mercoledì 23 dicembre 2015

Almeno noi apriamoli gli occhi...

di Renzo Balmelli 

 

RETORICA. Se non la ferocia di un “generale dagli occhi azzurri e la giacca uguale”, evocata da Fabrizio de André, è sempre comunque la vigliacca bestialità umana a spegnere la vita di centinaia di bambini in fuga che ora dormono sul fondo del mare così come i piccoli indiani massacrati nel greto del Sand Creek. I loro occhi non vedranno il Natale, se mai l'hanno avuto. Per loro non ci sono alberelli ingioiellati, vetrine rutilanti e nemmeno i panettoni della pubblicità che esortano a essere buoni. Leggere le cifre di questa lunga strage dei più innocenti fra gli innocenti rende ancor più insopportabile la ridondante retorica delle Feste. Almeno noi, al caldo tra le domestiche pareti, apriamoli gli occhi prima che l'assuefazione al dramma finisca col farci perdere la coscienza di ciò che sta accadendo e la riduca a un tuffo al cuore del momento che a sua volta altro non è che un grumo di ripetitiva e fiacca retorica.

 

COMPLICITÀ. Sul finire di un 2015 gravido di minacce di ogni genere, la morte di Licio Gelli, avvenuta a 96 anni, suona come un monito per chi fosse affetto da strane amnesie e fingesse di non sapere com'era l'Italia torbida della Loggia P2, al centro dei segreti e dei misteri più neri del Paese. Anche oggi si resta sgomenti nel rievocare i misfatti da mettere sul conto di quella forsennata Spectre ordita dal Venerabile mediante una rete di melmose relazioni e di smanie eversive che nel clima invasato della strategia della tensione, dello stragismo e del tintinnar di sciabole, arrivò fino alla soglia del colpo di stato. Solo il saldo impianto della democrazia, forgiato negli anni della Resistenza alla dittatura, è valso a sbarrare la strada a una svolta autoritaria alla Pinochet che poteva trovare terreno fertile nei gangli inquinati della società e nella criminosa complicità di chi agiva nell'ombra sul filo dei ricatti e degli omicidi. 

 

NERO. Era furibonda Marine Le Pen dopo il secondo turno che la priva del viatico di cui aveva bisogno per rendere credibili le sue ambizioni presidenziali. Si tira un sospiro di sollievo, certo, ma la consolazione è di breve durata. La bruciante disfatta dei frontisti non è un motivo per abbassare la guardia. Anzi. Solo grazie alla trasfusione di sangue della sinistra, ignorata bellamente da Sarkozy, che però esce male da queste elezioni, la "diga repubblicana" ha funzionato risparmiando alla Francia l'onta delle regioni in mano all'estrema destra. Aggirata per ora l 'umiliante deriva, resta tuttavia il paradosso del Fronte Nazionale che perde aumentando i voti in quella che Le Soir definisce una vittoria che "ne dit pas son nom" e che minaccia di continuare a essere una insidia qualora la breve alleanza contro la paura, anziché consolidarsi, si rivelasse inadatta a sradicare il "Bleu Marine", in verità più nero che blu.

 

DEVIANZE. A volte, nel leggere i commenti alle regionali francesi oppure alle farneticanti esternazioni di Donald Trump negli Stati Uniti, viene da chiedersi se si comprenda veramente il rischio di quel genere di linguaggio che si sta adoperando negli schieramenti votati alle peggiori infamie al fine di sostenere le proprie, bacate ideologie. Chiamare "fronte antifascista" l'opposizione all'estrema destra non è una distorsione della storia, ma rappresenta l'urgenza di contrapporsi politicamente, culturalmente e democraticamente a un fenomeno che, quando lo si lasciò libero di fare, produsse guasti spaventosi. Certo, grazie ai padri fondatori della moderna UE, non siamo alla Germania del 1938, ma quando si ascoltano le frenesie di un signore indicato come il principale fra i candidati alle presidenziali americane del partito repubblicano, i sottili distinguo servono poco per frenare chi potrebbe un giorno diventare l'erede di nostalgiche devianze.

 

SCOMMESSA. Con il clima, se il confronto non fosse riduttivo, è un po' come con il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Per taluni il vertice di Parigi è stato un evento che merita l'appellativo di "storico" per l'importanza dei risultati raggiunti e fin qui mai neppure sfiorati. Per altri è stata l'inutile riunione condominiale dei padroni dell'energia che figurano tra i big dell'inquinamento. Alla luce dei fatti emersi dal summit, occorre dire che l'imperativo a contenere il rialzo delle temperature sotto i due gradi con l'obbiettivo di arrivare a 1,5 gradi è una scommessa ambiziosa, ma dall'esito incerto. In questo accordo da realizzare nella seconda metà del secolo c'è sempre infatti l'incognita del fattore tempo per quelle popolazioni che si affacciano sul baratro del surriscaldamento e per le quali potrebbe essere toppo tardi. In quest'ottica per mettere in salvo il futuro dell'umanità non fa ombra di dubbio che occorra una marcia in più.

 

RISVEGLIO. "Ho visto cose che voi umani neanche riuscite a immaginare". Fin dai tempi del famoso monologo di Blade Runner, a scadenze cicliche la fantascienza torna a proporre sul grande schermo i suoi miti, le sue metafore, i suoi sogni, le sue illusioni. Da giorni, nel mondo, si è messa in moto la lunga marcia degli appassionati che accorrono al cinema per immergersi nuovamente nella leggenda di Star Wars e ritrovare l'atmosfera della saga inventata da George Lucas che sembra non invecchiare mai. E' un fenomeno di massa , non facile da capire e inquadrare, che risponde al bisogno di emozionarsi al riapparire dei personaggi più noti, Obi Wan Kenobi, Luke Skywalker o Darth Vader, di dimenticare tutto per due ore nel palpitare per " Il Risveglio della Forza", che è il titolo del film, e nell'applauso liberatorio per disfatta del suo lato oscuro come vorremmo che sempre fosse.

 

mercoledì 16 dicembre 2015

L'avanzata di un partito esecrabile

di Renzo Balmelli 

 PLACEBO. Regge poco la tesi che era soltanto il primo "tour", che i conti si faranno a bocce ferme e che dopotutto zia e nipote Le Pen non hanno vinto le elezioni nazionali, ma soltanto le regionali. Già, ma intanto il loro programma che pur facendo perno attorno alla radicalizzazione xenofoba è riuscito malgrado le poco edificanti premesse a raccogliere una valanga di voti, dilata le dimensioni del successo e accresce le inquietudini. La signora che infiamma gli estremisti non ha d'altronde nessuna intenzione di fermarsi. Vuole l'Eliseo, la cacciata dei socialisti, il funerale dell'Europa, la crociata anti immigrati e non predica certo la concordia. Scusate se è poco. Comunque sia, regionale o nazionale , la scossa provocata dal Fronte Nazionale è stata avvertita ben al di fuori dei confini francesi con tutti gli interrogativi sulle implicazioni culturali oltre che politiche di un possibile, incontrollabile contagio dalle conseguenze che vanno oltre ogni immaginazione. In un continente che di colpo potrebbe ritrovarsi molto "Vecchio", il ricorso alla desistenza per fare vincere il meno peggio potrà forse servire nell'immediato a contenere i danni, ma in proiezione futura altro non è che un placebo di limitata efficacia, comunque inadatto a frenare l'avanzata di un partito esecrabile

 VENTO. In queste ore difficili, scandite dalla perversa miscela di terrorismo ed estremismo, ci si chiede se l'ondata populista esplosa in Francia possa mettere in dubbio l'Ue così com'è stata ideata finora. Un semplice ripasso della storia ci dice che le grandi intuizioni non muoiono, mentre le ideologie peggiori finiscono sempre col soccombere. Ma è una consolazione passeggera. Nell'indigesto cocktail sono finiti troppi ingredienti per placare l'ansia di coloro che paventano il ritorno dei nostalgici, dei faziosi nemici della Repubblica e della democrazia. Il Fronte è una realtà radicata nei gangli della società transalpina, complici- purtroppo - anche le ambiguità della destra moderata e le divisioni della sinistra che hanno regalato al frontismo un terreno praticamente già arato. Alla luce di quanto si è visto, ormai non è più possibile tergiversare: solo il ricorso alla ragione può bloccare la disgregazione dei valori ereditati dall'Illuminismo, prima che il vento lepenista finisca col travolgere i nostri ideali più cari. 

