domenica 23 settembre 2018

La riprovazione della comunità internazionale



 

di Renzo Balmelli  

 

INDECENZA. Quando Michelle Bachelet affronta il tema dei diritti umani violati, sa benissimo di che cosa parla avendone subito personalmente le conseguenze nel suo Paese, il Cile dello spietato Pinochet. Durante la feroce dittatura dei generali ha avuto il padre, altri familiari e molti amici morti nelle prigioni del regime in seguito alle torture subite. Non deve quindi scandalizzare se nel suo intervento all'ONU di Ginevra in veste di Alto commissario dei diritti umani per le Nazioni Unite, l'ex Presidente cilena eletta sulle liste del Partito socialista ha fatto a meno di usare la soave coloritura dello svagato linguaggio diplomatico ed è andata invece subito al cuore della più grave crisi umanitaria del momento: quella dei migranti. Sarebbe tuttavia riduttivo e soprattutto ingiusto nei confronti delle migliaia di volontari che si prodigano ogni giorno per questi infelici, circoscrivere il problema all'Italia, sebbene l'inqualificabile vicenda della Diciotti sia valsa al governo in carica la riprovazione della comunità internazionale. Le espulsioni ed i respingimenti in mare presentati come misure di cui andare orgogliosi per contrastare l'arrivo dei profughi hanno soltanto un cattivo retrogusto. Roma tuttavia non può essere lasciata sola ad affrontare un fenomeno che ha ormai assunto le dimensioni di un esodo incessante senza che si intravveda uno straccio di soluzione condivisa su scala mondiale e rispettosa dei diritti umani; diritti tra l'altro da mettere in atto senza indugi già nei Paesi d'origine. All'opposto farne un po' ovunque, come purtroppo avviene in maniera sempre più esplicita, il pretesto di bieche speculazioni elettorali alla mercé di interessi inconfessabili è un atteggiamento che va oltre l'indecenza e interpella le coscienze di tutti, nessuno escluso. 

 

VOTO STORICO. A proposito della politica ungherese, fonte di gravi apprensioni nella maggior parte delle capitali, giunge da Bruxelles la conferma che l'europarlamento non intende recedere dai suoi principi istituzionali e resta determinato a scendere  in campo contro i nemici interni della comunità.  Con una votazione storica a favore dello stato di diritto, Strasburgo avvia la procedura che potrebbe attivare l'articolo 7 del Trattato di Roma circa l'adozione di sanzioni contro Budapest. Al governo di Orban si rimprovera di minare i valori europei in merito alla libertà di stampa e contro la discriminazione verso i migranti messa in atto con la chiusura dei confini. Ora spetta ai capi di stato e di governo indicare la procedura da seguire per decidere se applicare o meno le sanzioni. Intanto però il messaggio del Parlamento va direttamente al cuore della questione e si rivolge in particolare ai Paesi che con varie sfumature sono sulla stessa linea delle autorità magiare. Dall'Europa essi esigono soltanto i vantaggi pecuniari sotto forma di svariati miliardi di euro senza offrire nulla in cambio se non astruse ideologie sovraniste del tempo che fu. La posta in palio invece è altissima in quanto chiama in causa i diritti fondamentali sui quali si regge la forza dell'Unione. Al di la dei meri interessi di bottega, a prevalere nelle considerazioni emerse dal lungo dibattito, sono altre motivazioni ; motivazioni etiche e morali affinché l'Europa resti tollerante, aperta, accogliente,  e non diventi una fortezza costruita sull'odio come negli anni Trenta.  In quest'ordine di idee la dinamica dell'eurovoto è già stata all'origine di crepe profonde all'interno della coalizione giallo-verde, con i 5stelle favorevoli alle sanzioni e la Lega schierata invece con Orban. Resta ora da vedere quanto le prossime mosse incideranno sulla compattezza del governo, non proprio solida, e dei suoi rapporti già difficili con Bruxelles. Affaire à suivre.

 

INTEGRITÀ. "No pasaran" era il grido di battaglia col quale la pasionaria Dolores Ibarruri incoraggiava i combattenti anti franchisti esortandoli a tenere duro. Le cose andarono diversamente, però adesso sappiamo che il Duce, Franco ed i loro degni compari, convinti di essere passati, alla fine dovettero ricredersi. Ai tempi nostri in cui l'attualità si mescola ai fantasmi più cupi del Novecento, il no pasaran arrivato da Stoccolma, faticoso ma deciso, è un balsamo per chi lotta al fine di porre un argine all'onda neo fascista. Giunta sull'orlo del precipizio, la Svezia seppur con qualche patema d'animo, per fortuna nostra si è rivelata salda nei suoi principi e non ancora disposta a rinnegare la sua storia ed i valori fondanti della socialdemocrazia che ne hanno fatto una Nazione all'avanguardia nel campo del welfare, della civiltà e della convivenza tra i popoli. La minaccia tuttavia non è ancora scongiurata. Certo, alla destra sempre più estrema e di chiara ispirazione razzista, non è riuscito lo sfondamento che i sondaggi le attribuivano. Ma ci riproverà alla prossima occasione da qualche altra parte e col dente vieppiù avvelenato. Ragion per cui nell'organizzare la Resistenza contro l'oscurantismo bisognerà fare propria la locuzione latina frangar non flectar intesa come uno stimolo per indicare una integrità morale che non si piega e non si spezza davanti a nessuna minaccia o pericolo.

