martedì 29 marzo 2016

Quanti tragici errori - Quante strategie sbagliate

di Renzo Balmelli

IDRA. Dall'Iraq alla Siria, passando per la Libia e il miraggio precocemente impallidito della primavera araba, l'Occidente e il Cremlino non avrebbero potuto muoversi in modo più maldestro di quanto hanno fatto nel ribollente calderone medio orientale. Col risultato invero sconfortante di non riuscire a contrastare il terrorismo jihadista, fenomeno proteiforme capace di riprodursi come l'Idra a sette teste e ormai in grado di colpire a piacimento. La silente armata dei kamikaze che spunta da ogni dove a dispetto dei controlli e delle retate firma col sangue l'ennesima carneficina nella capitale belga, l'ennesimo oltraggio a ciò che ci è più caro: la vita delle persone che amiamo. Qualsiasi cosa sia il mostro senza volto che semina lutti e dolori, esso si insinua nei gangli sani della società con la sua arma più potente; l'arma del caos, della paura, del panico sfruttando le nostre fragilità. Se non si riusciranno a rimuovere le cause dello sconquasso geo-politico che sconvolge quelle martoriate regioni, altre Parigi, altre Bruxelles verranno a turbare le nostre Pasque.



FURIA. E adesso dove e quando colpiranno di nuovo? Se Parigi era l'attacco al cuore della cultura e dello spettacolo, se con Bruxelles si è voluto colpire oltre al Paese che ha arrestato Abdelsalam Salah anche l'Europa, che però mai si piegherà al folle ricatto, ora cresce l'angoscia per individuare il prossimo obbiettivo sensibile e simbolico della furia iconoclasta. Quella furia alla quale, forse per una strana forma di pudore diplomatico, si esita a dare il suo nome di guerra informale e asimmetrica, come in effetti è. Nello sgomento che ci coglie davanti alle tante vittime innocenti allineate nella hall di un aeroporto e nella stazione della metropolitana, ci sentiamo impotenti ed esposti a rischi inauditi. Se ne può uscire, certo, se ne può uscire restando uniti e mettendo in comune i servizi di "intelligence" al di là delle prerogative nazionali. La salvezza però consiste soprattutto nella capacità di elaborare strategie di lungo respiro in grado di coinvolgere attivamente la società civile, che già lo ha saputo fare in altre, non meno temibili circostanze, quando sotto la sferza delle più atroci dittature tutto sembrava perduto.



LACUNE. Anche nella scelta delle politiche atte ad affrontare l'emergenza dei migranti, emergenza che si sta rivelando come la più grave tragedia umanitaria del secolo, sembra non vi siano alternative e strategie condivise. Non che si rimanga inoperosi. Tutt'altro. Tuttavia prevale il convincimento che nessun accordo sulla sorte di milioni di individui gettati nella disperazione potrà mai rivelarsi veramente efficace e duraturo, se il peso della "Realpolitik" finirà con l'essere predominante rispetto all'impegno a tutela di chi soffre. In quest'ordine di idee anche l'intesa UE-Turchia si presenta piuttosto lacunosa. Sull'altare degli interessi strategici si mettono a repentaglio valori e conquiste nel campo dei diritti umani davanti ai quali la comunità europea non può abdicare. Appena elaborata l'intesa con Ankara, la prima reazione è stata quella cara alla falange populista di blindare le frontiere, anziché immaginare una seria, ragionata e costruttiva politica dell'accoglienza. Qualcosa stona ed è stridulo.



SALE. Bono, leader degli U2, citava la frase pronunciata da un rifugiato, un ragazzo: "Non sono pericoloso, sono in pericolo". Nel dramma dei profughi ciò che manca è una voce che al di là della terminologia di circostanza sappia risvegliare le coscienze e riesca a mobilitare le folle, strappandole dal rischio dell'indifferenza e dall'assuefazione. La Siria non è il Vietnam. Forse è addirittura peggio, e mentre si scrive l'ennesimo editoriale sull'umanità abbandonata, si cercherà invano qualcosa che assomigli allo slancio degli anni sessanta – settanta, quando, salendo dal basso, esplose la contestazione giovanile, la contro-cultura dei figli dei fiori che diede un bello scossone alla pedagogia tradizionale. In questa società con pochi ideali, immersa nel torpore dei telefonini, tutto ciò latita, manca il sale della sana rivolta, mentre la destra ingrassa sulle disgrazie di tanta povera gente. Ahinoi, "fate l'amore e non la guerra" sembra il pallido ricordo di un'epoca in cui ci si poteva ancora illudere di riuscire a creare un mondo migliore.