 VULNERABILITÀ. Con mirabile intuito già vent'anni fa lo scrittore Henning Mankell, la cui prematura scomparsa ha gettato nello sconforto milioni di lettori, aveva capito quali avrebbero potuto essere le insidie celate in una rete di comunicazione sempre più intensa e rapida. Nel romanzo "Muro di fuoco", tradotto in italiano da Marsilio e considerato uno dei suoi migliori, il padre del commissario Wallander mostrava il rovescio della medaglia di un sistema dove un tempo la paura correva sul filo, mentre ai giorni nostri, come l'autore aveva previsto, il terrorismo viaggia indisturbato via Internet, diventato ormai la piattaforma prediletta per azioni di propaganda, mobilitazione e proselitismo. Ne abbiamo avuto la prova nella strage di Parigi che ha messo in luce l'inquietante vulnerabilità di una società apparentemente molto efficiente, molto interconnessa, ma proprio per questo sempre più in balia delle forze del male. 

 PREDICATORE. All'opposto di Milano, che per la prima della Scala non ha ceduto alla paura e non si è fatta intimorire, nell'America profonda si risvegliano gli istinti più riposti per mano di sciagurati avventurieri della politica. Messo ai margini il Tea Party, gli americani stanno per ritrovarsi un nuovo condottiero della purezza " made in USA" chiamato Donald Trump, il miliardario che tenta la scalata alla Casa Bianca accanendosi contro i mussulmani, tutti i mussulmani, con lo stesso livore usato in passato dai reazionari con i "negri" che inseguivano il sogno di Martin Luther King. Tra gli imbarazzati silenzi dei repubblicani sulle deliranti provocazioni del magnate estremista, molti si chiedono se l'America non abbia trovato il suo Le Pen che cresce nei sondaggi ed è sempre più solo in vetta agli indici di popolarità all'interno del suo partito grazie all'aggressiva potenza comunicativa e la capacità di interpretare in modo rozzo ma pagante le paure dell'elettorato di destra. 

 ANTIDOTO. Sarà un casuale concorso di circostanze, ma ogni qual volta l'umanità cade in preda dell'inquietudine cominciano a rifiorire le leggende metropolitane sui mondi sperduti nelle galassie e popolate da esseri viventi dalle fattezze più incredibili. Tra le ultime variazioni sul tema, si è parlato in questi giorni di una misteriosa cupola aliena che un gruppo di cacciatori UFO avrebbe individuato sulla superficie di Marte e che secondo questa fonte potrebbe nascondere i resti archeologici di una antica civiltà marziana. Per completare il quadro c'è chi giura di avere visto due figure umanoidi vestite come astronauti camminare sul pianeta rosso non lontano dalla famigerata cupola. La psicologia avrà molti argomenti per spiegare la tendenza a proiettare nelle profondità siderali le fantasie che fin dall'antichità popolano la mente degli uomini nella ricerca di un antidoto all'insoddisfazione e allo snervante logorio della vita sulla terra.

 DISAGIO. Per vincere la depressione c'è lui, depresso per antonomasia, a offrirci un corroborante cordiale con i suoi film sempre uguali e sempre diversi nel segno di una continuità affascinante. Lui, Woody Allen, il genio del cinema, ottant'anni appena compiuti, che in mezzo secolo di carriera ha girato 45 pellicole senza mai perdere di vista la sua cifra stilistica in cui si intrecciano, con il tocco del maestro, la commedia, l'umorismo e le citazioni dotte. Al ritmo di quasi un film all'anno, Woody Allen ha interpretato senza mai smentirsi lo stesso ruolo di uomo colto, intellettuale, ironico e pieno di dubbi che sa trasferire le sue nevrosi in tanti capolavori e trasformare Manhattan in un luogo dell'immaginario collettivo. Ma sempre ricordandoci "che Dio è morto, Marx è morto e pure lui si sente esistenzialmente poco bene". E proprio Irrational Man, l'ultimo suo lavoro, sintetizza seppure con fasi alterne il disagio e il senso dell'esistenza sui quali il regista, alle prese con l'eterno dilemma del rapporto tra "Delitto e castigo" proposto dal suo amato Dostoevskij, non smette di interrogarsi e di interrogare gli spettatori nel solco di uno stimolante confronto.

mercoledì 9 dicembre 2015

Il giorno prima di domani

Davvero, non possiamo lasciare alle prossime generazioni un ambiente irrimediabilmente devastato dal collasso climatico...

 

di Renzo Balmelli 

 

SFIDA. In una Parigi ancora traumatizzata dalla ferocia jihadista , due temi caldi, clima e terrorismo, temi in apparenza distanti, ma in realtà strettamente correlati, si incrociano sotto il segno dell'emergenza per configurarsi come una unica sfida epocale con cui confrontarsi nell'immediato futuro. L'esito della partita più difficile per le sorti della umanità dipende da come la società delle nazioni, spesso condizionata da interessi di parte , riuscirà a varare una strategia unitaria per frenare il surriscaldamento e l'inquinamento della Terra che sia decisamente migliore e più efficace di quella messa a punto per fermare i terroristi. In caso contrario il vertice del COP21 non avrebbe alcun senso se dovesse limitarsi agli impegni di facciata o si accontentasse di soluzioni al ribasso. Si finirebbe col lasciare alle prossime generazioni un ambiente irrimediabilmente devastato dal collasso climatico sullo sfondo di uno scenario apocalittico peggiore di qualsiasi fantascientifico day after.

 

SOS. Forse il tempo non è ancora scaduto per la Terra. Ma attorno a noi si compiono ogni giorno tanti e tali attentati alla natura da non più consentire calcoli e tergiversazioni. Mentre l'elenco dei decessi rispetto alle normali aspettative di vita registrati a causa dell'inquinamento continua ad allungarsi, sul Brasile si è abbattuto il peggiore disastro ambientale della storia del Paese con conseguenze spaventose. Da due dighe lasciate in pessimo stato dall'incuria dell'uomo è fuoriuscita una fiumana inarrestabile di sostanze nocive che ha contaminato terreni, fiumi , e l' Oceano atlantico che ora si è tinto di rosso. Potrebbe volerci un secolo per ritornare a una situazione di normalità. Al summit parigino arriva quindi più forte che mai l'SOS del pianeta in sofferenza che ora attende l'arrivo di bravi primari al suo capezzale capaci di " disinquinare" l'aria ammorbata dai veleni che tolgono il respiro e oscurano il cielo. 

 

SQUILIBRI. Se Bangui dopo il viaggio del Papa è diventata la capitale spirituale del mondo, ora è tempo di guardare avanti e di farne anche la capitale della rinascita materiale nei Paesi più martoriati dell'Africa. Col suo viaggio il Vicario di Roma ha inteso lanciare un appello affinché milioni di derelitti, dimenticati da tutti, non siano più costretti a vegetare nel cono d'ombra del benessere. Ma per disegnare un domani degno di essere vissuto in questa parte del mondo ci vorrebbe un miracolo, materia piuttosto rara di questi tempi . I numeri non dicono tutto, ma possono dire molto e se si mette a confronto il Pil pro capite della Repubblica centrafricana di 541 dollari annui con i 600 miliardi di euro posseduti da 300 Paperon de Paperoni nella sola Svizzera, si intuisce quanto enorme sia la voragine di ingiustizie che separa l'universo dorato dei ricchi da quello dei poveri. Eppure basterebbe una modesta frazione di quella montagna di soldi per alleviare l'esistenza di tante popolazioni, se solo esistessero regole etiche tese a mitigare gli intollerabili squilibri nella distribuzione delle ricchezze.

