mercoledì 28 ottobre 2015

Se le oche capitoline starnazzano invano


di Renzo Balmelli 
 
FIGURE. Ora si tratta di capire se l'ex primo cittadino di Roma è stato vittima del degrado della città, ereditato da chi è venuto prima di lui, oppure di se stesso, dei suoi errori o del Pd che lo ha sfiduciato in nome della trasparenza. Ciò che di sicuro resta di questa squallida vicenda è l'impressione che fin già dalla precedente amministrazione, stretta nella torbida ragnatela del sottobosco neofascista e clientelare, ai giorni nostri l'Urbe sia finita nelle mani di tragiche figure del tutto inadatte al posto che occupavano. Quanto all'ex sindaco, sarebbe interessante sapere che cosa gli passava per la mente per non sentire le oche starnazzanti del Campidoglio che davano l'allarme. Certo è che non sarà semplice sbrogliare la matassa di un sistema che ha prosperato grazie ai cattivi maestri e ai loro privatissimi vizi.
 
PARODIE. Nella caotica successione di eventi che hanno inguaiato la capitale, il pensiero corre al famoso Un marziano a Roma e a come Ennio Flaiano, se fosse ancora tra noi, potrebbe concepirne il rifacimento attraverso gli aspetti paradossali della realtà contemporanea. Nell'epoca in cui il Pianeta Rosso torna in voga tra misteri e illusioni, la nuova stesura del breve racconto satirico sarebbe tutto fuorché un componimento fantascientifico. Getterebbe invece uno sguardo molto terreno, ironico e tagliente, sui notabili sfilacciati che, simili al marziano inventato dall'autore, compongono l'incredibile spettacolo del teatrino romano su un palcoscenico sgangherato. A volte la politica è così deludente da indurre davvero a sognare bastioni lontani, ma con un rischio: il rischio di scoprire al risveglio che i fascisti sono già sbarcati su Marte come nella straordinaria parodia di Corrado Guzzanti.
 
FASTIDIO. Rischio caos? Se Roma piange, Venezia non ride. E' vero, certo, che entrambe reggono da duemila anni dopo essere passate attraverso tutte le fasi alterne della storia; e che entrambe sono custodi di un patrimonio artistico che non ha eguali. A volte però sorge il dubbio che la consapevolezza di quanto questa immensa ricchezza sia inalienabile vada scemando. Se si considera che la giunta della Serenissima anziché tutelare i suoi capolavori intende metterne alcuni sul mercato per fare cassa, la domanda non è peregrina. Quando si comincia a speculare con l'idea di intaccare i beni pittorici che magnificano l'immagine di una città non è mai un buon segno, neppure col banale pretesto che mancano altre risorse per appianare i debiti. Purtroppo oggigiorno è sempre più invalsa in certe frange politiche la tendenza a considerare la cultura un fastidio necessario e non uno strumento al servizio di tutti per aprirsi al mondo e capirne meglio il significato.
 
STRAZIO. E' una beffa crudele il presunto codice d'onore della criminalità che rispetta donne e bambini. Non esiste. Nei territori dei clan più spietati prevale semmai la violenza bruta, quella stessa violenza che ha spinto due killer senza cuore, ora in carcere, a dare alle fiamme il piccolo Nicola, detto Cocò, perché nella loro mente allucinata poteva essere un testimone scomodo. Aveva tre anni quel bimbo che pericoloso certo non era, ma che nel perverso intreccio di legami familiari, vendette e fame di potere veniva addirittura usato dal nonno come scudo per evitare possibili agguati. Nel rileggere la cronaca di quella infame esecuzione che fece inorridire il mondo, nemmeno oggi le parole bastano per descrivere lo strazio che si prova davanti a un delitto tanto efferato commesso da uomini che di umano non hanno nulla, ma sono soltanto assassini spietati simili a bestie feroci. Resta da sperare che la giustizia prevalga sempre anche se gli arresti, come ha sottolineato il ministro Alfano, non riporteranno in vita quella povera vittima innocente del verminaio popolato di orchi e draghi in cui ha avuto la disavventura di nascere.
 