CORAZZA. Nell'epoca della comunicazione globale è stato perfino scomodato il linguaggio di Star Wars per conferire allo storico viaggio di Obama a Cuba, dopo un lungo silenzio durato più di mezzo secolo, l'aura di una saga politico-mediatica oltre i confini dell'impero. In realtà la missione del presidente americano, che ha fatto saltare la mosca al naso ai repubblicani, più che un copione si è rivelata un primo passo concreto verso la completa normalizzazione dei rapporti tra gli USA e un Paese che col suo socialismo sopravvissuto a temperie e privazioni ha rappresentato una eccezione nel panorama latino-americano. Di cammino ne resta comunque ancora tanto da fare. All'Avana si è fatto capire all'ospite che il dialogo iniziato sullo sfondo di un'apertura obbligata non sarà il grimaldello per scalfire la corazza rivoluzionaria, non subito almeno, tanto più che ancora non si intravvede l'abolizione dell'assurdo embargo, ormai privo di qualsiasi ragion d'essere. Tuttavia, di solito quando la storia cambia e fa i primi passi in un'altra direzione, vuole andare fino in fondo. Il merito di Obama e di averle dato una spinta salutare e benefica. A meno che il furore ideologico del passato faccia lo sgambetto alla distensione se per disavventura la Casa Bianca finisse nelle mani dei reazionari.



CESPUGLIO. In un celebre "divertissement" letterario apparso sul finire degli anni ottanta lo scrittore Paul Auster definì Bush, che in inglese significa cespuglio, come un arbusto velenoso di una specie estinta. Ai nostri giorni l'autore di libri in cui si è spesso interrogato sul futuro del suo Paese con opere che scandagliano le angosce e le nevrosi dell'uomo moderno, dovrebbe forse ammettere invece che la specie degli arbusti velenosi purtroppo non è affatto in via di estinzione. Anzi è ancora molto diffusa, ha le fattezze di Donald Trump nonché quelle di tutti i suoi sostenitori in patria e all'estero che provano – si spera senza riuscirvi – a spingere gli Stati Uniti verso territori poco frequentabili e ancor meno raccomandabili. E di portarli alla deriva sotto la guida di un narcisista intemerato, convinto di essere il più grande presidente che Dio ha mandato sulla Terra. Vien proprio da dire: Dio salvi l'America!

mercoledì 23 marzo 2016

Prima che sia troppo tardi

di Renzo Balmelli 

 

SVOLTA. Di loro non si può nemmeno dire che siano usciti dai sepolcri imbiancati. Poco piacevoli da vedere infatti lo sono in tutti modi, sia all'interno, sia all'esterno. Sgradevoli per ciò che rappresentano, per ciò che predicano, per il loro linguaggio carico di livore. La loro irruzione sulla scena politica tedesca, l'irruzione della destra radicale, non manca quindi di sollevare grosse preoccupazioni. Nei tre Länder in cui si è affermata con esiti vistosi, l'Alternative für Deutschland (AfD) si è fatta portatrice di un messaggio dai toni revanscisti. "E' solo l'inizio. I tedeschi hanno ripreso il loro destino. Basta coi sensi di colpa", sono slogan lugubri, reminiscenze del passato declinato facendo leva sulla paura, mentre si pensava che la Repubblica federale fosse immune dal vento populista, anti immigrati e anti europeo. Una svolta da prendere terribilmente sul serio, in quanto espressioni di timori e opinioni reali da indagare a fondo prima che sia troppo tardi.

