutto è inganno vogliamo credere, una volta tanto, che il messaggio fosse invece indirizzato a tutti coloro i quali hanno a cuore l'uomo e il suo destino. Porsi domande serie di fronte alle sfide del nostro tempo è l'unico modo possibile d'altronde per preparare degnamente i 60 anni dello storico Trattato di Roma della prossima primavera prima che la sua eredità si disperda ai quattro venti. 

 

NODI. L'attuale capo del Cremlino, confortato dal risultato delle legislative, non si è tolto né mai si toglierà le scarpe all'ONU brandendole in segno di sfida all'occidente come fece Nikita Kruscev. Non è nel suo stile. Qualcosa di simile tuttavia lo accomuna nell'immaginario collettivo al suo lontano predecessore. Parliamo della forte identificazione nel mito della grande e allegorica Madre Russia che tra la gente non è mai venuta meno neanche nelle circostanze più drammatiche. Se quel gesto clamoroso e così poco diplomatico non salvò l'ex segretario del Pc dall'epurazione, non di meno, anni dopo, grazie a un sondaggio che fece molto discutere, lo riabilitò agli occhi dell'opinione pubblica, appunto sempre molto sensibile su questo argomento, quale vigoroso interprete dell'orgoglio patriottico. Se ora Putin naviga indisturbato verso altri traguardi, potendo disporre alla Duma di un docile strumento al suo servizio, una delle ragioni è data proprio dal fatto che la maggioranza degli elettori ha visto in lui, forse per effetto di fascinose e nostalgiche analogie, l'alfiere del ritorno alla grandezza della Russia sul piano internazionale. Ovviamente fino a quando l'incanto durerà. 

Con altri e più nobili mezzi

di Renzo Balmelli 

 

LUMICINO. Sarebbe a dir poco favoloso se i grandi della terra riuscissero finalmente a sovvertire il famoso teorema di Bismarck e stabilire, una volta per tutte, che la diplomazia e soltanto quella è la vera, unica e umanamente accettabile prosecuzione della guerra con altri e più nobili mezzi. E non il contrario come sosteneva il cancelliere di ferro. Un lumicino in tal senso, seppur flebile, si è acceso con la nuova tregua in Siria concordata tra Stati Uniti e Russia dopo tanti, troppi ritardi. L'intesa oltre a consentire l'accesso agli aiuti umanitari dovrà creare le condizioni per arrivare un giorno alla ripresa dei negoziati di pace ed a mettere in comune gli sforzi per contrastare il terrorismo. Ma poiché ai vertici del potere le favole sono merce quasi introvabile, prima di realizzare l'obbiettivo finale bisognerà sciogliere il groviglio geo politico di sospetti e interessi contrastanti che hanno trasformato la regione in una polveriera devastante. Per ora la " chimica" tra Obama e Putin, talmente diversi da tentare al massimo modeste prove di dialogo, sembra reggere. Però, se per disavventura Washington finisse nelle mani di Trump e Mosca non dovesse mettere la sordina alle sue ambizioni, il lumicino farebbe in fretta a spegnersi.

 

SCENARI. Si vorrebbe non scriverlo mai, nel timore di alimentare giudizi affrettati e storicamente fuorvianti. Ma nell'assistere alla deriva che l'infatuazione populista propone con preoccupante regolarità a ogni scadenza elettorale non si può fare a meno di ricollegarla ai tristi scenari che pensavamo esserci gettati alle spalle. Sempre più forte è infatti la percezione di essere al cospetto di una guerra anomala, ma non meno subdola. Per capirci, quella che è già stata definita la terza  guerra mondiale non dichiarata che si combatte tra una visione etica del mondo ed i rigurgiti ormai palesi e incontrollabili del fascismo. Intendiamoci, non quello ridicolmente tronfio dal petto in fuori o quello pauroso degli scarponi chiodati. No. I suoi strateghi si sono adeguati ai nuovi network di comunicazione, usando linguaggi apparentemente rispettabili, ma non meno rovinosi. A tal punto che perfino i conservatori classici si trovano spiazzati di fronte all'ampiezza e la gravità del fenomeno.