 

SCORCIATOIE. Dopo i giorni neri della Sassonia e lo scampato pericolo scandinavo (ma fino a quando?), per i democratici europei si avvicina l'ora della verità in uno scenario pieno di trabocchetti e insidie di matrice populista e reazionaria. In Italia, mutatis mutandis, mentre Berlusconi, dimenticate le olgettine, prova a rilanciarsi tuffandosi nel calcio minore, sull'altro fronte il governo del cambiamento ha sempre più le fattezze di quello messo in campo dall'ex Cavaliere. Il suo leader in pectore, ovvero Matteo Salvini, non perde occasione di ripetere che lui e solo lui comanda e che non andrebbe a colazione coi magistrati. Frasi roboanti e inutili già sentite ai tempi di Arcore, ma buone per fare voti all'ingrosso. Quanto alla Lega che per anni ha suonato la grancassa di Roma ladrona, ora si scopre- ma guarda che coincidenza- che sui finanziamenti dentro le segrete stanze del Carroccio vigevano regole poco chiare e non tanto diverse da quelle denunciate con tanto accanimento. Un bel boomerang per i leghisti che con gli slogan facili, facili se la sono sempre cavata battendo il tasto sui migranti per sviare l'attenzione dai veri problemi , ma che adesso navigano in acque piuttosto agitate. Ciò nonostante sarebbe incauto da parte della sinistra fare conto sulle scorciatoie giudiziarie per invertire la rotta. Al punto in cui il Paese si trova, ovvero piuttosto basso, la vera sfida si giuoca sul piano culturale e civile, non sulla furbizia demagogica. 

 

VALORI. Per I leader dalle spiccate pulsioni autoritarie il futuro potrebbe avere in serbo un cammino lastricato non soltanto di rose e fiori. Le loro strategie fondate sulla insistente ricerca del capro espiatorio hanno una data di scadenza e tutto alla fine si scopre. Ad alzare i veli ha provveduto Obama che lasciando da parte l'abituale fair-play ha definito il suo successore alla Casa Bianca un rischio per la democrazia. L'affondo segna l'esordio dell'ex presidente nella campagna per le elezioni di metà mandato a novembre che potrebbero risultare fatali per Trump e il suo mandato. Il discorso, caduto non a caso sui demagoghi che cercano consensi a buon mercato sfruttando la paure e il risentimento, ha attraversato l'oceano ed è arrivato a destinazione mentre l'UE si appresta ad affrontare il nodo dell'Ungheria di Orban e decidere se avviare la procedura per la violazione dello Stato di diritto a causa delle sue leggi liberticide. È facile immaginare che nell'aula di Strasburgo si assisterà a una battaglia campale per affermare i valori europeisti che i sovranisti mostrano invece di volere distruggere.

 

VINILE. Strattonato dalle opposte fazioni e a più riprese accusato, senza prove attendibili, di simpatizzare per l'estrema destra, Lucio Battisti a vent'anni dalla scomparsa incanta ancora e ancora fa discutere chi vorrebbe inquadrarlo in un determinato contesto politico. Per la verità tutto ciò sembra piuttosto una polemica di lana caprina che nulla toglie alla musica di Battisti, genio visionario e popolare la cui lezione è sempre attuale. Tanto che le sue canzoni si fischiettano e si cantano a prescindere dalla scheda elettorale. Morto ad appena 55 anni per un male incurabile, il celebre artista ha lasciato in eredità pagine fondamentali della musica popolare italiana pubblicando canzoni che nulla hanno perso della loro attualità grazie anche ai testi che il grande Mogol ha saputo cucirgli sopra. Testi che hanno addirittura contribuito a insegnare l'italiano e nei quali ogni persona è in grado di specchiarsi. L'ultima chicca legate al suo nome è la riproduzione in vinile dei suoi pezzi più noti su un formato che sta risalendo la china e che ha mandato in visibilio i fan vecchi e nuovi di Battisti e del nostalgico e sempre emozionante giradischi.

sabato 22 settembre 2018

La riprovazione della comunità internazionale



 

di Renzo Balmelli  

 

