giovedì 30 marzo 2017

Di lui non si sente più parlare

di Renzo Balmelli

NEMESI. Specchio dello stato confusionale in cui versa la così detta società liquida teorizzata da Bauman, l'universo anonimo dei blogger, in special modo se orientato a destra, crea e distrugge i propri miti come cambia il vento. L'ultima vittima della sarabanda ideologica è stato Geert Wilders, il leader populista olandese idolatrato fino alla vigilia delle elezioni e dopo la sconfitta riportato ai piedi della scala senza una parola di commento. Di lui non si sente più parlare. Visto l'andazzo, pare che anche Marine Le Pen, convinta di essere sulla cresta dell'onda, stia molto più attenta alle bizze della rete che non ai sondaggi, nel timore di fare la stessa fine. Forse avrà qualche vaga reminiscenza del Manzoni, il quale “pour cause” ammoniva i francesi che dall'altare alla polvere il passo è breve. D'altronde non è una novità che la nemesi storica non fa sconti a nessuno. E chi sparge livore prima o poi se lo ritrova in casa come un boomerang.

 

BREXIT. “Give me my money back”, ridateci i nostri soldi non si stancava di ripetere la battagliera Margaret Thatcher con quella grinta che faceva venire i sudori freddi agli alleati europei. Le parole della Lady di ferro di nome e di fatto tornano d'attualità mentre prende il via ufficialmente la procedura per attivare la Brexit che segna una rottura senza precedenti e forse insanabile tra Londra e Bruxelles. Gli artefici del referendum anti-UE esultano, ma al di la dei fuochi d'artificio della propaganda nessuno si nasconde che i due anni necessari per sancire la separazione potrebbero costare lacrime e sudore. Come spesso accade nei divorzi, saranno infatti le questioni finanziarie e molto meno quel­le ideali a dominare i negoziati che si preannunciano molto duri (hard Brexit ) e con le parti in causa per niente disposte a fare con­cessioni. Nella loro euforia gli euroscettici celebrano il giorno dell'indi­pendenza, l “Indipendence Day” del film che segnò la sconfitta dei marziani, in questo caso d'oltre Manica. Ma sull'altro fronte si teme un salto nel­l'ignoto che la Scozia per prima vuole evitare approvando un voto bis per l'indipendenza dal Regno Unito. Un altro guaio dai drammatici contorni legali e costituzionali per il governo di Sua Maestà.

 

IMMAGINE. In politica un conto è annunciare provvedimenti fanta­sma­gorici, altra cosa è governare. Se ne sta rendendo conto a sue spese Do­nald Trump, colui che venne per liquidare la riforma sanitaria di Oba­ma e che di colpo, vicino al giro di boa dei primi, fatidici cento giorni, si trovò a sua volta liquidato dai compagni di merenda, sempre più insofferenti verso certi suoi atteggiamenti da guascone. A un certo punto, volendo forzare troppo la mano ai tre poteri classici della de­mo­crazia, esecutivo, legislativo, giudiziario, si finisce inevitabilmente col farsi male, anche se ci si trova nella confortevole situazione di control­la­re il Congresso. Ora resta da capire fin dove il tycoon , leone ferito nell'orgoglio e quindi vieppiù pericoloso, persisterà nel braccio di ferro con le istituzioni, incaponendosi in progetti controversi che potrebbero costare alla sua presidenza, al suo partito e alla Casa Bianca un danno politico e di immagine incalcolabile.

 

SPOSSATA. Né Washington né Mosca possono essere annoverate tra gli amici incondizionati del Vecchio Continente. Al vertice per i ses­sant'anni dei Trattati di Roma, sebbene mai evocate ufficialmente, le due capitali erano però nella lista dei convitati di pietra che allunga­va­no la loro ombra inquietante sui litigiosi eredi dei padri fondatori. Su questa sponda dell'Atlantico non c'è per fortuna un Trump, ma pallide imitazioni populiste che della UE farebbero volentieri un falò come quan­do si bruciavano i libri sgraditi al potere. Gli euroscettici per contro pare abbiano cambiato orizzonte simpatizzando maggiormente con Putin di cui ammirano l'autoritarismo, indifferenti alla sorte riser­va­ta all'opposizione russa. Per un verso o per un altro sembra comun­que di essere tornati alla prosecuzione del bipolarismo d'antan con altri mezzi che potrebbe condizionare il cammino dell'Unione Europea, spossata, ma decisa a rinnovarsi.

