giovedì 21 dicembre 2017

Anno del coraggio al femminile

di Renzo Balmelli

FORZA. È stato l'anno del coraggio declinato al femminile. Nelle tante zone d'ombra di questo 2017 che volge alla fine, la rivolta delle donne contro le molestie di ogni tipo ha rappresentato uno dei rari squarci di luce che rendono meno pessimista il bilancio conclusivo. L'iniziativa del TIME nel proclamarle "persona dell'anno" incornicia in modo ideale la forza di un movimento che vincendo inaudite resistenze è riuscito a spezzare il muro dell'omertà usato per occultare comportamenti intollerabili. Certo, una copertina da sola non basta a cancellare le prevaricazioni, ma ha il merito di proseguire il dibattito e mantenere sotto i riflettori un tema sul quale c'è ancora molto da dire e da scrivere. Pensiamo alla qualità e al genere degli insulti rivolti a Laura Boldrini, insulti indice di uno squallore senza fine, per capire quanto sia incrostata una " cultura" di stampo maschilista sorda a ogni cambiamento in ambito politico e nella sfera della sessualità destinata a essere solo terra di conquista. Ma d'ora in poi le cose non potranno più essere come prima grazie alle armi dell'intelligenza e della creatività messe in campo dal mondo femminile per lottare contro qualunque intimidazione, qualunque ingiustizia esercitata contro chiunque.

PEGNO. Mentre ci accingiamo a liquidare senza troppi rimpianti l'anno vecchio, ci prepariamo ad affrontare quello nuovo interrogandoci sulle grandi sfide che pesano sull'Europa e che ne possono minare la sua lunga e storica ragion d'essere. Tra rigurgiti ultra reazionari e bellicosi , ogni giorno ci troviamo confrontati a problemi vieppiù numerosi e in continuo peggioramento. Ormai l'estrema destra, ovunque si presenti e vinca, non solo è stata sdoganata, ma dall'alto della sua posizione chiede pegni sempre più onerosi per le alleanze richieste in molti Paesi allo scopo di garantirne la governabilità. Veicolate da blogger e social compiacenti, le tinte edulcorate e mistificatorie proprie della propaganda filo-nostalgica finiscono quasi sempre col ricadere sulle spalle dei migranti , soggetti a bieche speculazioni elettorali. Siamo dunque al cospetto di una deriva di cui possiamo già adesso immaginare le ricadute sapendo com'è cominciata, ma non quando finirà, e che presenta analogie assai inquietanti con quanto già successo negli anni venti del secolo scorso.

ILLUSIONI. Coalizione disperatamente cercasi , anche dove meno te l'aspetti. In Germania ad esempio dove la Merkel arranca alla ricerca di partner, ma che sotto l'albero di Natale ha visto impallidire le sue stelle. Oppure nei palazzi romani che prima ancora di votare provano a cucire probabili intese il più delle volte velleitarie in cui calcoli, illusioni e realtà virtuale della politica si mescolano in un puzzle difficile da ricomporre. Ovviamente con tutti i rischi del caso. Se finora Berlino era garanzia di stabilità, da adesso in poi i fari saranno puntati altrove e fino a marzo, in attesa di sapere come si svilupperà la crisi tedesca più lunga degli ultimi anni, toccherà all'Italia e alle sue intrinseche debolezze l'ingrato ruolo di osservata speciale. A pesare sono soprattutto le incognite sul previsto voto di primavera che stando alle previsioni meno incoraggianti invece di chiarire la situazione lascerebbe il Paese senza governo. Comunque sia - e non è un segnale da prendere sul ridere - rivedere l'ex cavaliere sui teleschermi che mostra le vecchie e logore tabelline e in pari tempo è indicato dai suoi come il " futuro" premier, è uno scenario che va oltre ogni immaginazione.