 

COPPIA. Come se non avesse già abbastanza guai, un altra calamità sta per abbattersi sulla Francia dove l'estrema destra ritoccata, ma non mondata dai suoi peccati originali, si prepara a festeggiare il trionfo annunciato al primo turno delle elezioni regionali di domenica prossima. Sotto la guida di zia Marine e della nipote Marion Le Pen, la nuova coppia al femminile più gettonata dai sondaggi, il Front National sta vivendo l'ennesimo momento di grazia seguendo una tendenza già in atto da mesi e che il 13 novembre ha solo amplificato. Se la vittoria venisse confermata al secondo turno, più difficile in virtù del gioco delle alleanze, all'ombra della torre Eiffel potrebbe aprirsi una periodo di forti turbolenze politiche. I francesi si troverebbero a dover convivere con un partito sempre più a destra e con un presidente e un governo di sinistra, però più fragili, sebbene Hollande, grazie alla forza d'animo dimostrata durante gli attentati, abbia riguadagnato molte simpatie perdute. Solo l'incognita rappresentata dal previsto altissimo tasso di astensione potrebbe in qualche modo ridisegnare i pronostici, ma non al punto da rallentare l'avanzata delle tendenze populiste e xenofobe che fanno paura all'Europa.

 

martedì 1 dicembre 2015

Una Libia bis, un altro Afghanistan, un nuovo Iraq?

di Renzo Balmelli 

 

SPIRAGLIO. Sulla politica di Renzi è legittimo essere in disaccordo. Ma sulla guerra nel pantano mediorientale che piace ai seguaci del nostalgico "armiamoci e partiamo", la cautela e la prudenza mostrate dal presidente del Consiglio con accenti non diversi da quelli usati da Obama, sono condivisibili senza riserva. Una Libia bis, un altro Afghanistan , un nuovo Iraq e l' incognita siriana perpetuata all'infinito non farebbero che fornire ulteriore nutrimento al terrorismo disumano di matrice jihadista. Secondo la ferrea logica di Bismarck, il tintinnar di sciabole è la prosecuzione della diplomazia con altri mezzi, ma è una regola vecchia, da dimenticare fino a quando esiste un seppur minimo spiraglio per tenere viva la speranza di un mondo migliore. 

 

BONIFICA. Al di la delle opzioni militari , dalla voragine dell'orrore e della paura apertasi a Parigi e poi a Bamako emerge la necessità di immaginare anche altre, coraggiose strategie per affrontare la sfida del terrorismo globale . Questa difatti è una battaglia che si vince innanzi tutto non con le armi spianate- non solo, comunque - ma con le politiche sociali, non disgiunte da un capillare impegno educativo e culturale. Ossia le risorse in grado di promuovere un progetto condiviso per la bonifica delle macroscopiche ingiustizie che affliggono l'umanità e che sono la causa di tanti dolori. A questo punto i primi a farsene carico dovranno essere i mussulmani, nella consapevolezza che spetti agli islamici sciogliere le ambiguità nei rapporti con l'Isis. 

 

MITO. Chi ha visto Midnight in Paris di Woody Allen ha potuto rendersi conto di quanto intense fossero le relazioni tra l'America e la mitica Parigi degli anni venti, quella della generazione di Hemingway, Scott Fitzgerald, Gertrude Stein e molti altri ancora che hanno scelto la capitale sulla Senna per scrivere, divertirsi e concepire i loro capolavori. Come il protagonista del film che vuole a tutti i costi tornare a quell'epoca incantata, anche il messaggio di un lettore del New York Times apparso dopo la strage del 13 novembre e diventato subito virale, suona come un inno d'amore scandito sulle note suadenti di "I love Paris". In esso è raccolta l'immagine della Francia che incarna tutto ciò che i fanatici religiosi hanno sempre odiato, la gioia di vivere, l'aroma inebriante di un croissant appena sfornato, una bottiglia di vino condivisa con gli amici, una scia di profumo. La Francia che mai si piegherà al ricatto dell'oscurantismo. 

 

SVOLTA. Nell'Argentina approdo di milioni di migranti provenienti dall'Italia, è stata una lotta all'ultimo voto tra due oriundi a segnare l'esito del primo ballottaggio nella storia del Paese per la corsa alla presidenza. A bocce ferme Maurizio Macri, con lontane ascendenze calabresi, ha ottenuto una vittoria a scapito di Daniel Sciolli, di origini molisane, indicato come il successore della presidente Kirchner; vittoria che segna la fine del peronismo e apre una fase di grandi cambiamenti nella politica estera e in quella economica di Buenos Aires. Con questo voto l'Argentina volta pagina e la signora Antonia, moglie dell'eletto, in una società che tiene gran conto del potere declinato al femminile potrebbe essere la nuova Evita, ma certo non Peron.

 

TRAGUARDO. Sarà pure, come certificano gli attestati delle riviste specializzate, la sola statista in grado di esprimere l'unica leadership del mondo occidentale. Ma a dispetto dei riconoscimenti e alla faccia del ridicolo cucù di matrice berlusconiana, Angela Merkel per i 10 anni della sua elezioni alla guida del governo tedesco, mai avrebbe immaginato di tagliare l'importante traguardo in un momento tanto difficile. Con la Germania in gioco su tanti fronti, dalla scelta di aprire ai profughi all'attacco micidiale del terrorismo, dallo scandalo della Volkswagen alle fibrillazioni dell'Europa, la sfide epocali dell'inossidabile Cancelliera potrebbero , a seconda dell'esito, assicurarle un posto stabile nella Storia oppure avviarne il declino. Nella maggior parte dei commenti la "Mutti", la mammina come la chiamano oltre Reno, è ancora la leader di cui si fidano i tedeschi che ne apprezzano le scelte dettate dal buon senso. Ma le scosse brutali di questi giorni non risparmiano i grandi della terra che sembrano avere perso il bandolo della matassa.

 

mercoledì 25 novembre 2015

Parigi, più forte dell'odio

 di Renzo Balmelli 

 

BARLUME. Nei giorni del dolore per l'orrore perpetrato a  Parigi  lascia sgomenti l'età dei terroristi. Quasi tutti sono giovani come la maggioranza delle loro vittime, coetanei della studentessa italiana Valeria Salesin, eroina tragica di un dramma scritto nel sangue, e di tanti come lei che fino a un minuto prima correvano liberi nella capitale della libertà. Giovani corrieri della morte con il volto del male – come li ha definiti Obama – che hanno divorziato dalla vita per inseguire i cattivi profeti , coloro che per vendicare torti reali o presunti  sognano la fine di un'epoca distruggendola in modo cieco senza un barlume di civiltà futura. In questo contesto privo di umanità tutti noi abbiamo il dovere di unirci per rispondere alla domanda: "Che fare?",  poiché un mondo migliore  non può essere immaginato e costruito sulla strage degli innocenti di qua e di la del pantano mediorientale.  

 

INCENDIO. Dopo l'assalto alle Torri gemelle dell'11 settembre si disse che nulla sarebbe mai più stato come prima. Adesso è difficile immaginare come sarà ciò che verrà dopo il 13 novembre che ha colpito al cuore la Francia e i valori dell'illuminismo, di cui è stata la culla, e che ci hanno aiutato a crescere e progredire nel solco di una società aperta e multiculturale. Nella cornice austera di Versailles, Hollande non ha avuto dubbi. "Nous sommes en guerre", ha esclamato il Presidente rotto dall'emozione,  mostrando la determinazione di questa grande Nazione a non cedere al ricatto e alla paura, così come non si piegò sotto gli scarponi chiodati delle orde naziste. Al culmine della sua follia Hitler ordinò di incendiare Parigi, ma a bruciare fu il Terzo Reich. Parigi, seppur percossa e ferita è sempre lì, più forte dell'odio.

 

GUERRA. Se mai la guerra fosse davvero dichiarata in modo esplicito, bisognerà farsene una ragione. Ma che cosa significhi esattamente è molto meno chiaro. Innanzitutto poiché sarà un conflitto diverso dai precedenti, con regole d'ingaggio da inventare giorno per giorno su un fronte proteiforme in continuo movimento e un nemico inafferrabile che si avvale addirittura dei videogiochi, trasformati in strumenti di conquista non più virtuali, per trasmettere messaggi in codice alla temibile falange delle cellule dormienti. D'altra parte l'esperienza insegna che nessuna guerra, dall'Iraq alla Siria, dall'Afghanistan alla Libia, è stata vinta con i bombardamenti, che non sembrano impressionare più di tanto i combattenti del Califfato e chi li finanzia. Si torna quindi alla domanda di prima: che fare?