 

GERUNDIO. Presidente del Consiglio dopo Caporetto, Vittorio Emanuele Orlando venne preso di mira dalla critica, lesta a ricordargli che “mal comincia un periodo con un gerundio”. Non è dato a sapere se Martin Schulz, candidato SPD alla Cancelleria, conosca questo episodio, ma anche per lui il primo banco di prova nella rincorsa ad Angela Merkel, dimostratasi ancora capace di vincere malgrado le difficoltà, è iniziato con lo stesso tempo verbale. Nella Saar, piccolo Land con una storia importante, brusca e inattesa è stata la frenata per le speranze del leader socialdemocratico e la coalizione di sinistra che i sondaggi davano in grande spolvero. Certo, le elezioni federali di settembre sono ancora lontane e c'è tutto il tempo per rimediare e preparare lo sprint finale. Ma qualcosa non ha funzionato, a dimostra­zione del fatto che nei prossimi mesi servirà qualcosa di più per cambiare non soltanto il gerundio, ma anche il governo nazionale.

 

PANE. Sull'ultimo numero della rivista pubblicata da Caritas-Ticino è apparsa la presentazione di un video realizzato sulla base del volume “Non avete pane a casa vostra” dello studioso Alberto Gandolla. Libro che in 180 pagine analizza alcuni aspetti dell'emigrazione italiana in Sviz­zera, soffermandosi in particolare sui lavoratori frontalieri, " vitali per lo sviluppo economico del cantone, ma anche fonte di odio, resi­sten­ze e pregiudizi" ancora oggi duri a morire. “Uno sguardo indietro” – si legge nell'articolo – "è sempre utile per comprendere la trasfor­ma­zione del presente". Martin Scorsese, immigrato di terza generazione, ne diede una dimostrazione eloquente nel suo “Gangs of New York”, film che mette a fuoco diversità culturali ed etniche in apparenza in­sa­na­bili, che però – citiamo – non impedirono alla città di diventare un polo mondiale di integrazione. Guardare oltre i rancori che la propa­ganda xenofoba tende ad attizzare rende meno amaro il pane degli altri.

giovedì 23 marzo 2017

Per non avere un futuro alle spalle

di Renzo Balmelli 

SFIDA. Adesso tocca alla Francia. Con una metafora sportiva le elezioni olandesi sono state i quarti di finale della delicata partita per l'Europa. Fra poco a Parigi andrà in scena la semi­finale di primavera sul cui esito gravano non poche incognite. Detto così sembra un paradosso, ma il Vecchio Continente per non avere un futuro alle spalle deve riconciliarsi col suo passato, alla spinta ideale del 1957 che lo fece rifiorire. Per contrastare l'avanzata delle forze anti sistema e neo fasciste bisogna badare al sodo, non al soldo, al risultato utile che magari farà torcere il naso ai puristi del calcio spumeggiante, ma senza il quale la finale di settembre in terra tedesca potrebbe riservare amarissime sorprese. Come negarlo, d'altronde: i disagi e i bisogni sono reali e per non perdere la sfida cruciale servono idee nuove e leadership autorevoli, appunto come quelle raccolte sessant'anni fa attorno al Trattato di Roma che sancì la nascita della Comunità europea e che oggi come ieri rappresenta l'unica alternativa al salto nel buio.