REGINA. In un mondo privo di virtù, un mondo difficile come cantava Tonino Carotone, non mancano gli spazi per ritagliarsi momenti di felicità. Magari brevi, ma gioiosi se vissuti in compagnia assaporando una pizza cucinata a regola d'arte. Una vera pizza col marchio di origine controllata come quella che stata proclamata patrimonio dell'umanità. Deciso dall'Unesco, il riconoscimento va sia al prodotto sia al lavoro del pizzaiolo artefice di un'opera d'arte culinaria sempre imitata e mai uguagliata, frutto di creatività e ingegno. Che poi quella che conquistò la regina Margherita cui è dedicata abbia origine più antiche e sia argomento di confutazione tra gli esperti non fa che sottolineare l'importanza della certificazione. Non c'è di che, un bel finale di partita per l'Italia che ha il più alto numero al mondo di beni da tutelare, ai quali si aggiunge ora la pizza, un prodotto gastronomico di fama universale e al centro nientemeno che di vibranti dispute filologiche sulla sua storia e le sue origini.

lunedì 18 dicembre 2017

Forse non sa di cosa parla quando ne parla

di Renzo Balmelli 

BRANDELLI. Può darsi che oltre Atlantico sia meno nota che in Eu­ro­pa. A maggior ragione leggere La Gerusalemme liberata potrebbe gio­vare agli attuali vertici della Casa Bianca e in primis a Donald Trump che forse non sa di cosa parla quando ne parla. Recuperare la me­moria letteraria sarebbe oltremodo utile per andare a fondo di una re­altà che da millenni si basa su un delicatissimo sistema di equilibri e compromessi. Facendolo saltare si rischia di accendere una miccia dal­le conseguenze incalcolabili. Quando il Tasso compose il suo mirabile poe­ma epico l'America era ancora in fasce, ma oggi che è rimasta l'uni­ca grande potenza ha il dovere di dare prova di saggezza. De­ru­bri­care la città a spavaldo oggetto del desiderio come fosse una prateria del Far West significa saltare di pari passo dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata e di conseguenza ridurre a brandelli ciò che resta del dialogo tra israeliani e palestinesi in quei luoghi ricchi di storia e profonde emozioni che sono di tutti noi.

SCHIAFFO. Sulle testate on line e sui blog di destra, di solito così so­lerti a incensare ogni mossa di Trump, la sconfitta in Alabama del can­didato repubblicano al Senato non si è trovata da nessuna parte. O, se c'era, in pochi l'hanno vista, sperduta tra le notizie in breve. E dire che in questo Stato, dove appena un anno fa il Presidente aveva disinte­gra­to Hillary Clinton, il Gran Old Party da vent'anni poteva starsene co­mo­damente nel fortino senza che la sua su­pre­ma­zia venisse mai posta in discussione. Ma nemmeno l'invincibilità più ferrea, quando il trop­po è troppo, poteva bastare a contenere le stralunate esternazioni di Roy Moore, estre­mi­sta filo-razzista, coinvolto in una serie di scandali ses­suali e che faceva campagna a cavallo ma­gnificando l'età dello schia­vi­smo. A rompere la roccaforte repubblicana ha provveduto il de­mo­cra­tico Doug Jones, che oltre a incassare una vittoria clamorosa rende ancora più stri­min­zita la maggioranza repubblicana al Camera alta. Uno schiaffo per Trump, che era sceso in campo personalmente per sostenere il suo candidato; uno schiaffo destinato a lasciare a lasciare il segno a un anno dalle legislative. Un personaggio come Ray Moore in un altro Stato anche solo un pochino meno reazionario dell'Alabama non sarebbe stato neppure presentabile.

DIRITTI. Siamo rimasti impietriti per la tragica fine di Madina, la bim­ba afgana di sei anni travolta e uccisa dal treno mentre camminava sui binari sognando l'Europa. La sua giovane vita è stata spezzata bru­tal­­mente mentre errava da una frontiera all'altra come migliaia di pro­fu­­ghi in cerca di asilo. Per lei la Dichiarazione universale dei diritti del­­l'uomo era solo un pezzo di carta ignorato dai responsabili di tali atro­­cità. L'anno prossimo si celebrerà il 70esimo anniversario della Di­chia­razione, voluta quale risposta agli orrori, le ferite e le rovine della Se­conda guerra mondiale. Di progressi in questo campo ne sono stati fatti, certo, ma l'odissea di Madina testimonia, specie di questi tempi segnati dall'intolleranza verso chi fugge dai conflitti e dalla fame, quan­­ta strada resta ancora da fare prima di debellare le peggiori di­scri­mi­nazioni a danno dei più deboli. Se i valori insiti nella Dichiarazione sono i pilastri fondamentali di una società giusta, difenderli può costare la vita o la privazione delle libertà individuali. Guai, quindi, arrender­si.

