mercoledì 25 novembre 2015

Parigi, più forte dell'odio

 di Renzo Balmelli 

 

BARLUME. Nei giorni del dolore per l'orrore perpetrato a  Parigi  lascia sgomenti l'età dei terroristi. Quasi tutti sono giovani come la maggioranza delle loro vittime, coetanei della studentessa italiana Valeria Salesin, eroina tragica di un dramma scritto nel sangue, e di tanti come lei che fino a un minuto prima correvano liberi nella capitale della libertà. Giovani corrieri della morte con il volto del male – come li ha definiti Obama – che hanno divorziato dalla vita per inseguire i cattivi profeti , coloro che per vendicare torti reali o presunti  sognano la fine di un'epoca distruggendola in modo cieco senza un barlume di civiltà futura. In questo contesto privo di umanità tutti noi abbiamo il dovere di unirci per rispondere alla domanda: "Che fare?",  poiché un mondo migliore  non può essere immaginato e costruito sulla strage degli innocenti di qua e di la del pantano mediorientale.  

 

INCENDIO. Dopo l'assalto alle Torri gemelle dell'11 settembre si disse che nulla sarebbe mai più stato come prima. Adesso è difficile immaginare come sarà ciò che verrà dopo il 13 novembre che ha colpito al cuore la Francia e i valori dell'illuminismo, di cui è stata la culla, e che ci hanno aiutato a crescere e progredire nel solco di una società aperta e multiculturale. Nella cornice austera di Versailles, Hollande non ha avuto dubbi. "Nous sommes en guerre", ha esclamato il Presidente rotto dall'emozione,  mostrando la determinazione di questa grande Nazione a non cedere al ricatto e alla paura, così come non si piegò sotto gli scarponi chiodati delle orde naziste. Al culmine della sua follia Hitler ordinò di incendiare Parigi, ma a bruciare fu il Terzo Reich. Parigi, seppur percossa e ferita è sempre lì, più forte dell'odio.

 

GUERRA. Se mai la guerra fosse davvero dichiarata in modo esplicito, bisognerà farsene una ragione. Ma che cosa significhi esattamente è molto meno chiaro. Innanzitutto poiché sarà un conflitto diverso dai precedenti, con regole d'ingaggio da inventare giorno per giorno su un fronte proteiforme in continuo movimento e un nemico inafferrabile che si avvale addirittura dei videogiochi, trasformati in strumenti di conquista non più virtuali, per trasmettere messaggi in codice alla temibile falange delle cellule dormienti. D'altra parte l'esperienza insegna che nessuna guerra, dall'Iraq alla Siria, dall'Afghanistan alla Libia, è stata vinta con i bombardamenti, che non sembrano impressionare più di tanto i combattenti del Califfato e chi li finanzia. Si torna quindi alla domanda di prima: che fare?

 

CIVILTÀ. Nel mentre il Paese transalpino prova a rialzare la testa, la comunità internazionale, come si è visto in modo netto al vertice del G20, al di là della retorica di facciata sembra indecisa a tutto circa il modo di venire a capo di una delle della sfide più drammatiche del terzo millennio. Sul piano militare qualsiasi mossa potrebbe rivelarsi di efficacia assai dubbia senza l'intervento terrestre, opzione   che però evoca i vecchi fantasmi di imprese fallite  e che nessuna coalizione sembra disposta a intraprendere.  Resta l'impervia via diplomatica. Impervia perché la remota ipotesi di trovare anche un pur minimo spiraglio negoziale con l'Isis allo stato attuale rientra nel novero delle missioni impossibili. Qualsiasi trattativa non può invece  prescindere dal coinvolgimento del mondo mussulmano, che dev'essere esortato a prendere le distanze dalle frange estremiste ed a scendere in campo affinché tutto questo non accada mai più. Occorre dialogare per  evitare ogni confusione tra Islam e terrorismo, un salto nel buio   che fatalmente finirebbe col lasciare spazio solo alla tragica prospettiva di uno scontro di civiltà.