ODORE. “Pecunia non olet”. Fino a che punto si è disposti a scendere a patti con la propria coscienza pur di intascare tanti soldi facili è una questione che ha antiche radici, ma sempre attuali. Malgrado lo sdegno sollevato dal muro al confine col Messico che Trump ha collocato ai primi posti del suo programma , sono tante le imprese che si sono lanciate nella gara degli appalti per portare a termine la barriera di cemento che avvilisce la storia dell'umanità. A concorrere non sono dieci e neppure cento, bensì 640 le ditte pronte a mercanteggiare i diritti della grande muraglia in salsa repubblicana senza provare nessun scrupolo di ordine etico e morale. Proprio come accadeva nella corrotta Urbe di Vespasiano con la tassa sulle latrine che ingrossava l'erario e dalla quale ebbe appunto origine l'espressione del denaro che non ha odore. O che forse ne ha troppo e piuttosto cattivo considerata la provenienza.

IRONIA. Felicità. Tutti la vogliono, tutti la inseguono. A qualcuno è venuta addirittura la singolare idea di misurarla usando più o meno gli identici criteri coi quali si annotano le oscillazioni della borsa o gli exit-poll elettorali. Grafici alla mano, scienziati e studiosi hanno provato a elaborare una sorta di termometro della felicità mondiale denominato “edonimetro” che lascia piuttosto allibiti. Come si fa, infatti, a inquadrare in una tabellina un sentimento che in realtà è uno stato d'animo volubile, scandito da molteplici circostanze, e quindi impossibile da valutare con il calcolo delle probabilità? Tant'è vero che l'Italia situata attorno al quarantesimo posto di una precedente classi­fica, balza invece al primo di un'altra graduatoria in cui la valutazione fa perno attorno alle aspettative di vita in buona salute, considerate un parametro indispensabile per stabilire quanto si è felici. I ricercatori sono ovviamente consapevoli del fatto che la felicità non è facile da definire e che ogni risultato può essere utilizzato e interpretato con significati diversi. Magari mettendoci quel pizzico di ironia che non guasta mai e aiuta a strappare un sorriso.

OMERO. Parlare in un modo, scrivere in un altro. In letteratura, da Beckett a Nabokov, da Conrad a Koestler, non mancano gli autori che hanno dato il meglio di se esprimendosi in una lingua diversa dalla loro. Anche il premio Nobel Derek Walcott scomparso recentemente, appartiene alla categoria degli autori che pur senza rinnegare le origini si è spinto oltre la visione restrittiva di poeta caraibico. L'Omero dei nostri tempi aveva scelto di scrivere in inglese nel solco di una dedi­zione multiculturale impastata di identità multiple. Un inglese, il suo, limpido ed elegante che ne accentua l'universalità e lo colloca ai primissimi posti tra gli scrittori del Novecento. Oltre alla centralità della lingua, dalle sue opere emergono gli interrogativi di fondo sul tema dell'appartenenza che proprio ora, per motivi non sempre nobili, sta tornando di attualità e al quale Walcott rispose a modo suo dichia­rando di avere una sola nazione: l'immaginazione.

PROFETA. A novant'anni se n'è andato Chuck Berry, rivoluzionario, turbolento e spesso inguaiato alfiere del rock'n'roll di cui è considerato il profeta prima che sulla scena comparissero Elvis Presley e altri di­scepoli. Chi ha visto Pulp Fiction certo non ha dimenticato una delle scene cult di un film altrettanto cult. A interpretarla sono Uma Thur­man e John Travolta, lei a piedi nudi, lui coi calzini neri, che danzano sulle punte muovendosi al ritmo di “You never can tell”, omaggio del regista al leggendario chitarrista. Quel folk libertario travolse l'Ame­ri­ca ancora segregata e diede voce alla ribellione giovanile che scan­da­liz­zò i parrucconi benpensanti dell'epoca avvinti ai loro privilegi e in­ca­paci di capire, pur nella levità del mitico twist di Pulp Fiction, che la vita cambiava e che, per dirla con l'autore, "ti mostrerà cose che non po­trai mai raccontare", lasciandoti a bocca aperta. Come in effetti ac­cad­de e accade ancora ai nostri tempi non meno inquieti.

