martedì 13 dicembre 2016

Ed è subito sera.

di Renzo Balmelli 

 

RICADUTE. Evocare lo scollamento tra politica e società è talmente ovvio da non trovare, paradossalmente, nulla di meglio da aggiungere per provare a decifrare la confusione che ci circonda. Nell'intreccio di situazioni sempre più complesse, persino Diogene con la sua filosofica saggezza e il suo mitico lanternino, farebbe fatica a rischiarare la scena. I nervi sono a fior di pelle e l'eccitazione spasmodica, enfatizzata dalla rete, che ha contrassegnato la Brexit, l'elezione di Trump e in ultima analisi anche il referendum italiano, ne è d'altronde una dimostrazione eloquente. I vecchi schemi sono saltati e quelli nuovi sono come certe idee: pochi, ma confusi. Ovunque, nei luoghi in cui il disagio sociale coniugato alla rabbia si rivolta contro la casta e non pare più disposto a fare sconti, prevale la sensazione – e qui chiediamo venia a Quasimodo per l'indebita citazione – che sia subito sera. Anzi, notte.

 

DIGA. Avrebbe dovuto essere la marcia funebre dell'Europa. Dal Danubio, ancora blu nonostante l'inquinamento, sono sgorgate invece, tra il sollievo generale, le immortali melodie di Strauss. La slavina populista che minacciava di trasformarsi in una valanga capace di contagiare e travolgere i valori di libertà, uguaglianze e solidarietà che stanno alla base dell'Unione si è fermata davanti alla solida diga eretta dagli elettori di un Paese che a dispetto dei cattivi profeti ha deciso di restare europeista. La vittoria per la presidenza dell'ecologista Van der Bellen ha inoltre evidenziato che la battaglia contro l'estrema destra si può vincere anche se sarà lunga e difficile. Difatti la partita non si è chiusa il 4 dicembre. Dai ranghi dello sconfitto, l'ultra nazionalista Hofer, già si levano propositi di rivincita che guardano al futuro con l'intento di riportarci al passato. Per intanto prendiamo atto con soddisfazione dello smacco inferto alle forze reazionarie e intolleranti, augurandoci che il verdetto delle urne non sia una fugace eccezione.

 

INCOGNITE. Il referendum è alle spalle. E adesso? Oggi, domani, fra un mese, fra un anno? Sono capitoli tutti da scrivere senza sapere come. Al netto dei passi falsi di Renzi, per i quali si è ormai esaurito il breviario dei commenti, dei possibili scenari e della satira pungente, l'impressione è che il dado, in assenza di una leadership credibile e nella prospettiva di frettolose elezioni anticipate, sia tornato alla casella di partenza in un clima carico di incognite. Se "del doman non v'è certezza", un punto fermo comunque c'è. La grande affluenza ha reso evidente il fatto che la gente, attraverso la democrazia referendaria, sa di poter disporre di uno strumento col quale partecipare, farsi sentire e ottenere udienza per i problemi quotidiani. Che non son pochi. Le ultime statistiche dicono che un italiano su quattro è a rischio povertà, che il divario tra ricchi e poveri continua a crescere e che l'emigrazione aumenta di giorno in giorno. Come si vede l'emergenza è altrove, e l'avere caricato di toni apocalittici e plebiscitari la riforma costituzionale è stato un errore fatale. A questo punto l'esigenza di una sinistra coesa, meno litigiosa e meno condizionata da mai sopiti rancori personali, diventa un fattore fondamentale per uscire dal labirinto e sgombrare il campo da antipatici equivoci. Si può infatti supporre che qualche dolorino di pancia sia stato avvertito in seguito alla corposa minoranza del NO in casa Pd che pur con argomenti legittimi e di ben altro spessore ha finito comunque col trovarsi , sicuramente senza averlo ne voluto ne cercato, sullo stesso carro di Salvini e Grillo che scalpitano per entrare nella stanza dei bottoni. Magari con una strategia condivisa sarebbe stato meno arduo affrontare le sfide che si affacciano all'orizzonte proprio ora, in una fase in cui un brutto vento di destra soffia su tutti i Paesi del mondo e l'Europa, che deve poter contare sul ruolo di un' Italia stabile, si trova ad affrontare la più insidiosa delle sue crisi.

 

ESAMI. Diffidiamo dei sondaggi, d'accordo. Ma qualche considerazioni di carattere generale si può comunque fare nella prospettiva degli esami elettorali che agitano l'Europa in vista delle scadenze programmate l'anno prossimo. Ma come? Nelle valutazioni dei media internazionali balza subito all'occhio il fatto che i due maggiori leader di centro sinistra, Renzi e Hollande, hanno già dato o stanno dando addio alle loro cariche con onestà non usuale che però suona come un un gesto di resa. In Francia, con la sinistra indebolita, Marine Le Pen viene persino data in vantaggio anche rispetto al candidato repubblicano Fillon, mentre in Germania Angela Merkel , eletta con qualche punticino in meno per la sua nona presidenza alla guida della CDU, dovrà stringere i denti per limitare i danni nel momento in cui l'onda populista e la scalata del partito di estrema destra si fa vieppiù inquietante. Su questo panorama ben poco rassicurante troneggia la figura di Trump che se già ne combina di tutti i colori adesso, chissà cos'altro avrà in serbo quando sarà il proprietario unico di un micidiale arsenale atomico da fare impallidire il dottor Stranamore. Per scongiurare l'insonnia non resta che confidare nell'effetto benefico della cara, vecchia Austria riscopertasi un pochino "felix" in un ritrovato contesto liberale e cosmopolita. Finché dura!

 

ORELLI. Alla lingua e alla letteratura italiana in Svizzera che non di rado deve sgomitare per avere lo spazio che le compete, è venuto a mancare un interprete di primissimo piano. Nella città di Lugano, dove ha trascorso gran parte della sua vita, si è spento a 88 anni, Giovanni Orelli, scrittore, poeta, saggista e alfiere di " un allegro espressionismo", come amava definirsi, contrassegnato da un grande rigore morale e intellettuale. Politicamente impegnato a sinistra, per decenni Orelli, laureato in filologia a Milano, professore e umanista , ha marcato il mondo politico e culturale della Confederazione. E non solo. Sia per gli studi universitari, sia per la consapevolezza di essere sospeso tra due realtà diverse, ha sempre avuto l'Italia nel cuore. L'Italia, il Paese che considerava depositario della sua lingua e cultura di appartenenza. Della sua passione per Dante e Montale e di tanti altri nomi parlò diffusamente nel corso di una memorabile serata letteraria al Coopi di Zurigo in cui diede al pubblico un saggio, frizzante come l'aria delle montagne in cui era nato , della sua biografia di uomo e di autore. Biografia, disse in una intervista apparsa sulla rivista di Pro Helvetia, deducibile "dai non pochi libri che ho letto". E dai non pochi che ha scritto e che gli sono valsi, tra tanti riconoscimenti, anche il Gran Premio Schiller per l'insieme della sua produzione che costituisce oggi uno straordinario patrimonio di cultura.