TARA. Non soltanto in politica si contano le figure tragiche. Anche la filosofia annovera i suoi nomi celebri in un elenco che comprende autori tanto osannati, quanto ambigui. Per non citarne che alcuni, Celine col suo Viaggio al termine della notte, Ezra Pound, il poeta dei Cantos, e Heidegger, il filosofo di Essere e Tempo, da cui non si può prescindere, ma anche di altre teorie molto meno edificanti. Sul pensatore tedesco è appena uscito L'ombra di Heidegger (Neri Pozzi), romanzo del sudamericano Josè Pablo Feinmann che in toni drammatici ripercorre il controverso cammino del padre dell'esistenzialismo ontologico fino alla sua convinta adesione alle bacate ideologie naziste. Una tara indelebile che offusca l'intera sua opera, seppur di prima grandezza, e quella degli altri come lui.
 
PASSATO. E' una rivincita sul totalitarismo la narrazione creativa di Svetlana Aleksievic, la giornalista insignita del Nobel per la letteratura, un campo non di rado soggetto a contestazione, ma che stavolta è stato accolto da un sentimento di generale soddisfazione, anche se non proprio da tutti. La destra, inclusa quella nostrana, che strizza l'occhio a Mosca, tanto per (non) cambiare ha parlato addirittura di un passo falso kafkiano per il riconoscimento attribuito a una scrittrice che si è occupata dei principali eventi legati all'ex Unione Sovietica senza fare sconti ai nuovi potentati. A causa del suo lavoro la neo laureata è stata perseguitata dal suo Paese, la Bielorussia del presidente-dittatore Lukashenko, e si è inimicata il Cremlino per le critiche a Putin che ai suoi occhi rappresenta il passato che non passa dentro scenari inquietanti.
 
SFIDA. Senza clamori, ma con la determinazione e l'orgoglio del lavoro fatto bene, l'Italia ha vinto la scommessa dell'EXPO prima ancora che sulla rassegna mondiale cali definitivamente il sipario. Non era facile né scontato soprattutto se si tiene conto delle estreme difficoltà iniziali, quando è scoppiata la grana degli appalti truccati e dei ritardi. Senza contare lo stuolo di chi gufava augurandosi in cuor suo che la rassegna facesse la fine del Titanic per prendersi squallide rivincite elettorali. A pochi giorni dalla chiusura altre sfide già si pongono agli organizzatori, non solo per il futuro incerto di chi all'esposizione ha dato l'anima, ma anche per impedire che ciò che resta dell'EXPO non diventi una desolata area dismessa com'è già accaduto in altre città. L'intento è di concepire un piano di riqualificazione innovativo e di alto livello per non farne la preda predestinata della speculazione già in agguato.

Quella coltellata da non dimenticare

 di Renzo Balmelli 

 

RANCORI. Sarebbe assai importante che l'opinione pubblica non dimenticasse l'attentato xenofobo ai danni di una esponente della giunta comunale di Colonia. Bisogna rendersi conto che si è trattato di un episodio gravissimo, specchio di una comunità in fibrillazione. Se Alfred Döblin tornasse fra noi, potrebbe addirittura scovarvi inquietanti analogie con la torbida atmosfera della sua berlinese Alexanderplatz, presagio di altre tragedie. E s'interrogherebbe sul clima di odio che l'estremismo dei cattivi profeti concorre ad alimentare sfruttando le tensioni che attraversano la società contemporanea. Dietro quella coltellata vibrata da un individuo sano di mente s'intravvede un grumo di rancori più diffuso di quanto si voglia immaginare. Per fortuna la città non si è fatta intimidire. A rendere meno angosciante la portata di quell'atto criminale ha dato un contributo di alto valore simbolico l' elezione a sindaco di Henriette Reker, un gesto riparatore nei confronti della vittima che fuga i fantasmi, ma non li cancella.

 

INTIFADA. E' una tendenza carica d'insidie: la sindrome del duello rusticano sembra contagiare vari emuli dei compari Alfio e Turiddu in un territorio, quello mediorientale, già esplosivo e che di tutto aveva bisogno fuorché di una Intifada dei coltelli. Ciò che va accadendo in questi giorni nella pluridecennale contrapposizione tra Israele e Palestina è una nuova escalation, condotta con mezzi rudimentali, che rischia di vanificare del tutto gli esili, forse già non più esistenti spazi per un tentativo di conciliazione. Sotto le feroci coltellate degli attentatori palestinesi, esaltati dai video che girano su internet, e le dura replica dell'esercito israeliano si è messa in moto una spirale del terrore che oltre ad aumentare il caos crea uno scenario propizio ai jihadisti che si affacciano minacciosi dalle alture del Golan.