INDECENZA. Quando Michelle Bachelet affronta il tema dei diritti umani violati, sa benissimo di che cosa parla avendone subito personalmente le conseguenze nel suo Paese, il Cile dello spietato Pinochet. Durante la feroce dittatura dei generali ha avuto il padre, altri familiari e molti amici morti nelle prigioni del regime in seguito alle torture subite. Non deve quindi scandalizzare se nel suo intervento all'ONU di Ginevra in veste di Alto commissario dei diritti umani per le Nazioni Unite, l'ex Presidente cilena eletta sulle liste del Partito socialista ha fatto a meno di usare la soave coloritura dello svagato linguaggio diplomatico ed è andata invece subito al cuore della più grave crisi umanitaria del momento: quella dei migranti. Sarebbe tuttavia riduttivo e soprattutto ingiusto nei confronti delle migliaia di volontari che si prodigano ogni giorno per questi infelici, circoscrivere il problema all'Italia, sebbene l'inqualificabile vicenda della Diciotti sia valsa al governo in carica la riprovazione della comunità internazionale. Le espulsioni ed i respingimenti in mare presentati come misure di cui andare orgogliosi per contrastare l'arrivo dei profughi hanno soltanto un cattivo retrogusto. Roma tuttavia non può essere lasciata sola ad affrontare un fenomeno che ha ormai assunto le dimensioni di un esodo incessante senza che si intravveda uno straccio di soluzione condivisa su scala mondiale e rispettosa dei diritti umani; diritti tra l'altro da mettere in atto senza indugi già nei Paesi d'origine. All'opposto farne un po' ovunque, come purtroppo avviene in maniera sempre più esplicita, il pretesto di bieche speculazioni elettorali alla mercé di interessi inconfessabili è un atteggiamento che va oltre l'indecenza e interpella le coscienze di tutti, nessuno escluso. 

 

VOTO STORICO. A proposito della politica ungherese, fonte di gravi apprensioni nella maggior parte delle capitali, giunge da Bruxelles la conferma che l'europarlamento non intende recedere dai suoi principi istituzionali e resta determinato a scendere  in campo contro i nemici interni della comunità.  Con una votazione storica a favore dello stato di diritto, Strasburgo avvia la procedura che potrebbe attivare l'articolo 7 del Trattato di Roma circa l'adozione di sanzioni contro Budapest. Al governo di Orban si rimprovera di minare i valori europei in merito alla libertà di stampa e contro la discriminazione verso i migranti messa in atto con la chiusura dei confini. Ora spetta ai capi di stato e di governo indicare la procedura da seguire per decidere se applicare o meno le sanzioni. Intanto però il messaggio del Parlamento va direttamente al cuore della questione e si rivolge in particolare ai Paesi che con varie sfumature sono sulla stessa linea delle autorità magiare. Dall'Europa essi esigono soltanto i vantaggi pecuniari sotto forma di svariati miliardi di euro senza offrire nulla in cambio se non astruse ideologie sovraniste del tempo che fu. La posta in palio invece è altissima in quanto chiama in causa i diritti fondamentali sui quali si regge la forza dell'Unione. Al di la dei meri interessi di bottega, a prevalere nelle considerazioni emerse dal lungo dibattito, sono altre motivazioni ; motivazioni etiche e morali affinché l'Europa resti tollerante, aperta, accogliente,  e non diventi una fortezza costruita sull'odio come negli anni Trenta.  In quest'ordine di idee la dinamica dell'eurovoto è già stata all'origine di crepe profonde all'interno della coalizione giallo-verde, con i 5stelle favorevoli alle sanzioni e la Lega schierata invece con Orban. Resta ora da vedere quanto le prossime mosse incideranno sulla compattezza del governo, non proprio solida, e dei suoi rapporti già difficili con Bruxelles. Affaire à suivre.

 

INTEGRITÀ. "No pasaran" era il grido di battaglia col quale la pasionaria Dolores Ibarruri incoraggiava i combattenti anti franchisti esortandoli a tenere duro. Le cose andarono diversamente, però adesso sappiamo che il Duce, Franco ed i loro degni compari, convinti di essere passati, alla fine dovettero ricredersi. Ai tempi nostri in cui l'attualità si mescola ai fantasmi più cupi del Novecento, il no pasaran arrivato da Stoccolma, faticoso ma deciso, è un balsamo per chi lotta al fine di porre un argine all'onda neo fascista. Giunta sull'orlo del precipizio, la Svezia seppur con qualche patema d'animo, per fortuna nostra si è rivelata salda nei suoi principi e non ancora disposta a rinnegare la sua storia ed i valori fondanti della socialdemocrazia che ne hanno fatto una Nazione all'avanguardia nel campo del welfare, della civiltà e della convivenza tra i popoli. La minaccia tuttavia non è ancora scongiurata. Certo, alla destra sempre più estrema e di chiara ispirazione razzista, non è riuscito lo sfondamento che i sondaggi le attribuivano. Ma ci riproverà alla prossima occasione da qualche altra parte e col dente vieppiù avvelenato. Ragion per cui nell'organizzare la Resistenza contro l'oscurantismo bisognerà fare propria la locuzione latina frangar non flectar intesa come uno stimolo per indicare una integrità morale che non si piega e non si spezza davanti a nessuna minaccia o pericolo.