 

mercoledì 18 novembre 2015

Un fumatore accanito, ma non un venditore di fumo

di Renzo Balmelli 

 

VALORI. Non fu certo né per la Germania né per l'occidente un periodo tranquillo quello in cui Helmut Schmidt, considerato uno dei massimi protagonisti del dopoguerra e il primo grande riformatore della sinistra tedesca, esercitò le sue funzioni pubbliche. Per parlare di lui, iniziatore, oltre gli schieramenti, della lunga marcia verso l'unione economica e monetaria europea, si deve giocoforza iniziare dallo scossone che diede alla SPD avviandola lungo il cammino della modernità. Fu questa d'altronde la cifra dominante dell'intera sua azione politica alla quale rimase fedele con coerenza e fermezza dapprima in veste di ministro delle finanze e poi come Cancelliere al culmine della guerra fredda. In quegli anni nel cielo sopra Bonn ( Berlino divisa non era ancora capitale) si addensavano i nuvoloni carichi di oscuri presagi insiti nel riarmo nucleare voluto da Breznev che accentuava e rendeva vieppiù rischiosa la contrapposizione est-ovest. Sul piano interno inoltre incombeva l'attacco portato alla democrazia dalla RAF, Rote Armee Fraktion, il minaccioso e temibile braccio armato del terrorismo, all'origine di un'ondata di attentati e rapimenti che fecero da modello al sequestro di Aldo Moro. Fumatore accanito, ma non venditore di fumo, per la concretezza e il rigore col quale impostò il suo operato, Helmut Schmidt, scomparso alla veneranda età di 96 anni, resta il Cancelliere più amato e rimpianto dai tedeschi anche per un altro motivo legato alla personalità del riformista di Amburgo: quello di avere dedicato gli ultimi anni dalla sua vita a esortare il suo Paese e l'Europa a unirsi in forma democratica per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Ma nella sua biografia , vista da un altra angolazione, non mancano, come spesso succede con gli statisti di vaglia, le valutazioni critiche per talune scelte e le sue sfide controcorrente non sempre condivise che hanno lasciato una forte e controversa impronta, nonché una vasta gamma di discussioni e divisioni sia nella SPD, sia nel campo dell'euro socialismo. Se Willy Brandt, il suo predecessore, verrà ricordato per sempre come il romantico eroe della pace e della distensione, lui passerà alla storia come il venerato, grande vecchio della socialdemocrazia rinnovata nel solco della sua esemplare tradizione di insostituibile forza progressista anche nei tempi bui. Forza che è sempre stata una straordinaria fucina d'idee e di un altro modo di fare politica, basato sul primato dell'etica e dei valori morali.

 

DESERTO. Se per sventura quanto visto alla baldanzosa adunata di Lega e FI a Bologna fosse davvero il "nuovo" che avanza, bisognerebbe rassegnarsi a vivere in un Paese con un futuro alle spalle e un passato davanti a se. Nella triplice alleanza della destra di vecchio conio, lontana anni luce dal suo modello liberale e risorgimentale, si coagula infatti, accanto a personaggi ormai logori e altri di stampo populista, tutta la panoplia dei vecchi slogan di facile suggestione che nel recente passato lasciarono l'Italia in braghe di tela. Però quel filone esiste ancora e con l'aria che tira in Europa sottovalutarne la presenza sul territorio potrebbe avere ricadute difficili da riassorbire. Assecondarne la crescita elettorale sarebbe un azzardo, non diverso dall'illusione di attraversare il deserto a piedi senza un goccio d'acqua.

 

SORRISO. Sono occorsi due decenni, un Nobel, la reclusione, privazioni e sofferenze di ogni genere per riconsegnare all'indomita Aung San Suu Kyi la vittoria che fu già sua ma che venne soffocata dalla rigida dittatura birmana. Con il trionfo elettorale, l'icona del movimento di opposizione non violento ha ora i mezzi necessari per completare la svolta democratica della sua patria . Ma non sarà facile poiché dovrà continuare a guardarsi dai colpi d'ala dei generali che ancora non si sono fatti da parte e ai quali è riservato il 25% dei seggi. Per portare in porto felicemente la transizione la madre coraggio di Rangoon dovrà contare sul sostegno della comunità internazionale; sostegno che le fu negletto, per sordide speculazioni al servizio di meri interessi mercantili , negli anni cupi dell'isolamento coatto e del silenzio. Secondo una antica massima, in Birmania, diventata nel frattempo il Myanmar, " se incontri qualcuno senza un sorriso, regalagliene uno dei tuoi". Per il Paese dei mille templi è tempo di tornare a sorridere senza timori.