 

COLLA. Chi ha amato Joseph Roth e Stefan Zweig, condannati all'esilio dalla crudeltà della storia matrigna, non fatica a immaginare quali sarebbero le loro pene se fossero ancora in vita. Considerato quanto propone il loro Paese in questa fase davvero concitata della sua esistenza, i due grandi autori mitteleuropei avrebbero difatti molte ragioni per essere preoccupati. Su quell'Austria che tanto amarono, quell'Austria felix forse più frutto della fantasia popolare ma non di meno ricca di fascino, si stanno addensando nuvoloni minacciosi che lasciano presagire un sostanzioso incremento delle preferenze a favore dell'ultra destra di Norbert Hofer. Se tale fosse il verdetto del ballottaggio previsto a dicembre e già preceduto da episodi piuttosto strani in merito al voto per corrispondenza e le relative buste mal incollate, l'UE si troverebbe di fronte a un verdetto che avrebbe l'effetto di un terremoto per i suoi futuri assetti. Un sisma culturale oltre che politico che farebbe tremare l'intero Continente.

 

FRAGILE. Non immune dal lepenismo d'importazione e da altre brutte compagnie, è un'America piena di dubbi quella che si prepara a vivere gli ultimi, decisivi mesi della corsa alla Casa Bianca. Un'America in mezzo al guado, come in un classico copione da film western, in bilico tra le tesi estreme e tentatrici di Trump, che cesella con diabolica abilità gli istinti meno eleganti, la continuità rappresentata da Hillary Clinton, in testa ai sondaggi ma non amata, e i dubbi sulla salute della candidata democratica che alimentano gli scatti d'umore dell'opinione pubblica. Fortemente personalizzata e polarizzata, la sfida anche in passato ha sempre avuto toni molto accesi. Questa volta però si è andati oltre e ciò che la distingue in negativo dalle precedenti, è lo stile della campagna impostata dalla destra repubblicana, con slogan inveritieri e picchi di volgarità inaudita.  Ben presto orfani di Obama, uomo del negoziato che ha impresso alla sua presidenza un'impronta di alto profilo etico, gli Stati Uniti saranno posti, quindi, davanti a una scelta cruciale. Sotto gli occhi del mondo dovranno decidere se costruire il loro futuro proseguendo nel solco della linea progressista basata sui principi della giustizia sociale ed economica, oppure se affidarsi ai cattivi profeti, a chi predica odio, allarmismi e divisioni fra i popoli. Inutile aggiungere che la posta in palio riguarda anche tutti noi.

 

SFIDUCIA. Travolto da un impulso di omerica ira funesta, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si è lasciato andare a un giudizio sommario e oltre modo superficiale quando ha affermato che "dai summit socialisti raramente esce qualcosa di molto intelligente". Bontà sua, il severo guardiano dell'ortodossia finanziaria ha avuto un improvviso vuoto di memoria e si è semplicemente dimenticato di quali errori è stato a sua volta capace lo schieramento al quale appartiene. Che poi l'incontro dei leader mediterranei ad Atene sia stato un errore è tutto da dimostrare, specie dopo la Brexit che rende necessario in tempi brevi il ripristino di una Europa meno burocratica e più vicina alla gente, così come la immaginarono i padri fondatori.  In quest'ottica la rabbia del ministro per il vertice eurosocialista, che aveva appunto quello scopo, è parsa davvero una plateale dimostrazione di sfiducia, tanto più che le intenzioni erano condivisibili. Agli alleati socialdemocratici nel governo di Berlino la lezioncina ministeriale non è andata giù.

