Dire che stiamo vivendo in un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà…
di Renzo Balmelli
MEMORIA. Al cospetto dei fatti e misfatti di cui siamo testimoni, dire che quello che stiamo vivendo è un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà. Stretta tra due pericoli maggiori, il terrorismo di matrice jihadista da una parte, il neo fascismo nazional populista dall'altra, la società sta attraversando una profonda crisi dalle molteplici sfaccettature etiche, politiche e culturali. A volte pare addirittura in affanno nel produrre gli anticorpi atti a contrastare le malsane pulsioni oscurantiste. Fortunatamente c'è la sinistra che assieme agli altri schieramenti progressisti tiene il punto per non darla vinta a chi trama nell'ombra. Sotto tiro sono finiti i valori che affondano le radici nel nostro comune vissuto e che non sono retorica, ma lo strumento indispensabile per crescere e per guardare avanti nel rispetto della memoria troppo manipolata e troppo poco condivisa. Contro i ripetuti attacchi impregnati di razzismo e xenofobia, l'Europa può e deve offrire una risposta forte attraverso solide forme di resistenza morale che però, per non fallire, non consentono di abbassare la guardia anche soltanto per un secondo.
GALASSIA. Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l'ultima, che l'estremismo di destra, imbevuto di sconsiderate ideologie, prova a conquistare spazio col suo linguaggio vieppiù esplicito e aggressivo. In questa galassia tenuta assieme non da un programma ma da un impasto di volgarità e slogan fallaci, non passa giorno senza che vengano aggiunti altri mattoni al muro dell'odio eretto contro il mondo e la civiltà. E non è difficile immaginare quale potrebbe essere lo scenario se la corrente eversiva a furia di cavalcare la paura tra le pieghe della sfiducia e dell'insoddisfazione, dovesse moltiplicare i consensi ai prossimi grandi appuntamenti elettorali in Austria, Germania, Francia. La deplorevole tendenza di indicare un capro espiatorio ha individuato la causa di tutti i mali nei migranti, facendoli diventare la facile preda e il comodo pretesto per procacciare consensi. In quest'ottica, senza un deciso cambio di passo si finirà col correre verso una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche, mentre già adesso più non si contano le fosse in quell'orrendo cimitero in cui si è trasformato il Mediterraneo.
SFIDE. Neppure il più fervente europeista poteva restare indifferente di fronte alla scarsità di proposte uscite dal vertice di Bratislava che ha disatteso clamorosamente le aspettative della vigilia. Sola voce fuori dal coro del conformismo di facciata a farsi sentire è stata quella dell'Italia. L'Italia che dopo avere dato tante dimostrazioni di generosità non vuole più essere lasciata sola a gestire l'emergenza dei profughi, ma esige che la crisi venga affrontata e risolta nei luoghi di provenienza. Giustamente, viene da dire. A Palazzo Chigi si possono rimproverare molte cose, ma non di essere rimasto inoperoso nel dare la sveglia ai 27 che non sono riusciti ad andare oltre il proprio orticello. La sfuriata sarà stata anche il frutto di impellenti urgenze elettorali legati al referendum costituzionale. Ma se non tutto è inganno vogliamo credere, una volta tanto, che il messaggio fosse invece indirizzato a tutti coloro i quali hanno a cuore l'uomo e il suo destino. Porsi domande serie di fronte alle sfide del nostro tempo è l'unico modo possibile d'altronde per preparare degnamente i 60 anni dello storico Trattato di Roma della prossima primavera prima che la sua eredità si disperda ai quattro venti.
NODI. L'attuale capo del Cremlino, confortato dal risultato delle legislative, non si è tolto né mai si toglierà le scarpe all'ONU brandendole in segno di sfida all'occidente come fece Nikita Kruscev. Non è nel suo stile. Qualcosa di simile tuttavia lo accomuna nell'immaginario collettivo al suo lontano predecessore. Parliamo della forte identificazione nel mito della grande e allegorica Madre Russia che tra la gente non è mai venuta meno neanche nelle circostanze più drammatiche. Se quel gesto clamoroso e così poco diplomatico non salvò l'ex segretario del Pc dall'epurazione, non di meno, anni dopo, grazie a un sondaggio che fece molto discutere, lo riabilitò agli occhi dell'opinione pubblica, appunto sempre molto sensibile su questo argomento, quale vigoroso interprete dell'orgoglio patriottico. Se ora Putin naviga indisturbato verso altri traguardi, potendo disporre alla Duma di un docile strumento al suo servizio, una delle ragioni è data proprio dal fatto che la maggioranza degli elettori ha visto in lui, forse per effetto di fascinose e nostalgiche analogie, l'alfiere del ritorno alla grandezza della Russia sul piano internazionale. Ovviamente fino a quando l'incanto durerà.