martedì 14 marzo 2017

Da Zurigo a Pietroburgo

di Renzo Balmelli

SCINTILLA. Lenin è tornato a Zurigo, ma non la rivoluzione. La lotta di classe ormai non abita più qui: il quadrilatero delle banche e dell'alta finanza può dormire sonni tranquilli. Sarà invece interessante e istruttivo rivivere il clima turbolento di quell'epoca attraverso il percorso iconografico della mostra allestita al Museo nazionale della città per rievocare i legami con l'esule russo che dalla Svizzera partì sul famoso treno blindato per andare ad accendere la scintilla rivoluzionaria di Pietroburgo. Sul continente soffiavano venti impetuosi in tutti i campi, lo sforzo bellico aveva acuito le tensioni sociali e Zurigo, neutrale ma aperta e curiosa, era un palcoscenico formicolante di idee e personaggi illustri che provavano a incanalare le nuove tendenze. Lenin fu tra costoro nel pianificare le giornate che cambiarono l'esistenza di milioni di persone, accesero speranza inaudite, ma conobbero anche l'inesorabile violenza della Storia.

FRAGILITÀ. In Francia, Paese che in tema di rivoluzioni non è secondo a nessuno, pare che tutto congiuri, alla vigilia delle presidenziali, per agevolare il cammino del Fronte Nazionale. Dopo il quasi suicidio delle forze costitutive della Quinta Repubblica e l'ennesimo autodafé della sinistra, tale opzione ormai non è più soltanto una ipotesi, ma un pericolo reale che lascia aperte possibili svolte da brivido, come un successo di Marine Le Pen. La leader del FN cresce non solo nei sondaggi, per quanto abbiano perso di credibilità, ma anche nel ballottaggio e può sognare l'Eliseo sebbene la strada resti ancora impervia. D'accordo, non significa ancora che le elezioni siano già decise, ma considerando la fragilità che turba la Francia degli scandali e dei colpi di scena a questo punto nulla è impossibile, nemmeno il peggiore degli scenari immaginabili. D'altronde nessuno credeva a Trump e alla Brexit,

LOOK. Com'è ristretta la visuale se basta indossare una più sobria cravatta regimental al posto dell'orribile modello rosso shocking, per regalare a Trump una settimana di grazia e per rivalutarne l'immagine agli occhi dell'opinione pubblica. Ma è soltanto un effetto mediatico. Ad la dell'apparenza la sostanza non cambia poiché la “filosofia” della Casa Bianca a trazione repubblicana ricalca esattamente i punti centrali del programma presidenziale. Anzi, caso mai, ne ha aggiunto uno ancor più preoccupante e che deve fare riflettere. Nel suo discorso Trump ha infilato quasi di straforo l'annuncio che l'America ricomincerà a vincere le guerre. La qual cosa potrebbe significa che intende farle. Un clamoroso dispetto a Obama, determinato a dire basta alle guerre americane e che potrebbe costare molto caro. Gli accordi sulla riduzione delle armi nucleari ora rischiano di finire nel cestino della carta straccia. Alla faccia del nuovo look.

DISAGI. Che la Brexit non fosse soltanto una semplice operazione contabile con la quale Londra sperava di divorziare dall'UE a costo zero era una favoletta del governo che i dati stanno clamorosamente smentendo. Non solo il prezzo da pagare sarà alto, ma i disagi e i danni collaterali rischiano di aprire ferite difficili da cicatrizzare. Oltre alle ricadute sul piano umano che poco alla volta stanno discriminando i cittadini dell'UE attivi nel Regno Unito e sottoposti a un crescendo di pignolerie burocratiche, anche i rapporti con i vicini, come evidenzia il risultato delle elezioni nord-irlandesi e come testimoniano le frizioni con la Scozia, potrebbero uscirne talmente compromessi al punto da rinfocolare antichi e mai sopiti conflitti. Da Edimburgo a Belfast, dove le tensioni si sono acuite proprio a causa della Brexit bocciata a netta maggioranza dalla popolazione, il Regno unito per uscire dall'Europa rischia di diventare un regno disunito e litigioso.

