venerdì 11 dicembre 2009

Il paziente si salverà, a patto che. . .

Molti pensavano fosse una scena folkloristica, invece da Copenaghen sale un grido di allarme. Cio’ che conta davvero per dare un senso al vertice è imprimere una svolta decisiva alle strategie per la riduzione delle emissioni inquinanti.   

di Renzo Balmelli 

CLIMA. Molti pensavano fosse una scena folkloristica, invece era un grido di allarme. Anche oltre i cinquemila , sulle cime che il governo del Nepal ha scelto come sede estomporanea per una inedita forma di protesta, l’aria è sempre piu’ inquinata. Ora gli occhi del mondo sono puntati sulla capitale danese per capire e giudicare se dalla Conferenza dell’ONU sul clima uscirà qualcosa di buono, concreto e duraturo per salvare la Terra dal surriscaldamento climatico. Ma la distanza che ancora separa l’intreccio non sempre virtuoso delle economie dagli obbiettivi piu’ coraggiosi e innovativi stempera le speranze della vigilia. Cio’ che conta davvero per dare un senso al vertice di Copenaghen è imprimere una svolta decisiva alle strategie in cantiere per la riduzione drastica delle micidiali emissioni inquinanti che stanno soffocando il mondo di Co2. Per rendere l’idea degli enormi pericoli che incombono sull’umanità, nel loro appello comune i maggiori quotidiani del mondo hanno rappresentato il nostro pianeta in attesa del pronto soccorso. Il paziente si salverà, solo grazie a un’intesa globale , condivisa e di immediata attuazione sui gas serra, con tutto quello che comporta. Ma è qui che casca l’asino. Ormai lo sanno anche i paracarri. Sul piatto vi sono miliardi e miliardi di dollari che fanno gola non solo per nobili motivi.

PARADOSSI. Per chi crede che nonostante tutto sia sempre meglio mettere un fiore sulla bocca del fucile piuttosto che un colpo in canna, non mancano i motivi di rammarico. Succede cosi’ che nel frastuono del referendum sui minareti sia passata quasi inosservata la non meno grave vendita di armi all’estero che la Svizzera ha approvato senza battere ciglio. Con quei congegni, autorizzati in nome del “ pecunia non olet,” verranno uccise delle persone innocenti. E’ il paradosso del paese piu’ pacifico al mondo, che in nome dei propri interessi pare avere dimenticato di essere la culla della Croce Rossa. Pero' non è solo . Anche Obama, colomba elettorale per antonomasia e Nobel per la pace, sembra soffrire il suo primo vuoto di memoria. Fino a ieri paladino della “ exit strategy” dall’Afghanistan per non rivivere l’incubo dell’era Bush, ora non vede altra via d’uscita alla crisi all’infuori dell’opzione militare; opzione cui affidarsi fino a quando sarà necessario per "finire il lavoro". Parafrasando Bismarck, pare di assistere alla prosecuzione della diplomazia con altri mezzi. Il presidente assicura che il Paese non sarà vittima della sindrome del Vietnam, della guerra che si perde a Washington, nei palazzi della politica, ancora prima di essere combattuta sul campo. Ipotesi azzardata , che in passato è stata spesso smentita. Altri ragazzi potrebbero morire o tornare mutilati , senza avere stroncato il terrorismo di marca talebana. Questa “ora è la guerra di Obama”, come titola lo Stars and Stripes, il giornale delle forze armate degli Stati Uniti. La guerra di Obama? Che paradosso! I sogni svaniscono, in una notte in cui la luna si è oscurata.

MAFIA. Con le deposizioni dei pentiti bisogna andarci piano e chiedere verifiche prima di prenderle per buone. La posizione espressa da Luciano Violante raccoglie il consenso di Giancarlo Caselli, Procuratore capo di Torino. Il successore di Falcone e Borsellino, che è stato in prima linea nella lotta alla mafia e vive tuttora sotto scorta, aggiunge pero’ una postilla significativa. Non è normale che le rivelazioni siano credibili se riguardano Toto’ Riina e diventino carta straccia quando parlano di personaggi eccellenti. In questa interpretazione c’è una sorta di garantismo selettivo che da solo non basta a dare una risposta rassicurante al Paese , da giorni sotto choc, incredulo e bisognoso di sapere dopo gli interrogativi sollevati dal caso Spatuzza. Certo, piu’ latitanti finiscono in galera, piu’ si incrina il muro dell’omertà . Ma la cupola , quella vera, quella che prova a infliltrarsi nei gangli del potere, è un’altra cosa, inafferrabile e senza volto. Per estirparla servono serie riforme . Il fenomeno, come suggerisce Caselli, si batte con l’antimafia sociale e del diritto , l’unica in grado di arare il terreno su cui promuovere la cultura della legalità.

P.S.- Ubi maior minor cessat.
Su Ciampi e Napolitano, accolgo col massimo rispetto le osservazioni del senatore Besostri ( v. ADL del 2.12.09), che a proposito dei due inquilini del Quirinale mi attribuisce un giudizio di merito che pero’ non mi pare di avere pronunciato. Non ho mai pensato “ che il primo fosse un intransigente e il secondo un accomodante” con Berlusconi. Constato soltanto che il premier, infischiandosene della sobrietà, inisiste a governare con le leggi ad personam, i lodo- scudo ed i presunti " legittimi impedimenti" che lo pongono al riparo dai processi. In quest’ottica vagamente surreale, lascia stupefatti che sia Fini , seppur per svariati motivi , a fare la faccia feroce nei confronti del Cavaliere. E’ il vistoso controsenso su cui il Pd dovrebbe riflettere anzichè presentarsi in ordine sparso al NO B DAY, che come scrivono i suoi denigratori magari non ha cambiato la storia, ma se non altro nella sua fresca spontaneità ha proposto un altro volto dell’Italia; un volto diverso, migliore.     

domenica 6 dicembre 2009

Minareti e natale

di Renzo Balmelli 
MINARETI. Quando il referendum si trasforma in uno strumento assai pericoloso nelle mani dei demagoghi, quasi sempre succede l'irreparabile. Quando non bastano gli appelli contro l'intolleranza e l'idiosincrasia nei confronti della dignità umana per frenare gli istinti meno nobili, la civile convivenza si carica di minacce. Questo succede. Succede che la Svizzera, dopo il drammatico voto contro i minareti, si risvegli da un incubo e si ritrovi confrontata ad una seria situazione di conflitto che mette in agitazione l'intera comunità internazionale. Per molti versi l'iniziativa recupera l'eredità infamante di Schwarzenbach, l'editore zurighese che odiava i meridionali, e cio' la rende ancor piu' infida. Al di la dell'oggetto del contendere, il responso delle urne rimette in discussione anni di sforzi per affermare il primato dei diritti dell'uomo su qualsiasi forma di prevaricazione. L'Europa adesso teme il contagio del verdetto elettorale che potrebbe estendersi a chiazza d'olio e assumere sempre piu' i tratti del conflitto sui valori declinati in chiave religiosa o etnica. Che il rischio esista si evince d'altronde dalla sconsiderata esultanza della Lega. Il plauso forsennato di Calderoli e Castelli, usciti allo scoperto con un linguaggio da " lumbard " alla prima crociata ( campanili si, minareti no, subito il referendum e la croce nella bandiera italiana ) non è certo di buon auspicio. Negli settanta, per sventare i rigurgiti fascistoidi degli estremisti, scesero in campo intellettuali del calibro di Max Frisch ( Cercavamo braccia, sono arrivati uomini) e politici di vaglia come Ezio Canonica, anima del sindacato, del socialismo e del Cooperativo. Oggi, mancando la passione che invoglia a buttare il cuore nel fuoco della battaglia, le destra xenofoba, forte del sostegno che le arriva dalle forze piu' becere attive nel continente, esulta e promette nuove " guerre sante" di retroguardia. La brutale schematizzazione della sua ricetta populista ha ripreso a spadroneggiare ed a contaminare le coscienze che non sanno o non vogliono piu' distinguere il grano dal moglio. Il ribollire di ignobili pulsioni punta a un solo, indiscriminato e perverso obbiettivo: colpire il capro espiatorio . Oggi sono i mussulmani, un tempo furono gli ebrei. Molti preferirono voltare la faccia dall'altra parte. Quel "si" ingiustificato, , emotivo e irrazionale, quel "si" che appaga i nemici dell'Illuminismo, deve fare riflettere anche quanti ritengono che l'esortazione al dialogo e al pluralismo basti a fronteggiare le derive xenofobe. Dopotutto si è visto quanto sia pagante rimestare nel calderone dei risentimenti: da un lato la diffidenza verso l'Islam, nero, velato e minaccioso come l'immagine dei manifesti, dall'altro la crescente ostilità nei confronti del mondo che cambia e non risprmia il baluardo elvetico del segreto bancario.L 'UDC di Blocher ha saputo intercettare e cavalcare con molta scaltrezza la paura e la reazione di rabbia e orgoglio che rischia di nuocere gravemente alla reputazione di paese aperto e tollerante di cui gode la Confederazione elvetica. Per frenare l'insana tendenza , che come si paventa potrebbe infettare altre nazioni, occorrono invece pragmatiche politiche pubbliche capaci di produrre insieme coesione, sicurezza e libertà. Sotto questo profilo la Svizzera è chiamata ora a fornire una risposta rassicurante, all'altezza della sua fama. Serve molta pazienza e un intenso lavorio diplomatico per recuperare l' immagine di Elvezia agli occhi del mondo e per ricucire lo strappo che sconvolge le regole dell'ordinamento sociale. Un problema che con ogni probabilità non sarà facile risolvere.
NATALE. Si consuma tra vischiose vessazioni contro gli immigrati, l'operazione " White Christmas", feroce prova di intolleranza che oscura " l'astro del ciel". Anche il ministro Maroni ha inteso esternare il suo compiacimento ai leghisti di Coccaglio, comune del Bresciano, per il loro modo "originale" di interpretare il rito dell'Avvento in nome "della fratellanza tra gli uomini". Fortuna vuole che il corpo sano dell'Italia, ossia la stragrande maggioranza, non sia disposto a condividere le vergognose iniziative a sfondo xenofobo. Sulle ronde, altro motivo di scandalo, la maggioranza incassa una cocente smentita. Le richieste si contano sulle dita di una mano, in evidente controtendenza rispetto all'emergenza delinquenziale che qualcuno si compiace di diffondere. Da parte sua il governo tace e trova meno disdicevole inviare il premier a elogiare il bielorusso Lukaschenko che l'occidente considera " l'ultimo dittatore d'Europa".
EDITTO. Giorni fa, quando la ZDF, la seconda emittente pubblica tedesca, è finita nel mirino del potere politico, in Germania chissà perché hanno pensato a Berlusconi. E Roland Koch, il presidente democristiano dell'Assia che non gradisce i giornalisti scomodi, è stato ribattezzato "Silvio Koch". E' la classica storia della destra che cerca di influenzare le scelte editoriali della tv pubblica e fa fuori chi non si allinea. La vittima dell'editto bulgaro alla tedesca é Nikolaus Brender, direttore del Telegiornale, che appartiene, guarda caso, all'area socialdemocratica. L'Enzo Biagi germanico si è fatto un nome per la sua indiscussa professionalità e la tenacia con cui ha difeso l'autonomia della testata da qualsiasi ingerenza ad opera degli emuli renani del Cavaliere. Nell'ottica italiana il paragone fa male in quanto serviva proprio questa vicenda per fare luce sulla pessima fama di cui gode l'uomo che risiede a Palazzo Chigi.
TRITACARNE. Comunisti, magistrati, la sinistra, Repubblica, L'Avvenire, Ballaro', Santoro, Rai3, Fazio, la Dandini, i sindacati, i liberal, il Parlamento, i finiani, il Quirinale, la borghesia , l'ex moglie , alcuni settori della Chiesa , i " coglioni" che non la pensano come lui e pure noi dell'AdL. Sono un bel gruppo i "nemici" che Berlusconi si inventa ogni giorno per eludere le domande piu' insidiose. Ma siccome l'elenco non gli sembrava lungo abbastanza, ha pensato di aggiungere anche coloro che scrivono libri e sceneggiati sulla mafia. Bontà sua, se gli capitassero a tiro giura che vorrebbe strozzarli. Ma che carino. A scatenare l'ira funesta del premier, che vive ormai tra le carte giudiziarie, sono state alcune insinuazioni su un avviso di garanzia in arrivo dalla Sicilia. Pero' piu' che dai nemici, Silvio farebbe bene a guardarsi dagli amici. Sono stati infatti i quotidiani di famiglia o imparentati a divulgare per primi le indigeste rivelazioni, non si è capito bene con quale criptico intento. Il capo del governo è comunque in buona compagnia. Anche Alessandra Mussolini è finita nel tritacarne della "stampa alleata" per un video hard di cui non esiste prova alcuna. Eppure la nipotina del Duce dovrebbe saperlo meglio degli altri e fare tesoro della lezione di nonno Benito: datemi una citazione e vi distruggo un uomo. O una donna!
 

