lunedì 22 settembre 2014

Non è bello ciò che è bello…

STOLTEZZA. E' ripartita con grande clamore, pervasa da un forte sentimento di ostilità, la campagna della destra xenofoba contro l'UE. Un giorno, quando magari sarà troppo tardi, la stoltezza estremista degli euroscettici potrebbe presentarci il conto. E sarà molto salato. Perché il progetto europeo avrà pure parecchie imperfezioni e non poche lacune. Ma a ragion veduta è l'unico di cui disponiamo per progredire e metterci al riparo dalle devastazioni di una terza guerra mondiale che già si combatte a pezzi su più fronti e di cui si intravvedono i prodromi tra scene di orrore e prevaricazioni che tolgono il sonno e il respiro.

 

MODELLO. Come simbolo elettorale hanno l'elmo chiodato, che risveglia sgradevoli assonanze. Mentre la Svezia si riconcilia col vecchio amore socialdemocratico dopo due legislature conservatrici, dalle urne emerge un altro dato, invero poco rassicurante: il boom degli "Svedesi democratici", quelli appunto del copricapo da guerriero e dal nome che maschera l'accentuata vocazione xenofoba e anti euro del loro programma. Il guaio maggiore è che non sono soli a ispirarsi al modello costruito da Marine Le Pen. Anche nei Länder tedeschi dell'est l'onda nera cresce in modo impressionante. Ai veri democratici il compito di sventare il ritorno al passato che non passa.

 

TORPORE. Nel frastuono mediatico ci si abitua a tutto, prevalgono l'indifferenza, l'assuefazione, e forse non ci si rende conto di quanto sia profondo il baratro verso il quale stiamo correndo. A risvegliarci dal torpore hanno provveduto due grandi scrittori israeliani, David Grossman e Amos Oz con una secchiata d'acqua, gelata come la doccia che va tanto di moda. La loro è una riflessione ad ampio raggio che diventa universale quando mette in guardia dai movimenti pericolosi che "stanno sorgendo tutti insieme". Mentre dormivamo "i fascisti sono cresciuti tra noi". E' ora di svegliarsi prima che qualcuno uccida la civiltà.

 

PANZANA. In Italia stanno spaccando il capello in quattro per il saluto romano, che rimane un reato in quanto fonte probabile di rigurgiti antidemocratici, ma che a giudicare dalle reazioni di taluni ambienti animati da nostalgici propositi andrebbe invece riverito come il simbolo dell'impero da cui prende il nome. Con l'aria che tira, il fenomeno non è da sottovalutare, tanto più che alcune recenti iniziative editoriali di un certo successo mirano a demolire il " mito" della Resistenza e a spacciare per buona la panzana che tutti gli italiani fossero adoratori di Mussolini. Per dimostrare quanto l'affermazione sia falsa, basterebbe rileggere la storia gloriosa del Cooperativo e dell'ADL.

 

MILLE. I paradossi della politica italiana sono leggendari. L'ultimo è fresco di conio. Dopo quello delle europee, Matteo Renzi supera anche l'esame dei sondaggi. Tutto bene, dunque? Non proprio. Difatti convince il premier, non il suo governo, rimandato a ottobre. Secondo gli esperti il dato conferma che "l'opinione pubblica nei suoi giudizi non sempre procede per linee rette". Per rimettere le pedine al posto giusto il presidente del consiglio confida nel suo programma dei mille giorni, che non son pochi. Al Creatore – obietterebbe  quella simpatica linguaccia di Don Camillo – ne bastarono sette per fare il mondo. Ma questa, ci si creda o no, è un'altra storia.

 

PACE. Non l'avessero mai fatto. Ci si interroga per sapere cosa vi sia di strano se a Roma numerosi volti noti dello spettacolo e della cultura pensano che 14 miliardi di euro per i caccia militari F35 siano soldi buttati al vento. Nulla, proprio nulla. Per molto meno in Svizzera con un referendum è stato annullato l'accordo negoziato con la Svezia per la fornitura di aerei da combattimento. Ma la mobilitazione è andata di traverso a chi considera scrittori e artisti come pericolosi agitatori e nemici della patria. Eppure basterebbe poco, un piccolo sforzo, per capire che di questi tempi calamitosi: "Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che... Pace!"

   

lunedì 15 settembre 2014

Un’altra guerra? Non la vuole Obama, non la vuole l'America

di Renzo Balmelli 

 

MENTALITÀ. Nessuno sa dire come andrà a finire la sfida che gli jihadisti della peggior specie hanno deciso di lanciare al mondo intero per imporre la supremazia del Califfato. Qualunque sia l'esito di questa guerra non sarà comunque una vicenda a lieto fine. Sempre più gli osservatori si fanno, infatti, persuasi che per contrastare l'inquietante fenomeno la risposta sul terreno da sola non basterà e che qualsiasi iniziativa avrà scarse possibilità di riuscita senza un salto di mentalità, per ora ferma alla notte dei tempi. Sotto la pressione degli eventi sta cambiando anche il punto di vista della Casa Bianca che prova a ridare smalto alla politica estera di Washington con una strategia del contenimento che in qualche modo riesca a formulare una sintesi tra il dialogo e l'uso mirato della forza. Tuttavia senza mandare allo sbaraglio un solo soldato statunitense. Non lo vuole Obama, non lo vuole l'America. Sarà un impegno di lunga lena che consente di archiviare come necrologi prematuri molti pronostici della destra sul declino del presidente.

