lunedì 24 giugno 2013

Il G8 non è morto

Ma non si può nemmeno dire che stia bene

di Renzo Balmelli 

DIMEZZATO. A dispetto dei cattivi profeti il G8 non è morto. Non ancora. Però, parafrasando Woody Allen, si potrebbe dire che se il mondo soffre la crisi, il club delle economie ricche e democratiche non sta tanto bene. Il primo dubbio riguarda la presenza della Russia di Vladimir Putin che, pur ammessa per risarcirla dal ruolo perduto di superpotenza, in quanto a democrazia lascia piuttosto a desiderare. L'altro dubbio riguarda invece la reale capacità di tradurre in azioni concrete e veramente efficaci il paniere di buone idee per la cooperazione e la lotta alla disoccupazione giovanile che il vertice in terra irlandese ha messo in evidenza. C'è chi ha parlato, senza sbagliare, di un summit ormai dimezzato e in buona sostanza atteso ora al varco per dimostrare la sua forza effettiva.

 

SFUMATURE. Anche le iron Ladies hanno un cuore. La letterina "bollente" di Christine Lagarde a Sarkozy e il sonoro bacio sulla guancia col quale Angela Merkel ha dato il benvenuto a Gianni Letta, al suo debutto europeo, hanno svelato lati del carattere delle più temute "dame di ferro" fin qui ignorati. Ma se il gesto quasi materno della Cancelliera ha fatto dimenticare al premier italiano le grane di casa, la missiva della direttrice del FMI ha scatenato l'ironia della Rete per i fin troppo espliciti amorosi sensi di cieca fedeltà rivolti all'ex Presidente francese da colei che a quel tempo era ministro delle finanze all'Eliseo. La palma del miglior gossip è andata a "50 sfumature di Sarko" ripresa del tiolo di un celebre romanzetto erotico che alza i veli sugli aspetti oscuri della passione.

 

GUASTATORE. Di guai la destra ne ha combinati a iosa. Tuttavia non è mai sazia. Proprio mentre su invito di Obama le porte dalla Casa Bianca si spalancavano per il capo del governo di Roma, Berlusconi si comportava come un perfetto guastatore del genio militare. Con una strategia studiata in ogni dettaglio, il suo metaforico ordigno anti europeo esplodeva nel momento cruciale dello storico incontro italo-americano. Non occorre essere grandi psicologi per intuire che dietro a quel gesto deliberatamente provocatorio, oltre all'invidia e alla gelosia, si nascondeva il velleitario tentativo di rimanere al centro di un palcoscenico sul quale il sipario per lui è oramai calato da un pezzo. Prova ne sia che al G8 le parole del Cavaliere non hanno avuto nessuna eco, nessun rilievo.

 

SCLEROSI. Non cessano sui media le preoccupazioni per i ritardi e i problemi che affliggono l'Esposizione Universale di Milano. Quella che doveva essere il fiore all'occhiello per il rilancio di una metropoli e dell'intera regione, rischia di pagare un dazio altissimo alla sterile contesa all'interno del Pdl che di fatto ha paralizzato Expo 2015 per anni. I cittadini però non ci stanno e chi si è scomodato per le elezioni regionali ha mandato evidenti segni di risveglio. E il voto ha espresso con tanto vigore lo stesso entusiasmo per un mondo di novità e di progresso reale che si prova nei grandi appuntamenti della storia. Salvare la rassegna significa salvarsi dalla sclerosi berlusconiana. Chi ha vinto ha ora l'obbligo morale oltre che politico di non deludere le attese

 

EROINA. Nell'iconografia sovietica c'era poco spazio per Anna Karenina e le altre eroine di Tolstoj. E anche in Pasternak, non certo un cantore del realismo, la figlia del romanticissimo dottor Zivago abbinava le note struggenti della balalaika al mito di Stakanov in gonnella. Su un altro versante, l'esplorazione dello spazio era riservata ai maschi, ma per Valentina Tereshkova, che fu la prima donna nella storia a salire nel cosmo, le cose andarono diversamente. Al piglio vagamente militaresco sfoggiato nelle fotografie, alternò un sorriso radioso e la felicità, esibita ancora oggi, a 50 anni dalla storica impresa, di essere la più celebre rappresentante del ristrettissimo club spaziale femminile. Valentina non tornò più nel cosmo, ma essere spedita tra le stelle fu per questa eroina in tuta pressurizzata una bella rivincita sulla nomenklatura dominata dagli uomini.