 

CIVILTÀ. Nel mentre il Paese transalpino prova a rialzare la testa, la comunità internazionale, come si è visto in modo netto al vertice del G20, al di là della retorica di facciata sembra indecisa a tutto circa il modo di venire a capo di una delle della sfide più drammatiche del terzo millennio. Sul piano militare qualsiasi mossa potrebbe rivelarsi di efficacia assai dubbia senza l'intervento terrestre, opzione   che però evoca i vecchi fantasmi di imprese fallite  e che nessuna coalizione sembra disposta a intraprendere.  Resta l'impervia via diplomatica. Impervia perché la remota ipotesi di trovare anche un pur minimo spiraglio negoziale con l'Isis allo stato attuale rientra nel novero delle missioni impossibili. Qualsiasi trattativa non può invece  prescindere dal coinvolgimento del mondo mussulmano, che dev'essere esortato a prendere le distanze dalle frange estremiste ed a scendere in campo affinché tutto questo non accada mai più. Occorre dialogare per  evitare ogni confusione tra Islam e terrorismo, un salto nel buio   che fatalmente finirebbe col lasciare spazio solo alla tragica prospettiva di uno scontro di civiltà.

 

mercoledì 18 novembre 2015

Un fumatore accanito, ma non un venditore di fumo

di Renzo Balmelli 

 

VALORI. Non fu certo né per la Germania né per l'occidente un periodo tranquillo quello in cui Helmut Schmidt, considerato uno dei massimi protagonisti del dopoguerra e il primo grande riformatore della sinistra tedesca, esercitò le sue funzioni pubbliche. Per parlare di lui, iniziatore, oltre gli schieramenti, della lunga marcia verso l'unione economica e monetaria europea, si deve giocoforza iniziare dallo scossone che diede alla SPD avviandola lungo il cammino della modernità. Fu questa d'altronde la cifra dominante dell'intera sua azione politica alla quale rimase fedele con coerenza e fermezza dapprima in veste di ministro delle finanze e poi come Cancelliere al culmine della guerra fredda. In quegli anni nel cielo sopra Bonn ( Berlino divisa non era ancora capitale) si addensavano i nuvoloni carichi di oscuri presagi insiti nel riarmo nucleare voluto da Breznev che accentuava e rendeva vieppiù rischiosa la contrapposizione est-ovest. Sul piano interno inoltre incombeva l'attacco portato alla democrazia dalla RAF, Rote Armee Fraktion, il minaccioso e temibile braccio armato del terrorismo, all'origine di un'ondata di attentati e rapimenti che fecero da modello al sequestro di Aldo Moro. Fumatore accanito, ma non venditore di fumo, per la concretezza e il rigore col quale impostò il suo operato, Helmut Schmidt, scomparso alla veneranda età di 96 anni, resta il Cancelliere più amato e rimpianto dai tedeschi anche per un altro motivo legato alla personalità del riformista di Amburgo: quello di avere dedicato gli ultimi anni dalla sua vita a esortare il suo Paese e l'Europa a unirsi in forma democratica per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Ma nella sua biografia , vista da un altra angolazione, non mancano, come spesso succede con gli statisti di vaglia, le valutazioni critiche per talune scelte e le sue sfide controcorrente non sempre condivise che hanno lasciato una forte e controversa impronta, nonché una vasta gamma di discussioni e divisioni sia nella SPD, sia nel campo dell'euro socialismo. Se Willy Brandt, il suo predecessore, verrà ricordato per sempre come il romantico eroe della pace e della distensione, lui passerà alla storia come il venerato, grande vecchio della socialdemocrazia rinnovata nel solco della sua esemplare tradizione di insostituibile forza progressista anche nei tempi bui. Forza che è sempre stata una straordinaria fucina d'idee e di un altro modo di fare politica, basato sul primato dell'etica e dei valori morali.

 

DESERTO. Se per sventura quanto visto alla baldanzosa adunata di Lega e FI a Bologna fosse davvero il "nuovo" che avanza, bisognerebbe rassegnarsi a vivere in un Paese con un futuro alle spalle e un passato davanti a se. Nella triplice alleanza della destra di vecchio conio, lontana anni luce dal suo modello liberale e risorgimentale, si coagula infatti, accanto a personaggi ormai logori e altri di stampo populista, tutta la panoplia dei vecchi slogan di facile suggestione che nel recente passato lasciarono l'Italia in braghe di tela. Però quel filone esiste ancora e con l'aria che tira in Europa sottovalutarne la presenza sul territorio potrebbe avere ricadute difficili da riassorbire. Assecondarne la crescita elettorale sarebbe un azzardo, non diverso dall'illusione di attraversare il deserto a piedi senza un goccio d'acqua.

 

SORRISO. Sono occorsi due decenni, un Nobel, la reclusione, privazioni e sofferenze di ogni genere per riconsegnare all'indomita Aung San Suu Kyi la vittoria che fu già sua ma che venne soffocata dalla rigida dittatura birmana. Con il trionfo elettorale, l'icona del movimento di opposizione non violento ha ora i mezzi necessari per completare la svolta democratica della sua patria . Ma non sarà facile poiché dovrà continuare a guardarsi dai colpi d'ala dei generali che ancora non si sono fatti da parte e ai quali è riservato il 25% dei seggi. Per portare in porto felicemente la transizione la madre coraggio di Rangoon dovrà contare sul sostegno della comunità internazionale; sostegno che le fu negletto, per sordide speculazioni al servizio di meri interessi mercantili , negli anni cupi dell'isolamento coatto e del silenzio. Secondo una antica massima, in Birmania, diventata nel frattempo il Myanmar, " se incontri qualcuno senza un sorriso, regalagliene uno dei tuoi". Per il Paese dei mille templi è tempo di tornare a sorridere senza timori.

 

CONTRADDIZIONE. In Italia e non solo si riaffaccia a scadenze cicliche il tema dell'antipolitica e della scarsa fiducia nei partiti dimostrata da molti cittadini. In merito a tale argomento sono apparse ultimamente le riflessioni della storico Marc Lazar, nonché quelle di Eugenio Scalfari e Ilvo Diamanti che su Repubblica riflette sul fenomeno della "controdemocrazia" e le sue conseguenze per la società globale. La paradossale fotografia che ne viene fuori è quella di elettori che detestano i partiti, ma non i loro leader i quali godono invece di un ampio consenso specie nel folto schieramento degli eurofobici. La contraddizione è manifesta , ma è possibile contrastarla validamente - sostengono gli autori - nella consapevolezza che " le elezioni ancora esistono e la democrazia c'è ancora".

 

MALINCONIA. Quando i giovani che si sentivano soffocare dalla vecchia politica si riversarono nello strade di Parigi, dando vita alla combattuta stagione del "maggio 68", con loro salirono alla ribalta i maitres à penser, il gruppo dei pensatori che facevano capo a André Glucksmann, filosofo e campione dei diritti umani, scomparso in questi giorni all'età di 76 anni. Il suo impegno fu determinante quale punto di congiunzione tra due correnti, quella di Sartre, Aron e Focault e i Nouveaux philosphes che più tardi ruppero con il marxismo. A quel punto il ruolo di Glucksmann prende altre vie, si fa sempre più critico nei confronti del pacifismo, sposa la causa dell'intervento militare in Serbia, Siria e Libia quasi come un dovere in nome dei diritti umani. Tesi controversa però, che lasciò perplessi i suoi ammiratori a maggior ragione quando alla fine del suo complesso percorso il filosofo non esitò ad appoggiare Sarkozy, ossia la negazione di quello spirito sessantottino che vide l'antico maestro tra i più convinti protagonisti di un'epoca sulla quale oltre all'oblio è calato un velo di malinconia.