FUTURO. Se nel film dei fratelli Coen l'America non era un paese per vecchi, nel suo di film Giovani Veronesi presenta un'Italia che invece, a parti inverse, "Non è un paese per giovani" proprio come indica il titolo del lungometraggio. Il regista scava dentro le pieghe di un fenomeno che sta assumendo proporzioni drammatiche e fa perdere qualsiasi punto di riferimento. Per sfuggire a una vita priva di prospettive certe, sempre più giovani se ne stanno andando all'estero in cerca della stessa cosa: un futuro che a casa non hanno. Per il potere evocativo della sceneggiatura, la visione della pellicola dovrebbe essere resa obbligatoria per tutta la classe politica che magari comincerebbe a pensare che cosa fare per fermare la fuga anziché dilaniarsi nei suoi angusti orticelli. L'uscita del film è programmata allo scoccare della primavera, ma con i giovani che partono se ne vanno anche la bellezza e l'entusiasmo di una generazione nel fiore degli anni.

sabato 11 marzo 2017

Unica uscita dalla sofferenza

 di Renzo Balmelli  
 
STRAPPI. Arroventata dalle polemiche, la politica si è mossa come il classico elefante nel negozio di porcellane nell'avviare un dibattito im­prorogabile sul fine vita e gli interrogativi posti dall'eutanasia legale. Sottratto alla sfera privata e diventato di pubblico dominio, il destino dell'ex dj Fabo, che ha scelto di sua volontà il suicidio assistito per evadere dalla prigione di una esistenza segnata dal dolore, ha eviden­ziato una situazione sempre più drammatica sulla quale il legislatore ha ste­so finora un velo di rinvii. In assenza di una normativa, frenata dal­l'as­sillo di evitare strappi su un tema controverso, la via d'uscita dalla sofferenza resta il mesto pellegrinaggio all'estero, il viaggio senza ri­tor­no per rivendicare il diritto a una morte dignitosa. In un vortice di sentimenti contrastanti, sembra però impossibile affrontare il deli­ca­tis­simo argomento in modo razionale. E certo non saranno le sporadiche fiammate mediatiche a suggerire la soluzione. 
 
BRUTTURE. Un uomo folgorato alla frontiera italo-svizzera sul tetto di una carrozza ferroviaria come un condannato alla sedia elettrica. E' stata una fine orribile, l'ultimo, tragico anello del dramma dei migranti; una fuga senza scampo, frutto dell'incoscienza certo, ma anche della paura e della disperazione. Casi analoghi purtroppo non sono scono­sciuti e gettano una luce livida sulla infinita odissea dei profughi che si consuma tra l'assuefazione, l'indifferenza e spietati episodi di pre­va­ri­cazione dell'uomo sull'uomo destinati il più delle volte a rimanere im­puniti. Forse non riusciamo nemmeno a immaginare che impasto di brutture sia il calvario di chi si trova alla mercé della follia umana e di sordidi interessi. Costa fatica dirlo, ma che cos'è questo interminabile, crudele stillicidio di vittime innocenti se non una gigantesca epura­zio­ne, poiché questo è il suo vero nome anche se il rimorso ci vieta di pronunciarlo. 
 
MERCATO. Esiste il capitalismo dal volto umano? Alla domanda il battagliero Giorgio Bocca rispondeva che il capitalismo non aveva un'anima e quindi era insensibile alla compassione. Dare un contenuto morale al capitalismo, è stata la missione di Michael Novak, il filosofo americano spentosi nei giorni scorsi, considerato uno dei protagonisti della controversa "rivoluzione reaganiana". Il maggiore intellettuale cattolico degli USA, profeta del libero mercato, diffidava dello Stato e, bontà sua, si professava contrario al socialismo. Il punto è capire di quale capitalismo parliamo. Il proposito di conferirgli una valenza spirituale vacilla al cospetto delle sue manifestazioni più rozze che mantengono grandi masse in condizioni di estrema indigenza. Anche il socialismo, come ogni idea degna di questo nome, è perfettibile, ma il postulato per un mondo migliore sul quale si fonda lo distingue comunque in modo netto dal capitalismo senza etica. 
 