 

CONTRADDIZIONE. In Italia e non solo si riaffaccia a scadenze cicliche il tema dell'antipolitica e della scarsa fiducia nei partiti dimostrata da molti cittadini. In merito a tale argomento sono apparse ultimamente le riflessioni della storico Marc Lazar, nonché quelle di Eugenio Scalfari e Ilvo Diamanti che su Repubblica riflette sul fenomeno della "controdemocrazia" e le sue conseguenze per la società globale. La paradossale fotografia che ne viene fuori è quella di elettori che detestano i partiti, ma non i loro leader i quali godono invece di un ampio consenso specie nel folto schieramento degli eurofobici. La contraddizione è manifesta , ma è possibile contrastarla validamente - sostengono gli autori - nella consapevolezza che " le elezioni ancora esistono e la democrazia c'è ancora".

 

MALINCONIA. Quando i giovani che si sentivano soffocare dalla vecchia politica si riversarono nello strade di Parigi, dando vita alla combattuta stagione del "maggio 68", con loro salirono alla ribalta i maitres à penser, il gruppo dei pensatori che facevano capo a André Glucksmann, filosofo e campione dei diritti umani, scomparso in questi giorni all'età di 76 anni. Il suo impegno fu determinante quale punto di congiunzione tra due correnti, quella di Sartre, Aron e Focault e i Nouveaux philosphes che più tardi ruppero con il marxismo. A quel punto il ruolo di Glucksmann prende altre vie, si fa sempre più critico nei confronti del pacifismo, sposa la causa dell'intervento militare in Serbia, Siria e Libia quasi come un dovere in nome dei diritti umani. Tesi controversa però, che lasciò perplessi i suoi ammiratori a maggior ragione quando alla fine del suo complesso percorso il filosofo non esitò ad appoggiare Sarkozy, ossia la negazione di quello spirito sessantottino che vide l'antico maestro tra i più convinti protagonisti di un'epoca sulla quale oltre all'oblio è calato un velo di malinconia.

 

martedì 10 novembre 2015

Niente da capire

di Renzo Balmelli 

 

SQUALLORE. A volte si creano situazioni che pur lasciandoci sgomenti finiscono con l'annegare nel mare dell'indifferenza, forse a causa della strisciante restaurazione di cui si alimentano le forze più reazionarie ma capaci di guadagnare crescenti consensi. Quasi fosse un innocuo passatempo, si moltiplicano le frasi a sfondo razziale senza che gli autori si sentano in colpa. Emblematica a tale proposito è la bufera che investe la cupola del calcio e del suo più alto rappresentante che con un metodo tutto suo si diletta a sciorinare giudizi inqualificabili e crudeli sulle donne sportive, sugli ebrei, sui neri e gli omosessuali, ma che quasi nessuno osa biasimare e toccare. "Bisogna capire il contesto in cui certe cose vengono dette e come sono dette" – è la linea di difesa dei suoi sostenitori. Ma qui da capire non c'è proprio nulla, tranne lo squallore di certe affermazioni.

 

SFOGO. Quando capita di dare un'occhiata anche fugace al mondo del blog è come se all'occhio del lettore si offrisse uno spaccato della società non proprio esaltante che andrebbe analizzato a fondo. Per rubare un termine sdoganato da Berlusconi, il quale si dichiara "percepito come politico", la sensazione percepita attraverso i blogger si rivela utile per indagare il senso della quotidianità e le sue contraddizioni a volte anche rabbiose. Se un giudice considera punibile l'evidente pregiudizio razziale di un europarlamentare di destra contro l'intera etnia Rom, in molti casi le reazioni degli utenti non soltanto sono all'opposto dal parere del magistrato, ma coincidono con le tesi più estreme in cui si indovina la presenza di tanti, irrazionali rancori in libera uscita e in cerca di uno sfogo o di un capro espiatorio dietro il paravento dell'anonimato. Forse qualcuno finge di dimenticarsene, ma è così che ebbero inizio le peggiori tragedie dell'umanità. 