 

martedì 10 novembre 2015

Niente da capire

di Renzo Balmelli 

 

SQUALLORE. A volte si creano situazioni che pur lasciandoci sgomenti finiscono con l'annegare nel mare dell'indifferenza, forse a causa della strisciante restaurazione di cui si alimentano le forze più reazionarie ma capaci di guadagnare crescenti consensi. Quasi fosse un innocuo passatempo, si moltiplicano le frasi a sfondo razziale senza che gli autori si sentano in colpa. Emblematica a tale proposito è la bufera che investe la cupola del calcio e del suo più alto rappresentante che con un metodo tutto suo si diletta a sciorinare giudizi inqualificabili e crudeli sulle donne sportive, sugli ebrei, sui neri e gli omosessuali, ma che quasi nessuno osa biasimare e toccare. "Bisogna capire il contesto in cui certe cose vengono dette e come sono dette" – è la linea di difesa dei suoi sostenitori. Ma qui da capire non c'è proprio nulla, tranne lo squallore di certe affermazioni.

 

SFOGO. Quando capita di dare un'occhiata anche fugace al mondo del blog è come se all'occhio del lettore si offrisse uno spaccato della società non proprio esaltante che andrebbe analizzato a fondo. Per rubare un termine sdoganato da Berlusconi, il quale si dichiara "percepito come politico", la sensazione percepita attraverso i blogger si rivela utile per indagare il senso della quotidianità e le sue contraddizioni a volte anche rabbiose. Se un giudice considera punibile l'evidente pregiudizio razziale di un europarlamentare di destra contro l'intera etnia Rom, in molti casi le reazioni degli utenti non soltanto sono all'opposto dal parere del magistrato, ma coincidono con le tesi più estreme in cui si indovina la presenza di tanti, irrazionali rancori in libera uscita e in cerca di uno sfogo o di un capro espiatorio dietro il paravento dell'anonimato. Forse qualcuno finge di dimenticarsene, ma è così che ebbero inizio le peggiori tragedie dell'umanità. 

 

INCOGNITE. Da sempre affascinante e inquieta cerniera tra oriente e occidente, la Turchia di oggi, ormai molto lontana dall'eredità laica di Atatürk, offre di se un'immagine spezzettata, segnata dall'incertezza che il trionfo elettorale di Erdogan non ha contribuito a placare. La Nazione della mezzaluna dà l'impressione di trovarsi in mezzo al guado, stretta tra la richiesta di maggior sicurezza, poco importa con che mezzi, e una non meno sentita spinta alla democrazia forse più ballerina, ma sicuramente più stimolante del concetto, per ora solo allo studio, del sistema presidenziale affidato all''uomo solo e al partito unico con tutte le incognite che si possono immaginare. Molto dipenderà dal tipo di lettura che la maggioranza vorrà dare alle attese di chi ha votato diversamente. Sarà intransigente o generosa? Se il risultato delle urne si dovesse tradurre in un inasprimento del clima di intimidazione già configuratosi durante la campagna elettorale, le tensioni interne, anche gravi, sarebbero inevitabili, tanto più che la questione curda, a dispetto dei tentativi di Ankara, non è certo scomparsa dall'agenda.

 

INTERROGATIVI. A pensarci bene non è poi trascorso così tanto tempo dagli accordi di Oslo del 1993 come parte di un processo di pace che mirava a risolvere il conflitto arabo-israeliano. Ma a parlarne ora sembra trapassato remoto tanto si è persa la memoria di quell'evento portatore di grandi speranze che vennero però brutalmente stroncate dall'assassinio di Yitzhak Rabin, protagonista di quel vertice con Clinton e il leader palestinese Yasser Arafat. Vent'anni dopo l'uccisione del premier israeliano e premio Nobel per la pace per mano di un estremista, tanti sono gli interrogativi su cosa sarebbe successo se fosse rimasto vivo. Ma a questa ipotesi con un finale che non sarà mai scritto, si contrappone la dura realtà di uno scontro drammaticamente aperto che allontana l'idea di una tregua e mortifica la speranza di una resurrezione del processo di pace agonizzante.

 

ICEBERG. Santità, con tutto il dovuto rispetto, ma al posto suo forse sarebbe ora di fare gli scongiuri e magari anche le corna. Perché dentro le Sacre Mura non è che si respiri un'aria tanto salubre. Anzi. Tra fughe di notizie false sulla salute del Papa, "corvi" , torbide manovre, clamorosi coming out e il rischio di una nuova Vatileaks economica e non solo (sarebbe la seconda in poco tempo), di sacro non c'è gran che in questo intreccio di intrighi molto poco spirituali e tanto, tanto espressione di quel potere temporale che non disdegna la vita mondana e gli attici di lusso assai graditi all'aristocrazia di taluni porporati. Ora resta da capire in che misura le recenti vicende petrine possano avere riflessi sul Pontificato di Francesco in questo clima da lunghi coltelli che sarebbe soltanto – dicono i vaticanisti – la punta dell'iceberg di un diffuso malessere di cui il Pontefice intende liberarsi senza indugi per evitare che le sue riforme vengano frenate dall'insidia d’interessi particolari

mercoledì 4 novembre 2015

Anche il Ritorno al futuro… non è più quello di una volta

di Renzo Balmelli 

 

VIRUS. Se nel 1985 "Ritorno al futuro" di Zemeckis era stata una delle più divertenti e intriganti intuizioni cinematografiche dell'epoca, oggi, trent'anni dopo, bisognerebbe parlare di "Ritorno al passato". D'accordo: detto così può apparire banale. Ma se osserviamo il dolente corteo dei vinti che si accalca alle frontiere, ci rendiamo conto con un brivido che quel passato è già li sullo schermo della quotidianità, tra figuri dallo sguardo torvo e idiozie cosmiche "sulla congiura internazionale ebraica". E' una storia che abbiamo già vissuto e che ci riempie di angoscia nell'immaginarne le conseguenze. Eppure il virus del bieco revanscismo si diffonde ovunque. I partiti xenofobi e nazionalisti si affermano anche dove meno te lo aspetti con esiti elettorali che dovrebbero mettere sull'attenti ogni sincero democratico.

 

VONGOLE. Come spegnere i focolai dell'indecente populismo etnico e persino razziale è l'impegno che l'Europa dovrebbe collocare in cima alle sue priorità a cominciare dalle classi elementari, nel solco di una nuova rinascita culturale. Da come si stanno sbriciolando i principi etici fondamentali, si tratta di una battaglia che non è esagerato definire epocale, di sicuro di ben altra consistenza rispetto alle sciocche diatribe sulla misura delle vongole. Quella negazione completa dello spirito solidale che istiga i populisti di bassa lega a speculare persino in modo abbietto sulla fine di un bimbo morto in riva a una spiaggia greca è il segnale di una brutale degenerazione dei sentimenti . Una pratica odiosa che se lasciata in balia ai professionisti della paura, isolando chi invita a resistere, potrebbe davvero significare la fine dell'umanità.

 

CORTINA. Agli albori del clima di guerra fredda che per quasi mezzo secolo avrebbe avvelenato le relazioni est-ovest, Churchill affermò che una cortina di ferro era caduta sull'Europa. Anni dopo, la cosa preoccupante é che i rapporti tra le parti continuano a essere tesi pur avendo perso la carica ideologica. Ma la cortina resta, però fatta non più di ferro bensì dall'imbarbarimento del costume politico che come una barriera invalicabile ha trasformato il dramma dei rifugiati in un tema di voto col quale la destra di oriente e occidente riesce a raccattare consensi a buon mercato. Basta un rapido giro d'orizzonte per rendersi conto che il fenomeno si è impadronito anche dei Paesi benestanti e immuni dal flusso dei migranti. Ne esce un quadro disturbante che minaccia derive ancora più pesanti quando a scendere in campo saranno i duri della xenofobia euroscettica.