 

SCORCIATOIE. Dopo i giorni neri della Sassonia e lo scampato pericolo scandinavo (ma fino a quando?), per i democratici europei si avvicina l'ora della verità in uno scenario pieno di trabocchetti e insidie di matrice populista e reazionaria. In Italia, mutatis mutandis, mentre Berlusconi, dimenticate le olgettine, prova a rilanciarsi tuffandosi nel calcio minore, sull'altro fronte il governo del cambiamento ha sempre più le fattezze di quello messo in campo dall'ex Cavaliere. Il suo leader in pectore, ovvero Matteo Salvini, non perde occasione di ripetere che lui e solo lui comanda e che non andrebbe a colazione coi magistrati. Frasi roboanti e inutili già sentite ai tempi di Arcore, ma buone per fare voti all'ingrosso. Quanto alla Lega che per anni ha suonato la grancassa di Roma ladrona, ora si scopre- ma guarda che coincidenza- che sui finanziamenti dentro le segrete stanze del Carroccio vigevano regole poco chiare e non tanto diverse da quelle denunciate con tanto accanimento. Un bel boomerang per i leghisti che con gli slogan facili, facili se la sono sempre cavata battendo il tasto sui migranti per sviare l'attenzione dai veri problemi , ma che adesso navigano in acque piuttosto agitate. Ciò nonostante sarebbe incauto da parte della sinistra fare conto sulle scorciatoie giudiziarie per invertire la rotta. Al punto in cui il Paese si trova, ovvero piuttosto basso, la vera sfida si giuoca sul piano culturale e civile, non sulla furbizia demagogica. 

 

VALORI. Per I leader dalle spiccate pulsioni autoritarie il futuro potrebbe avere in serbo un cammino lastricato non soltanto di rose e fiori. Le loro strategie fondate sulla insistente ricerca del capro espiatorio hanno una data di scadenza e tutto alla fine si scopre. Ad alzare i veli ha provveduto Obama che lasciando da parte l'abituale fair-play ha definito il suo successore alla Casa Bianca un rischio per la democrazia. L'affondo segna l'esordio dell'ex presidente nella campagna per le elezioni di metà mandato a novembre che potrebbero risultare fatali per Trump e il suo mandato. Il discorso, caduto non a caso sui demagoghi che cercano consensi a buon mercato sfruttando la paure e il risentimento, ha attraversato l'oceano ed è arrivato a destinazione mentre l'UE si appresta ad affrontare il nodo dell'Ungheria di Orban e decidere se avviare la procedura per la violazione dello Stato di diritto a causa delle sue leggi liberticide. È facile immaginare che nell'aula di Strasburgo si assisterà a una battaglia campale per affermare i valori europeisti che i sovranisti mostrano invece di volere distruggere.

 

VINILE. Strattonato dalle opposte fazioni e a più riprese accusato, senza prove attendibili, di simpatizzare per l'estrema destra, Lucio Battisti a vent'anni dalla scomparsa incanta ancora e ancora fa discutere chi vorrebbe inquadrarlo in un determinato contesto politico. Per la verità tutto ciò sembra piuttosto una polemica di lana caprina che nulla toglie alla musica di Battisti, genio visionario e popolare la cui lezione è sempre attuale. Tanto che le sue canzoni si fischiettano e si cantano a prescindere dalla scheda elettorale. Morto ad appena 55 anni per un male incurabile, il celebre artista ha lasciato in eredità pagine fondamentali della musica popolare italiana pubblicando canzoni che nulla hanno perso della loro attualità grazie anche ai testi che il grande Mogol ha saputo cucirgli sopra. Testi che hanno addirittura contribuito a insegnare l'italiano e nei quali ogni persona è in grado di specchiarsi. L'ultima chicca legate al suo nome è la riproduzione in vinile dei suoi pezzi più noti su un formato che sta risalendo la china e che ha mandato in visibilio i fan vecchi e nuovi di Battisti e del nostalgico e sempre emozionante giradischi.