 

TATTICA. Con la brutta aria che tira e l'onda populista che non accenna a decrescere, la destra nazionalista svizzera per stravincere le elezioni federali ha avuto gioco facile. Per incamerare consensi a suon di proclami le è bastato intercettare , meglio di quanto abbiano fatto gli altri partiti, le preoccupazioni della gente sui temi di maggior impatto emotivo per poi piazzare , di contro balzo, alcuni colpi ad effetto e di rara potenza sui flussi migratori, l'Europa e i fantomatici nemici interni ed esterni che a suo dire assediano la Confederazione. E' stata una tattica pagante, a cavallo tra Salvini e Le Pen, in un periodo come questo segnato da profondi mutamenti del quadro socio-economico su cui aleggia la paura, che non è mai una buona consigliera. Forte di un successo elettorale astronomico per i parametri elvetici, l'UDC del tribuno populista Blocher dovrà ora dimostrare nei fatti ciò che davvero vale al di la della strategia ormai un po' consunta di arroccamento in difesa del proprio giardino. Resta da verificare se i trionfatori sapranno rinunciare a un programma infarcito di slogan ma sguarnito d'ideali, che però assicura voti a bizzeffe. Vedremo. Dopo una svolta a destra di tale portata e non priva di incognite, dubitare è lecito. 

 

ODISSEA. Quando ci mettiamo al collo una catenina d'oro forse nemmeno immaginiamo che il metallo giallo di quel monile potrebbe arrivare da molto lontano, dai giacimenti del Perù dove i minatori-bambini si spaccano la schiena e si rovinano la salute per rifornire i ricchi mercati occidentali con quella preziosa materia prima. Nella denuncia presentata dall'Associazione per i Popoli Minacciati ricorre spesso il riferimento all'odissea dell'oro maledetto, termine che sta a indicare le condizioni spesso disumane in cui bambini a volte di appena cinque anni sono costretti a lavorare in aperta violazione dei trattati internazionali. L'obbligo di verifica dovrebbe porre un argine allo sfruttamento della manodopera infantile strappata alla famiglia. Una condanna a vita che nessuno si merita. Purtroppo in un sistema sconfinante nell'illegalità non è sicuro che tale obbligo venga rispettato.

 

PERICOLO. Sull'altra sponda del Mediterraneo la primavera araba era la grande speranza cui aggrapparsi per immaginare un avvenire diverso, migliore. Ora quel sogno di democrazia, già soggetto ad amare delusioni , rischia di farsi travolgere dalla furia iconoclasta del terrorismo fondamentalista e di infrangersi contro il muro di una situazione andata via via degenerando in modo quasi irreversibile. E' perciò nell'ottica di un contributo al Quartetto di Tunisi, che più di ogni altro si impegna per portare avanti il discorso del cambiamento, che va letto il Nobel per la pace attribuito a un popolo coraggioso e determinato a non piegarsi ai ricatti delle forze oscurantiste. Ma senza aiuti e senza dialogo con l'esterno, il pericolo di un ritorno all'autoritarismo non è affatto scongiurato.

 

domenica 4 ottobre 2015

Another Brick in the Wall…

 
 
di Renzo Balmelli  
 
MURI. Quando i Pink Floyd composero il celebre "The Wall", pietra miliare del rock impegnato, l'Europa da est a ovest era ancora tagliata in due da una frontiera di mattoni, simbolo delle barriere materiali o metaforiche che hanno deturpato e deturpano la storia dell'umanità. Da allora il mondo è cambiato, ma non come si sperava. Per un muro che crolla, altri cento ne sorgono tra l'astio e i sospetti. Non sorprende quindi che a quasi quarant'anni dalla prima pubblicazione, l'opera dei Floyd conservi intatto tutto il suo potenziale e continui a fare riflettere con rinnovata intensità grazie al film di Roger Waters, da poco nelle sale, dedicato all'album omonimo della band inglese. Fin dall'antichità l'uomo ha sempre costruito barriere materiali e psicologiche a difesa del proprio territorio e del proprio potere in nome di ideali spesso assai discutibili. Magari è vero che i muri servono a proteggere dalle intemperie, ma nel momento in cui assistiamo all'odissea dei profughi, ben più numerosi sono quelli della disperazione contro i quali si infrangono le speranze.
 