 

ATTESA. Paese depositario di un patrimonio culturale unico al mondo, l'Egitto , con i suoi 82 milioni di abitanti, fatica a uscire dalle secche degli sterili giochi di potere che da tre anni lo privano della normale vita parlamentare senza la quale l'attività politica resta un soggetto di debole costituzione. Invece di porsi agli occhi del mondo quale leader della primavera araba come le competerebbe per storia e tradizione, la nazione nubiana sperpera risorse preziose dietro gli accorgimenti del regime per diluire il processo elettorale, da poco iniziato, spingendosi oltre ogni logica. Per i risultati ci vorranno almeno due mesi, lasso di tempo che il Cairo considera l'ultimo gradino per il ritorno alla democrazia. Ma la snervante attesa diffonde tra la gente la sensazione di un voto privo di significato.

 

VERITA'. Da Kennedy a Moro, nella storia contemporanea ci sono stati delitti " eccellenti" per i quali nemmeno l'emulo con l'intuizione del mastodontico Nero Wolfe è riuscito a trovare il vero colpevole. Tra macchinazioni e indizi che molti, troppi, hanno finto di non vedere, gli anni sono passati senza mai fare luce sulle torbide vicende. Nella casistica delle morti violente e insolute rientra a pieno titolo l'uccisione di Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più significativi del dopoguerra, sbrigativamente liquidata come la fine di un omosessuale che era andata a cercarsela lungo il crinale di una vita pericolosa. A quarant'anni dall'omicidio dello scrittore, la " verità ufficiale", figlia della strategia della tensione di nero vestita, traballa in modo vistoso, tanto da rilanciare la tesi di un odioso delitto politico. Insomma, Pasolini come Matteotti.

 

DUBBIO. Quest'anno Charlie Brown di primavere ne fa sessanta regalandoci sempre tante piacevoli letture, ma lasciandoci anche un amletico dubbio che purtroppo è destinato a restare senza risposte. "Colpa " di Charlie Schulz, l'autore conosciuto in tutto il mondo per avere creato le strisce dei Peanuts, che se n'è andato nel 2000 portando con se il segreto dell'incipit diventato un vero e proprio tormentone universale: quello che il cane Snoopy pone all'inizio del suo romanzo mai scritto con la famosa frase "Era un notte buia e tempestosa..." Ma a pensarci bene forse un seguito non era necessario. L'enigmatico inizio parla da sé. Messo a confronto con la realtà odierna quell'esordio narrativo mai completato ma carico di presagi dice che nella notte buia e tempestosa ormai già ci siamo dentro, immersi fino al collo.

 

mercoledì 28 ottobre 2015

Se le oche capitoline starnazzano invano


di Renzo Balmelli 
 
FIGURE. Ora si tratta di capire se l'ex primo cittadino di Roma è stato vittima del degrado della città, ereditato da chi è venuto prima di lui, oppure di se stesso, dei suoi errori o del Pd che lo ha sfiduciato in nome della trasparenza. Ciò che di sicuro resta di questa squallida vicenda è l'impressione che fin già dalla precedente amministrazione, stretta nella torbida ragnatela del sottobosco neofascista e clientelare, ai giorni nostri l'Urbe sia finita nelle mani di tragiche figure del tutto inadatte al posto che occupavano. Quanto all'ex sindaco, sarebbe interessante sapere che cosa gli passava per la mente per non sentire le oche starnazzanti del Campidoglio che davano l'allarme. Certo è che non sarà semplice sbrogliare la matassa di un sistema che ha prosperato grazie ai cattivi maestri e ai loro privatissimi vizi.
 
PARODIE. Nella caotica successione di eventi che hanno inguaiato la capitale, il pensiero corre al famoso Un marziano a Roma e a come Ennio Flaiano, se fosse ancora tra noi, potrebbe concepirne il rifacimento attraverso gli aspetti paradossali della realtà contemporanea. Nell'epoca in cui il Pianeta Rosso torna in voga tra misteri e illusioni, la nuova stesura del breve racconto satirico sarebbe tutto fuorché un componimento fantascientifico. Getterebbe invece uno sguardo molto terreno, ironico e tagliente, sui notabili sfilacciati che, simili al marziano inventato dall'autore, compongono l'incredibile spettacolo del teatrino romano su un palcoscenico sgangherato. A volte la politica è così deludente da indurre davvero a sognare bastioni lontani, ma con un rischio: il rischio di scoprire al risveglio che i fascisti sono già sbarcati su Marte come nella straordinaria parodia di Corrado Guzzanti.
 
FASTIDIO. Rischio caos? Se Roma piange, Venezia non ride. E' vero, certo, che entrambe reggono da duemila anni dopo essere passate attraverso tutte le fasi alterne della storia; e che entrambe sono custodi di un patrimonio artistico che non ha eguali. A volte però sorge il dubbio che la consapevolezza di quanto questa immensa ricchezza sia inalienabile vada scemando. Se si considera che la giunta della Serenissima anziché tutelare i suoi capolavori intende metterne alcuni sul mercato per fare cassa, la domanda non è peregrina. Quando si comincia a speculare con l'idea di intaccare i beni pittorici che magnificano l'immagine di una città non è mai un buon segno, neppure col banale pretesto che mancano altre risorse per appianare i debiti. Purtroppo oggigiorno è sempre più invalsa in certe frange politiche la tendenza a considerare la cultura un fastidio necessario e non uno strumento al servizio di tutti per aprirsi al mondo e capirne meglio il significato.
 
STRAZIO. E' una beffa crudele il presunto codice d'onore della criminalità che rispetta donne e bambini. Non esiste. Nei territori dei clan più spietati prevale semmai la violenza bruta, quella stessa violenza che ha spinto due killer senza cuore, ora in carcere, a dare alle fiamme il piccolo Nicola, detto Cocò, perché nella loro mente allucinata poteva essere un testimone scomodo. Aveva tre anni quel bimbo che pericoloso certo non era, ma che nel perverso intreccio di legami familiari, vendette e fame di potere veniva addirittura usato dal nonno come scudo per evitare possibili agguati. Nel rileggere la cronaca di quella infame esecuzione che fece inorridire il mondo, nemmeno oggi le parole bastano per descrivere lo strazio che si prova davanti a un delitto tanto efferato commesso da uomini che di umano non hanno nulla, ma sono soltanto assassini spietati simili a bestie feroci. Resta da sperare che la giustizia prevalga sempre anche se gli arresti, come ha sottolineato il ministro Alfano, non riporteranno in vita quella povera vittima innocente del verminaio popolato di orchi e draghi in cui ha avuto la disavventura di nascere.
 
TARA. Non soltanto in politica si contano le figure tragiche. Anche la filosofia annovera i suoi nomi celebri in un elenco che comprende autori tanto osannati, quanto ambigui. Per non citarne che alcuni, Celine col suo Viaggio al termine della notte, Ezra Pound, il poeta dei Cantos, e Heidegger, il filosofo di Essere e Tempo, da cui non si può prescindere, ma anche di altre teorie molto meno edificanti. Sul pensatore tedesco è appena uscito L'ombra di Heidegger (Neri Pozzi), romanzo del sudamericano Josè Pablo Feinmann che in toni drammatici ripercorre il controverso cammino del padre dell'esistenzialismo ontologico fino alla sua convinta adesione alle bacate ideologie naziste. Una tara indelebile che offusca l'intera sua opera, seppur di prima grandezza, e quella degli altri come lui.
 
PASSATO. E' una rivincita sul totalitarismo la narrazione creativa di Svetlana Aleksievic, la giornalista insignita del Nobel per la letteratura, un campo non di rado soggetto a contestazione, ma che stavolta è stato accolto da un sentimento di generale soddisfazione, anche se non proprio da tutti. La destra, inclusa quella nostrana, che strizza l'occhio a Mosca, tanto per (non) cambiare ha parlato addirittura di un passo falso kafkiano per il riconoscimento attribuito a una scrittrice che si è occupata dei principali eventi legati all'ex Unione Sovietica senza fare sconti ai nuovi potentati. A causa del suo lavoro la neo laureata è stata perseguitata dal suo Paese, la Bielorussia del presidente-dittatore Lukashenko, e si è inimicata il Cremlino per le critiche a Putin che ai suoi occhi rappresenta il passato che non passa dentro scenari inquietanti.
 