 

martedì 11 giugno 2013

Gli alberi di Istanbul

Hanno una forte valenza politica gli alberi di Istanbul di cui le autorità hanno decretato la morte senza nemmeno riflettere sul significato di un abbattimento che equivale a una ferita dolorosa inferta al tessuto culturale e urbano della città.

  SIMBOLO. Se per Gianni Rodari "ci vuole un fiore per fare un albero", nella interpretazione che ne danno i giovani manifestanti turchi " ci vuole un albero per fare un parco" . La protervia della progettata cementificazione è stata letta come l'anticamera di un atto repressivo e tirannico da contrastare senza indugi al fine di porre un argine all'islamizzazione strisciante e in pari tempo preservare le conquiste dello stato laico. Ed è a questo punto che l'albero diventa un simbolo possente della vita e della libertà.

 PROSPETTIVE. Ai politici indaffarati bisognerebbe consigliare di prendersi una pausa per rileggere un buon romanzo. Molto indicato di questi tempi segnati dallo sconforto e dalle cupe prospettive della disoccupazione giovanile, potrebbe essere Berlin Alexanderplatz, il capolavoro di Alfred Döblin che nel frastuono del traffico e il concitato pulsare della metropoli, riproduce su uno sfondo glaciale le ansie, e le preoccupazioni di un futuro che si tinge dei colori del caos. Il libro uscì nel 1929 e di li a poco la Germania si sarebbe trasformata in acquiescente protagonista del Terzo Reich. Non siamo a questo punto, per fortuna, la democrazia non è ostaggio di sanguinari avventurieri, ma senza un domani la Storia a volte ha la pessima abitudine di clonarsi.

 LA "COSA". Non si fa certo una scoperta nell'affermare che la divisione tra destra e sinistra non scomparirà dalla scena mondiale. Ma chi lo ha mai negato, d'altronde. Per evitare brutte sorprese occorre però stabilire di che sinistra stiamo parlando. La cronaca dell'addio annunciato all'Internazionale socialista sembra una svolta destinata a superare gli ancoraggi ideologici del secolo scorso per spingersi verso la ricerca di un'altra identità. Ma come? Dal rimescolamento sta per nascere – si dice – una nuova "cosa" chiamata "Alleanza progressista", dai contorni ancora da definire. Ma in Italia, nazione apripista e straordinario laboratorio di coraggiose novità, dove di "cose" ne sono nate parecchie, sanno per esperienza quanto sia faticoso lasciare il passato alle spalle, senza rinnegarlo.

 MODESTIA. Forse adesso non usa più, ma un tempo ai bambini capricciosi si diceva che "l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re". Beppe Grillo è invece convinto che la suddetta pianticella si espanda rigogliosa nelle sue terre. Da quando fa politica in pratica non c'è "giocattolo" che non voglia: vuole la piazza, vuole il Paese, vuole il governo, vuole il Quirinale, vuole la testa dei giornalisti, vuole la Rete, e ora, dopo averla snobbata, vuole pure la RAI. E cos'altro ancora? Già, dimenticavamo, sognava l'esilio per Bersani che però, senza strepiti, guarda caso, una smacchiatina al giaguaro alla fine gliela anche data. I grlllini no. In casa Cinque stelle, ora ridotte a due stelle e mezzo, un filo di modestia non guasterebbe.

 AUTOGOL. Non ha avuto il tempo di vedere realizzato uno dei postulati per il quale si era battuta al fine di migliorare la condizione femminile. Franca Rame se n'è andata poco prima che la Camera approvasse all'unanimità la convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, la violenza domestica e il femminicidio. Nel solco tracciato dalla grande interprete ora occorre proseguire sullo slancio per abbattere i pregiudizi duri a morire e dai quali, purtroppo, non è rimasto immune neppure Paolo Villaggio. Cosa gli avrà mai preso al celebre attore di fare il Borghezio e firmare un clamoroso e oltraggioso autogol in riferimento al Ministro per l'Integrazione? Vallo a capire. Per dirla con parole sue, una "cagata pazzesca", come il lapidario giudizio del ragionier Fantozzi a proposito della Corazzata Potemkin.