venerdì 27 novembre 2009

RESISTERE

di Renzo Balmelli 

RESISTERE.
Come l’uomo del monte di una nota pubblicità, anche il sultano di Arcore si degnerà di scendere dalla collina per spiegare al “popolo” la sua riforma della giustizia, meglio nota come decreto sfascia-processi. Ormai l’urgenza di chiudere la partita giudiziaria per rendersi immune dalla legge è l’ossessione permanente del premier. Ne consegue un vistoso imbarbarimento dell’azione politica che porta a un vero e proprio degrado dei valori collettivi. Di questi sentimenti si è fatto interprete Carlo Azeglio Ciampi con un’intervista a Repubblica da cui emerge la sua amarezza per i colpi di piccone inferti ai punti cardini del vivere civile. E mai come in questa occasione il presidente emerito è stato tanto esplicito nell’indicare in Berlusconi e la sua maggioranza i responsabili dello sfascio istituzionale. Prova ne sia che nel cestino del generale marasma è finita mestamente anche l’ elezione di D’Alema alla guida della diplomazia europea, una delle pagine meno gloriose per l’Italia e il suo prestigio di paese fondatore. In questo “paesaggio in decomposizione” , come lo definisce Ciampi , è di importanza capitale dire basta alle leggi ad personam che non risolvono i problemi della gente e non aiutano la nazione a migliorare. Ma come? Oggi, dice l’ex capo dello Stato, l'unica regola da rispettare è quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: “resisti”. In ballo c'è la buona democrazia, quanto basta per non mollare. Ciampi, che nel suo settennato si è opposto piu’ volte alle spallate del Cavaliere, non nomina Napolitano, ma il riferimento al Colle sembra implicito.

EVITA.
Il parere é unanime e bipartisan. L’ Obama capace di risvegliare l’America dal suo torpore avrebbe dovuto farlo subito il pellegrinaggio a Hiroshima e Nagaski, sui luoghi dell’olocausto nucleare. Sarebbe stato un acuto di straordinaria valenza a coronamento della sua missione in Asia. Un po’ come il celeberrimo e travolgente “ Ich bin ein Berliner” di Kennedy. Ci tornerà, ma l’effetto non sarà piu’ lo stesso. Quando la diplomazia si trasforma in eccessiva cautela, rischia di scivolare nella banale quotidianità del potere. Se invece l’impegno conclamato è di dare vitalità e slancio a chi lo ascolta, il presidente non puo’ accontentarsi della routine. I consensi in calo, il dossier della sanità ancora in forse e il ritorno in grande spolvero di Sarah Palin, che sbanca il botteghino col suo libro di memorie inclemente con l'inquilino della Casa Bianca, sono la spia di un qualcosa che non va per il verso giusto. Certo, la leadership di Obama è solida. Se le elezioni si tenessero oggi, l’ex numero due del ticket repubblicano perderebbe di nuovo. Ma tre anni in politica sono un’eternità e la signora dell’Alaska potrebbe avvalersene per rincuorare l’America conservatrice, rurale e bigotta che vede in lei la versione light di Evita Peron.


BON TON.
Tremonti e Brunetta che minacciano di prendersi a calci nel sedere: normale dialettica interna , secondo il premier. Di ben altro registro i giudizi scandalizzati e iprocriti del governo sull ‘imitazione di Cambronne fatta da Fini. Eppure il ruvido affondo non era una rissa. Toccava pero’ il nervo scoperto dei diritti umani e della pari dignità tra le persone. Roba da comunisti per i “ profeti” delle ronde. Aveva dunque un senso , e che senso, il provocatorio richiamo del presidente di Montecitorio, nel preciso istante in cui tra l’indifferenza della maggioranza si consuma la vergogna di Coccaglio, il comune leghista del Bresciano diventato simbolo di esclusione, che prepara il “ White Christmas”, il “ bianco” Natale , cacciando gli immigrati di colore. Sono episodi che ripugnano le coscienze e infangano l’immagine dell’Italia. Essi ci dicono altresi quanto sia arduo amalgamare equilibri e identità multietniche e multiculturali che riescano a fare coincidere le linee della convivenza con quelle del cuore. All’uopo occorrono i contenitori adatti per miscelare bene un prodotto dagli ingredienti sempre nuovi e per qualcuno anche molto indigesti. Ma vivaddio, schierarsi con i piu’ deboli val bene uno “stronzo”, alla faccia del bon ton.


DIALETTO.
Quando la Lega propugna l’adozione del dialetto al festival di San Remo, è ovvio che non ri riferisce al romanesco. Fin troppo scoperto appare il tentativo di occupare con lo stratagemma delle canzoni in meneghino una fascia di territorio che vista la sua ampia diffusione mediatica puo’ rivelarsi un eccellente serbatoio di consensi . Ma non è cosi che funziona. Certo, attorno al dialetto si costruiscono e consolidano identità socio-culturale di grande spessore. Ma farne un uso strumentale, cedendo al peccato originale dei calcoli elettorali, significa svilirne il significato. Oltretutto l’iniziativa è fasulla anche dal punto di vista musicale. Dagli stornelli trasteverini alle ballate della “mala”, dalle struggenti liriche siciliane alle canzoni napoletane, da Gaber a Jannacci, da Milva e De Andrè, il dialetto ha tenuto a battesimo alcuni tra i maggiori successi discografici famosi nel mondo intero. Ed è stata la genialità di compositori e cantautori, liberi da qualsiasi costrizione, a farne piccole, grandi gemme del made in Italy.        

venerdì 20 novembre 2009

Retromarce di civiltà

La magra messe di risultati della FAO a Roma e la decisione di declassare il prossimo summit di Copenaghen sull’ambiente per mancanza di tempo, ci appaiono brutali retromarcia di civiltà

di Renzo Balmelli 

REALPOLITIK.
All’infuori della fame, dei diritti umani e l’ambiente, tre temi universali strettamente connessi, nel terzo millennio non dovrebbero sussistere altre ragioni per armarsi e partire in guerra. Armarsi di buona volontà, s’intende, per una guerra pacifica. Gli altri moventi sono grandi idiozie al servizio della vanità e della smania di potere. Purtroppo sono quest’ultimi a prevalere. Quanto siano fragili i fronti e le risorse lo ha evidenziato d'altro canto il vertice della FAO che ha proposto un orizzonte desolante fitto di impegni generici, ma povero di mezzi per frenare il flagello della fame. Attorno a noi c’è un pianeta che soffre e urla per la denutrizione e dove per la prima volta il numero delle persone senza cibo ha superato il miliardo. Obama, presidente di buone letture , non ha atteso i corsi e ricorsi storici per provare a rifondare gli equilibri globali su cui si sta giocando il futuro del mondo. L’azione ha pero’ i suoi limiti. Ci sono tributi da pagare agli interessi interni e alla ferrea legge della Realpolitik dai quali neanche Cina e Stati Uniti, i due colossi intenzionati a escludere dalle loro relazioni lo scenario della contrapposizione tra superpotenze, riescono a smarcarsi con profitto. Sui diritti umani, che non figurano in nessuna agenda dell’Impero di Mezzo, si evitano prese di posizione troppo nette che possano creare tensioni. Quanto alla decisione di declassare il prossimo summit di Copenaghen sull’ambiente per mancanza di tempo, invero un pretesto difficile da accettare, è una retromarcia brutale che raffredda le speranze di chi confidava in una svolta salvifica.


INDIGNAZIONE.
Poveretto: chissà se lontano dal comodo lettone di Putin, mentre sproloquiava di complotti e alleati emuli di Bruto, qualcuno ha detto al premier che l’Italia non inizia ne finisce con i suoi guai. E che esistono cose piu’ importanti di cui occuparsi. Ormai le sue notti il Cavaliere le trascorre con avvocati ed esperti di finanza per trovare il modo di sfilarsi dai processi. Assorbito dalla sua ossessione, gli resta davvero poco tempo per governare, tanto che il suo silenzio sui veri problemi del paese sta diventando imbarazzante. Quanto al gelo che corre nei rapporti pressoché inesistenti tra Palazzo Chigi e il Colle a causa del corto circuito politica-giustizia, è un’anomalia che la dice lunga sullo “ stato di eccezione” in cui versa la democrazia da quando spadroneggia la destra. Secondo Roberto Saviano, uno che se ne intende, il cosidetto “ processo breve” , un ddl non aggiustabile, accentua il rischio che il diritto possa distruggersi diventando uno strumento solo per i potenti. D’altronde anche la rabbia della Finocchiaro, che ha lanciato il testo contro il muro , rifletteva un diffuso e condivisibile sentimento di indignazione per l’ennesimo “ golpe” strisciante contro la giustizia.


SANTO.
Nasce il nuovo soggetto politico di Rutelli e le gerarchie ecclesiastiche sognano a occhi aperti. C’è sempre la Dc nel loro cuore e chissà che non sia la volta buona per la rinascita di un sistema consociativo che nei tempi di maggior splendore dalle sacrestie arrivava fino ai vertici dello Stato. Se la benedizione non è ancora solenne, l’apprezzamento rivolto all’Allenza per l’Italia ( attenti a evitare confusioni con l’altra Alleanza) è piu’ che tangibile. Ormai tra la Curia e Arcore il calore di una volta si è spento. Troppe festicciole fanno male al decoro. Oltretevere, dove si ragiona sul lungo termine, la strategia parte dal presupposto che il dopo-Berlusconi sia già iniziato. In alternativa, nel calendario mondano del Vaticano, serve una nuova classe dirigente cattolica per costruire un partito del 15 percento. In quest’ordine di idee , gli esperti della Curia mostrano di apprezzare il movimento dell’ex sindaco di Roma che ha l’ambizione di intercettare i moderati. A tal proposito non poteva trovare conclusione piu’ indovinata il columnist dell’ Espresso: centro santo, subito!