SFIDA. Senza clamori, ma con la determinazione e l'orgoglio del lavoro fatto bene, l'Italia ha vinto la scommessa dell'EXPO prima ancora che sulla rassegna mondiale cali definitivamente il sipario. Non era facile né scontato soprattutto se si tiene conto delle estreme difficoltà iniziali, quando è scoppiata la grana degli appalti truccati e dei ritardi. Senza contare lo stuolo di chi gufava augurandosi in cuor suo che la rassegna facesse la fine del Titanic per prendersi squallide rivincite elettorali. A pochi giorni dalla chiusura altre sfide già si pongono agli organizzatori, non solo per il futuro incerto di chi all'esposizione ha dato l'anima, ma anche per impedire che ciò che resta dell'EXPO non diventi una desolata area dismessa com'è già accaduto in altre città. L'intento è di concepire un piano di riqualificazione innovativo e di alto livello per non farne la preda predestinata della speculazione già in agguato.

Quella coltellata da non dimenticare

 di Renzo Balmelli 

 

RANCORI. Sarebbe assai importante che l'opinione pubblica non dimenticasse l'attentato xenofobo ai danni di una esponente della giunta comunale di Colonia. Bisogna rendersi conto che si è trattato di un episodio gravissimo, specchio di una comunità in fibrillazione. Se Alfred Döblin tornasse fra noi, potrebbe addirittura scovarvi inquietanti analogie con la torbida atmosfera della sua berlinese Alexanderplatz, presagio di altre tragedie. E s'interrogherebbe sul clima di odio che l'estremismo dei cattivi profeti concorre ad alimentare sfruttando le tensioni che attraversano la società contemporanea. Dietro quella coltellata vibrata da un individuo sano di mente s'intravvede un grumo di rancori più diffuso di quanto si voglia immaginare. Per fortuna la città non si è fatta intimidire. A rendere meno angosciante la portata di quell'atto criminale ha dato un contributo di alto valore simbolico l' elezione a sindaco di Henriette Reker, un gesto riparatore nei confronti della vittima che fuga i fantasmi, ma non li cancella.

 

INTIFADA. E' una tendenza carica d'insidie: la sindrome del duello rusticano sembra contagiare vari emuli dei compari Alfio e Turiddu in un territorio, quello mediorientale, già esplosivo e che di tutto aveva bisogno fuorché di una Intifada dei coltelli. Ciò che va accadendo in questi giorni nella pluridecennale contrapposizione tra Israele e Palestina è una nuova escalation, condotta con mezzi rudimentali, che rischia di vanificare del tutto gli esili, forse già non più esistenti spazi per un tentativo di conciliazione. Sotto le feroci coltellate degli attentatori palestinesi, esaltati dai video che girano su internet, e le dura replica dell'esercito israeliano si è messa in moto una spirale del terrore che oltre ad aumentare il caos crea uno scenario propizio ai jihadisti che si affacciano minacciosi dalle alture del Golan.

 

TATTICA. Con la brutta aria che tira e l'onda populista che non accenna a decrescere, la destra nazionalista svizzera per stravincere le elezioni federali ha avuto gioco facile. Per incamerare consensi a suon di proclami le è bastato intercettare , meglio di quanto abbiano fatto gli altri partiti, le preoccupazioni della gente sui temi di maggior impatto emotivo per poi piazzare , di contro balzo, alcuni colpi ad effetto e di rara potenza sui flussi migratori, l'Europa e i fantomatici nemici interni ed esterni che a suo dire assediano la Confederazione. E' stata una tattica pagante, a cavallo tra Salvini e Le Pen, in un periodo come questo segnato da profondi mutamenti del quadro socio-economico su cui aleggia la paura, che non è mai una buona consigliera. Forte di un successo elettorale astronomico per i parametri elvetici, l'UDC del tribuno populista Blocher dovrà ora dimostrare nei fatti ciò che davvero vale al di la della strategia ormai un po' consunta di arroccamento in difesa del proprio giardino. Resta da verificare se i trionfatori sapranno rinunciare a un programma infarcito di slogan ma sguarnito d'ideali, che però assicura voti a bizzeffe. Vedremo. Dopo una svolta a destra di tale portata e non priva di incognite, dubitare è lecito. 

 

ODISSEA. Quando ci mettiamo al collo una catenina d'oro forse nemmeno immaginiamo che il metallo giallo di quel monile potrebbe arrivare da molto lontano, dai giacimenti del Perù dove i minatori-bambini si spaccano la schiena e si rovinano la salute per rifornire i ricchi mercati occidentali con quella preziosa materia prima. Nella denuncia presentata dall'Associazione per i Popoli Minacciati ricorre spesso il riferimento all'odissea dell'oro maledetto, termine che sta a indicare le condizioni spesso disumane in cui bambini a volte di appena cinque anni sono costretti a lavorare in aperta violazione dei trattati internazionali. L'obbligo di verifica dovrebbe porre un argine allo sfruttamento della manodopera infantile strappata alla famiglia. Una condanna a vita che nessuno si merita. Purtroppo in un sistema sconfinante nell'illegalità non è sicuro che tale obbligo venga rispettato.

 

PERICOLO. Sull'altra sponda del Mediterraneo la primavera araba era la grande speranza cui aggrapparsi per immaginare un avvenire diverso, migliore. Ora quel sogno di democrazia, già soggetto ad amare delusioni , rischia di farsi travolgere dalla furia iconoclasta del terrorismo fondamentalista e di infrangersi contro il muro di una situazione andata via via degenerando in modo quasi irreversibile. E' perciò nell'ottica di un contributo al Quartetto di Tunisi, che più di ogni altro si impegna per portare avanti il discorso del cambiamento, che va letto il Nobel per la pace attribuito a un popolo coraggioso e determinato a non piegarsi ai ricatti delle forze oscurantiste. Ma senza aiuti e senza dialogo con l'esterno, il pericolo di un ritorno all'autoritarismo non è affatto scongiurato.

 

domenica 4 ottobre 2015

Another Brick in the Wall…

 
 
di Renzo Balmelli  
 
MURI. Quando i Pink Floyd composero il celebre "The Wall", pietra miliare del rock impegnato, l'Europa da est a ovest era ancora tagliata in due da una frontiera di mattoni, simbolo delle barriere materiali o metaforiche che hanno deturpato e deturpano la storia dell'umanità. Da allora il mondo è cambiato, ma non come si sperava. Per un muro che crolla, altri cento ne sorgono tra l'astio e i sospetti. Non sorprende quindi che a quasi quarant'anni dalla prima pubblicazione, l'opera dei Floyd conservi intatto tutto il suo potenziale e continui a fare riflettere con rinnovata intensità grazie al film di Roger Waters, da poco nelle sale, dedicato all'album omonimo della band inglese. Fin dall'antichità l'uomo ha sempre costruito barriere materiali e psicologiche a difesa del proprio territorio e del proprio potere in nome di ideali spesso assai discutibili. Magari è vero che i muri servono a proteggere dalle intemperie, ma nel momento in cui assistiamo all'odissea dei profughi, ben più numerosi sono quelli della disperazione contro i quali si infrangono le speranze.
 
IMMAGINE. A proposito di muri vecchi e nuovi solleva interrogativi, a loro volta vecchi e nuovi, l'esito delle elezioni in Catalogna che si presta a varie chiavi di lettura. Difatti se da un lato questo voto tende a confermare l'ampiezza del sentimento separatista, senza essere tuttavia un plebiscito, dall'altro porta acqua al mulino degli eurodisfattisti che sulla disunione, l'esclusione e la nostalgia delle piccole patrie ci campano alla grande. Il verdetto delle urne, pur senza autorizzare conclusioni definitive, sembra infatti marcare, oltre a un serio problema interno per la Spagna, l'inizio di un percorso che si muove in senso contrario rispetto a quello originale , ormai lontano dal progetto politico e culturale dei padri fondatori. E proprio questi sono oggi i limiti dell'Unione, poiché l'Europa "immaginata" da chi la tenne a battesimo – annota Ilvo Diamanti su Repubblica – "è rimasta appunto un'immagine, un orizzonte lontano".
 