 

lunedì 3 giugno 2013

Qualcosa di paradossale

C'è qualcosa di paradossale e antistorico nell'atteggiamento delle forze disgregatrici che provano a sabotare l'UE.

 di Renzo Balmelli 

 MANUALE. C'è qualcosa di paradossale e antistorico nell'atteggiamento delle forze disgregatrici che provano a sabotare l'UE. La loro matrice è europea, ciò nonostante il loro nemico è l'Europa unita e senza più guerre. Un caso non più politico, ma da manuale di psicanalisi. In genere il club degli "anti" si muove sulla scia del populismo oltranzista, nella consapevolezza che l'euroscetticismo paga e che in tempi di austerità è una fonte inesauribile di facili consensi. Nel tritacarne di una duplice crisi – quella di identità e quella della solidarietà – il nazionalismo totalitario può ancora giocare brutti tiri. Un motivo in più per non arrendersi.

 SPINTA. In mancanza di meglio, la destra si consola con il crollo dei grillini, fenomeno per altro prevedibile. Dall'uomo qualunque in poi, sia in Italia sia nel resto dell'Europa, il peronismo d'importazione non ha mai avuto vita lunga. Con Alemanno a Roma, escono ammaccati anche i sondaggi che davano il Pdl in vantaggio di chissà quanti punti. Polvere, e nemmeno polvere di stelle. Aspettando i ballottaggi, dalle urne delle amministrative si configura la geografia di una sinistra che nonostante tutto dispone ancora della spinta per ripartire, non per grazia ricevuta e non sempre mantenuta, ma per rinnovare il patto riformista con il Paese.

 DISINCANTO. Dire che tutto è relativo non ha nulla a che vedere con la teoria della relatività, ma serve per dare un senso alle cose. Così se in Italia l'astensione fa gridare allo scandalo, nella Confederazione elvetica, culla della democrazia diretta, la partecipazione al 63% verrebbe considerata un buon risultato. Con ciò non si può certo sminuire la portata del fenomeno. Il calo dell'affluenza pone un interrogativo drammatico ai partiti, tanto più che il disincanto sconfina nel totale disinteresse. Ma d'altronde è difficile immaginare che possa crescere qualcosa di buono dopo anni di bunga bunga, processi, leggi ad personam e promesse mai mantenute.

 LASCITO. Non per fare il verso a D'Alema, ma se il Pd, premiato dalla prima sfida con gli "alleati" di governo, vorrà davvero rappresentare la svolta rispetto all'indigesto inciucio delle larghe intese, dovrà non soltanto dire, ma anche fare qualcosa di sinistra. Dovrà quindi ricordarsi ogni giorno di essere la coscienza civile del Paese, così come lo sono stati don Puglisi, assassinato dalla mafia, e don Gallo, il prete dei poveri, entrambi depositari di un patrimonio umano, ideale, politico immenso e ricchissimo. Patrimonio che è poi anche un lascito morale a misura d'uomo a fronte di un sistema di potere che fa acqua da tutte le parti.

 ARMA. I terroristi "fai da te" che hanno profanato Boston, Londra e Parigi sono come i seriali killer e gli stupratori la cui violenza non si spiega soltanto con il raptus o la follia omicida. Dormienti o in libertà provvisoria, essi sono tra noi e le loro motivazioni, gestite o meno da una regia occulta e perversa, rappresentano la nuova frontiera della prevaricazione che si alimenta alle bacate ideologie dell'estremismo religioso, in questo caso di matrice islamica. Ciò che le rende ancora più temibili è la capacità di condizionare le menti con relativa facilità e di trasformarle in un'arma sempre puntata da cui nessuno può considerarsi al riparo.

 STELLE. Chi ha paura della storia? La domanda è sorta spontanea da quando si è saputo che la RAI sembra intenzionata a mandare in pensione La storia siamo noi, la trasmissione di Giovanni Minoli che provvedeva a ricordare al pubblico "come eravamo" senza ricorrere agli orpelli e alle cortine fumogene. Condotta con piglio giornalistico, serio e appassionato, la rubrica nei suoi dodici anni di esistenza ha prodotto un notevole sforzo di divulgazione culturale sulla storia dell'Italia e non solo. Oltre ai commenti, sempre calibrati, il corredo iconografico era di prima qualità, non fatto insomma per piacere a chi considera il confino una vacanza a cinque stelle.