 

INCOGNITE. Da sempre affascinante e inquieta cerniera tra oriente e occidente, la Turchia di oggi, ormai molto lontana dall'eredità laica di Atatürk, offre di se un'immagine spezzettata, segnata dall'incertezza che il trionfo elettorale di Erdogan non ha contribuito a placare. La Nazione della mezzaluna dà l'impressione di trovarsi in mezzo al guado, stretta tra la richiesta di maggior sicurezza, poco importa con che mezzi, e una non meno sentita spinta alla democrazia forse più ballerina, ma sicuramente più stimolante del concetto, per ora solo allo studio, del sistema presidenziale affidato all''uomo solo e al partito unico con tutte le incognite che si possono immaginare. Molto dipenderà dal tipo di lettura che la maggioranza vorrà dare alle attese di chi ha votato diversamente. Sarà intransigente o generosa? Se il risultato delle urne si dovesse tradurre in un inasprimento del clima di intimidazione già configuratosi durante la campagna elettorale, le tensioni interne, anche gravi, sarebbero inevitabili, tanto più che la questione curda, a dispetto dei tentativi di Ankara, non è certo scomparsa dall'agenda.

 

INTERROGATIVI. A pensarci bene non è poi trascorso così tanto tempo dagli accordi di Oslo del 1993 come parte di un processo di pace che mirava a risolvere il conflitto arabo-israeliano. Ma a parlarne ora sembra trapassato remoto tanto si è persa la memoria di quell'evento portatore di grandi speranze che vennero però brutalmente stroncate dall'assassinio di Yitzhak Rabin, protagonista di quel vertice con Clinton e il leader palestinese Yasser Arafat. Vent'anni dopo l'uccisione del premier israeliano e premio Nobel per la pace per mano di un estremista, tanti sono gli interrogativi su cosa sarebbe successo se fosse rimasto vivo. Ma a questa ipotesi con un finale che non sarà mai scritto, si contrappone la dura realtà di uno scontro drammaticamente aperto che allontana l'idea di una tregua e mortifica la speranza di una resurrezione del processo di pace agonizzante.

 

ICEBERG. Santità, con tutto il dovuto rispetto, ma al posto suo forse sarebbe ora di fare gli scongiuri e magari anche le corna. Perché dentro le Sacre Mura non è che si respiri un'aria tanto salubre. Anzi. Tra fughe di notizie false sulla salute del Papa, "corvi" , torbide manovre, clamorosi coming out e il rischio di una nuova Vatileaks economica e non solo (sarebbe la seconda in poco tempo), di sacro non c'è gran che in questo intreccio di intrighi molto poco spirituali e tanto, tanto espressione di quel potere temporale che non disdegna la vita mondana e gli attici di lusso assai graditi all'aristocrazia di taluni porporati. Ora resta da capire in che misura le recenti vicende petrine possano avere riflessi sul Pontificato di Francesco in questo clima da lunghi coltelli che sarebbe soltanto – dicono i vaticanisti – la punta dell'iceberg di un diffuso malessere di cui il Pontefice intende liberarsi senza indugi per evitare che le sue riforme vengano frenate dall'insidia d’interessi particolari

mercoledì 4 novembre 2015

Anche il Ritorno al futuro… non è più quello di una volta

di Renzo Balmelli 

 

VIRUS. Se nel 1985 "Ritorno al futuro" di Zemeckis era stata una delle più divertenti e intriganti intuizioni cinematografiche dell'epoca, oggi, trent'anni dopo, bisognerebbe parlare di "Ritorno al passato". D'accordo: detto così può apparire banale. Ma se osserviamo il dolente corteo dei vinti che si accalca alle frontiere, ci rendiamo conto con un brivido che quel passato è già li sullo schermo della quotidianità, tra figuri dallo sguardo torvo e idiozie cosmiche "sulla congiura internazionale ebraica". E' una storia che abbiamo già vissuto e che ci riempie di angoscia nell'immaginarne le conseguenze. Eppure il virus del bieco revanscismo si diffonde ovunque. I partiti xenofobi e nazionalisti si affermano anche dove meno te lo aspetti con esiti elettorali che dovrebbero mettere sull'attenti ogni sincero democratico.