DERIVA.
Il Cavaliere è un asso nell’aggiustare i sondaggi. Cio’ non di meno, da qualche settimana per la maggioranza i rilevamenti sono un po’ come la canzone di Celentano, in cui il treno al contrario dei desideri va. La fiducia nel governo è in calo, PdL e premier marciano sul posto e nella coalizione si respira un clima da resa dei conti che l’affondo calcolato di Renato Schifani a proposito di elezioni anticipate ha reso ancor piu’ esplicito. Probabilmente è ancora presto per considerare il discorso del presidente del Senato come un "certificato di morte" dell’esecutivo. Ma le reazioni scomposte di Berlusconi equivalgono a dire che la destra ha grossi problemi nel rispettare il patto con gli elettori. Ormai il Cavaliere non governa piu' e mena soltanto fendenti contro gli avversari e quella parte di alleati che si dimostranto sempre piu' insofferenti al ricatto del pensiero unico. Nell’autocrazia del sultano, plebiscitaria e illiberale, si cristallizza il male incurabile che affligge questa coalizione, fatalmente ingabbiata nella macelleria costituzionale delle “ ghedinate” e dei Lodi su misura. In queste condizioni nocive per il paese, è diffficile dire come si concluderà l’ennesima sceneggiata politica inflitta all’Italia dagli attori di un perverso intreccio di interessi ad personam. Giuliano Ferrara, l’esegeta piu’ fine di Silvio, si è chiesto se il berlusconismo non abbia un futuro alle sue spalle. Ammesso e non concesso che abbia mai avuto davvero un serio progetto innovativo, lo stillicidio di questi ultimi giorni, consumato nell’atmosfera morbosa e febbricitante quasi da fine impero, sembra escludere l’efficacia di un altro “ predellino” per invertire la deriva del modello di Arcore.   

Retromarce di civiltà

 
La magra messe di risultati della FAO a Roma e la decisione di declassare il prossimo summit di Copenaghen sull'ambiente per mancanza di tempo, ci appaiono brutali retromarcia di civiltà

di Renzo Balmelli 
REALPOLITIK. All'infuori della fame, dei diritti umani e l'ambiente, tre temi universali strettamente connessi, nel terzo millennio non dovrebbero sussistere altre ragioni per armarsi e partire in guerra. Armarsi di buona volontà, s'intende, per una guerra pacifica. Gli altri moventi sono grandi idiozie al servizio della vanità e della smania di potere. Purtroppo sono quest'ultimi a prevalere. Quanto siano fragili i fronti e le risorse lo ha evidenziato d'altro canto il vertice della FAO che ha proposto un orizzonte desolante fitto di impegni generici, ma povero di mezzi per frenare il flagello della fame. Attorno a noi c'è un pianeta che soffre e urla per la denutrizione e dove per la prima volta il numero delle persone senza cibo ha superato il miliardo. Obama, presidente di buone letture , non ha atteso i corsi e ricorsi storici per provare a rifondare gli equilibri globali su cui si sta giocando il futuro del mondo. L'azione ha pero' i suoi limiti. Ci sono tributi da pagare agli interessi interni e alla ferrea legge della Realpolitik dai quali neanche Cina e Stati Uniti, i due colossi intenzionati a escludere dalle loro relazioni lo scenario della contrapposizione tra superpotenze, riescono a smarcarsi con profitto. Sui diritti umani, che non figurano in nessuna agenda dell'Impero di Mezzo, si evitano prese di posizione troppo nette che possano creare tensioni. Quanto alla decisione di declassare il prossimo summit di Copenaghen sull'ambiente per mancanza di tempo, invero un pretesto difficile da accettare, è una retromarcia brutale che raffredda le speranze di chi confidava in una svolta salvifica.

INDIGNAZIONE. Poveretto: chissà se lontano dal comodo lettone di Putin, mentre sproloquiava di complotti e alleati emuli di Bruto, qualcuno ha detto al premier che l'Italia non inizia ne finisce con i suoi guai. E che esistono cose piu' importanti di cui occuparsi. Ormai le sue notti il Cavaliere le trascorre con avvocati ed esperti di finanza per trovare il modo di sfilarsi dai processi. Assorbito dalla sua ossessione, gli resta davvero poco tempo per governare, tanto che il suo silenzio sui veri problemi del paese sta diventando imbarazzante. Quanto al gelo che corre nei rapporti pressoché inesistenti tra Palazzo Chigi e il Colle a causa del corto circuito politica-giustizia, è un'anomalia che la dice lunga sullo " stato di eccezione" in cui versa la democrazia da quando spadroneggia la destra. Secondo Roberto Saviano, uno che se ne intende, il cosidetto " processo breve" , un ddl non aggiustabile, accentua il rischio che il diritto possa distruggersi diventando uno strumento solo per i potenti. D'altronde anche la rabbia della Finocchiaro, che ha lanciato il testo contro il muro , rifletteva un diffuso e condivisibile sentimento di indignazione per l'ennesimo " golpe" strisciante contro la giustizia.

SANTO. Nasce il nuovo soggetto politico di Rutelli e le gerarchie ecclesiastiche sognano a occhi aperti. C'è sempre la Dc nel loro cuore e chissà che non sia la volta buona per la rinascita di un sistema consociativo che nei tempi di maggior splendore dalle sacrestie arrivava fino ai vertici dello Stato. Se la benedizione non è ancora solenne, l'apprezzamento rivolto all'Allenza per l'Italia ( attenti a evitare confusioni con l'altra Alleanza) è piu' che tangibile. Ormai tra la Curia e Arcore il calore di una volta si è spento. Troppe festicciole fanno male al decoro. Oltretevere, dove si ragiona sul lungo termine, la strategia parte dal presupposto che il dopo-Berlusconi sia già iniziato. In alternativa, nel calendario mondano del Vaticano, serve una nuova classe dirigente cattolica per costruire un partito del 15 percento. In quest'ordine di idee , gli esperti della Curia mostrano di apprezzare il movimento dell'ex sindaco di Roma che ha l'ambizione di intercettare i moderati. A tal proposito non poteva trovare conclusione piu' indovinata il columnist dell' Espresso: centro santo, subito!
DERIVA. Il Cavaliere è un asso nell'aggiustare i sondaggi. Cio' non di meno, da qualche settimana per la maggioranza i rilevamenti sono un po' come la canzone di Celentano, in cui il treno al contrario dei desideri va. La fiducia nel governo è in calo, PdL e premier marciano sul posto e nella coalizione si respira un clima da resa dei conti che l'affondo calcolato di Renato Schifani a proposito di elezioni anticipate ha reso ancor piu' esplicito. Probabilmente è ancora presto per considerare il discorso del presidente del Senato come un "certificato di morte" dell'esecutivo. Ma le reazioni scomposte di Berlusconi equivalgono a dire che la destra ha grossi problemi nel rispettare il patto con gli elettori. Ormai il Cavaliere non governa piu' e mena soltanto fendenti contro gli avversari e quella parte di alleati che si dimostranto sempre piu' insofferenti al ricatto del pensiero unico. Nell'autocrazia del sultano, plebiscitaria e illiberale, si cristallizza il male incurabile che affligge questa coalizione, fatalmente ingabbiata nella macelleria costituzionale delle " ghedinate" e dei Lodi su misura. In queste condizioni nocive per il paese, è diffficile dire come si concluderà l'ennesima sceneggiata politica inflitta all'Italia dagli attori di un perverso intreccio di interessi ad personam. Giuliano Ferrara, l'esegeta piu' fine di Silvio, si è chiesto se il berlusconismo non abbia un futuro alle sue spalle. Ammesso e non concesso che abbia mai avuto davvero un serio progetto innovativo, lo stillicidio di questi ultimi giorni, consumato nell'atmosfera morbosa e febbricitante quasi da fine impero, sembra escludere l'efficacia di un altro " predellino" per invertire la deriva del modello di Arcore.

giovedì 12 novembre 2009

Dalla tv del nemico piove "fuoco amico"

È iniziata una piccante “querelle” autunnale che mette spietatatamene a nudo le magagne, le divisioni , le insolvenze e le tentazioni autoritarie di questo governo.


di Renzo Balmelli 

QUERELLE - Da quando ha fatto pelo e contropelo al PdL, paragonato a una caserma, Fini è diventato agli occhi della maggioranza un individuo sospetto, da sorvegliare a vista. Già si era posto in pessima luce con il precedente, severo affondo su Berlusconi “ che confonde la leadership con la monarchia”. Ma il peggio doveva ancora venire. Dopo il duplice fendente il presidente di Montecitorio ha subito la sorte riservata agli infedeli. Di colpo è finito diritto, diritto nel tritacarne del Giornale, la testata di famiglia che annienta gli avversari scavando nella spazzatura come un topo famelico. Che dire poi dell'altro peccato mortale da girone dantesco. Figuratevi che per dialogare con gli spettatori l'ingrato fellone non è andato da Vespa, conduttore di "Porta a porta", il salotto televisivo definito ironicamente "terza Camera". No, Fini ha scelto nientemeno che lo studio di Fazio su Rai3, la rete che per i berlusconiani è un "famigerato covo di sabotatori rossi". Tanto che provano in tutti i modi a metterla sotto tutela. Ve la immaginate la scena, il fuoco amico nella casa del nemico. Una provocazione intollerabile. Uno scandalo ! Ce n’è quanto basta per terrorizzare il povero Bondi che già immagina l’ex leader di AN nelle vesti di una subdola quinta colonna infeudata al complottto comunista. Nei fatti, come ognuno puo' d'altronde facilmente intuire, Fini non è diventato di colpo il “ compagno” Gianfranco, ne mai lo diventerà. La destra è nel suo dna politico come una seconda pelle. Il doppiopetto lo indossa ancora, ma la differenza è che adesso porta l'abito del rigoroso avvocato delle istituzioni, un patrimonio di tutti, garante della democrazia , che non deve prestarsi a essere lo strumento per sordidi giuochi di potere. Ci sono insomma gli ingredienti per una piccante “querelle” autunnale che sta mettendo spietatatamene a nudo le magagne, le divisioni , le insolvenze e le tentazioni autoritarie di questo governo.


LEGGINA - Se occorreva una prova della scarsa considerazione in cui Berlusconi tiene il Parlamento , eccola servita a giro di posta. Alla camera è pronta da tempo la leggina perfetta, come la vorrebbe il premier, per chiudere definitivamente i suoi processi. Ma il Cavaliere non si accontenta dei provvedimenti ad personam. Vuole molto di piu. Vuole tutto, dimentico che l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re. Per aggirare la giustizia e scavalcare i magistrati nei casi Mills e Mediaset che lo vedono in gravi difficoltà, il signore di Arcore ha in mente un piano tanto audace quanto scaltro che lo metta al sicuro sul fronte giudiziario con la complicità ubbidiente e incondizionata degli alleati. Il braccio di ferro calza alla perfezione per il capo del governo che attraverso la via della prescrizione potrebbe cosi' farsi nuovamente beffe della legge, esercitando pressioni indebite e ultimatum scandalosi sugli eletti del suo partito. Che Berlusconi non avesse digerito lo smacco per la bocciatura del lodo Alfano si sapeva. Ma che forzasse a tal punto la mano delle istituzioni per salvare unicamente i suoi interessi , risponde a una strategia di potere che va oltre ogni immaginazione e sotto la quale Fini assicura che non metterà mai la firma.