 

CRUNA. Sul problema dei migranti, all'origine del ribaltone nel panorama elettorale a nord del Reno, Angela Merkel non sembra intenzionata a cambiare opinione. Secondo la  Frankfurter Allgemeine Zeitung è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago. La determinazione della Cancelliera, per quanto lodevole, deve tuttavia fare i conti con l'ondata dei nuovi leader populisti europei che guadagnano terreno a buon mercato vendendo messaggi falsi ma tali da suonare plausibili. Attraverso quel martellamento, si dimenticano gli errori del Novecento, un secolo molto lontano eppure così vicino, si erigono nuove barriere, si butta al macero l'accoglienza e i fantasmi della storia spingono per risbucare dagli armadi. L'allarme è più attuale che mai in vista soprattutto dei voti politici che in vari Paesi arriveranno presto a scadenza e potrebbero riservare amarissime sorprese in una Europa frastagliata e scossa dai sussulti nazionalisti.

 

AUSTERITÀ. Per affrontare la sfida con la torbida miscela ideologica smerciata dai vari fronti, da quello di Marine Le Pen al leghista Salvini, ora deve tornare il sereno sull'UE. Facile a dirsi, un po' meno a farsi. Occorrerebbe infatti una visione condivisa sul concetto di rigore e delle sue varie modalità di applicazione che sono all'origine dei mugugni nei Paesi che ne hanno fatto l'esperienza. Nell'ottica di sinistra prevale l'opinione che l'austerità disgiunta da una vera politica degli investimenti e dell'occupazione sia inconcludente e per finire abbia provocato soltanto disaffezione nei cittadini, rimpolpando così la destra xenofoba e razzista. Ritrovare il sereno non rientra nel novero delle missioni impossibili, ci mancherebbe, ma a patto di rispettare un pacchetto di impegni sociali a favore dei lavoratori e di una politica dell'asilo degna di questo nome. Se tutto questo c'è, la cooperazione non può che uscirne rafforzata.

 

PERLE. "Quello che dovreste sapere e che la classe politica dei miliardari non vorrebbe mai che sapeste". Alla fine della lunga, estenuante battaglia delle primarie, ciò che resterà scolpito nella memoria sono le perle di saggezza di Bernie Sanders, giocate sul filo dell'ironia come un vecchio film di Woody Allen. Alla luce del super mercoledì, copia quasi identica del super martedì, su cui svettano Hillary Clinton e Donald Trump, sembra infatti improbabile che il socialista del Vermont riesca a impensierire l'ex first lady. Mentre sta scattando tra i democratici l'effetto anti-Trump, d'ora in poi compito di Sanders sarà ora quello di condurre una campagna di testimonianza a sostegno del voto utile, affinché l'America abbia un Presidente che ne incarni i valori anziché uno che la metta in imbarazzo davanti al mondo intero. Uno che quei valori altro non fa che calpestarli.

 

SPICCIOLI. A proposito di miliardari, un certo Paperon de Paperoni, il ricchissimo spilorcio uscito dalla fantasia di Walt Disney, in un fumetto di alcuni anni fa gettò alle ortiche la sua proverbiale avarizia per finanziare gli studi al conservatorio di un giovane violinista che grazie alla sua musica gli aveva toccato il cuore. Nel mondo reale le cose vanno un pochino diversamente. Due solisti di grande fama, uno a Milano, l'altro a Washington, che per fare un esperimento si erano trasformati in musicisti di strada, hanno racimolato pochi spiccioli, qualche euro in Lombardia, alcuni dollari nella capitale americana. Eppure, in entrambi i casi, i pezzi suonati sull'improvvisato palcoscenico delle stazioni, era di altissima qualità. Ma pochi hanno prestato orecchio a quelle note sublimi. Sui motivi dell'insuccesso si può discettare a lungo, ma se temi ogni giorno di perdere il posto di lavoro si può capire che la gente sia distratta e non colga la magia di Bach.