INDIETRO. Il difficile comincia adesso. Agli eurofobici incalliti non sembrava vero di recitare il De Profundis dell'UE dopo il primo parziale successo dei negoziati sulla Brexit. Aggiungendovi, tanto per non farsi mancare nulla, il solito benservito alle " zecche rosse" che svendono l'Italia per trenta denari. Ma l'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito è soltanto il primo tassello di una ancora lunga marcia negoziale il cui esito alla fine molto dipenderà dagli equilibri politici a Londra. Theresa May torna a casa con la consapevolezza che il divorzio si consumerà nel reciproco rispetto, ma senza la certezza di riuscire a portarlo a buon fine. La sua sopravvivenza a Downing Street deve fare i conti con gli umori dell'opinione pubblica, consapevole che il distacco sarà molto oneroso, e con la possibilità che i laburisti vadano al governo. Tanto che Oltremanica più di qualcuno vorrebbe rimettere indietro le lancette del referendum. Anche quelle della Brexit.

RISORSE. A vederla in televisione con quel viso tirato e gli occhi sempre più grandi e corrucciati, anche i suoi avversari più determinati provano una certo imbarazzo a metterla alle corde. Però, malgrado il dovuto rispetto, non si può fare a meno di analizzare l'operato di Virginia Raggi, che da quando è diventata sindaca di Roma ha fatto e disfatto la sua giunta, ma ha governato e combinato poco. Colei che doveva essere l'alfiere del cambiamento e il simbolo della "rivoluzione grillina" a ragion veduta un anno dopo l'elezione presenta un bilancio molto modesto. D'accordo, cambiare Roma in tempi brevi è impossibile. Ma nella "caput mundi" nulla sembra essere mutato e se la città mantiene ancora intatto il suo fascino agli occhi di milioni di turisti non è certo per il mito appannato della felliniana Dolce vita, ma per il concentrato di storia che vi si respira a ogni angolo. L'inquilina del Campidoglio non è l'unica responsabile del degrado che nell'Urbe ha radici antiche. Ora arriveranno nuove risorse per rilanciare la ripresa, ma resta da vedere se la Raggi sarà ancora alla guida della città anche dopo le elezioni di primavera.

SCANDALO. A guardare bene non è poi così esatto sostenere che l'ex cavaliere, tornato di colpo al centro della scena politica, sia il capostipite di quel fenomeno di costume ormai noto e citato in tutto il mondo col nome di "bunga bunga". Le "cene eleganti" sono sempre esistite ed a ricordarcelo è la scomparsa di Christine Keeler, splendida modella degli anni sessanta, che si trovò coinvolta in una torbida vicenda di tale ampiezza da fare tremare l'occidente. Ora il suo nome dice nulla ai più, ma quando aveva appena 19 anni la sua torrida relazione con John Profumo, allora ministro della guerra, portò alla caduta di un intero governo di Sua Maestà, quello conservatore guidato da Harold Macmillan. E poiché tra le relazioni della ragazza figurava anche un agente del controspionaggio sovietico ne scaturì in piena guerra fredda uno scandalo enorme che metteva a repentaglio la sicurezza nazionale e internazionale secondo i canoni di una spy story in piena regola, consumata tra le lenzuola.

SIMBOLI. Un altro attentato a New York. Nelle mille luci che illuminano l'immensa metropoli natalizia e festante, di colpo si è fatto buio. Come una folata di vento impetuoso il bagliore dell'esplosione ha paralizzato l'affollatissima Times Square, la piazza simbolo della città dove transitano 500 mila pedoni al giorno. La paura per le conseguenze immediate del folle gesto si è dileguata in tempi brevi, una volta capito che non c'erano vittime. Ma l'inquietudine per quel " terrore fai da te" con l'ausilio di una bomba rudimentale rimane comunque presente nei gangli vitali della città che ha conosciuto prove ben più drammatiche, ma che sempre ha reagito senza cedere all'isteria. L'attentatore, sbucato dal nulla, è un lupo solitario che si definisce militante dell'Isis, che forse è stata debellata ma non nelle menti di chi ne è rimasto contagiato: la qualcosa rende lui ed i suoi imitatori ancora più pericolosi e incontrollabili. Ma New York non sarebbe New York se non tenesse i nervi saldi. Nelle avversità la Grande Mela ha le sue ancore di salvezza, i suoi simboli vincenti entrati nell'immaginario collettivo come il famoso bacio del marinaio all'infermiera, proprio a Times Square; un bacio più forte delle calamità per festeggiare la fine della guerra e di un incubo.