STECCA - Non è ancora disincanto, ma quella mezza stecca in Virginia e nel New Jersey, passati ai repubblicani dopo una lunga supremazia democratica, proprio non ci voleva. Nel momento in cui il consenso mostrava qualche falla, il rovescio delle urne è stata la strenna meno gradita da Obama per il suo primo anno alla Casa Bianca. Ad addolcire la pillola ha contribuito per fortuna lo storico voto della Camera favorevole alla riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente. Il suo piu' ambizioso cantiere rimane aperto e se il Senato mostrerà lo stesso coraggio, il leader democratico potrà finalmente incassare il successo di cui ha urgente bisogno per ritrovare la poesia del " Yes we can" con la quale seppe ridare fiducia all’America prostrata dalla morosità dei repubblicani. Il voto alla Camera è stata una vitale vittoria per Obama che rimane ancora popolarissimo fra la gente, ma che in pari tempo deve vedersela con una congiuntura internazionale piena di insidie. A Kabul, cartina di tornasole della rinnovata diplomazia statunitense, le cose vanno di male in peggio e il sospetto annullamento del ballottaggio, che ha smontato il prestigio di Karzai rendendolo un alleato inaffidabile , ha segnato l’aborto e non piu’ la nascita della democrazia afghana , com’era invece negli auspici di Washington. Con la politica che corre ormai a perdifiato e muta aspetto ogni giorno, una controsterzata sui fronti che minacciano l'incolumità del pianeta è piu' che mai urgente per recuperare consensi e fiducia.


BREVE - E' durato cento anni, esattamente come gli altri, ma il novecento sarà ricordato come il secolo breve. Se ne colloca l'inizio nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, e la fine il 9 novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino. In mezzo abbiamo un compendio del genio e della follia umana che lascia trasecolati. Siamo passati dal gas alla pila atomica, dal carroccio ai jet transatlantici. Mi ci sono stati anche un'altro conflitto, l'indicibile tragedia del nazismo, l'Olocausto, lo stalinismo, Hiroshima, Nagasaki, la cortina di ferro, la lacerazione della guerra fredda ed appunto il Muro che ventanni fa crollava sotto il peso della storia.Ventanni possono essere pochi o tanti per misurare i cambiamenti, e oggi nessuno si scandalizza piu' se il ministro degli esteri tedesco Westerwelle presenta il suo compagno alla collega americana Hillary Clinton. Ma al di la dell'aneddoto, di strada da fare ne resta ancora tanta per riuscire a sradicare definitivamente i muri che ancora resistono nelle teste e certo non aiutano a spostare i confini dell'intolleranza.


IDEE  - Resta ancora oggi, a distanza di anni, un argomento scabroso il ruolo avuto dagli intellettuali compromessi con il nazifascismo. Tanto che la rivista " Studi cattolici"nel rilanciare la discussione prova a scandagliare lo stato d'animo di chi legge le loro opere diviso tra l'ammirazione e lo sconcerto per l'adesione ai bacati teoremi della dittatura. Da Ezra Pound, il poeta dei Cantos, a Cèline o Hamsun, la fascinazione per il capolavoro va inevitabilmente di pari passo con il lato oscuro dell'autore, con l'incomprensibile ammirazion per il Terzo Reich. Su di essi peso’ l’accusa infamante di essere stati criminali dal punto di vista morale per avere servito col loro intelletto la barbarie nazista. Per questo furono condannati, per questo dovettero espiare. Ma il verdetto fu pronunciato in base a queli criteri? Per cio' che avevano scritto e pensato, o per cio' che avevano fatto nel raptus delle loro malsane pulsioni? Le democrazie non perseguitano le idee, colpiscono solo i reati, eppure nei confronti di coloro che sposarono la causa del dispotismo contro la libertà, non vi fu ne pietà, ne misericordia. Le idee sono dunque colpevoli? Le idee no di certo. Ma ripensando alla straordinaria lezione di Primo Levi , prevale la consapevolezza che il dovere di meditare " su cio' che è stato " rimane sempre, pur nel trascorrere del tempo , un imperativo delle coscienze che va oltre qualsiasi altra considerazione.    

venerdì 6 novembre 2009

Il regno di Sua Scaltrezza, alla faccia della giustizia

"Tanto anche in caso di condanna da qui non mi schiodano"

di Renzo Balmelli 

MURI. Nell’età moderna, il muro di Berlino è stato la fossa delle utopie. Contro quel monolite di teutonica pignoleria ideologica si sono infrante le illusioni delle generazioni post-belliche votate all’edificazione di una società piu’ giusta, a misura d’uomo. Troppe lacrime hanno bagnato il volto delle "madri coraggio" che hanno visto i figli morire inseguendo un sogno; quel sogno libertario vanificato dalla pedantesca burocrazia di un sistema capace di nulla, se non di uccidere le idee. Che peccato imperdonabile ! Il muro è caduto da ventanni e nel commemorare l’anniversario corre l’obbligo di riflettere sugli altri muri che affliggono l’umanità. I muri della fame, della povertà, delle malattie, dell’intolleranza, dell’odio razziale, della prevaricazione e delle guerre sbagliate che producono paci impossibili o non le producono affatto. Il mondo ha bisogno piu’ che mai di glasnost e di una nuova perestrojka per non ricadere negli stessi, drammatici errori.

VELENO.
Doti di statista non ne ha nemmeno l’ombra. Ma una "qualità", questa si ce l’ha, addirittura in quantità industriale: la scaltrezza. Si, perché di Berlusconi tutto si puo’ dire, tranne che non sia un furbo di tre cotte, capace di annusare il vento come pochi. E allora guarda che cosa ti va a inventare il premier nel bel mezzo della crisi che non gli da tregua. Dal cilindro cava il sostegno a D’Alema qualora l’ex leader dei Ds si trovasse in pole position come "ministro degli esteri" dell’UE. E’ una mossa alla Richelieu che con un colpo solo spariglia le carte sul tavolo della politica, priva il Pd di un’arma di critica nei suo confronti e leviga l’immagine che si offre al mondo in un mix di potere, sesso, bugie e videtape. Ecco perché la strategia del Cavaliere è un regalo avvelenato che puo’ rafforzare soltanto lui. Insomma, di questa destra fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

DISCRIMINE.
E’ qualunquista sostenere che centrodestra e centrosinistra si distinguono soltanto dalle abitudini in camera da letto. I primi vanno con le escort, gli altri con i trans. Qualche "nuance" invece c'è e non di poco conto. Vediamone una. Le dimissioni di Piero Marrazzo, dimissioni sofferte, complicate e tardive, pur non mitigando il degrado dei palazzi del potere, sono state un atto dovuto, imprescindibile, che va oltre il gesto politico. Sono state anche- scrive Mario Pirani - un gesto purificatorio che in qualche modo prova a rispondere allo sconforto del popolo di sinistra. Certo ,non ridimensiona la questione morale, questo no, pero’ andava fatto. Sull’altro versante anziché riconoscere le proprie manchevolezze trovano piu’ comodo denigrare i magistrati diffondendo insinuazioni infamanti sul loro conto. "Tanto - rilancia il signore di Arcore - anche in caso di condanna da qui non mi schiodano.". Lo pseudo-seduttore non cambia mai, alla faccia della giustizia.

DECENZA.
Ci ha pensato Rosy Bindi a lanciare il sasso nello stagno. " E’ da verificare - ha detto l’esponente Ds insultata in diretta dal premier - quanto possa permettersi di invocare la privacy chi ha responsabilità pubbliche". Di rimando sui giornali escono titoli allarmati: " Requiem per la vita privata. Forse non c’è piu’". L ’interrogativo lascia il segno in un paese in cui gli schieramenti si danno battaglia a colpi di dossier pruriginosi, pedinamenti, servizi deviati e foto compromettenti. Dal " lettone di Putin" ai transessuali, nella confratermita dei Vip ormai si è visto di tutto, di peggio, in una sarabanda di comportamenti scomposti che sollevano seri dubbi sulla capacità di governare con la testa giusta da parte di chi è stato eletto proprio per assolvere l'oneroso impegno senza mettere a repentaglio l'integrità della carica. Dopotutto basterebbe poco, basterebbe un minimo di decenza sia in pubblico che in privato, per rendere meno pesante la devastante stagione dei sospetti.    

venerdì 30 ottobre 2009

Garanzia


Diceva Maurice Barrès che "il senso dell’ironia è
una grande garanzia di libertä”. Meno male che c’è.

di Renzo Balmelli 

IRONIA - “Silvio è un grande. Oltre alle leggi, le nevicate ad personam”. Bravi i blogger che con due colpi di mouse, battendo sul tempo le redazioni, hanno sventato il bluff di Berlusconi su una presunta bufera che avrebbe ritardato la sua partenza da San Pietroburgo. Come in un vaudeville, l’ultima stranezza del premier, per niente ansioso di rientrare Roma dove lo attendevano brutte gatte da pelare, è finita sepolta sotto un mare di risate online. Diceva Maurice Barrès che "il senso dell’ironia è una grande garanzia di libertä”. Meno male che c’è.

ACRONIMO - Non è soltanto quella che è stata ribattezzata la guerra dell’acronimo a gelare la maggioranza. Dietro l'imposta regionale sulle attività produttive ( l'acronimo IRAP appunto), ultimo oggetto del contendere tra Berlusconi e Tremonti, in realtà ribolle una sorda lotta di potere in previsione di eventuali cambi al vertice. Tra i due galli del PdL stavolta il dissenso è cosa seria in quanto ruota attorno alla carica di vicepremier, da affidare al ministro dell’economia sponsorizzato dalla Lega , e che in sostanza suona come un commissariamento del Cavaliere. Forse la dirigenza “padana” comincia a dubitare delle capacità di Silvio di riprendere saldamente il timone della litigiosa compagnia al cui interno ormai non è piu' possibile camuffare i dissapori, gli elementi di crisi tra i suoi componenti, e il consistente raffreddamento dei consensi. Bossi, che nella coalizione tiene il pallino in mano, ha posto l’altolà a qualsiasi tentativo di ridimensionare il ruolo di Tremonti e anzi rialza la posta, forte dei voti che puo' portare in dote . Il precipitoso vertice di Arcore ha evitato la rottura, ma non ha fugato i dubbi sull'affidabilità del governo , per taluni un monocolore leghista, in cui il premier chiacchiera e il Senatur comanda.

RICAMBIO - La politica dei veleni sta raggiungendo livelli intollerabili di barbarie. Ormai nel clima “ weimariano” della Seconda Repubblica, il giuoco al massacro è lanciato alla grande Se lo scandalo Mastella apre nel centrodestra una grande questione morale, poco dopo arriva il caso Marrazzo a mandare in tilt il Pd nel giorno delle primarie. Strane coincidenze , che avrebbero insospettito Agatha Christie. A Roma non si governa piu’, si vive di soli gossip, l’unico tema che all’estero tiene nel mirino il Bel Paese. Bisogna costruire un’alternativa e la degradante fiducia nell’esecutivo, calata di dieci punti dall’inizio dell’anno, dimostra che un’altra Italia è possibile.

RITORSIONI - Roma e Berna sono ai ferri corti per lo scudo fiscale di Tremonti (l'ambasciatore italiano a Berna Giuseppe Deodato sarà convocato dalle autorità svizzere che hanno così reagito alle perquisizioni condotte in Italia da agenti della Guardia di Finanza e dell'Agenzia delle Entrate in 76 filiali di istituti finanziari svizzeri., ndr). Ma dietro i toni risentiti, non si capisce con esattezza cosa concretamente si chieda. Nella concitazione andrà a finire che gli evasori milionari se la rideranno sotto i baffi, incuranti delle leggi . Il mondo è pieno di forzieri compiacenti e di società di comodo per eludere le norme. Chi invece come i frontalieri non ha trovato rifugio nei paradisi fiscali e le tasse le paga sull’unghia, potrebbe diventare paradossalmente il bersaglio di ritorsioni e angherie di cui non ha colpa alcuna. Con i soldi al posto del cuore tutto puo’ accadere.