 

giovedì 17 marzo 2016

L'IMPERO È FINITO, STATE IN PACE

di Renzo Balmelli

 

SCIABOLE. Già erano scarse le speranze di normalizzare la situazione in Libia, nazione devastata dal terrorismo, dalle bande armate e da un groviglio di interessi inconfessabili. La tragica fine di due ostaggi italiani e l'avventurosa quanto misteriosa liberazione di altri due, le ha praticamente ridotte al lumicino. Il Paese, culla di una millenaria civiltà, oggi è una mina vagante, priva di un governo affidabile, in una regione tra le più pericolose dell'aerea mediterranea. A mo' di rappresaglia qualche esaltato e belluino nostalgico dell'impero sognava di rivivere i fasti della fascinosa Gea della Garisenda che glorificava l'impresa coloniale italiana in Libia intonando "Tripoli, bel suol d'amor", coperta solamente da una bandiera tricolore. Ma il tempo di Lady Godiva e del tintinnar di sciabole a cavallo di un bianco destriero è finito. Quindi state in pace: la guerra non è un videogioco.

 

DECLINO. Coniato dall'analista Jim O'Neill, l'acronimo BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) divenne in breve sinonimo di boom grazie in particolare all'effetto Lula, il Presidente brasiliano figlio di analfabeti che dopo essere stato la stella di un'epoca felice è passato dagli altari alla polvere. Da ruggente qual era, l'economia emergente latino-americana – e non solo – si è trovata avvolta nelle spire della crisi, mentre il tornitore sindacalista che aveva saputo stregare il mondo al di sopra degli steccati ideologici è finito sotto indagine per corruzione come un qualsiasi politicante. Colui che ha fatto uscire dalla miseria milioni di diseredati, il Castro di Rio meglio del Castro dell'Avana come è stato definito, ora si accinge ad affrontare il giudizio della storia con la sola compagnia della "saudade", la malinconia che sovente accompagna il declino del mito.

 

LIMITI. In attesa del "Brexit" di giugno che deciderà se l'UE così come la conosciamo avrà ancora un futuro, oppure se inizierà la sua lenta, inesorabile parcellizzazione, l'Europa, onde verificare la solidità o meno della sua coesione, si misura con la Turchia, ancora lontana dai parametri richiesti per essere accolta nella casa comune, ma non avara di pretese. Ankara difatti alza la posta sui migranti, esige più aiuti dal fondo di solidarietà, però nicchia sulla libertà di stampa, conditio sine qua non posta sul tavolo dei negoziati dal governo di Roma. Qualsiasi revisione del Trattato di Dublino non può esimersi dal rispetto dei fondamentali diritti democratici dell'Unione, inclusa la libertà dei media quale elemento non negoziabile e caposaldo etico prima ancora che politico della sua ragion d'essere. Che Palazzo Charlemagne sia il luogo dei compromessi è risaputo, ma non oltre certi limiti.

 

BRIVIDO. Piccoli Trump crescono. All'ombra del "frontrunner" che l'America tremare fa e manda in tilt i repubblicani moderati (ma ci sono ancora?), in Europa sta crescendo una corposa pattuglia di "trumpisti" che fremono all'idea di vederlo alla Casa Bianca. Sperano infatti di aggiungere le sue alle loro già poco gloriose gesta per formare un asse transatlantico col "lepenismo" made in USA. Il loro sostegno è netto, chiaro, senza giri di parole. "Gli Stati Uniti e il mondo – dicono – hanno bisogno di Trump. Questo è il momento dei confini, dell'esclusione, non dell'accoglienza". Da brivido! Quale sia la summa del pensiero divulgato dal tycon delle primarie è documentato dal video che lo ritrae mentre inveisce contro una donna di colore cacciata dal suo comizio a Louisville, nel Kentucky, e che ha mandato in visibilio i fan puri e duri dell'emarginazione. Quest'ultima cosa non è solo un poco, ma molto preoccupante.

 

RIPOSTIGLI. Sull'onda dei corsi e ricorsi, già in altre circostanze il mondo politico di Washington si è trovato a fare i conti con candidati alla Trump. Ad esempio il repubblicano Barry Goldwater ben sintonizzato, all'epoca, sulle onde di Joseph McCarthy, il fanatico epuratore dei "comunisti" al quale bastava un tocco di rosa per vedere trame rosse ovunque, nei gangli della cultura e dello spettacolo. Nel 1964 Goldwater, ex senatore dell'Arizona, riuscì a strappare l'investitura per la Casa Bianca, ma sia lui sia il suo partito uscirono a pezzi dal confronto con i democratici. Nonostante le sconfitte è curioso notare come gli ultra-conservatori non demordano ed escano dai loro ripostigli quando negli States soffia il vento del rinnovamento: quella portato dai Kennedy e adesso da Obama, ieri come oggi invisi all'America profonda e reazionaria che fa la spesa dall'armaiolo. Coincidenza niente affatto casuale!