mercoledì 13 dicembre 2017

Nel silenzio e nell'indifferenza

di Renzo Balmelli

SCHIAVI. In un'epoca ormai remota, quando il telefono non si chiamava ancora smartphone, i ragazzi curiosi, anziché smanettare tutto il santo giorno, trascorrevano le ore libere tra le pagine di un romanzo famosissimo, La capanna dello zio Tom, che raffigurava la crudele realtà della schiavitù sullo sfondo della guerra civile americana. E poiché lo schiavismo, da quanto si evince dai rapporti più recenti, rimane ancora ai nostri giorni una ferita che non si rimargina, sarebbe forse consigliabile una rilettura del capolavoro di Harriet Beecher Stowe che rese più acuto il conflitto delle coscienze verso le inaudite sofferenze inferte alla popolazione di colore. Purtroppo di questi tempi poco gloriosi sovente trovano più posto nei media le sceneggiate di un ex leader avvizzito invece del dramma dei popoli e dei profughi schiavizzati che si consuma nel silenzio e l'indifferenza, senza che si riesca a porre fine allo scempio. Per questa e altre ragioni l'opera della scrittrice, abolizionista della prima ora, che si guadagnò l'ammirazione di Abramo Lincoln, ma anche l'odio perenne degli sfruttatori di ieri e di oggi, rimane un secolo e mezzo dopo la pubblicazione una voce forte ma non abbastanza ascoltata nel deserto della prevaricazione dell'uomo sull'uomo.

VERGOGNA. Quando si parla delle tragedie imputabili alle follie dell'uomo nel corso delle guerre, non ci si sofferma con la dovuta attenzione sulle sofferenze inflitte dagli eventi bellici a milioni di bambini, vittime innocenti di conflitti sanguinosi di cui non hanno nessuna responsabilità. Se ne torna a parlare ora, attraverso svariate pubblicazioni, avendo come punto di riferimento la foto della ragazza vietnamita che urla di dolore mentre corre bruciata dal napalm. Sono passati gli anni, ma quella testimonianza iconografica più potente e raccapricciante di mille parole evoca con un solo scatto tutto l'orrore dell'infanzia dilaniata, rubata e travolta dalla brutale aggressività che la perdita del più piccolo barlume di umanità riesce a esprimere quando la ragione viene sopraffatta dai più bassi istinti. Ciò che si dipana sotto i nostri occhi è il resoconto di crudeltà inaudite che hanno nel lavoro e nella prostituzione minorile una delle sue forme peggiori di sfruttamento al servizio di regimi corrotti e ideologie bacate. La geografia della morte, per riprendere una definizione di uno storico contemporaneo, non ha confini, e tremano le vene ai polsi al pensiero che la logica della guerra possa finire nelle mani di personaggi inquietanti e inadatti al loro incarico come quelli che si muovono lungo le opposte sponde del Pacifico.

NORMALI. Nell'italica destra prevale la tendenza a giudicare con molta benevolenza gli atteggiamenti che in vario modo rimandano al ventennio fascista. Episodi come l'irruzione degli estremisti a Como, la scritta "Bella ciao" a Milano cancellata da frasi inneggianti al duce, oppure l'esposizione di una bandiera militare del Reich tedesco in una caserma, vengono ridotti a una goliardia, al frutto dell'esuberanza giovanile nel contesto (sic) di una destra moderna. Al di là della vexata quaestio sulla possibilità che la destra riesca ad essere moderna, appare evidente il salto di qualità nel rivendicare pieno diritto di cittadinanza democratica a fatti che sono invece una provocazione e un vulnus dell'ordinamento repubblicano. Coloro che se ne fanno promotori agiscono ritenendo che le pregiudiziali etiche e culturali nei confronti del passato a cui si ispirano siano cadute e che il ritorno a comportamenti che si credevano sepolti dalla storia debba essere considerato normale. Proprio come accadde negli anni Venti, prima di accorgersi che tanto normali non erano.