RIARMO. Se persino i generali mostrano evidenti segni di inquietudine per i bellicosi proclami di Trump, qualcosa non fila per il verso giusto. A poco più di un mese dall'insediamento del Presidente le promesse di un approccio ragionevole ai temi della sicurezza, hanno lasciato il posto a minacce di riarmo nucleare che disorientano l'opinione pubblica mondiale. Per ora solo di retorica si tratta, per quanto irresponsabile e pericolosa. E dopo? Nemmeno i mirabolanti proclami del primo discorso presidenziale davanti al Congresso, sono valsi a placare i dubbi sul possibile ritorno in grande stile all'epoca della guerra fredda. Già ora le relazioni tra Washington e Mosca, per nulla intenzionata a porgere l'altra guancia, sono al livello più basso e in queste condizioni l'ultima cosa di cui si avverte il bisogno è la comparsa di un novello dottor Stranamore, il personaggio di Kubrick che ha imparato ad amare la bomba senza curarsi delle conseguenze. 
 
SOGNO. Gente che costruisce il consenso sul " contro" piuttosto che sul " con" difficilmente ha a cuore il benessere dei suoi simili. Si è avvertito un brivido alla burrascosa serata degli Oscar, segnata da una gaffe memorabile per le buste scambiate, quando il regista iraniano Farhadi, offeso dallo "islam ban", ha consegnato il suo messaggio contro la divisione del mondo tra "noi" e "i nostri nemici". Quel Muro trumpiano che diffonde una visione manichea della società è un oltraggio planetario all'umanità che avvilisce il mito del sogno americano di cui trabocca "La La Land", favoritissimo della vigilia, e al quale è mancato un soffio per il trionfo finale. A detta di chi c'era potrebbe essere stata un'abile provocazione "dadaista" della Hollywood in cui tutto è possibile, tesa a dimostrare che nell'attuale clima politico di spazio per i sogni ce n'è ben poco. Cambierà? Per saperlo dobbiamo attendere che il tempo e il cinema ce lo dicano. 
 
SCONTRO. Tutti i pronostici pendono dalla sua parte, eppure la destra francese, da quella repubblicana alle frange frontiste, si accinge a scalare l'Eliseo con una pagella non proprio immacolata. Sia Francois Fillon, sorpreso a tessere con la moglie Penelope una tela con qualche grinza di troppo, sia Marine Le Pen, alla quale l'Europarlamento intende revocare l'immunità, sono entrati in rotta di collisione con la magistratura di cui contestano l'operato. Agli occhi dei lettori italiani più smaliziati lo scontro tra politica e giustizia ha il sapore di un déjà vu, mentre in Francia aggiunge motivi di incertezza a una contesa elettorale già surriscaldata e che mostra un Paese profondamente diviso sui grandi temi del momento: l'immigrazione, il terrorismo, l'Europa. Quanto i guai di Fillon, che rischia di essere indagato a poche settimane dal voto ma resta comunque in corsa, sposteranno o toglieranno consensi alla deriva nazionalista del FN è un terreno sul quale i sondaggisti esitano ad avventurarsi. In questo contesto oltremodo frammentato la "gauche" avrebbe la sua parola da dire se non fosse prigioniera delle divisioni che aprono la porta al populismo.

giovedì 2 marzo 2017

Il popolo della sinistra percosso e attonito

di Renzo Balmelli 

BALENA. "Moriranno democristiani!" – il monito di Luciana Castellina, anima del vecchio Manifesto, dà l'esatta dimensione della pessima figura che sta offrendo il Pd. Ma chi sta nella stanza dei bottoni manco se ne cura. Anzi, l'invereconda rappresentazione continua come se nulla fosse anche dopo lo psicodramma romano. A soffrirne nell'intimo è il popolo della sinistra o di ciò che ne resta, incapace di capire le ragioni della spaccatura, e che si guarda attorno percosso e attonito, orbo degli ideali di tutta una vita. E poiché nulla accade per caso, fatal combinazione volle che il cupio dissolvi si consumasse in un albergo “pentastellato”. Strana coincidenza che ha il sapore amaro di una beffa involontaria, ma non meno dolorosa. Ed è qui che il riferimento alla DC diventa vieppiù imbarazzante, nel preciso istante in cui ci restituisce l'immagine dei tanti Achab di giornata uniti all'ipotetica balena bianca nella furia autodistruttiva di un "triste, solitario y final".