TEMPOREGGIATORE - Nell’ Afghanistan, i margini concessi alla Casa Bianca per ridefinire la sua strategia sono sempre piu’ stretti. Il ballottaggio del 7 novembre accorda ancora una tregua al presidente , ma in pari tempo lo priva di un interlocutore affidabile dopo i brogli elettorali che hanno minato il prestigio di Karzai. Obama come Quinto Fabio il Temporeggiatore “ ( rubiamo la definizione a Paolo Valentino del Corsera) spera ancora di vincere al tavolo della diplomazia per non impantanarsi nelle paludi di un minaccioso Vientam afgano. Nel frangente puo’ tornargli utile la massima di Talleyrand, il quale ammoniva che “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali”. E la pace pure.

TRAVERSATA - Con la formazione del nuovo governo tedesco di centrodestra si è chiuso il cerchio. Dopo le controprestazioni in Italia, Francia e Gran Bretagna, anche la SPD, gloriosa culla della sinistra europea, si trova ad affrontare una crisi da cui non si sa come e quando ce la farà a uscire. Il partito ha davanti a se una sorta di traversata del deserto, senza che si riesca a immaginare dove questa traversata potrà portare. Nella memoria collettiva rimane la potente icona di Willy Brandt che si inginocchia nel ghetto di Varsavia. Un simbolo da cui attingere la forza morale oltre che politica per ripensare la sinistra andando dove porta il cuore e non inseguendo la mera ripartizione delle poltrone in coalizioni di corto respiro che l'elettore non gradisce.      

venerdì 23 ottobre 2009

La sindrome di Sofia e i calzini turchesi 

Ordunque, sembra proprio che la sindrome di Sofia non si decida ad abbandonare il Cavaliere, regalandoci cosi’ altre pagine non certo memorabili della storia contemporanea.

di Renzo Balmelli 

SINDROME. Sarà una coincidenza, sarà il clima, sarà quel che sarà, ma l’aria della Bulgaria non fa bene alle esternazioni del premier. Ricordate: prima l’editto , poi le minacce ai giornali , adesso l’ennesima picconata alla democrazia usata in questa circostanza per fare leva sulla giustizia e il boicotto della RAI, i temi che per lui sono diventati una vera ossessione. Ma se sgombriamo il campo dalla retorica, che cosa resta del roboante Barnum berlusconiano? Che vantaggi darà al paese? Nessuno, se non l’assurda , velleitaria pretesa di autoproclamarsi “ buono e giusto”, neanche fosse uno zar, un piccolo padre che veglia sollecito sui sudditi adoranti. A stupire pero’ non sono tanto le derive verso forme di consenso cieco e unanime di tipo bulgaro appunto, quanto la facilità con la quale esse vengono veicolate, digerite e metabolizzate da una maggioranza che nessun eccesso riesce a scuotere dalla propria cecità. Eppure la strumentalizzazione era ed è palese. La riforma della giustizia, contrabbandata come “ rivoluzione liberale”, è con ogni evidenza un’anomalia che ha fatto dell’Italia anche il paese con il piu’ ampio movimento che si batte per la libertà di stampa, all’infuori dell’ex Unione sovietica. Ma fino a quando, come nei contratti, non si leggeranno le parole in piccolo a piè di pagina, fino a quando passeranno inosservate le cose non dette, le lacune , le omissioni piu' gravi che alterano il senso del messaggio, parecchie sono le probabilità di cadere nell'imbroglio. Invece - ecco la manipolazione - nelle parole in libertà pronunciate in una delle capitali piu’ antiche d’Europa e rilanciate da decine di microfoni è insito un esplicito avvertimento alla nazione che dovrebbe fare riflettere e mobilitare gli spiriti liberi: vi voglio tutti in riga! Per il Cavaliere, che non si rassegna alla sconfitta del Lodo Alfano e cerca un altro scudo dietro cui ripararsi, è il momento di spingere sull'acceleratore del suo chiodo fisso: cambiare la Carta a ogni costo, anche a colpi di maggioranza, in modo da farla collimare sempre con i suoi interessi. Dal “ghe pensi mi”, che ormai è diventato il suo motto preferito, trapela una visione distorta della democrazia che preannuncia tempi difficili, se non addirittura molto tristi. Con buona pace di tutti coloro che in patria e all’estero debbono subire quotidianamente battute e battutacce sull’Italia e il governo.

SCHERZO? - SI, MA. Doveva essere una burla, ma viste le reazioni non ne siamo piu’ tanto sicuri. Dunque le cose sono andate cosi’: per una scommessa con gli amici un signore attivo nel campo dei media ha lanciato su internet una petizione a favore di “ Silvio santo subito”. Voleva verificare quanti avrebbero abboccato. La motivazione, inventata di sana pianta, era una vera chicca: dentro c'erano tutte le fisime del binomio Lega/PdL, l’anticomunismo, il pericolo rosso , la minaccia islamica , i magistrati stalinisti, l’omofobia e chi piu’ ne ha piu’ ne metta. “Silvio - si leggeva nel testo - è stato il nostro salvatore e merita piu’ di chiunque altro italiano negli ultimi secoli di storia una beatificazione ufficiale da parte della nostra Santa Madre Chiesa”. Senonché cio’ che aveva il sapore di uno scherzo in stile goliardico è andato oltre ogni immaginazione. Prima che l’inghippo venisse svelato, nel giro di poche ore all’iniziativa avevano aderito in 30 mila pronti a mettere mano al portafoglio per promuovere la causa. Tra i sottoscrittori c’erano avvocati, professionisti, semplici cittadini, tutti animati dall’identico zelo, dall’identico fervore. E molti altri erano in lista d’attesa. Tutto finto, dunque? Mica tanto, visto il successo dell’operazione “Silvio santo subito”. Quando si parla di quest’uomo non c’è limite alla credulità, che a volte sconfina nell’idolatria e nel culto della personalità. Alla resa dei conti la provocazione ha dunque finito con l’offrire uno spaccato dell’antropologia elettorale di un certo segmento del paese che ha lasciato di stucco gli internauti buontemponi. D’altronde prima c’era già stato un comitato pronto a organizzarsi per candidare il Cavaliere al Nobel della pace. C’è da immaginare che fra costoro nessuno abbia avvertito il senso del ridicolo, vista la difficoltà di volere pensare per proprio conto e non condizionati dal sultanato di Arcore , come capita invece con l’attuale destra italiana.

CALZINI. - Un tempo, stuoli di ragazzini si divertivano alle avventure di “Pippi calzelunge”, simpatica “ maschiaccia” dalla fantasia spumeggiante. Adesso dall’Europa all’Australia un'altro paio di calzini, i calzini turchesi del giudice Raimondo Misiano messi alla berlina da Canale 5, l'ammiraglia dell'impero televisivo del Cavaliere, sono assurti a notorietà internazionale. Ma c'è ben poco da divertirsi. Purtroppo, dalla serie " facciamoci del male", qui non c'entra la fantasia, ma soltanto il pessimo gusto, e quelle calze colorate , la calze piu' famose del mondo in questo momento, non sono certo il prodotto che contribuirà a rilanciare le sorti del "made in Italy". Era ovvio, quindi, che le testate straniere ci dessero dentro di gusto. Giornali e televisioni straniere riportano in bella evidenza il "bizzarro" e "assurdo" attacco della televisione di Silvio Berlusconi al magistrato che ha avuto l’ardire di firmare il Lodo Mondadori. La “vendetta dei calzini turchesi” indossati dal giudice mentre veniva ripreso a sua insaputa ha stimolato i titolisti ed è valsa al premier il poco ambito primato di essere nuovamente su tutte le prime pagine non certo per i suoi meriti politici. Tutti si chiedono che cosa vi sia di riprovevole in un magistrato che non faceva nulla di strano o insolito, limitandosi a “ passeggiare, fumare, aspettare il suo turno dal barbiere”. Piu’ volte negli ultimi mesi prestigiose testate giornalistiche internazionali hanno puntato il dito sul Bel Paese con pezzi particolarmente severi nei confronti della sua leadership politica. Articoli- come si evince da uno studio di recente pubblicazione- “ incentrati sulle "complicate" relazioni tra potere, informazione e giustizia (ma anche sul nesso tra gossip e politica), che spesso descrivono un quadro al limite dei parametri democratici”. E probabile - diciamolo per carità di patria - che qua e la facciano capolino alcune esagerazioni, alcuni pregiudizi anti-italiani vecchi come il cucco. Ma se il governo di un grande paese, un governo che pretende di essere rispettato, è ridotto a sotterfugi tanti meschini per mettere in cattiva luce un magistrato, è difficile - come invece sostiene la maggioranza - evocare la tesi delle letture “ complottiste” ordite dalle opposizioni che remano contro gli interessi nazionali e condizionano le redazioni internazionali. Da dove sia partita l'offensiva contro Raimondo Misiano , offensiva che si inquadra nella vasta campagna di demolizione della giustizia orchestrata dal Giornale e da Libero, è sotto gli occhi di tutti. Sulla strategia dei calzini e chi ne sta a monte non vi sono equivoci possibili. Tanto piu’ che persino il conduttore della trasmissione si è scusato con il giudice, ammettendo che il servizio non appartiene certo alla categoria dei capolavori. Insomma, se alla figura del “papi” si sovrappone quella del novello “Pippi calze turchesi” le brutte figure diventano inevitabili.       

lunedì 12 ottobre 2009

Il Cavaliere dimezzato 

di Renzo Balmelli 

DANNI COLLATERALI. Come in guerra, le conseguenze nefaste del Lodo Alfano, giustamente bocciato e respinto al mittente, arriveranno a ondate successive e si faranno sentire con effetti imprevedibili per un periodo destinato a protrarsi nel tempo. In gergo militare si chiamano “danni collaterali”, e a farne le spese sarà in primis l’immagine dell’Italia, già compromessa dalle intemperanze del premier. Ormai Berlusconi è un’anatra zoppa, un Cavaliere dimezzato, roso dal senso di impotenza che lo tormenta. E’ uno stato d’animo che a lungo andare potrebbe rivelarsi insidioso per il paese e la democrazia. In piu’ il premier avverte il peso crescente dei commenti negativi che arrivano dall’estero per la sua inveterata inclinazione a ridicolizzare la giustizia. Un pessimo esempio dato ai cittadini che rispettano la legge.

Non c'è quindi da stupirsi se dalla Lapponia alle isole Tonga, la sua permanenza a Palazzo Chigi risulti incomprensibile a chi non è addentro alle segrete cose della politica italiana. Anziché affrontare serenamente il verdetto, Berlusconi ha dato prova di una preoccupante fragilità istituzionale, oltre che emotiva, che non è certo di buon auspicio per rasserenare il clima. Sono lodevoli, certo, lodevoli, serie e responsabili le esortazioni a mantenere la calma venute dall’opposizione che invita a rispettare il verdetto delle urne. Ma la legittimazione elettorale di cui si fregia il signore di Arcore non puo’ essere il lasciapassare usato a piacimento per oltraggiare il Capo dello Stato e insultare pubblicamente Rosy Bindi e con lei tutte le donne. C’è una sorta di disperazione nell’ira del premier che si è visto sbriciolare il salvacondotto costruito su misura per la sua persona. Tutto è possibile in questo quadro, soprattutto il peggio, con un leader che non intende rinunciare alla pretesa di “primus super pares” per grazia divina. Adesso solo gli italiani potranno togliergli la fiducia. Sarà questa la vera sentenza.