STRATEGIA. Se dovessimo stabilire una graduatoria degli avversari che possono dare filo da torcere alla sinistra, la lista comprenderebbe il movimento 5Stelle, Forza Italia, la Lega e i vari cespugli dell'opposizione. Ma sarebbe una lista scontata e comunque ampiamente incompleta poiché non vi figura il competitore più insidioso. Il competitore interno il quale fa dire a chi osserva da fuori che il vero nemico della sinistra, in virtù di un paradossale ossimoro, è purtroppo la sinistra stessa che ora vediamo dibattersi nella ragnatela delle beghe e nelle tortuosità della non meglio definita " cosa rossa". Nella confusione dei ruoli i vari attori anziché dialogare vanno avanti ognuno per la loro strada, giusta o sbagliata che sia, rendendo in tal modo ancor più più traballante il percorso di un'idea che non può essere sacrificata sull'altare delle ripicche. Per evitare il disastro nelle urne occorre dunque avere il coraggio di gettare lo sguardo oltre l'ostacolo .Se il partito laburista di Jeremy Corbyn ad esempio vola nei sondaggi magari potrebbe essere utile dare un'occhiata da vicino alla sua strategia se non altro per arginare la guerra fratricida che di questo passo finirà col favorire soltanto la destra e il populismo.

EVENTO. A dispetto del quadro a fosche tinte dipinto dall'opposizione per racimolare voti facendo leva sulla paura, non tutto va male in Italia. Nonostante i ritardi, le inadempienze, la disoccupazione e altri difetti strutturali, nel Paese, oltre ai segnali di una timida ripresa dell'economia, esistono ancora, e sempre esisteranno, quelle punte di eccellenza che gli hanno consentito di occupare un posto non secondario al tavolo del G8. In ordine di tempo l'ultimo progetto andato in porto grazie al lavoro italiano è l'entrata in servizio del primo treno merci diretto tra il polo logistico integrato di Mortara e la località cinese di Chengdu. Si tratta di collegamento che aggiunge un altro tassello alla Via della Seta, il solo di tale ampiezza tra l'Europa e l'Asia, che ha avuto ampio risalto sui media internazionali per le prospettive che apre nello sviluppo del commercio mondiale e la velocizzazione dei trasporti. Il viaggio ripropone in chiave moderna la leggendaria impresa di Marco Polo in un contesto che grazie al Mortara Express fa sentire a chi ne è protagonista di essere parte attiva di un grande evento.

AFFRONTO. Dopo la grande Brexit con Londra, forse già l'anno prossimo , qualora la diplomazia non riuscisse ad appianare le divergenze , Bruxelles potrebbe trovarsi a dovere fare fronte a una piccola, ma non meno laboriosa Brexit con la Confederazione Elvetica.Pur non facendo parte dell'UE la Svizzera è comunque già adesso al centro di regolari negoziati per non guastare le relazioni di buon vicinato con Berna. Di sicuro però non contribuirà a rischiarare l'orizzonte la decisione dell'Ecofin di non inserire il Paese nel libro nero dei paradisi fiscali,ma di collocarla comunque nella lista grigia, meno severa ma recepita altrettanto male, assieme alle nazioni da tenere sotto sorveglianza fino a quando non verranno realizzati ulteriori e sostanziali progressi nella lotta all'evasione. Inutile dire che l'UDC dell'ex ministro Christoph Blocher, refrattario anche quando era nell'esecutivo a tutto ciò che sa di europeo, è già sul piede di guerra per promuovere altre iniziative destinate a far saltare il banco dell'intero pacchetto di accordi bilaterali e in secondo luogo per mobilitare l'opinione pubblica contro un provvedimento che viene considerato un vero e proprio affronto alla sovranità nazionale. E con la brutta aria a livello popolare che tira anche nella patria di Tell nei confronti dell'UE non è escluso che una Brexit in salsa bernese possa essere prima di quanto si creda all'ordine del giorno.