lunedì 30 aprile 2018

Vittorio Taviani: “Perché il fascismo tenta di tornare”

di Renzo Balmelli  
 
RINTOCCHI. La storia in sé non è né buona né cattiva. L'uso che se ne fa invece sì. Con i suoi rintocchi di morte, quanto accade ogni giorno in Siria sotto i nostri occhi conduce inesorabilmente alla conclusione che l'uomo non ha imparato la lezione. Tra missili, che nonostante l'ondivaga vulgata trumpiana non sono né belli né intelligenti, e l'incubo degli attacchi chimici negati dal regime e dai suoi scaltri, cinici alleati, questo disgraziato paese, culla di una civiltà millenaria, è diventato il banco di prova delle peggiori infamie contro l'umanità. Macerie su macerie, lapidi su lapidi si accumulano senza che un solo gesto sia venuto a promuovere il bene della popolazione martoriata. Qui non soltanto si violano le norme che regolano la moralità individuale e collettiva, ma si compiono distruzioni e massacri che sollevano inquietanti interrogativi sulla salute mentale di chi ne porta la responsabilità e tiene il mondo sotto scacco. Quando verrà scritta l'ultima pagina di questa storia tristissima e frequentata da pessimi allievi a ricordarla resterà soltanto il racconto di infinite, assurde sofferenze. 
 
IMPUNITÀ. Sovrastate dal rombo incessante della nervosissima corsa agli incarichi, nell'ombra si perpetuano, ormai con quotidiana frequenza, le rozze esplosioni di razzismo e di antisemitismo. La casa dell'ex ministro Cécile Kyenge imbrattata di escrementi, l'uso blasfemo dell'immagine di Anna Frank e l'incisione nazista a Montecitorio sono gli ultimi episodi un fenomeno a questo punto non più ascrivibile soltanto ai soliti balordi. Gesti del genere, carichi di disprezzo verso i valori dell'integrazione, si inseriscono ormai in un'ampia, deliberata campagna di odio e intolleranza alimentata dall'impunità sui social media e forse, in una certa qual misura, anche dall''avanzata di forze che non di rado hanno assunto posizioni chiaramente razziste e xenofobe. La tendenza a compiere atti tanto vili non è un fenomeno isolato o soltanto italiano ma è presente in tutta Europa in misura crescente. Essa va perciò circoscritta con la massima fermezza poiché solo in questo modo si eviterà di precipitare nell'abisso morale di chi si ispira alle peggiori ideologie ereditate dal passato. 
 
OPINIONE. Che la Lega di Salvini veda Palazzo Chigi come un agognato miraggio, ormai l'hanno capito anche i neonati. Meno si capisce invece la presunzione di volere imporre la propria tabella di marcia ad ogni costo pur mancando i numeri sul piano nazionale, e fosse pure con l'aiutino della destra. Alla conta finale dei voti c'è difatti un dettaglio post elettorale tutt'altro che trascurabile che fa del Carroccio, nonostante l'innegabile messe di consensi, soltanto la terza forza in campo. Una mezza vittoria, insomma, che non basta per tagliare il traguardo in solitaria. In classifica lo schieramento leghista viene dopo il Pd, che certo ha preso una scoppola di quelle che lasciano il segno, ma che per quanto deprecato dagli avversari a rigor di percentuali rimane il secondo schieramento quantunque abbia scelto l'esilio volontario in quel suo strano Aventino di cui un giorno o l'altro dovrà rendere conto al Paese ai suoi disorientati elettori. Ma in politica si sa i margini di manovra sono elastici e capita spesso che la matematica sia soltanto un'opinione. 
 
PREZZO. Daniel Defoe viene frequentemente indicato come il padre del romanzo moderno, ma egli non è il solo nel mondo anglosassone ad avere contribuito in modo decisivo a dare un nuovo, fondamentale indirizzo all'arte del narrare unendo la grazia dello scrivere al rigore del reportage. Se Defoe, con Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, può essere considerato un precursore della scuola freudiana, l'americano Januarius MacGahan, di cui si parla in varie recensioni grazie all'iniziativa editoriale di Laterza, spianò a sua volta la strada in pieno ottocento al moderno giornalismo d'inchiesta con pezzi da manuale che la casa editrice ha raccolto nel volume "Tredici giornalisti quasi perfetti". Inviato sui vari fronti MacGohan scosse il mondo e risvegliò le coscienze intorpidite rivelando crimini e misfatti sui campi di battaglia fin lì censurati. Le sue corrispondenze fecero tremare i governi dell'epoca e seppero toccare il cuore dei lettori come mai era accaduto prima che venissero portati alla luce gli effetti sconvolgenti del genocidio tra la povera gente che paga sempre, oggi come ieri, il prezzo più alto della follia guerrafondaia.
 