 

PROMESSE. Avvolto da una cortina di mistero non meno fitta della colonna di fumo che esce dalle Torri Gemelle dopo il terribile impatto con l'aereo impazzito, è stato ricordato il 15esimo anniversario del fatale 11 settembre 2001 che stravolse il mondo, senza tuttavia risolvere gli interrogativi di fondo. A 15 anni dall'attentato al " faro più luminosi della libertà", come lo definì G. W. Bush, non tutti i veli sono stati alzati per conoscere, al netto delle assurde teorie complottiste, la verità di quell'attacco a Manhattan e al Pentagono che fece scoprire un terrorismo mutevole, proteiforme, inafferrabile, e mai domo. Dietro la foto delle Torri in fiamme si dipana, come in una tragedia greca, il destino dell'umanità, non meno di quanto fa, seppure per motivi di segno opposto, un'altra immagine emblematica: quella scattata a Times Square a New York per la fine della Seconda guerra mondiale. Quel bacio del marinaio all'infermiera, scomparsa alcuni giorni fa, il bacio più celebre della storia contemporanea, segnava con la sua contagiosa spontaneità la cesura tra l'orrore del conflitto e  la promessa di un mondo migliore  racchiusa nell'obbiettivo che l' aveva catturato facendolo diventare una icona dei nostri tempi.

 

PROFEZIA. Quando si evocano i nomi di Sacco e Vanzetti torna alla mente il dramma dei due anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti, ingiustamente condannati a morte per un omicidio mai commesso. Un capitolo vergognoso che continua a coinvolgere le coscienze da 89 anni nonostante i vari tentativi di rimozione. Entrambi furono vittime sacrificali di una giustizia vendicativa e fraudolenta basata esclusivamente sul pregiudizio suscitato dalla loro origine e dai loro orientamenti politici, senza mai considerare la confessione del vero assassino. A ricordarci quel triste episodio concorre una bella iniziativa del Corriere del Ticino, il maggiore quotidiano svizzero di lingua italiana, che per celebrare i 125 anni di fondazione offre ai suoi lettori un affascinante viaggio a ritroso nel tempo in cui propone una selezione di notizie e articoli del passato. In quella del 24 agosto 1927, all'indomani della barbara esecuzione dei condannati, l'editoriale dell'epoca, ripubblicato in questi giorni, parla di "tragedia sociale ed umana" che avrà tristi ripercussioni nel mondo. Mai profezia fu tanto azzeccata.

 

lunedì 12 settembre 2016

I profughi in TV e la paura nelle urne

di Renzo Balmelli 

DESTINO. Grazie alla salutare tenuta della SPD forse sarà ancora possibile sfuggire alla marea nera del Meclemburgo. Tuttavia sarebbe vano illudersi che la minaccia sia sventata. Infatti, comunque la si declini, l'attrazione fatale esercitata dalla AfD (Alternative für Deutschland) va oltre l'emergenza migranti, usata in gran parte quale grimaldello elettorale in funzione del potere. E ciò non tanto per le ricadute politiche immediate, che restano ancora da valutare, quanto per le reazioni che il risultato potrà produrre sul piano psicologico nella mente della gente in questa fase di grande incertezza nella vita di ogni giorno e di non minori paure nelle urne. Se una percentuale tanto alta sostiene l'estrema destra in un Land che i profughi li ha visti quasi soltanto in televisione, il governo non dovrebbe reinventare la propria politica migratoria, bensì quella dell'educazione e la corretta lettura dei media. E sarà appunto ragionando in questi termini che capiremo se il buon senso riuscirà, col contributo decisivo della sinistra, a rafforzare gli anticorpi democratici oppure se quello della Cispomerania sarà stato davvero il “voto del destino”, lo Schiksalswahl che in tedesco si carica di significati inquietanti e tenebrosi.

BUONISMO. Chiunque salva una vita salva il mondo intero. Memore della citazione incisa nel Talmud e che rimanda all'orrore della Shoah, la comunità dei popoli civili dovrà rivedere le proprie priorità e di conseguenza raddoppiare gli sforzi per articolare una risposta atta a contrastare l'estrema destra nel suo tentativo di rovesciare i valori universali dell'accoglienza e della tolleranza, sostituendoli con l'odio, il razzismo e la violenza. Il dramma dei profughi necessita una strategia sul piano politico e molta solidarietà nei confronti di chi si batte per i loro diritti. Oggi chi considera che dare una mano al prossimo in gravi ambasce sia un gesto altamente umanitario va incontro a brutte sorprese da parte dei nazionalisti xenofobi che declinano la parola “buonismo” con scherno e disprezzo. Non Angela, ma l'altra Frau tedesca del momento, la signora Frauke Petry leader incontrastata degli ultra conservatori, si arrabbia se si definiscono illiberali le sue soluzioni. Però non spiega come le vede lei.