FININVEST. Nel parterre della maggioranza si considera che la sinistra sia incapace di sconfiggere Berlusconi in campo aperto, in una normale, democratica, competizione elettorale. Di solito pero’ il livello della contesa é definito, oltre che dagli argomenti, anche dalla qualità dei competitori. A questo punto gli esponenti del PdL dovrebbero spiegare agli italiani quanto di democratico e normale vi sia nel comportamento del premier che usa il mandato ricevuto dagli elettori per accrescere e proteggere i propri affari. Quanto di democratico e normale vi sia nel colossale conflitto di interessi a cui il capo dell'esecutivo non ha rinunciato, tanto da scendere in campo personalmente per difendere Fininvest e il patrimonio di famiglia a causa del Lodo Mondadori. Quanto di democratico e normale vi sia tra i ranghi della maggioranza e delle sue testate d'assalto nell’apostrofare di anti-italiani, parassiti, intellettuali di merda, disfattisti coloro che non si piegano al diktat del pensiero unico. Quanto di democratico e normale vi sia nel Cavaliere prigioniero del suo populistico delirio di onnipotenza , nel leader concentrato unicamente su se stesso, sordo alle ragioni della politica, e ormai incapace di esprimere un solo atto di governo degno di questo nome. In quindici anni di potere nessun gesto, nessun picchetto d’onore, nessun compiacente salotto televisivo è riuscito a trasformare Berlusconi in uno statista. E si vede.

NOBEL. Che il Nobel per la pace dato a Obama sia una spina nel fianco degli ambienti conservatori si evince dall'ironia pesante che infiora i commenti provenienti da destra, a cominciare dal Wall Street Journal, orfano inconsolabile di Bush e della sua politica. In effetti per il neopresidente si tratta di un successo clamoroso che si inquadra in una scelta altrettanto clamorosa: mai un premio di tale prestigio era stato assegnato a chi ha appena iniziato il suo lavoro. Che ora gli avversari del primo afro-americano entrato alla Casa Bianca siano fuori dai gangheri non stupisce. Il livore dei circoli reazionari non è altro che l'ennesima dimostrazione di quanto essi siano fuori dalla storia, lontani dalla gente e da chi soffre. Ed è pure la riprova di quanto sia improbo, a dispetto delle crisi che stanno mettendo l'umanità a mal partito, affermare la supremazia dei grandi ideali rispetto al gretto materialismo della Realpolitik. Certo, Obama miracoli non ne puo' fare. Solo il Cavalier Silvio si crede l'unto del Signore. Altrettanto onestamente occorre ammettere pero' che ai buoni propositi di cui si fa instancabile alfiere non corrisponde ancora una mole analoga di risultati concreti da mettere in cascina. Eppure, checché se ne dica, il mondo ha urgente bisogno di pace, di serenità e di un futuro sgombro dal ricatto nucleare. Ma soprattutto ha bisogno di speranze. Percio', se oltre alla sorpresa si vuole cercare una chiave di lettura del riconoscimento, è da questa premessa che occorre muovere al fine di dare un senso compiuto al gesto decisamente controcorrente del comitato norvegese . Ai giurati di Oslo non è sfuggito il segno indelebile lasciato da Obama nelle vicende mondiali di questi primi dieci mesi del suo mandato, e da qui è maturata la loro decisione di realizzare un'apertura di credito eccezionale per colui che porta un messaggio culturale oltre che politico genuinamente innovativo. In quest'ottica, la scelta caduta sul leader democratico si colloca nel solco della grande lezione kennedyana che rivolto' come un guanto le polverose stanze del potere washingtoniano. "Gli uomini passano, le idee restano" diceva il giovane liberal bostoniano a cui fu rubata la vita e divenne poi un punto di riferimento insostituibile per le generazioni a seguire. Già, le idee. Perché a queste fa riferimento la motivazione quando sottolinea "gli sforzi straordinari per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli" che la nuova amministrazione americana ha posto al centro delle sue aspirazioni piu' nobili. Giustissima motivazione, ma da intendere come un voto di incoraggiamento, un premio alle buone intenzioni, piu' che un voto di profitto. E cio' spiega il "wow" quasi fanciullesco espresso a caldo dalla Casa Bianca che esprime meraviglia per il gesto inaspettato, ma anche la consapevolezza di non potere tradire le attese dell'umanità. Ne ha ben donde chi se ne deve fare carico. I dossier sono complessi, le questioni aperte tantissime. L'Afghanistan, l'Iraq, le provocazioni iraniane, il Medio Oriente, il disarmo, l'economia malata ed i problemi interni, a cominciare dalla riforma sanitaria, formano una ragnatela non semplice da dipanare. Senza il giusto approccio e con avversari determinati a mettere i bastoni fra le ruote al presidente, il Nobel potrebbe trasformarsi in
un regalo avvelenato. Per far si che cio' non avvenga bisogna por mano senza esitazione al raggiungimento dei maggiori obiettivi. La posta in palio, posta che non piace per nulla ai mercanti di morte, è un nuovo ordine mondiale fondato sul dialogo e una maggiore equità. Con un taglio netto rispetto al passato repubblicano, Obama si è presentato ai suoi simili come colui che vede la guerra come ultima possibilità e non come una scelta ideologica a priori. Alla diplomazia delle cannoniere contrappone la sua politica della mano tesa , ormai parte integrante del new-deal che la destra osteggia, ma che il mondo attende con trepidazione. Non sempre la capacità persuasiva, il carisma oggi un po' claudicante e la storia personale del presidente sono bastate finora a convincere avversari, nemici, fanatici , a piu' ragionevoli consigli. Occorre fare di piu'. Obama è d'altronde il primo a sapere che ora le pressioni su di lui aumenteranno e che l'ingresso nella galleria dei laureati di Oslo comporta una chiamata all'azione di fronte alle sfide del ventunesimo secolo alla quale è vietato sottrarsi. Il tempo dirà se le promesse diverranno realtà oppure se il premio sia stato prematuro. Di una cosa pero' possiamo essere assolutamente certi: per la pace "non è mai troppo presto".  

martedì 6 ottobre 2009

LA VERSIONE DI SILVIO

Se un giorno qualcuno si accingesse a scrivere la storia italiana della prima  decade del duemila, sulle sue spalle peserebbe un compito immane. Come minimo, infatti, l'autore dovrebbe mandare in tipografia due volumi...

di Renzo Balmelli 

Se un giorno qualcuno si accingesse a scrivere la storia italiana della prima decade del duemila, sulle sue spalle peserebbe un compito immane. Come minimo, infatti, l'autore dovrebbe mandare in tipografia due volumi senza nessun punto di convergenza l’uno con l’altro.

    Il primo, quello serio, diciamo, descriverebbe l’Italia vera, con i suoi problemi, le sue ansie, le sue speranze, le sue indubbie realizzazioni, le sue affermate punte di eccellenza. L'Italia della gente che non ha quale modello i Casanova da strapazzo.

    Nell’altro libro, piu’ farfallone, il lettore del futuro scoprirebbe invece la versione di Silvio, altrettanto stralunata di quella di Barney, ma meno divertente dell’eroe di Mordechai Richler.

    Poi bisognerebbe pero’ aggiungere, per fare capire alle future generazioni come stavano le cose, che a dispetto del teatrino della politica, ad avere il sopravvento nel paese fu appunto per un periodo lungo, troppo lungo, la rappresentazione dell’Italia di plastica o di cartapesta, che dir si voglia, su cui la destra seppe costruire le sue fortune.

    Il paradosso è che le future generazioni, a patto di non avere perso per strada la capacità di ragionare con la propria testa, a un certo punto dovranno chiedersi, confrontando le due relazioni, come mai la versione di Silvio riusci’ a imbandire la tavola del potere senza incontrare grosse resistenze, pur essendo priva di qualsiasi consistenza.

    Per la verità - e adesso torniamo ai giorni nostri - l’esercizio andrebbe fatto seduta stante, partendo dalla scarsa considerazione di cui gode Berlusconi quando si muove fuori dalle mura domestiche.

    Lo si è visto durante il passaggio dal mondo del G8 a quello del G20 che oltre a ridurre il peso dell’Europa ha portato anche a un ridimensionamento del ruolo dell’Italia che già fatica a tenere il passo con le maggiori potenze industriali. Per stornare l’attenzione dal bilancio piuttosto magro raccolto all’ONU e al summit di Pittsburgh il Cavaliere ha provato a buttarla sul ridere. Ma la battuta già scadente sull’abbronzatura di Obama ripetuta nei confronti della moglie non ha fatto che aumentare il disagio delle cancellerie che ormai faticano a nascondere l’imbarazzo al cospetto di un atteggiamento che appare sempre piu’ incomprensibile.

    L’uomo pero’ non si da per vinto e torna alla sua ossessiva battaglia con l'informazione per imporre la museruola alle testate sgradite. L’obiettivo è di far chiudere le "gazzette della sinistra" e i pochi programmi televisivi che danno ancora voce a mezzo Paese. Al sultano di
Arcore non piace recitare il ruolo di comprimario e così, per iniziativa del ministro Scajola, pretende contro la legge di stabilire direttamente i palinsesti della tv pubblica. Con una maggioranza che, dalle colonne dei due giornali più diffusi e obbedienti al premier, Il Giornale e Libero, lancia senza pudore e senza nessun senso civico una campagna per boicottare gli abbonamenti Rai. Iniziativa indecente, oltre che gravida di insidie.

    Se per disavventura viale Mazzini rimanesse senza mezzi per produrre programmi, sarebbe la fine del servizio pubblico e l’inizio di un ricattatorio regime mediatico a senso unico. La vera posta in palio di questa sfida, unica in Europa, è dunque la sopravvivenza nell’Italia berlusconiana di un’informazione critica e di opposizione. Ovvero l’esistenza di una democrazia.

    "Se qualcuno o addirittura la maggioranza - ha scritto Repubblica - pensa ancora che tutto questo sia normale, allora significa che la democrazia in Italia non ha un gran futuro. Il presente è già inquietante".

    Saltano le garanzie del pluralismo, mentre sui giornalisti che fanno il loro dovere piovono dai banchi della destra accuse infamanti: "spazzatura", "vergogna", "porcherie".

    Ma da chi arrivano queste accuse? Guarda caso da chi ha lottizzato spazi enormi nel campo della comunicazione, dal cinema all'editoria, dai settimanali alle riviste specializzate nel gossip di cui ora si lamenta.