ILLUSIONI. Sarebbe riduttivo racchiudere i film di Milos Forman soltanto ai suoi celebri "Amadeus" e " Qualcuno volò sul nido del cuculo" senza inquadrare l'opera del regista, scomparso a 86 anni, nell'iniziale contesto della "Nova Vilna", la nouvelle vague di Praga che segnò una svolta nella cinematografia mondiale mentre la capitale cecoslovacca viveva la sua esaltante quanto breve primavera stroncata dall'invasione sovietica. Con "Gli amori di una bionda", primo lungometraggio di Forman e con "Treni strettamente sorvegliati" tratto dall'omonimo romanzo di Rabal che tenne a battesimo l'esordio di Jiri Menzel, andare al cinema in quell'epoca densa di eventi memorabili e di pellicole di straordinaria, polemica e dissacratoria vitalità era una gioia impagabile. Gli echi di quella ribellione culturale all'ottuso potere dei burocrati avrebbero contagiato migliaia di giovani che si davano appuntamento nei mitici Caffè lungo le rive della Moldava inseguendo il sogno di una società libera dalle costrizioni prima che il Cremlino scrivesse nel sangue la parola "FINE". La fine delle illusioni.
 
MAESTRO. Ironia del destino, la scomparsa di Vittorio Taviani a ventiquattro ore da quella di Forman, lascia orfana la settima arte di due eccelsi registi la cui traiettoria artistica ha segnato quella che molti critici concordano nell'indicare come l'epoca d'oro del cinema d'autore. Altri confronti sarebbero tuttavia azzardati nell'incrocio temporale di due percorsi che hanno si qualche punto in comune nell'impegno civile, ma che divergono sostanzialmente nella forma e nella ricerca. Il campo di attività ha visto il maggiore dei due fratelli toscani seguire una strada di totale coerenza nel raccontare la realtà, la storia e le contraddizioni dell'Italia, ma non solo, attraverso sequenze di ampio respiro culturale ed europeo. Cosa che invece era andata via via scemando durante l'esilio americano dell'autore di origine ceca sottoposto alla dura legge del mercato e del botteghino. Vittorio Taviani verrà ricordato come un grande Maestro capace di girare straordinari capolavori in cui i grandi eventi locali e universali si intrecciano con la vita di ogni giorno andando al cuore della gente e conquistando i favori del pubblico. Pellicole pluripremiate come "Padre Padrone" oppure lo stupendo "La notte di San Lorenzo" con la sua inimitabile cifra stilistica affrontano con coinvolgente, drammatica ed emozionante partecipazione ideale il tema della Resistenza che nell'ultimo film " Una questione privata", ritratto di Beppe Fenoglio del 2017, segna la chiusura di un cerchio, come l'avevano definita Vittorio e Paolo Taviani, "perché il fascismo torna o tenta di tornare".



L’ex Cav e l’Ircocervo


 di Renzo Balmelli 
 
IRCOCERVO. Al di là del suo teatrale e imbarazzante stile di governo, a Berlusconi va se non altro riconosciuto il merito, da vero affarista, di sapere inquadrare le situazioni con definizioni di sicuro effetto. Per il dopo 4 marzo e la confusione in cui versa la politica, l'ex Cav è andato a rovistare nella mitologia scoprendo calzanti analogie con l'ircocervo, bizzarra creatura per metà cervo e per metà caprone, usato come metafora di cose impossibili o irrealizzabili. Come appunto conciliare le posizioni di coloro che si contendono Palazzo Chigi tra insulti, dispetti e indecorose messe in scena da avanspettacolo. Deprimente davvero! Eppure, vista la difficoltà di sciogliere i nodi e di dare al Paese un esecutivo all'altezza delle aspettative, per evitare il peggio basterebbe usare un po' di buon senso. Basterebbe lasciare lavorare in pace il silente e discreto Gentiloni che pur nei limiti del suo mandato prova a tenere salda la barra per risparmiare all'Italia la stessa fine della nave di Schettino. E dite se è poco.
 
DERIVA. Resistere. Resistere. Resistere. Nell'ottica della schiacciante vittoria dell'ungherese Orban che spaventa l'Europa, la vera posta in palio, a prescindere dalle laboriose consultazioni del Quirinale, consiste nel sapersi fermare prima del precipizio. Recuperare il valore e il significato dell'accorato appello di Francesco Saverio Borrelli è la chiave di volta per frenare la deriva verso i lidi poco accoglienti di Visegrad, magari avendo in sottofondo pure la marcia di Radetzky. Però non quella allegra del concerto di Capodanno, bensì la versione meno giocosa che traspare dalla tessitura del grande romanzo di Jospeh Roth in cui a prevalere sono con il loro carico di calamità i tragici conflitti etnici, i nazionalismi, il populismo, il razzismo, l'antisemitismo e il sovranismo, ossia i mali peggiori di questa e di altre epoche non molto lontane. Se tali tendenze, tra l'altro non estranee all'aspro linguaggio di una certa destra italiana, finissero col prevalere, a quel punto resistere come lungo una ideale linea del Piave diverrebbe un imperativo morale imprescindibile. 
 