VERTICE. Nel Medio Oriente le possibilità sono due. O l'incombente minaccia dell'Isis, frutto di tante cose oltre che di una palude mediatica senza precedenti, riesce, obtorto collo, a riavvicinare Washington e Mosca unite contro il comune nemico dopo due anni di gelo, oppure nella regione in cui opera potrebbero presentarsi condizioni non lontane da quelle di una terza guerra mondiale. Che la vasta zona compresa tra la Libia, l'Iraq e la Siria sia il teatro di ogni sorta di prevaricazione è ormai evidente anche agli occhi di chi preferisce guardare altrove. Impedire che la situazione possa degenerare fino al punto di non ritorno dovrebbe essere una preoccupazione più che sufficiente per consigliare ad Obama e Putin di farsi folgorare sulla via di Damasco e di non lasciare a metà il brindisi e il faccia a faccia che dovrebbero suggellare la strategia condivisa sulla sorte di Assad. A tale proposito le posizioni sono ancora parecchio lontane, ma a dispetto delle divergenze è lecito pensare che a nessuno dei due farebbe piacere trovarsi il califfato davanti alla porta di casa.
 
VEEMENZA. Tutto sommato sono tra le più tranquille del panorama continentale, ma ciò non deve indurre a credere che le elezioni per il rinnovo del parlamento federale svizzero, in programma il 18 ottobre, servano unicamente a confermare la tradizionale e immutabile governabilità di un Paese che non ama gli scossoni e non conosce crisi ministeriali. Dalle urne non usciranno esiti sconvolgenti , dato questo che sondaggi alla mano appare assai probabile. Le oscillazioni saranno però una radiografia degli umori prevalenti tra la popolazione rispetto ai temi che maggiormente la preoccupano: il franco forte, la controversa libera circolazione della manodopera estera, i rapporti con l'Europa -piuttosto convulsi di questi tempi - l'afflusso dei migranti , la protezione delle frontiere. Su questi argomenti, di forte contenuto emotivo, la temperatura elettorale è salita alle stelle sotto la spinta dei populisti che ne hanno fatto il soggetto centrale se non l'unico della loro campagna con una veemenza pari a quella delle famigerate iniziative anti stranieri di Schwarzenbach negli anni Settanta che spaccarono in due la Confederazione. Agli altri e in particolare alla sinistra il compito di impedire che si trasformino in una ossessione.
 
PAROLE. Funambolo della politica, Matteo Renzi non passa certo inosservato quando si muove sul palcoscenico internazionale dove i commentatori provano a sviscerare la personalità del premier che si professa di sinistra però senza mai spiegare esattamente come. Alla CNN è stato addirittura accostato a Bill Clinton e Tony Blair, due pezzi da novanta della terza via liberal-socialista rimasta però una bella incompiuta. In uno slancio di modestia, dopo questo paragone il premier si è detto pronto a fermarsi e a lasciare finendo diritto diritto nelle fauci della satira, feroce e irriverente. Se avessimo saputo che era così facile, sai quanti esempi avremmo potuto sfornare ogni giorno hanno detto i Crozza di turno con un'allusione carica di significati. Tanto più, che l'esclamazione "In America, in America", cara a non pochi onorevoli, sembra essere la versione italiana del famoso appello "A Mosca a Mosca" della letteratura russa in cui i personaggi intessevano le loro reti di rapporti, il loro gioco di parole.

martedì 29 settembre 2015

Un lungo, lungo addio

VANITÀ. Ai "coccodrilli", in gergo le biografie dei personaggi più noti preparate con largo anticipo, Fidel Castro ci ha fatto il callo. Quante volte la sua scomparsa, tra gli scongiuri del diretto interessato, è stata annunciata al mondo. Decine, puntualmente smentite. A dispetto degli uccelli di malaugurio, lui , seppure segnato dall'età, ma ancora lucido ad onta del lungo addio, resta il simbolo della rivoluzione cubana. La sua rivoluzione, che di quella originale, con l' assalto alla Moncada, ha conservato soltanto il ricordo sotto la sferza dei tempi che cambiano, dei crescenti bisogni materiali della gente e delle ideologie che vacillano. Malgrado ciò, a 89 anni suonati il "leader maximo", sfidando i " coccodrilli" e le relative lacrime, si diletta a discutere di teologia con Francesco, il terzo capo della chiesa di Roma in visita all'Avana, convintissimo, complice la vanità che non invecchia, che diversamente dai Papi, morto un Fidel non se ne farà un altro.

 

SPETTRO. Provaci ancora Alexis. Camaleontico, volubile, e pieno di contraddizioni, Alexis Tsipras, nonostante queste premesse, torna al governo per una seconda vita politica che l'elettorato greco, stanco e provato dalla crisi, ha deciso di regalargli non fidandosi di nessun altro. E' stato, quello ellenico, un voto più pragmatico che per motivi ideali, nella speranza di restare nell'area dell'euro e di giungere a una intesa sul debito estero. Con questo mandato, il leader di Syriza, solo lontano parente del premier anti austerità, cercherà all'opposto di tenere a galla la Grecia con un piano austero, anche perché, tra i tanti problemi irrisolti, sul Paese incombe pure lo spettro dell'ultra destra di stampo neonazista. La novità di queste elezioni è difatti la crescita allarmante di Alba dorata che ora diventa la terza forza del paese senza avere assolutamente nulla di luminoso.

 

MITO. Questa proprio i tedeschi non se l'aspettavano. Mai avrebbero immaginato che la Volkswagen, " la vettura del popolo" che dai tempi della dittatura nazista, quando fu creata per volere di Hitler, ha scandito la vita di intere generazioni, giocasse a carte truccate per vendere più automobili. Barare sulle emissioni nocive per un pugno di dollari potrebbe significare la fine di un mito; il mito dell'integrità e dell'affidabilità germanica. Lo scandalo, partito dagli Stati Uniti ma ormai globale , e il danno di immagine per il popolare" maggiolino"sono enormi, tanto più che la Repubblica federale si è sempre presentata al mondo esigendo, con fondate ragioni, di essere considerata un modello virtuoso. Che copertina farà ora lo Spiegel che non esitò a raffigurare l'Italia con un pistola posata sugli spaghetti? Magari una porzione di crauti con un motore contraffatto, ritratto irriverente del virtuoso dalle traballanti virtù. 

 

CALCOLI. Quando si alzarono i veli sull'orrore di Auschwitz e altri luoghi scellerati, gli ipocriti benpensanti dell'epoca, che col Terzo Reich avevano fatto affari loschi, misero subito le mani avanti. Non sapevamo, non potevamo immaginare. Falso. Avevano soltanto voltato la faccia dall'altra parte. Ora, noi, ognuno di noi, non potrà trincerarsi dietro le menzogne di comodo. Nessuno a meno di negare l'evidenza oserà raccontare alle prossime generazioni di non avere visto le tragedie che si consumano in diretta tv davanti ai nostri occhi. Se è vero che dietro la guerra in Siria e il dramma dei profughi si celano calcoli inconfessabili, volendolo qualcosa possiamo già fare anche adesso. Come ha scritto una lettrice, mostriamo che chi non ha potere ne ha invece uno più forte delle avversità ; il potere della gente onesta e indignata.

 

CALCIO. Non tra gli ulivi del capolavoro neorealista, bensì tra i frondosi alberi che fanno ombra alla FIFA in quel di Zurigo non c'è pace per la potente organizzazione del calcio planetario travolta dalla crisi. Oltre alla polemica che investe la gestione dello svizzero Joseph Blatter, a fare discutere, sullo sfondo dell'intricato e imperscrutabile neorealismo del pallone, sono ora le condizioni di lavoro definite "feudali" che regnano nel Qatar, scelto per i mondiali del 2022 tra molte riserve. Secondo le stime del Guardian, lo sfruttamento della manodopera immigrata di origine asiatica assunta sui cantieri degli stadi ha ormai superato ogni limite. Finora la FIFA, con un atteggiamento pilatesco, si è limitata ad affermare che in futuro toccherà valutare meglio le candidature. Meglio sarebbe stato pensarci prima.