 

INGIUSTIZIA. A cavallo tra varie definizioni, tutte ispirate però a un sentimento di disobbedienza e ribellione, l'anarchia fin dall'antichità greca ha dato vita a una gamma di movimenti e linee di pensiero che spaziano da Tolstoj a Bakunin, su, su, fino ai filosofi contemporanei. Nel mondo moderno la figura di maggior spicco è l'americano Noam Chomsky, teorico della comunicazione, sostenitore di Bernie Sanders e noto esponente del pensiero socialista libertario, spesso citato per le sue opinioni in contrasto alla destra demagogica del Tea Party. "Una delle ragioni principali per cui sono anarchico – ha detto a un suo discepolo – è che odio l'ingiustizia, la prepotenza e la falsità. Non voglio comandare né essere comandato e mi schiero sempre dalla parte dei più deboli". Ossia, per essere attuali, di coloro che oggi formano il dolente corteo dei migranti.

 

mercoledì 9 marzo 2016

Nemo propheta

di Renzo Balmelli 

 

IPOTESI. Nemo propheta in patria? Supponiamo per un solo istante, però rigorosamente col punto di domanda, che Matteo Renzi non sia come appare nelle spassose imitazioni di Maurizio Crozza in cui ha preso il posto dell'ormai spento Berlusconi. Supponiamo pure, sempre in forma interrogativa, che il Presidente del Consiglio riesca davvero a cambiare l'Italia. Se in patria il cammino delle riforme è lastricato di di ostacoli, è invece interessante notare come tale ipotesi appaia meno improbabile se vista dall'osservatorio internazionale. In proposito negli uffici di Palazzo Chigi non sarà di sicuro passata inosservata ad esempio l'analisi del Tages Anzeiger di Zurigo che parlando di Renzi presenta ai suoi lettori , pur con tutte le sfumature del caso, l'immagine di un premier italiano controcorrente, capace, grazie alle Unioni civili, tema molto sentito al nord delle Alpi, di modernizzare il Bel Paese con una legge che i suoi predecessori hanno sempre tenuto prudentemente nel cassetto. Va da se che quello dell'autorevole quotidiano svizzero d lingua tedesca è un punto di vista come un altro, certo, ma in fondo non meno plausibile di quanto suggerisca la ragionevolezza dell'antica e sempre attuale locuzione latina.

 

SCHIAFFO. La Svizzera che ti aspetti, interprete della sua lunga e comprovata tradizione umanitaria. La Svizzera che tira un sospiro di sollievo, percepito anche all'estero, dopo avere bocciato l'iniqua iniziativa populista che senza specificare la tipologia dei reati spalancava le porte agli abusi nel decretare l'espulsione degli stranieri. In tempi calamitosi, l'esito del voto , che interessava pure l'UE, ha confermato senza sbavature il primato della giustizia giusta e non punitiva nonché il pieno rispetto dei diritti umani contemplati dalla Convenzione europea. Nel solco di quest'ordine di idee, fa bene all'anima la consapevolezza che al rassicurante risultato abbia concorso la mobilitazione della società civile, sempre vigile nel contrastare la deriva verso i limacciosi lidi della xenofobia. A tale proposito lo schiaffo bruciante inferto a quel testo raffazzonato alla bell'e meglio per vellicare gli istinti più riposti, può ben essere letto come un segnale di incoraggiamento rivolto a tutti coloro che in Europa lottano contro la dilagante avanzata dell'oscurantismo.