ILLUSIONI. Si dice che la storia non si ripete. Sarà vero, ma forse più per una questione di forma che non di sostanza. Non sono quindi da sottovalutare le inquietudini di coloro che paventano il timore del ritorno e paragonano la situazione odierna a quella del 1922, quando le istituzioni democratiche erano drammaticamente fragili. Sorprendenti a tale proposito sono le risultanze di una inchiesta svolta di recente tra i giovanissimi e che presenta similitudini col passato davvero sconsolanti. Siamo in presenza di adolescenti che disarmati di fronte allo scontento interpretano il fascismo, spesso in modo inconsapevole, come una bella moda capace di creare uno stile di vita "specchio della politica di domani". Fu così anche la prima volta. E fu una sciagura nazionale. Merce avariata e ideologie bacate che un secolo dopo e con le stesse modalità i cattivi maestri di oggi rivendono attraverso l'uso spregiudicato dei social ai ragazzi che cercano una via per orientarsi in un confuso presente. E che ancora ignorano quanto dolorosa possa essere la fine brutale delle illusioni. 
 
LESSICO. Chiede Corrado Augias nella stimolante rubrica che tiene abitualmente su Repubblica "se la sinistra è morta o è solo svenuta". Verrebbe voglia di rispondere parafrasando un celebre aforisma di Woody Allen: ahinoi va tutto di traverso, persino al buon Dio, e anche la sinistra non sta molto bene. Certo, a vederla defunta sono in tanti ad augurarselo. Specialmente agli ultimi piani di quei palazzi in cui si concentra l'enorme potere dell'alta finanza e che giudica una scocciatura scendere di sotto per verificare come va il mondo delle persone normali al di fuori delle stanze ovattate. Per evitare funerali prematuri, comunque non serve a nulla continuare a litigare. Meglio sarebbe – osserva Augias – ripensare il lessico che può aiutare a portare idee nuove nella crisi di identità e di consenso. Anni fa su questo fronte si batteva un certo Ivo Livi, un italiano di Francia e uomo di sinistra, famoso in tutto il mondo come Yves Montand, convinto che anche quando le cose sembrano senza speranza, malgrado tutto bisogna essere decisi e cambiarle. Per conquistare cuori e menti. 
 
DIRITTI. Ci si scandalizza a giusta ragione per la bufera che investe Facebook e la violazione della sfera privata mediante l'uso manipolatorio di milioni di dati. Ma si dimentica che tali abusi, destinati nella maggior parte dei casi ad assecondare le voglie dei più forti per fini elettorali, non sono una prerogativa di questi tempi. Basti pensare allo strazio che ne fecero i nazisti per giustificare l'Olocausto pur non disponendo dei mezzi di oggi. Si può dunque affermare che sbagliato non è lo strumento in sé quanto l'uso perfido e odioso che se ne fa. Ne sa qualcosa Laura Boldrini, una persona per bene, presa di mira da una velenosa campagna carica di insulti irripetibili attraverso la proliferazione dei blog. Ora si attendono le iniziative dei garanti della privacy per tutelare gli utenti da pericolose incursioni nelle loro convinzioni, nelle loro abitudini e nei loro stile di vita. In una parola i loro diritti di liberi cittadini.  Un passo importante in questa direzione è dato dalla capacità di non farsi abbindolare dai cattivi profeti che le studiano tutte per vellicare gli istinti più riposti di chi non conosce altro che il livore.

lunedì 22 gennaio 2018

La prima bimba nata in Austria

di Renzo Balmelli

BRIVIDI. Sono trascorse alcune settimane, ma ripensandoci continuano a provocare un senso di angoscia le ingiurie di stampo razzista rivolte alla prima bimba nata in Austria all'inizio dell'anno per il solo fatto di essere mussulmana. In un Paese civile della civile Europa, ma ora tenuto sotto scacco dall'estrema destra, mette i brividi l ' idea che si possa arrivare a simili abiezioni, al punto da augurare a una bimba innocente di morire nella culla. Secondo una bizzarra teoria gli anni che si concludono con l'otto portano con se novità e rivolgimenti. E anche il 2018 non fa eccezioni. Ma se il mattino si vede dal buongiorno, questo episodio anziché risollevare lo spirito, ci fa sprofondare nella notte più buia e profonda, presaga di di istinti e insulti bestiali come non se ne vedevano dai tempi dell'ultima guerra.

