domenica 23 settembre 2018

La riprovazione della comunità internazionale



 

di Renzo Balmelli  

 

INDECENZA. Quando Michelle Bachelet affronta il tema dei diritti umani violati, sa benissimo di che cosa parla avendone subito personalmente le conseguenze nel suo Paese, il Cile dello spietato Pinochet. Durante la feroce dittatura dei generali ha avuto il padre, altri familiari e molti amici morti nelle prigioni del regime in seguito alle torture subite. Non deve quindi scandalizzare se nel suo intervento all'ONU di Ginevra in veste di Alto commissario dei diritti umani per le Nazioni Unite, l'ex Presidente cilena eletta sulle liste del Partito socialista ha fatto a meno di usare la soave coloritura dello svagato linguaggio diplomatico ed è andata invece subito al cuore della più grave crisi umanitaria del momento: quella dei migranti. Sarebbe tuttavia riduttivo e soprattutto ingiusto nei confronti delle migliaia di volontari che si prodigano ogni giorno per questi infelici, circoscrivere il problema all'Italia, sebbene l'inqualificabile vicenda della Diciotti sia valsa al governo in carica la riprovazione della comunità internazionale. Le espulsioni ed i respingimenti in mare presentati come misure di cui andare orgogliosi per contrastare l'arrivo dei profughi hanno soltanto un cattivo retrogusto. Roma tuttavia non può essere lasciata sola ad affrontare un fenomeno che ha ormai assunto le dimensioni di un esodo incessante senza che si intravveda uno straccio di soluzione condivisa su scala mondiale e rispettosa dei diritti umani; diritti tra l'altro da mettere in atto senza indugi già nei Paesi d'origine. All'opposto farne un po' ovunque, come purtroppo avviene in maniera sempre più esplicita, il pretesto di bieche speculazioni elettorali alla mercé di interessi inconfessabili è un atteggiamento che va oltre l'indecenza e interpella le coscienze di tutti, nessuno escluso. 

 

VOTO STORICO. A proposito della politica ungherese, fonte di gravi apprensioni nella maggior parte delle capitali, giunge da Bruxelles la conferma che l'europarlamento non intende recedere dai suoi principi istituzionali e resta determinato a scendere  in campo contro i nemici interni della comunità.  Con una votazione storica a favore dello stato di diritto, Strasburgo avvia la procedura che potrebbe attivare l'articolo 7 del Trattato di Roma circa l'adozione di sanzioni contro Budapest. Al governo di Orban si rimprovera di minare i valori europei in merito alla libertà di stampa e contro la discriminazione verso i migranti messa in atto con la chiusura dei confini. Ora spetta ai capi di stato e di governo indicare la procedura da seguire per decidere se applicare o meno le sanzioni. Intanto però il messaggio del Parlamento va direttamente al cuore della questione e si rivolge in particolare ai Paesi che con varie sfumature sono sulla stessa linea delle autorità magiare. Dall'Europa essi esigono soltanto i vantaggi pecuniari sotto forma di svariati miliardi di euro senza offrire nulla in cambio se non astruse ideologie sovraniste del tempo che fu. La posta in palio invece è altissima in quanto chiama in causa i diritti fondamentali sui quali si regge la forza dell'Unione. Al di la dei meri interessi di bottega, a prevalere nelle considerazioni emerse dal lungo dibattito, sono altre motivazioni ; motivazioni etiche e morali affinché l'Europa resti tollerante, aperta, accogliente,  e non diventi una fortezza costruita sull'odio come negli anni Trenta.  In quest'ordine di idee la dinamica dell'eurovoto è già stata all'origine di crepe profonde all'interno della coalizione giallo-verde, con i 5stelle favorevoli alle sanzioni e la Lega schierata invece con Orban. Resta ora da vedere quanto le prossime mosse incideranno sulla compattezza del governo, non proprio solida, e dei suoi rapporti già difficili con Bruxelles. Affaire à suivre.

 

INTEGRITÀ. "No pasaran" era il grido di battaglia col quale la pasionaria Dolores Ibarruri incoraggiava i combattenti anti franchisti esortandoli a tenere duro. Le cose andarono diversamente, però adesso sappiamo che il Duce, Franco ed i loro degni compari, convinti di essere passati, alla fine dovettero ricredersi. Ai tempi nostri in cui l'attualità si mescola ai fantasmi più cupi del Novecento, il no pasaran arrivato da Stoccolma, faticoso ma deciso, è un balsamo per chi lotta al fine di porre un argine all'onda neo fascista. Giunta sull'orlo del precipizio, la Svezia seppur con qualche patema d'animo, per fortuna nostra si è rivelata salda nei suoi principi e non ancora disposta a rinnegare la sua storia ed i valori fondanti della socialdemocrazia che ne hanno fatto una Nazione all'avanguardia nel campo del welfare, della civiltà e della convivenza tra i popoli. La minaccia tuttavia non è ancora scongiurata. Certo, alla destra sempre più estrema e di chiara ispirazione razzista, non è riuscito lo sfondamento che i sondaggi le attribuivano. Ma ci riproverà alla prossima occasione da qualche altra parte e col dente vieppiù avvelenato. Ragion per cui nell'organizzare la Resistenza contro l'oscurantismo bisognerà fare propria la locuzione latina frangar non flectar intesa come uno stimolo per indicare una integrità morale che non si piega e non si spezza davanti a nessuna minaccia o pericolo.