    Ai futuri lettori dei due ipotetici volumi di cui abbiamo parlato all’inizio andrebbe percio' ricordato che Berlusconi, mentre spadroneggiava nel paese, oltre che capo del governo era pure il padrone delle tv private e che il conflitto di interessi di cui si è sempre fatto un baffo, gli conferiva la facoltà di imporre qualcosa ancora peggio di una censura. Non abbiamo la sfera di cristallo, e mentre scriviamo queste note non siamo in grado di predire come sarà l’avvenire del Bel Paese in cui la rappresentazione del potere assomiglia ogni giorno di piu’ a una squallida telenovela carica di lustrini. Il disegno è chiaro: la destra punta all’egemonia e se passano questi sistemi diventa difficile immaginare che cosa ci sarà scritto nei prossimi libri di storia.    

giovedì 1 ottobre 2009

Un governo disossato e bizzarro 

di Renzo Balmelli 

ISTERIA - L'urlo "pace, pace subito" che ha squarciato il silenzio dei funerali è stato un messaggio dal significato inequivocabile: a dispetto della retorica ufficiale, la gente fatica a trovare, oltre il dolore, un motivo di consolazione per la tragica fine dei parà in Afghanistan. Con tutto il rispetto per i caduti, si avverte un clima di crescente sfiducia sull'esito di un'operazione che genericamente fa riferimento alla democrazia da consolidare, ma che fin qui ha prodotto risultati assai modesti. Se poi il modello da esportare è quello proposto dalle escandescenze di Renato Brunetta, gela il sangue nelle vene al pensiero delle vite spezzate a Kabul. In fondo pero' dobbiamo essere grati al ministro che con la sua sceneggiata se non altro ha smascherato la faccia nascosta della maggioranza. Da un vaneggiamento all'altro, dalla virulenta offensiva contro l'informazione all'intimidazione degli avversari, la destra ormai non lascia nulla di intentato per tenere a galla una barca che fa acqua da tutte le parti. Di valori a questo punto non mette conto di parlare. L'avere convalidato senza battere ciglio gli spropositi sul "complotto delle elite" e la "sinistra che dovrebbe andare a morire ammazzata" è semplicemente un altro indizio del brutto clima di isteria in cui versa la squadra di Arcore. Da questo punto di vista, gli ex di qualcosa (socialisti, comunisti, democristiani) confluiti nel PdL rappresentano il prototipo fazioso del berlusconiano perfetto che per il suo idolo farebbe qualunque cosa, attribuendo ogni problema alla malvagità del nemico. Tuttavia risulta sempre piu' difficile tenere a bada la verità con gli slogan di facile suggestione. Da Palazzo Chigi escono solo progetti col fiato corto al servizio di interessi privati e avulsi da qualsiasi forma di etica sociale. Intanto la disoccupazione raggiunge tassi vertiginosi, i peggiori degli ultimi quindici anni. Nonostante la sua forza elettorale , il Cavaliere appare sempre piu' inadeguato ad affrontare la realtà, a meno di confinarsi nella mera esibizione autocelebrativa delle cerimonie e dei salotti immortalati dalla diretta tv. Ormai il ruolo del premier si cristallizza in una triste rappresentazione di potere senza rispetto, di ricchezza senza status, di popolarità senza prestigio. E il futuro ha il volto imbronciato. Col passare del tempo aumenta l'inquietudine che il paese rimanga ancora a lungo affidato alle bizzarrie di un governo disossato e sempre meno affidabile, in patria e all'estero.

NIRVANA - Sostiene Obama che gli USA sono stanchi della guerra. Se è per questo l'umanità intera aspetta con ansia la svolta che davvero riesca a "cambiare il mondo".   Ma, paradosso dei paradossi, mentre la Casa Bianca silura lo scudo anti-missili, liberandosi cosi' dell'ultima, inutile e ingombrante eredità di Bush, il mercato delle armi, a dispetto della crisi, non viene neppure sfiorato dalla recessione. E soprattutto nei paesi dal reddito inferiore alla media si investono cifre da capogiro non tanto nello sviluppo, bensi' nello shopping al mega-store dell'industria bellica. All'obsoleta diplomazia delle cannoniere, il presidente americano prova a contrapporre il suo modello di leadership, che si vuole fondata in primo luogo sulla forza della persuasione e sul dialogo multilaterale. Che fatica, pero'! Il progetto resta affascinante, ma la destra non perde una sola occasione per mettere il bastone fra le ruote alla politica della mano tesa. Troppi sono ancora gli interessi in giuoco, interessi inconfessabili, per riuscire a travolgere in un colpo solo gli ostacoli ed i focolai di tensione che ancora si frappongono alla visione di un mondo libero dal ricatto degli ordigni di distruzione, siano essi nucleari o convenzionali. Comunque sia, la ricerca di obiettivi comuni per affrontare minacce comuni deve continuare, anche se nessuno ha mai creduto che sarebbe stato semplice. In cosi' poco tempo è ridicolo pensare che il Nirvana sia già a portata di mano - ha detto l'ambasciatrice all'ONU Susan Rice in uno scatto di sincerità. Ma data la posta in palio, Obama e i suoi collaboratori, e con loro tutti gli amanti della pace, pensano che l'impresa valga lo sforzo.

PREVARICAZIONE - Riparte il campionato e all'inizio della stagione , proprio come la piaga delle cavallette, tornano pure i cori razzisti. Uno spettacolo osceno che denigra la passione per il calcio. A questo punto bisognerebbe capire perché ci sia ancora chi va allo stadio per insultare i giocatori di colore. Senza fare sociologia a buon mercato, la riposta è quasi ovvia: l'aggressione ai campioni che un premier di nostra conoscenza definirebbe piu' " abbronzati" di lui, è il simbolo di un degrado culturale che attanaglia l'Italia da quando nella maggioranza alcuni liquidano la questione della xenofobia con un'alzata di spalle. All'opposto le crescenti forme di intolleranza non sono un fenomeno passeggero, bensi' l'espressione di un preoccupante vuoto di idee; un vuoto pneumatico in cui la prevaricazione dell'uomo sull'uomo trova nel tifo violento oppure nello sconcio delle ronde il piu' fertile dei terreni di coltura. Sul tema del razzismo c'è stato un significativo affondo di Obama: "È importante sottolineare che ero nero prima di essere eletto". Purtroppo è poco probabile che i facinorosi ed i loro cattivi maestri raccolgano la lezione della storia.

lunedì 21 settembre 2009

SIAMO TUTTI FARABUTTI

di Renzo Balmelli 

FARABUTTI
A sfogliare l'elenco degli spropositi che la maggioranza è riuscita a gabellare come grandi risorse politiche, c'è di che restare letteralmente allibiti. Dai vagoni dei metro riservati ai milanesi, ai divieti di burka e kebab,dalle gabbie salariali all'inno d'Italia, dagli attacchi alla libertà di stampa alle norme sul dialetto, dalle ronde ai piccoli Hitler di periferia, abbiamo assistito a un vero e proprio festival del "di tutto, di piu'". La calda estate di Lega e PdL si racchiude in una serie di proposte, divieti obblighi e limiti varati con il duplice obiettivo di spaccare il paese, di sottolineare la diversità positiva del nord e quella negativa del sud. E tanto per gradire, i cervelloni del Carroccio si sono addirittura inventati il videogioco xenofobo "rimbalza il clandestino" in cui vince chi riesce a rimandare a casa piu' barche. Il "papi" ovviamente ci sguazza. Senza i voti leghisti e senza il lodo Alfano sarebbe in gravissime difficoltà. In vista delle prossime scadenze, la battaglia per l'autunno prevede quindi non piu' una difesa improvvisata giorno per giorno bensi' una strategia mirata che fa perno sul'antagonismo e sulla cinica, brutale aggressione di nemici e amici (leggi Fini), secondo una tecnica che ricorda i regimi autoritari. Chi non marcia sotto le insegne del pensiero unico è un farabutto. La consapevolezza di stare ad assistere a quella che Le Monde ha definito "l'agonia di una democrazia" ci porta a rivendicare, con migliaia e migliaia di colleghi in Italia e nel mondo, l'orgoglio di appartenere alla categoria. "Siamo tutti farabutti" perché vogliamo una stampa e una tv libera.

KILLER
Durante il fascismo c'erano i distributori di olio di ricino, i volontari del randello , la galera e il confino per chi non rientrava nei canoni fissati dal regime. Chi ha visto il capolavoro di Scola "Una giornata particolare" ha potuto farsi un'idea di come funzionavano le cose. Nell'era quarta del berlusconismo è cambiata la forma, non la sostanza. Per levarsi dai guai degli scandali politici e sessuali in cui s'è cacciato da solo, il Cavaliere ci ha provato - prima - con una comunicazione sovrabbondante, ipertrofica, poi con l'intimidazione. Un pacchetto di mischia costituito da feroci pennivendoli prezzolati, veri e propri killer mediatici, sono all'opera per distruggere reputazioni, carriere, famiglie. In una parola: per imbavagliare il dissenso. Un modo spiccio, barbaro, cinico per militarizzare la comunicazione e deformare il racconto della realtà. E si che l'Italia non è povera dal punto di vista culturale. Pare possibile che al Pd non sia venuto in mente - fosse solo a livello di immagine - di valorizzare questo straordinario patrimonio di risorse intellettuali che la maggioranza tende a soffocare. Ecco, questo è il limite della sinistra che perde tempo prezioso a macerarsi nelle lotte intestine. Un'idea originale che è una, è troppo pretendere!?

TELECRAZIA
Che le televisioni pubbliche e private avessero un solo padrone e che questo padrone fosse incidentalmente anche il capo del governo, si sapeva. Se ancora sussisteva qualche dubbio su questa anomalia , esso è stato spazzato via dallo squallido bollettino di regime andato in onda in prima serata su RAI 1, nel salotto di Vespa. Tre ore di spot governativo, con il "miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni", autoproclamatosi "superiore a De Gasperi", senza alcun contraddittorio. Con un faccia tosta che sfiora la presa per i fondelli, il Cavaliere ha fatto finta di consegnare case sue che in realtà erano prefabbricati forniti dalla provincia di Trento e dalla Croce Rossa. La nemesi pero' è sempre in agguato. Quando se ne abusa in modo spudorato, la telecrazia puo' diventare un giudice spietato. Il monologo a base di insulti e menzogne ha fatto registrare uno share modestissimo che in pari tempo fa il paio - guarda caso - con il calo di fiducia nel premier. Alla lunga anche gli elettori piu' pazienti capiscono che politica del fare è la politica del bluff non sono esattamente la stessa cosa. Adesso è partito l'ultimo assalto, quello a Rai 3, con l'obiettivo di ammorbidire l'unica rete pubblica sgradita a Palazzo Chigi e mettere da parte Fabio Fazio, Luciana Litizzetto, Milena Gabanelli , Serena Dandini e tanti altri spiriti liberi. Un disegno perverso che dopo
l'inguardabile, squallida serata di veleni e sciacalli sulla prima rete nazionale, ci verrà forse risparmiato. Quantunque al peggio non vi sia mai fine.