 

BRANDELLI. Quanto sia urgente un vigoroso cambio di marcia nella politica migratoria, ce lo conferma la difficoltà, documentata dalle immagini che arrivano nelle nostre case, di garantire, come prevedono gli accordi tra gli Stati, la protezione dei profughi nella loro marcia verso la libertà e la sicurezza portata avanti con la sola forza della disperazione. Nell'assistere al dramma quotidiano di migliaia di esuli ammassati come bestie alle frontiere, siamo pervasi dallo sgomento frammisto a un doloroso sentimento di impotenza. Davanti a noi brandelli di futuro senza futuro , brandelli sparsi qua e la lungo la via crucis nei luoghi sconosciuti di una notte senza fine , gridano al mondo la sofferenza, il dolore delle donne, degli uomini, dei bambini che loro malgrado continuano a essere i protagonisti della tragedia umanitaria dei migranti e dell'infanzia negata.

 

BALUARDO. Alla luce dei risultati scaturiti nel South Carolina e soprattutto durante il Super Tuesday, il super martedì considerato lo spartiacque delle primarie, appare poco probabile se non addirittura impossibile che Bernie Sanders riesca a ottenere l'investitura dei democratici per la corsa alla presidenza. In un certo qual senso è peccato perché la presenza dell'arzillo senatore del Vermont avrebbe contribuito a rimescolare le carte di una competizione che ora appare segnata: una corsa a due tra Hillary Clinton e l'ineffabile Donald Trump. Ad ogni buon conto, seppure fuori dai giochi che contano , il sorprendente alfiere del socialismo declinato all'americana, potrebbe portare in dote alla Convention di Philadelphia il cospicuo capitale di voti rappresentato dall'elettorato giovane e disamorato dell'establishment che non simpatizza per l'algida leader democratica , ormai in volo verso la nomination. Sarebbe un contributo significativo per colei che pur già avendo frequentato le stanze del potere non potrà restare seduta sugli allori se davvero vuole passare dal ruolo di ex first Lady a quello ben più prestigioso di Mrs. President.

 

ASCESA. Mentre in casa democratica il passaggio delle consegne tra il primo Presidente di colore e la prima donna candidata alla guida della Casa Bianca appare del tutto naturale, non così è tra le file dei repubblicani dove prevale lo sgomento per l'incredibile ascesa del moderno Arturo Ui rispondente al nome di Donald Trump. Nell'America che va giustamente fiera delle sue prerogative, le farneticanti esternazioni di questo emulo dell'immaginario personaggio raccontato da Brecht rischiano infatti di fare arrossire dalla vergogna la Statua della libertà. Ma come ammonisce un vecchio detto, chi è causa del suo mal pianga se stesso. Se ora gli eredi del Grand Old Party si trovano in una situazione imbarazzante , non possono fare altro che recitare il " mea culpa" . Per quattro anni , invece di darsi un profilo rispettabile, si sono ostinati a voler demolire l'operato di Obama, ricoprendolo di giudizi carichi di livore. Col solo risultato di restare con un pugno di mosche, alla mercé delle misere ideologie di colui che dall'alto dei suoi milioni cita Mussolini e ha quale massima aspirazione l'insano progetto di isolare gli Stai Uniti dal resto del mondo.

 

SORRISO. Bisogna essere un pochino aridi di cuore e di mente per non avvertire la grazia innocente del neologismo "petaloso" sbocciato dalla fantasia di un bambino di otto anni desideroso di trovare un aggettivo fuori dal comune capace di descrivere la sua margherita con un tocco di originalità. Ma nel Paese dove – per dirla con Massimo Gramellini – nessuno "si fa i petali suoi", anche la bellezza e la genuinità di una storia nata per caso e senza secondi fini su un banco di scuola, finiscono con l'essere stritolati dal chiacchiericcio pseudo-intellettuale. E questo sì frutto di intenzioni recondite. Al pari dello "inzupposo" usato per la pubblicità di un biscotto, il "petaloso" nella sua essenza è solo un errore bello, niente di più. Le parole, trovino o no ospitalità nei dizionari, sono vita, sono una invenzione dello spirito che apre lo spazio all'immaginazione e strappa un sorriso in questo mondo spesso triste e nebuloso in cui tanti coetanei dello scolaretto non hanno né fiori da illustrare né dolcetti da inzuppare.