 

DISINVOLTURA. In Italia ha fatto la sua apparizione uno schieramento che finora era rimasto confinato tra le storielle di un lettone (il lettòne di Putin, s'intende) diventato famoso durante i fasti dell'infausto ciclo berlusconiano, ma che adesso sta assumendo contorni molto più netti. Anche se non è facile tracciarne l'identikit. Si tratta dei putiniani, una strana compagnia di giro nella quale sono confluiti tutti gli arcigni euroscettici del continente, i vecchi e fieri anticomunisti di un tempo che col loro zelo anti-Obama e filo russo stanno oscurando la fama di Stalin. Le inquietanti tentazioni neo-zariste della nuova Russia, la disinvoltura con la quale è stata ignorata l'integrità territoriale dell'Ucraina risvegliano in effetti brutti ricordi. Eppure è curioso come la memoria corta possa giocare brutti scherzi, un po' come nel film-culto di Franco Maresco, "Belluscone", opera straordinaria presentata a Venezia in cui tutti sembrano avere dimenticato tutto, cosa sono stati, di chi e cosa sono stati complici, volontari o involontari.

 

SOGNO. Nel silenzio pesante e assordante che fa da sfondo ai quotidiani racconti di violenze, devastazioni, stupri e quant'altro l'uomo riesce a concepire per rendere ancora più feroce la prevaricazione a danno dei suoi simili, si finisce quasi sempre col parlare di due o tre guerre; quelle che saltano all'occhio e sono su tutte le prime pagine. Ma nel mondo si svolgono in contemporanea molti conflitti caduti nel dimenticatoio, ma non per questo meno dolorosi. Oltre a quelli più noti, si calcola che gli scontri armati stiano imperversando in una sessantina di stati per i più svariati motivi. A combatterli sono le milizie fuori controllo, i cartelli della droga, i gruppi separatisti. Il fondatore di Emergency Gino Strada, per averne toccato con mano le conseguenze si proclama contrario a qualsiasi azione militare. Come non dargli ragione? Le statistiche però tendono purtroppo a rendere irraggiungibile se non impossibile il sogno di abolire la guerra.

 

DISAPPUNTO. Si racconta che Elisabetta II nei 62 anni di regno da quando salì al trono alla morte del padre Giorgio VI, in nessuna circostanza abbia perso la sua proverbiale imperturbabilità. Nemmeno quando per sua stessa ammissione ebbe a dichiarare di avere vissuto un annus horribiis in seguito alle disgrazie che travolsero la vita di corte. Pare tuttavia che alla sovrana sia sfuggito un moto di disappunto nell'apprendere che i sondaggi davano in testa per la prima volta il Sì all'indipendenza della Scozia, la terra cui la unisce un legame speciale. Nella consapevolezza che la corona è fragile, davanti alla regina di colpo si è palesata l'immagine di un mondo senza Gran Bretagna e quindi della fine di un modello e di un'epoca che ha segnato la storia di cinque continenti, anche se il suo ruolo di Queen of Scotland non è messo in discussione. Ma dopo il 18 settembre potrebbe cambiare radicalmente la fisionomia di quello che fu un grandioso impero.

 

RIVINCITA. Con Mitterrand, che pure non era uno stinco di santo, la farsa amorosa che investe il presidente Hollande e con lui il partito socialista non sarebbe mai accaduta, fosse anche solo per una semplice questione di stile. Intanto, a guadagnarci è l'estrema destra del Fronte nazionale che ci sguazza alla grande. Non è la prima volta che nell'opulenza a volte sfacciata della "grandeur" la Francia si è trovata a spettegolare sulle storie di alcova che hanno infarcito le segrete vicende del potere da Versailles in poi. Anche ai giorni nostri Parigi ha qualcosa di cui sparlare dopo il libro-vendetta di Valérie Trierweiler, l'ex première dame dell'Eliseo, che fa vacillare la presidenza della seconda economia della zona euro. Molti librai però, o per pudore o per non essere il bidone della spazzatura mediatica, non espongono il volume in vetrina rifiutandosi di piegarsi alle regole del mercato vendendo robaccia. In compenso ostentano le opere di Balzac, Dumas, Maupassant. Una bella rivincita della "grandeur" all'altezza della sua fama.