MICCIA. Fra annunci roboanti, tweet sparati in ogni direzione e iniziative dettate più dalla frenesia che da scelte ponderate , Donald Trump nel suo operato presidenziale, sul quale pesa il macigno del Russiagate, appare sempre più simile a quel tale che una la fa e l'altra la pensa. In quest'ordine di idee rientra la proclamata volontà di spostare l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Si tratta di una entrata a gamba tesa nel già precario equilibrio del Medio Oriente che getta il mondo nel caos ed è fonte di gravi preoccupazioni nelle Cancellerie internazionali, da Roma a Pechino. Gerusalemme è una città unica, sacra per le tre religioni monoteiste, e con una vocazione speciale alla pace. Minarne lo status quo con la promessa di riconoscerla come capitale d'Israele apre scenari inquietanti dalle conseguenze incalcolabili. Qualora venisse concretizzata in tempi brevi, l'ultima mossa del Presidente , lontana da ogni criterio razionale, potrebbe avere l'effetto di una miccia ad accensione di un nuovo ciclo di guerra in una delle questioni più complicate e controverse della geopolitica: quella delle crisi israelo-palestinesi che costituisce un azzardo permanente per gli sforzi volti a consolidare la distensione. Di ben altra sostanza dovrebbe essere invece il ruolo di commander in chief della maggiore potenza mondiale. Disattenderlo in modo così plateale può essere fonte di grossi guai per tutti.

martedì 5 dicembre 2017

Un anno un po' così, senza infamia e senza lode

di Renzo Balmelli 

GIUDIZIO. Per l’Europa si sta avvicinando la fine di un anno che pur evitando l’impietoso giudizio di “annus horribilis” non passerà comunque alla storia con la sua controparte positiva di “annus mirabilis”, secondo la locuzione tramandata ai posteri dalla letteratura inglese del seicento. A questo proposito anche i più fervidi europeisti, consapevoli delle difficoltà che sta correndo la casa comune, non nascondono un certo quale pessimismo e chiedono che i Paesi membri trovino la forza e la volontà di sedersi al tavolo dei negoziati per avviare le indispensabili riforme dell’UE. Altrimenti gli anni a venire potrebbero essere peggiori di quello che Bruxelles si sta lasciando alle spalle. Il riferimento alla letteratura inglese d’altronde non è casuale poiché è proprio dalla patria di quel genio universale di Shakespeare che è arrivato il terremoto chiamato Brexit. Uno sconquasso che con le sue scosse sempre più intense oltre al danno economico potrebbe procurare un oltraggio inimmaginabile alla cultura europea, secondo canoni che non possono coincidere in nome di un assurdo isolazionismo.

DECLINO. C’è un manifesto e diffuso compiacimento tra l’interna­zionale della destra populista per le difficoltà che sta incontrando Angela Merkel nel formare il nuovo governo. Difficoltà che innestano nel destino della Germania elementi insoliti ed estranei al tradizionale pragmatismo renano. Senza rilasciare cambiali in bianco alla Cancelliera, nei confronti della quale anche da sinistra esistono riserve tali da complicare il ritorno alla Grosse Koalition, occorre pur sempre ammettere che i suoi dodici anni alla testa dell’esecutivo federale sono valsi se non altro a costruire un argine alla prorompente avanzata dell’estremismo nazionalista, inesorabile nell’erodere le possibilità di una vera e condivisa governance europea. Come hanno osservato alcuni attenti e preoccupati osservatori, se la Repubblica federale, nazione stabile per antonomasia, non riuscisse a uscire dall’impasse, potrebbe tornare a farsi vivo il fantasma degli anni di Weimar il cui ricordo è associato da un lato a uno straordinario periodo di vivacità creativa, ma dall’altro a un crollo dalle tragiche conseguenze.

PREDELLINO. Serve un progetto per l’Italia – si può leggere a titoli cubitali mentre nel Paese sta iniziando la lunga e sfibrante campagna elettorale che paralizza la buona politica. Un progetto, sì, ma quale? Mentre la sinistra si svena nella stucchevole guerra delle reciproche re­criminazioni, la destra presentandosi come “futuro che avanza” in real­tà volge lo sguardo al passato. Ne risulta un gigantesco dispendio di energie che invece andrebbero investite in altri e più profittevoli campi per fare fronte alle tante emergenze, dalla disoccupazione che morde alle caviglie ai disagi degli sfollati che all’arrivo dell’inverno ancora non sanno quando potranno tornare alle loro abitazioni distrutte dal si­sma. Nel 2017 , anno del limbo con segnali positivi ridotti al lumi­ci­no, tanto per completare il quadro deprimente si inserisce pure una delle tan­te amenità dell’ex cavaliere che nell’euforia del momento non ha re­si­stito alla tentazione di riproporre a dieci anni di distanza la sce­neggiata del predellino. In un clima che più inconcludente non si può, parlare di progetto per l’Italia ha l’amaro sapore dell’ennesima beffa.