 

VONGOLE. Come spegnere i focolai dell'indecente populismo etnico e persino razziale è l'impegno che l'Europa dovrebbe collocare in cima alle sue priorità a cominciare dalle classi elementari, nel solco di una nuova rinascita culturale. Da come si stanno sbriciolando i principi etici fondamentali, si tratta di una battaglia che non è esagerato definire epocale, di sicuro di ben altra consistenza rispetto alle sciocche diatribe sulla misura delle vongole. Quella negazione completa dello spirito solidale che istiga i populisti di bassa lega a speculare persino in modo abbietto sulla fine di un bimbo morto in riva a una spiaggia greca è il segnale di una brutale degenerazione dei sentimenti . Una pratica odiosa che se lasciata in balia ai professionisti della paura, isolando chi invita a resistere, potrebbe davvero significare la fine dell'umanità.

 

CORTINA. Agli albori del clima di guerra fredda che per quasi mezzo secolo avrebbe avvelenato le relazioni est-ovest, Churchill affermò che una cortina di ferro era caduta sull'Europa. Anni dopo, la cosa preoccupante é che i rapporti tra le parti continuano a essere tesi pur avendo perso la carica ideologica. Ma la cortina resta, però fatta non più di ferro bensì dall'imbarbarimento del costume politico che come una barriera invalicabile ha trasformato il dramma dei rifugiati in un tema di voto col quale la destra di oriente e occidente riesce a raccattare consensi a buon mercato. Basta un rapido giro d'orizzonte per rendersi conto che il fenomeno si è impadronito anche dei Paesi benestanti e immuni dal flusso dei migranti. Ne esce un quadro disturbante che minaccia derive ancora più pesanti quando a scendere in campo saranno i duri della xenofobia euroscettica.

 

ATTESA. Paese depositario di un patrimonio culturale unico al mondo, l'Egitto , con i suoi 82 milioni di abitanti, fatica a uscire dalle secche degli sterili giochi di potere che da tre anni lo privano della normale vita parlamentare senza la quale l'attività politica resta un soggetto di debole costituzione. Invece di porsi agli occhi del mondo quale leader della primavera araba come le competerebbe per storia e tradizione, la nazione nubiana sperpera risorse preziose dietro gli accorgimenti del regime per diluire il processo elettorale, da poco iniziato, spingendosi oltre ogni logica. Per i risultati ci vorranno almeno due mesi, lasso di tempo che il Cairo considera l'ultimo gradino per il ritorno alla democrazia. Ma la snervante attesa diffonde tra la gente la sensazione di un voto privo di significato.

 

VERITA'. Da Kennedy a Moro, nella storia contemporanea ci sono stati delitti " eccellenti" per i quali nemmeno l'emulo con l'intuizione del mastodontico Nero Wolfe è riuscito a trovare il vero colpevole. Tra macchinazioni e indizi che molti, troppi, hanno finto di non vedere, gli anni sono passati senza mai fare luce sulle torbide vicende. Nella casistica delle morti violente e insolute rientra a pieno titolo l'uccisione di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più significativi del dopoguerra, sbrigativamente liquidata come la fine di un omosessuale che era andata a cercarsela lungo il crinale di una vita pericolosa. A quarant'anni dall'omicidio dello scrittore, la " verità ufficiale", figlia della strategia della tensione di nero vestita, traballa in modo vistoso, tanto da rilanciare la tesi di un odioso delitto politico. Insomma, Pasolini come Matteotti.

 

DUBBIO. Quest'anno Charlie Brown di primavere ne fa sessanta regalandoci sempre tante piacevoli letture, ma lasciandoci anche un amletico dubbio che purtroppo è destinato a restare senza risposte. "Colpa " di Charlie Schulz, l'autore conosciuto in tutto il mondo per avere creato le strisce dei Peanuts, che se n'è andato nel 2000 portando con se il segreto dell'incipit diventato un vero e proprio tormentone universale: quello che il cane Snoopy pone all'inizio del suo romanzo mai scritto con la famosa frase "Era un notte buia e tempestosa..." Ma a pensarci bene forse un seguito non era necessario. L'enigmatico inizio parla da sé. Messo a confronto con la realtà odierna quell'esordio narrativo mai completato ma carico di presagi dice che nella notte buia e tempestosa ormai già ci siamo dentro, immersi fino al collo.