STRAGE
Morire per l'Afghanistan! Morire per che cosa, per chi? In nome di quali valori sei soldati italiani torneranno da Kabul dentro una bara? Per difendere la democrazia, la pace e la sicurezza interna - risponde il governo. Ma sono parole al vento, frasi intrise di stanca
retorica. Ormai neppure Obama sembra crederci piu' di tanto. Qui di tutti questi bei principi, dopo anni di guerra, non v'é nemmeno l'ombra. A imperversare sono il terrorismo, la corruzione, il traffico di droga, l'integralismo, la schiavitu' delle donne, la paura, la delazione, le frodi elettorali. E non c'è un barlume di luce in fondo al tunnel. Percosso e attonito il paese si intrerroga su questa ennesima strage, l'ultima di una scia dolorosa che da quando sono in vigore le regole d'ingaggio è già costata la vita a venti militari col tricolore appuntato sulla manica. Di fronte alla tragedia, un chiarimento sul ruolo del contingente italiano in Afghanistan si impone con la massima urgenza. Restare - come dice Frattini - "restare per dimostrare che l'orgoglio dell'Italia è sempre alto" - fra le tante che si potevano rilasciare è stata la dichiarazione piu' infelice che si potesse fare nell'ora dello strazio che colpisce tante famiglie . Nell'opposizione si alzano le voci per chiedere cosa ci faccia ancora l'Italia in Afghanistan. "A forza di starci, e di restarci", - osserva D Pietro - abbiamo perso anche la conoscenza delle ragioni per le quali ci siamo andati". Mentre invece bisognerebbe riesaminare a fondo le condizioni della missione e studiare eventuali cambiamenti dei compiti e dei livelli di sicurezza. L'Italia si inchina davanti ai suoi eroi, ed è giusto che cio' avvenga. Ma con ogni probabilità la strage di Kabul non cambierà nulla: un ritiro dalla zone delle operazioni non è previsto. In questi drammatici frangenti tornano alla mente le parole profetiche di Brecht nella Vita di Galileo: "Sventurata la terra che ha bisogno di eroi"! 

martedì 7 luglio 2009

Sul viale del... Tremonti

di Renzo Balmelli

TRAGEDIA - Che vita fare quadrato attorno al capo, mentre non si placa l’eco della vicenda di “ sesso, bugie e videotape” che allunga sull’Italia l’ombra della precarietà. Nel PdL la parola d’ordine é che un governo non si giudica dal buco della serratura, ma da come agisce. E sia! Senonché, il giorno in cui Berlusconi si dichiarava “fortissimo”, l’inferno di Viareggio mostrava in mondovisione una realtà assai diversa da quella ingannevole e tirata a lucido di cui si vanta la destra. In termini politici, questa fase segnata dalle repliche stizzite del premier potrebbe essere l’apice del suo potere personale , prima del declino. Il possibile snodo ruota attorno al G8 per il quale si é mosso il Quirinale, consapevole delle tossine che sono in circolazione. Se il vertice fosse un sommo inciampo anziché un successo, non solo verrebbe compromessa la prestigiosa vetrina aquilana, ma ne soffrirebbe anche l’immagine dell’Italia già ammaccata dal modello antropologico e culturale del velinismo di Palazzo. Giorgio Napolitano si é persuaso a chiedere una tregua delle polemiche nella speranza che la sua iniziativa non venga vissuta unicamente come una parentesi eccezionale, bensi’ come un contributo per svelenire il clima . Ma considerando le tensioni che agitano la maggioranza, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, sono scarse le possibilità che l’ intervallo del summit preluda a un inizio di normalità.


FATTORE “S” - Molto si parla nel Pd, sia con simpatia che con malcelata irritazione, del “ fattore S” incorporato da Debora Serracchione, simbolo del nuovo che avanza. Premesso che in politica non si da nulla per scontato e che i galloni si guadagnano sul campo, l’arrivo sulla scena di energie fresche dovrebbe comunque destare curiosità e interesse. A maggior ragione in un partito che si vuole dinamico, moderno, riformista e progressista. Oggi infatti si giustifica sempre meno la logica d’apparato da cui il Pd dovrebbe emanciparsi nel momento in cui cresce il bisogno di rinnovamento. Dopotutto una donna che nel Nord-est ha messo a segno l’indiscutibile primato di superare Berlusconi alle ultime elezioni europee qualche atout deve pure averlo. Per non lasciarsela sfuggire, varrebbe la pena di valutare quale contributo puo' dare al rilancio della sinistra in una fase che non la vede certo al top della forma. L’auspicio é di far crescere tra i democratici una classe dirigente che col tempo impari a diventare classe di governo di uno schieramento votato non solo alla resistenza. In vista del congresso di ottobre, si offre dunque un’ occasione propizia di riflettere e di pensare in prospettiva a un cambio generazionale per chiudere la stagione dei litigi che ancora non é tramontata.


SICUREZZA - Chi dirige vuole avere presa su tutto, anche a costo di far venir meno la dignità. In quest’ ottica di potere si varano leggi inique come il decreto sulla sicurezza che per i suoi contenuti repressivi sgomenta la sinistra, la Chiesa e l’Europa. E non importa se al nord alcune amministrazioni rosse hanno un’anima “ rondista”. Sotto qualsiasi simbolo, le ronde restano una pratica medievale che incoraggia la delazione e non frena l’immigrazione clandestina. Quelle norme che sollevano dubbi sui diritti umani , alla prova dei fatti altro non sono che il prezzo pagato dal governo per garantirsi l’appoggio della Lega. Per un pugno di voti si manda in soffitta la questione morale e si ignora il problema vero, quello dell’integrazione, che va governato senza ammainare la bandiera della solidarietà. Con un minimo di onestà intellettuale da parte di chi oggi esulta , la questione andrebbe riformulata al piu’ presto prima che il tema dei migranti si imbarbarisca fino al punto da sfociare nella caccia allo straniero. Allora potrebbe avverarsi il monito di chi come monsignor Marchetto, insofferente alla prevaricazione [ma smentito dalle gerarchie vaticane, ndr], teme che il pacchetto sicurezza porterà all’Italia soltanto dolore.


HONDURAS - Se alla Casa Bianca governassero i repubblicani si potrebbero nutrire svariati sospetti sulle ingerenze nelle vicende dei paesi vicini. Ma da quando l’America latina non é piu’ considerata il cortile di casa degli Stati Uniti, le svolte antidmocratiche appartengono al passato. Per questa ragione il colpo di stato in Honduras, arrivato come un fulmine a ciel sereno, ha messo in allarme la comunità internazionale. L’idea che i militari anziché restarsene disciplinatamente in caserma ricomincino a coltivare pericolose velleità di potere, non puo’ lasciare tranquilli chi ricorda la ferocia delle dittature che hanno insanguinato questa parte del mondo. Solo la destra nostrana, forse per simpatia con l’autoproclamato presidente Roberto Micheletti di lontane origini bergamasche [e sostenuto dalle gerarchie cattoliche, ndr], ha legittimato l’operato dei generali. Occorre porre un baluardo - dicono - ai “caudillo rossi”, senza tuttavia specificare se delle categoria fanno parte anche Barak Obama, Hillary Clinton, l’ONU, la Comunità Europea ed i governi che hanno stigmatizzato la ricomparsa della deriva autoritaria. L’affinità elettiva con i golpisti nega l’autenticità democratica di chi si schiera a loro favore.      

mercoledì 1 luglio 2009

LA SATIRAÈ VIVA E LOTTA INSIEME A NOI

"Prendiamo Palazzo Grazioli, non lo controllavano, era  una casa aperta. Se lo controllavano era una casa chiusa" di Renzo Balmelli

EMERGENZA - In mezzo ai suoi il premier ha il sorriso d’ordinanza sempre stampato sul volto. Fuori dai confini, quando si parla di lui a stamparsi sui volti sono sorrisetti ironici. Per via del cucù e altri scherzi goliardici, Berlusconi non ha mai avuto grande credito nei circoli internazionali. Figuriamoci ora. Visto dall’esterno il suo regno è un dilemma, uno dei tanti insondabili misteri italiani che svanisce nelle trame oscure del potere e negli ingorghi di "Velinopoli". Cio’ non basta ancora, ovviamente, a invertire la tendenza di un paese spostato a destra. Ma attorno all’onda lunga del berlusconismo l’aria si fa sempre piu’ viziata e le conseguenze si vedono: il danno d’immagine è incalcolabile. L’Italia è sull’orlo dell’emergenza morale, ma nel PdL non si avvertono segni di ripensamento o di autocritica. La maggioranza non si discosta dalla sua linea abituale che consiste nel rivolgere pesanti calunnie all’opposizione, accusata di destabilizzare il governo con mezzi illeciti. Le cose non stanno proprio cosi’. Ci sono invece milioni di italiani sconcertati da quanto sta accadendo e che si ribellano all'idea di consegnarsi supinamente alla dottrina del Cavaliere. Cittadini che non votano per segnalare con l'astensione il loro sofferto, silente dissenso. Su di loro la bizzarra gerarchia dei valori inventata dal presidente del Consiglio per modificare il suo profilo sgualcito, ormai non ha piu’ nessuna presa. Meglio cosi'. Contro questo scoglio si è appunto infranto il sogno plebiscitario di Berlusconi che in caso di riuscita avrebbe irrimediabilmente alterato l’equilibrio dei pesi e dei contrappesi che regolano le leggi della democrazia. Meno male. Il futuro pero' è ancora denso di incognite. Per contrastare il rischio della deriva sarebbe infatti necessaria una valutazione etica meno superficiale di una vicenda che è andata oltre ogni limite della decenza. Valutazione che invece tarda a manifestarsi. A questo punto merita, allora, qualche riflessione il fondato sospetto che per rappresentare l’Italia di oggi, piu’ che Berlusconi valga la pena di raccontare i suoi elettori. Lui è uno di loro, dice lui: "Agli Italiani piaccio così!"


SATIRA - Esce un omaggio a Fortebraccio, il ferocissimo, schieratissimo Mario Melloni, penna al vetriolo ai tempi della vecchia Unità, e si ripropone il discorso sullo stato di salute della satira politica in Italia. La materia è controversa. Da un lato non mancano i prodotti di qualità, capaci di dare ampio respiro alla critica di Palazzo, di pungolare il pubblico e di coinvolgere il paese in un dibattito vivificante. Dall’altro non sono infrequenti i tentativi di imbrigliare il dissenso con gli editti di stampo bulgaro. A chi tiene le leve del comando non garba piu’ di tanto il carburante satirico che sparge il ridicolo sui vizi e difetti umani ed è uno strumento importante per la riforma dei costumi. Magari ci scappa la risata per non dare nell’occhio, ma a denti stretti. Maurizio Crozza , che allietava il pubblico su La7 , è stato l’ultimo autore scomodo a pagare il disagio degli alti papaveri per il" castigat ridendo mores".

Con le sue frecciate, il comico genovese disturbava i potenti e immancabilmente ogni sua apparizione produceva le proteste di chi, soprattutto nella maggioranza, crede di contare qualcosa. Sacrificare il suo spazio è un brutto segno in un paese dove il premier ha l’ultima parola per nominare i direttori di cinque delle sei maggiori reti televisive. La partita pero’ non è chiusa. Crozza , da par suo, ha restituito la pariglia ai censori fulminandoli con una battuta micidiale : "Prendiamo Palazzo Grazioli, non lo controllavano, era una casa aperta. Se lo controllavano era una casa chiusa". Vivaddio, la satira è ancora viva.


RICATTO -  L’Iran di questi giorni è la cronaca di una sconfitta annunciata. Una dolorosa sconfitta per la democrazia, per la pace, per l’ONU, per l’Europa e un motivo di amarezza per Obama che sul dialogo con Teheran aveva innestato il perno della sua azione diplomatica nel Medio Oriente. Sullo sfondo delle scene sfuggite alla censura abbiamo visto crollare le speranze degli oppositori, abbiamo sentito su di noi l’umiliazione inferta all’onda verde che ora interpella il mondo intero e chiede aiuto per spezzare la catena della brutale repressione. Fin dai tempi dello Scià quella dell’Iran è stata una lunga via crucis segnata dalla prevaricazione , dai controlli pedanteschi e refrattaria alla libertà di pensiero. Gli obiettori erano ai ceppi nelle patrie galere, ne piu’ ne meno come adesso. Ora è difficile dire quale rapporto sarà possibile istaurare con una dirigenza cosi’ fanatica , insensibile e decisa a imporre il pugno di ferro ricattando il mondo con l'arma del petrolio. Il buon senso consiglierebbe di lasciare aperto uno spiraglio a possibili intese negoziate, ma la questione energetica e la dipendenza dall’oro nero non fanno che accentuare l’impotenza della comunità internazionale nel contrastare le moderne dittature. A maggior ragione se quei regimi intrattengono relazioni pericolose con il nucleare.