BUSINESS. Sembra una storia paradossale quella del cambio di pro­prietà al Time, la prestigiosa rivista di New York che viene annoverata tra gli alfieri dell’editoria liberal e progressista americana. Memorabili sono rimaste le sue prese di posizione contro Trump e una copertina che lo ritrae quale uomo dell’anno, ma con toni intinti nell’inchiostro dell’ironia. Ma l'aspetto curioso in questa nuova tappa della battaglia per l’informazione sta nel fatto che la scalata al settimanale è stata finanziata da un gruppo nazional popolare di ricchi petrolieri del Kansas, i fratelli Koch, repubblicani da una vita, che però- ecco il paradosso – avevano cercato di ostacolare in tutti i modi la scalata alla Casa Bianca del rivale della Clinton. Non si creda però che l’iniziativa sia un endorsement per la linea del settimanale. Allora perché? Ora che il peggio è fatto, nel paese del business l’operazione si spiega molto più prosaicamente col tentativo di smussare le voci critiche per le sbandate di Trump, non sempre compatibili con la logica degli affari, affinché non provochi danni maggiori finché rimane in carica. Insomma, come direbbe il grande Eduardo, con questa presidenza “adda passà a nuttata”. Resta da capire che ne sarà del Time.

ISOLA. E adesso le nonne che favole racconteranno ai nipotini se dietro ognuna di esse si nascondono secondi fini inconfessabili. A dire il vero qualche sospetto sui contenuti e la morale di alcuni capolavori della letteratura per i bambini circolava già da parecchio tempo. Non ci voleva d’altronde un grande sfoggio di fantasia per capire che “dietro lo specchio” di Lewis Carrol, autore del romanzo Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie si celassero sguardi non sempre casti. E neppure Cappucceto Rosso, col lupo travestito, ucciso e squartato, può essere considerato un bel esempio per l’infanzia. A volte può far paura anche ai grandi. Che dire poi di Biancaneve con quei sette nani pieni di vigore sempre tra i piedi. Ma la mazzata fatale è arrivata quando una mamma ha lanciato una campagna per mettere al bando addirittura il bacio che porta al risveglio della Bella Addormentata, considerandolo estorto con l’inganno. A questo punto forse non rimane che rifugiarsi sull’isola di Peter Pan che però, purtroppo, è un lungo immaginario, un luogo che non c’è.

BRAMOSIA. Sulla incandescente scacchiera della follia nucleare, il leader nord coreano con il lancio di un nuovo missile intercontinentale ha effettuato un’altra mossa del suo personalissimo e pericolosissimo gioco “o la va o la spacca” che tiene il mondo col fiato sospeso. E quand'anche si trattasse solo di un bluff per puntellare il proprio prestigio interno al cospetto di una popolazione stremata dalle difficoltà, a questo tavolo nemmeno la Cina, ossia il competitore più accreditato della regione, sembra in grado di smascherarlo. Le Cancellerie internazionali si erano illuse che Pechino riuscisse a disciplinare il suo vassallo, l’alleato riottoso che invece, anziché piegarsi a più miti consigli, annuncia pomposamente l’ingresso della Corea del Nord nel club delle potenze atomiche in grado di provocare distruzioni apocalittiche nelle metropoli americane. Nell’assenza prolungata di altri test balistici si pensava che l’emergenza nord coreana si stesse dissolvendo, ma quell’ordigno a lunga gittata molto più potente dei precedenti e in grado di trasportare una testata nucleare non solo smentisce crudelmente le congetture degli esperti, ma rischia di fare saltare il banco delle opzioni diplomatiche messe in conto per disinnescare la miccia di un eventuale conflitto con armi atomiche dalle conseguenze spaventose. Forse, speriamo, non siamo ancora al punto di non ritorno, ma parafrasando Pascal, verrebbe da dire che la bramosia del potere conosce ragioni che la ragione non conosce.