IMMAGINE. A proposito di muri vecchi e nuovi solleva interrogativi, a loro volta vecchi e nuovi, l'esito delle elezioni in Catalogna che si presta a varie chiavi di lettura. Difatti se da un lato questo voto tende a confermare l'ampiezza del sentimento separatista, senza essere tuttavia un plebiscito, dall'altro porta acqua al mulino degli eurodisfattisti che sulla disunione, l'esclusione e la nostalgia delle piccole patrie ci campano alla grande. Il verdetto delle urne, pur senza autorizzare conclusioni definitive, sembra infatti marcare, oltre a un serio problema interno per la Spagna, l'inizio di un percorso che si muove in senso contrario rispetto a quello originale , ormai lontano dal progetto politico e culturale dei padri fondatori. E proprio questi sono oggi i limiti dell'Unione, poiché l'Europa "immaginata" da chi la tenne a battesimo – annota Ilvo Diamanti su Repubblica – "è rimasta appunto un'immagine, un orizzonte lontano".
 
VERTICE. Nel Medio Oriente le possibilità sono due. O l'incombente minaccia dell'Isis, frutto di tante cose oltre che di una palude mediatica senza precedenti, riesce, obtorto collo, a riavvicinare Washington e Mosca unite contro il comune nemico dopo due anni di gelo, oppure nella regione in cui opera potrebbero presentarsi condizioni non lontane da quelle di una terza guerra mondiale. Che la vasta zona compresa tra la Libia, l'Iraq e la Siria sia il teatro di ogni sorta di prevaricazione è ormai evidente anche agli occhi di chi preferisce guardare altrove. Impedire che la situazione possa degenerare fino al punto di non ritorno dovrebbe essere una preoccupazione più che sufficiente per consigliare ad Obama e Putin di farsi folgorare sulla via di Damasco e di non lasciare a metà il brindisi e il faccia a faccia che dovrebbero suggellare la strategia condivisa sulla sorte di Assad. A tale proposito le posizioni sono ancora parecchio lontane, ma a dispetto delle divergenze è lecito pensare che a nessuno dei due farebbe piacere trovarsi il califfato davanti alla porta di casa.
 
VEEMENZA. Tutto sommato sono tra le più tranquille del panorama continentale, ma ciò non deve indurre a credere che le elezioni per il rinnovo del parlamento federale svizzero, in programma il 18 ottobre, servano unicamente a confermare la tradizionale e immutabile governabilità di un Paese che non ama gli scossoni e non conosce crisi ministeriali. Dalle urne non usciranno esiti sconvolgenti , dato questo che sondaggi alla mano appare assai probabile. Le oscillazioni saranno però una radiografia degli umori prevalenti tra la popolazione rispetto ai temi che maggiormente la preoccupano: il franco forte, la controversa libera circolazione della manodopera estera, i rapporti con l'Europa -piuttosto convulsi di questi tempi - l'afflusso dei migranti , la protezione delle frontiere. Su questi argomenti, di forte contenuto emotivo, la temperatura elettorale è salita alle stelle sotto la spinta dei populisti che ne hanno fatto il soggetto centrale se non l'unico della loro campagna con una veemenza pari a quella delle famigerate iniziative anti stranieri di Schwarzenbach negli anni Settanta che spaccarono in due la Confederazione. Agli altri e in particolare alla sinistra il compito di impedire che si trasformino in una ossessione.
 
PAROLE. Funambolo della politica, Matteo Renzi non passa certo inosservato quando si muove sul palcoscenico internazionale dove i commentatori provano a sviscerare la personalità del premier che si professa di sinistra però senza mai spiegare esattamente come. Alla CNN è stato addirittura accostato a Bill Clinton e Tony Blair, due pezzi da novanta della terza via liberal-socialista rimasta però una bella incompiuta. In uno slancio di modestia, dopo questo paragone il premier si è detto pronto a fermarsi e a lasciare finendo diritto diritto nelle fauci della satira, feroce e irriverente. Se avessimo saputo che era così facile, sai quanti esempi avremmo potuto sfornare ogni giorno hanno detto i Crozza di turno con un'allusione carica di significati. Tanto più, che l'esclamazione "In America, in America", cara a non pochi onorevoli, sembra essere la versione italiana del famoso appello "A Mosca a Mosca" della letteratura russa in cui i personaggi intessevano le loro reti di rapporti, il loro gioco di parole.