MEMORIA. Può darsi che il fascismo non torni al governo. O almeno si spera. Dicono difatti gli addetti ai lavori che la storia non si ripete mai due volte. Ma in certi casi è lecito dubitarne. Se consideriamo che nella marea dei social ospitata da compiacenti testate, l'antifascismo viene guardato con malcelato disprezzo e non come un valore universale, c'è poco da stare allegri. Eppure di quell'epoca nefasta esistono scritti e testimonianze che non lasciano dubbi. Per rendersi conto, basta rileggere i libri di Aharon Appelfeld, il grande scrittore israeliano e uno degli ultimi testimoni sopravvissuti alla Shoah , scomparso all'inizio di gennaio, che ha vissuto sulla propria pelle, fin da bambino, lo scempio della guerra e di un barbaro regime assassino. Scrivere era per lui il modo più naturale di darne conto, ricordare e perpetuare. Una lezione più che mai attuale, in particolare oggi quando l'importanza della memoria sembra svanire di fronte all'insorgere dell'odio razziale e del recrudescente mito dell'uomo forte.

CONSENSO. "Per qualche dollaro in più" è un western molto famoso della così detta trilogia del dollaro diretta da Sergio Leone, maestro insuperabile di questo genere di pellicole. Non è dato a sapere se Donald Trump ne abbia mai vista una, ma di sicuro non ignora che qualche dollaro in più nel portafoglio aiuta ad ammansire anche coloro che non l'hanno votato e non avranno mai una lussuosa "dacia" come la sua nel cuore di New York .Detto, fatto. Col grande vantaggio, tra l'altro, di distogliere l'attenzione sul piano interno dalle gaffe a ripetizioni che lo portano ad etichettare con epiteti irrepetibili Haiti, El Salvador e parecchi stati africani. Insomma, facendo circolare un pò di " money" e rendere più facile l'accesso ai consumi, il Presidente sa come comperare il consenso dimostrandosi tutt'altro che stupido o malato, pur restando una mina vagante e pericolosa del panorama politico interno e internazionale. 

INELEGGIBILE. Bisogna riconoscere che un pochino ci mancavano le spassose e fatue comparsate di Silvio Berlusconi in televisione. Rivederlo all'opera nei salotti a lui più congeniali alle prese con schizzi, diagrammi e cifre prese chissà dove, ci ha fatto ringiovanire di qualche anno. Oppure, all'opposto, invecchiare di colpo. Poiché se è in questo reticolo di promesse e bugie trasversali e di schieramenti e partiti senza visioni e senza unità che funziona la campagna, tremano le vene ai polsi cercando di immaginare che Italia uscirà dalle urne il 4 marzo. A maggior ragione riflettendo sul fatto che l'ex Cavaliere, auto proclamatosi Presidente nella carica dei loghi col nome dentro, a norme di legge non è eleggibile. Per dirla con una salace battuta di Michele Serra " ineleggibile che arriva in dirigibile". Strano che nessuno degli intervistatori glielo abbia fatto notare.

SPINA. Sarà claudicante e non al massimo della forma, ma quando le cose non girano per il verso giusto e la destra ne ha combinate un po' troppe per uscire da sola dai pasticci, tocca alla sinistra rientrare in gioco per rimettere le pedine al posto giusto. Anche in questi giorni, segnati da lunghe e turbolente trattative, il contributo della SPD tedesca è stato determinante per aprire uno spiraglio in vista di una nuova Grosse Koalition. Alla lunga si è capito che la gente vuole un Paese che funzioni e non a caso l'intesa faticosamente raggiunta e ancora da perfezionare è stata letta come un bene per l'Europa e una certa idea della cultura europea nel solco dell'eredità tramandata dai padri fondatori. Un governo stabile a Berlino potrebbe sbloccare importanti decisioni e livello comunitario, non ultima la spina nel fianco della Brexit che per molti elettori britannici ha ormai il sapore di un boccone troppo amaro.

DERIVE. Stiamo cadendo sempre più in basso. Dalle farneticazioni a proposito della "razza bianca a rischio", alla soluzione estrema dell'emergenza migratoria, ormai se ne odono di tutti colori. E a esprimersi così, senza nessuna vergogna, sono politici autorevoli, candidati per posti di prestigio e di governo. Ai numerosi e rumorosi tentativi di riabilitazione del Duce, strumentalizzati ad arte per dare libero sfogo ai malumori, si aggiunge l'aggravarsi del clima di intolleranza destinato a creare inquietudine e pericolose derive nostalgiche. La qualcosa, in mancanza di una vera risposta politica, aumenta il pericolo di fare rivivere le pagine più brutte del passato in un contesto largamente condizionato dall'uso spregiudicato delle fakes news. Se ripensiamo alle tragedie vissute durante la dittatura in Cile e Argentina, l'ipotesi di caricare i profughi sugli aerei per rispedirli da dove vengono, ma senza sapere dove andranno, non consente di dormire sonni tranquilli sul futuro dell'umanità. Tutta l'umanità "in un mondo che è plurale", come ricorda Hannah Arendt.