MEDICO. Ora che il disastro è sotto gli occhi di tutti, si alza il coro cacofonico e tardivo di chi invoca la necessità di riformare la sinistra per contrastare il populismo. Facile a dirsi, ma tutt'altro che a farsi. Eppure nella situazione politica italiana, sempre più complessa, i rischi di una ulteriore virata ultra conservatrice sono più che mai reali. Il caos del Pd che ha portato alla dissipazione di uno straordinario capitale di speranze, apre una autostrada per la destra che non sappiamo dove ci porterà. Di sicuro però non a buon fine. Se davvero è sincero il desiderio di riformare, ebbene che la sinistra torni a rispettare la sua storia, le sue origini, la sua identità e non si inventi formule che fanno perdere la connessione con la realtà. Chi ne porta la responsabilità faccia insomma sua senza indugi la locuzione latina: medice, cura te ipsum, “medico, cura te stesso”!

DEMONI. In Europa serpeggia la preoccupazione che le disavventure del Pd, partito di governo di un grande Paese fondatore, possano determinare un effetto domino in grado di destabilizzare l'edificio comunitario già investito da forti turbolenze. Il campanello d'allarme squilla non a torto. Sono in arrivo elezioni cruciali che costituiranno un banco di prova decisivo per verificare la tenuta delle forze progressiste nel momento in cui i demoni del Novecento tornano a farci visita. Dopo lo schiaffo della Brexit, la prossima spina nel fianco sarà l'Olanda. Geert Wilders, il leader estremista in testa ai sondaggi, spera di scatenare l'uragano col quale rovinare la festa per i 60 anni dei Trattati di Roma. Attorno ad essi l'Europa dovrà fare quadrato senza porgere l'altra guancia.

INCOGNITE. Tra gli amici dell'UE, di cui egli auspica il rapido tramonto, non figura certo l'imprevedibile Donald Trump. Ossia colui che prima tuona contro le fake news, e poi se le fabbrica ad personam disseminando il suo mandato di incognite ad alto rischio. Le bufale purtroppo sono ormai diventate una piaga della rete e del giornalismo spazzatura. Sono un modo, invero primitivo assai, per mascherare l'incompetenza di chi detiene il potere. Almeno mediaticamente possono avere però conseguenze sconvolgenti, tant’è che i turibolieri di turno già si ingegnano a costruire un castello di assurde teorie complottiste, secondo loro ordite da fantomatici mandanti, per fare fuori il Presidente. Siamo nel regno della falsità elevata a sistema e il punto più inquietante è che non sappiamo cosa potrà ancora riservarci.

CULTURA. Se c'è un esempio di un riuscito e duraturo matrimonio tra Svizzera e Italia fondato sull'amore per il sapere e il piacere dell'apprendimento oltre i limiti angusti delle frontiere, questi proviene dall'ultra centenario successo della casa editrice fondata a Milano da Ulrico Heopli nel 1870. Da cinque generazioni la famiglia, originaria del cantone di Turgovia, svolge una funzione leader nell'editoria scolastica e nella pubblicazione di migliaia di testi e manuali destinati ai vari aspetti delle attività umane. Da un lato il rigore e la precisione elvetica, dall'altro la creatività italiana hanno contribuito a consolidare la reputazione della casa editrice diventata una presenza insostituibile nel panorama editoriale non solo milanese grazie allo spirito di apertura che l'ha sempre contraddistinta e che fa della cultura un autentico messaggero di pace.