CATTIVISMO. Che l'Occidente abbia il fiato corto è un sintomo che non si scopre oggi bensì una tendenza in atto da parecchi anni. Anche il recente vertice in terra cinese, povero di risultati come tutti i summit troppo affollati, ha segnato una ulteriore battuta d'arresto del pensiero occidentale sulla mappa geopolitica del mondo. Non pochi osservatori tendono a fare risalire l'inizio del declino alla mancanza di un nuovo ordine multipolare capace - come scrive Franco Venturini sul Corriere della Sera - “di gestire le tensioni di un dopo-Muro che è stato sin qui sinonimo di stragi e impotenze”. E non è difficile immaginare quali sarebbero gli scenari se alla Casa Bianca dovesse arrivare Trump, intrattabile commesso viaggiatore di muri, filo spinato e armi in libera uscita. L'analisi è severa, ma ciò nondimeno riflette l'impaccio dei leader presenti al G20 nel formulare strategie condivise per rimediare al “cattivismo” delle guerre che provocano terrificanti tragedie umanitarie. Dall'Occidente culla dell'Illuminismo, ahinoi finito a sua volta nelle fauci dei revisionisti, sarebbe lecito attendersi qualcosa di più e di meglio.

RISVEGLIO. Chissà se a Virginia Raggi, nelle ore più difficili e delicate del suo ancor giovane mandato, sarà successo di canticchiare, sola nel suo ufficio, le strofe di “Roma non fa la stupida stasera” e di capire, più in fretta di quanto avesse desiderato, che la politica non è uno stornello, ma un campo minato che non da tregua. Arrivata al Campidoglio sulle ali del consenso e il bisogno di cambiamento di una città segnata dal malgoverno, la sindaca ha avuto un risveglio piuttosto brusco finendo nel mezzo di una di quelle bufere che sovente nel corso dei secoli hanno scompigliato la vita dell'Urbe, capace del meglio e del peggio. Per capire come funzionano certi meccanismi, forse le converrebbe, per una curiosa quanto casuale omonimia, rivedere l'irriverente film di Monicelli/Sordi “Il marchese del Grillo”. Al povero nobiluomo, su è giù nei corridoi della Roma papalina, ne accadono di tutti i colori proprio come succede a lei nei ranghi del traballante Movimento 5 Stelle che sta vivendo una metamorfosi dolorosa e non sa che pesci pigliare per uscire dal caos.

LIBERTÀ. Ha provocato non pochi mal di pancia e ancor più numerosi problemi di coscienza la discutibile vignetta di “Charlie Hebdo” sul terremoto che ha colpito il Centro Italia. Nel disegno che col solito stile irriverente rappresenta le vittime del sisma simili a “ penne al pomodoro” o “ lasagne” fatte di corpi ammassati, i luoghi comuni sul Paese sono stati tirati in ballo senza nessun rispetto per chi ha perso la vita, i propri familiari e le proprie case. Ma se è giusto indignarsi e criticare il pessimo gusto di una rivista che fu al centro della solidarietà mondiale quando venne colpita dai jihadisti, non è meno lecito interrogarsi sulla libertà della satira che va comunque tutelata anche se non ci piace, anche se stavolta, pensando alle vittime, si è comportata in modo indegno. Per giunta sbagliando il riferimento al sugo. Perché a tavola, caso mai, il simbolo di questa terra ferita a morte è l'amatriciana, un grande classico della tradizione culinaria. Perciò, nel caso specifico, se d'ora in poi qualcuno si sentirà un po' meno “Je suis Charlie” non si potrà fargli torto. Perché anche questa è libertà.