 

lunedì 8 settembre 2014

Ci eravamo lasciati per le ferie con la speranza in cor…

di Renzo Balmelli 

 FANTASMI. Ci eravamo lasciati per le ferie con la "speranza in cor", ma l'illusione è stata di breve durata. Alla ripresa, dopo una stagione deprimente sotto ogni punto di vista sia per il clima, per il morale che per la pace, ci troviamo a guardarci attorno in preda allo sconforto. L'aria è malsana, resa irrespirabile dagli orrendi rituali riesumati dalla notte de tempi: le decapitazioni, le persecuzioni, l'esodo che svuota intere nazioni. Insomma, la sconfitta della ragione. Ci scandalizziamo nel riscoprire quanto fosse stupidamente crudele la " macelleria umana" che fu il conflitto '14-'18, ma un secolo dopo altri attori, non meno feroci di chi li ha preceduti, ridisegnano il medesimo scenario di rovine e devastazioni. Rispetto al passato non siamo messi meglio e con un sentimento di paura, mentre i vecchi fantasmi tornano ad agitare i nostri sonni, ci chiediamo se la terza follia mondiale chiamata guerra sia dietro l'angolo, riproponendo analogie inquietanti con le tragedie di ieri. Soprattutto se al colmo del cinismo barbaro e avido qualcuno potrebbe anche pensare di avere trovato nel tintinnare di sciabole la cura per l'economia in stallo.

 EUROPA. Il cambio della guardia alla guida della diplomazia dell'UE avrà un senso soltanto se la nuova generazione rappresentata da Federica Mongherini riuscirà nell'impresa non semplice di recuperare gli ideali dei fondatori per ridiventare protagonista del proprio destino. All'uopo, prima di ogni altro passo, servirà una rigenerazione della leadership comunitaria nei processi di distensione, tanto più che l'esigenza di una svolta stava diventando ineluttabile davanti all'immobilità in cui sembrava eclissarsi l'Europa al palesarsi dei conflitti .In filigrana si stagliava l 'idea di un rovinoso declino , di una diffusa sensazione di impotenza che avrebbe fatto unicamente il gioco degli euroscettici. Già abbiamo potuto misurare la discrepanza tra come Bruxelles si presenta e le emozioni provate dall'opinione pubblica che invece ha bisogno di essere rassicurata e di ritrovare la fiducia. Bisogna lavorare senza soste in questa direzione, anche perché la cognizione del potere reale sembra appartenere sempre più a entità astratte, oscure, che agiscono nella penombra di un mondo in frantumi. E non va bene.

 DINAMICHE. Oltre allo scrivere, attività nella quale eccelleva al punto di essere considerato il padre del romanzo e del giornalismo moderno, Daniel Defoe , notoriamente con le mani bucate, ebbe a cavallo tra il sei e il settecento anche la licenza di muoversi dietro le quinte in veste di uno 007 ante-litteram al servizio di Sua Maestà incaricato , dietro una lauta ricompensa, di una missione non priva di rischi: persuadere la Scozia a unirsi all'Inghilterra con tutti i mezzi leciti e illeciti. Anche in questo campo l'opera pionieristica e convincente dell'autore del Robinson , più a suo agio con l'oratoria che con gli affari , conobbe lo stesso il successo di cui ancora oggi godono i suoi libri. A trecento anni da quelle imprese, la storia dei rapporti tra Edimburgo e Londra potrebbe però subire una inversione cruciale rispetto alle dinamiche che l'illustre scrittore contribuì a mettere in moto, se al referendum del 18 settembre dovessero imporsi i fautori dell'indipendenza e dell'addio all'Union Jack. Sull'esito delle pratiche per il divorzio regna ancora l'incertezza, ma in attesa del verdetto al povero Defoe non resta che rigirarsi nella tomba.

 STRAPPO. Dal giorno in cui divenne Confederazione, la Svizzera ha esibito con orgoglio il suo plurilinguismo unico al mondo. Negli ultimi tempi però questo invidiabile modello di coesistenza culturale fra stirpi diverse sembra entrato in crisi. Il primo a fare le spese del declinante "parlar svizzero" è stato l'italiano, ormai relegato al ruolo di semplice comprimario dell'insegnamento obbligatorio. Sorte analoga sembra subire anche il francese, fin qui seconda lingua della scuola e dell'amministrazione, che ora trova però sempre meno fruitori al di fuori della sua area di competenza. Quanto alla maggioranza dei cantoni germanofoni a farla da padrone è l'inglese inframmezzato col dialetto locale, di gran lunga preferito al buon tedesco quale strumento di comunicazione immediata. Nella patria di Tell il fenomeno del multilinguismo, che nasce da situazioni geografiche, storiche economiche e sociali molto complesse, è il cardine attorno al quale ha fatto perno con successo il concetto di "Willenstaat", o stato per volontà su cui si regge il Paese. Non c'è quindi da sorprendersi se nel governo e nel parlamento di Berna si faccia sentire la preoccupazione per quello che potrebbe essere uno strappo nel tessuto della coesione confederale.