 

SCORCIATOIE. Dopo i giorni neri della Sassonia e lo scampato pericolo scandinavo (ma fino a quando?), per i democratici europei si avvicina l'ora della verità in uno scenario pieno di trabocchetti e insidie di matrice populista e reazionaria. In Italia, mutatis mutandis, mentre Berlusconi, dimenticate le olgettine, prova a rilanciarsi tuffandosi nel calcio minore, sull'altro fronte il governo del cambiamento ha sempre più le fattezze di quello messo in campo dall'ex Cavaliere. Il suo leader in pectore, ovvero Matteo Salvini, non perde occasione di ripetere che lui e solo lui comanda e che non andrebbe a colazione coi magistrati. Frasi roboanti e inutili già sentite ai tempi di Arcore, ma buone per fare voti all'ingrosso. Quanto alla Lega che per anni ha suonato la grancassa di Roma ladrona, ora si scopre- ma guarda che coincidenza- che sui finanziamenti dentro le segrete stanze del Carroccio vigevano regole poco chiare e non tanto diverse da quelle denunciate con tanto accanimento. Un bel boomerang per i leghisti che con gli slogan facili, facili se la sono sempre cavata battendo il tasto sui migranti per sviare l'attenzione dai veri problemi , ma che adesso navigano in acque piuttosto agitate. Ciò nonostante sarebbe incauto da parte della sinistra fare conto sulle scorciatoie giudiziarie per invertire la rotta. Al punto in cui il Paese si trova, ovvero piuttosto basso, la vera sfida si giuoca sul piano culturale e civile, non sulla furbizia demagogica. 

 

VALORI. Per I leader dalle spiccate pulsioni autoritarie il futuro potrebbe avere in serbo un cammino lastricato non soltanto di rose e fiori. Le loro strategie fondate sulla insistente ricerca del capro espiatorio hanno una data di scadenza e tutto alla fine si scopre. Ad alzare i veli ha provveduto Obama che lasciando da parte l'abituale fair-play ha definito il suo successore alla Casa Bianca un rischio per la democrazia. L'affondo segna l'esordio dell'ex presidente nella campagna per le elezioni di metà mandato a novembre che potrebbero risultare fatali per Trump e il suo mandato. Il discorso, caduto non a caso sui demagoghi che cercano consensi a buon mercato sfruttando la paure e il risentimento, ha attraversato l'oceano ed è arrivato a destinazione mentre l'UE si appresta ad affrontare il nodo dell'Ungheria di Orban e decidere se avviare la procedura per la violazione dello Stato di diritto a causa delle sue leggi liberticide. È facile immaginare che nell'aula di Strasburgo si assisterà a una battaglia campale per affermare i valori europeisti che i sovranisti mostrano invece di volere distruggere.

 

VINILE. Strattonato dalle opposte fazioni e a più riprese accusato, senza prove attendibili, di simpatizzare per l'estrema destra, Lucio Battisti a vent'anni dalla scomparsa incanta ancora e ancora fa discutere chi vorrebbe inquadrarlo in un determinato contesto politico. Per la verità tutto ciò sembra piuttosto una polemica di lana caprina che nulla toglie alla musica di Battisti, genio visionario e popolare la cui lezione è sempre attuale. Tanto che le sue canzoni si fischiettano e si cantano a prescindere dalla scheda elettorale. Morto ad appena 55 anni per un male incurabile, il celebre artista ha lasciato in eredità pagine fondamentali della musica popolare italiana pubblicando canzoni che nulla hanno perso della loro attualità grazie anche ai testi che il grande Mogol ha saputo cucirgli sopra. Testi che hanno addirittura contribuito a insegnare l'italiano e nei quali ogni persona è in grado di specchiarsi. L'ultima chicca legate al suo nome è la riproduzione in vinile dei suoi pezzi più noti su un formato che sta risalendo la china e che ha mandato in visibilio i fan vecchi e nuovi di Battisti e del nostalgico e sempre emozionante giradischi.

sabato 22 settembre 2018

La riprovazione della comunità internazionale



 

di Renzo Balmelli  

 

INDECENZA. Quando Michelle Bachelet affronta il tema dei diritti umani violati, sa benissimo di che cosa parla avendone subito personalmente le conseguenze nel suo Paese, il Cile dello spietato Pinochet. Durante la feroce dittatura dei generali ha avuto il padre, altri familiari e molti amici morti nelle prigioni del regime in seguito alle torture subite. Non deve quindi scandalizzare se nel suo intervento all'ONU di Ginevra in veste di Alto commissario dei diritti umani per le Nazioni Unite, l'ex Presidente cilena eletta sulle liste del Partito socialista ha fatto a meno di usare la soave coloritura dello svagato linguaggio diplomatico ed è andata invece subito al cuore della più grave crisi umanitaria del momento: quella dei migranti. Sarebbe tuttavia riduttivo e soprattutto ingiusto nei confronti delle migliaia di volontari che si prodigano ogni giorno per questi infelici, circoscrivere il problema all'Italia, sebbene l'inqualificabile vicenda della Diciotti sia valsa al governo in carica la riprovazione della comunità internazionale. Le espulsioni ed i respingimenti in mare presentati come misure di cui andare orgogliosi per contrastare l'arrivo dei profughi hanno soltanto un cattivo retrogusto. Roma tuttavia non può essere lasciata sola ad affrontare un fenomeno che ha ormai assunto le dimensioni di un esodo incessante senza che si intravveda uno straccio di soluzione condivisa su scala mondiale e rispettosa dei diritti umani; diritti tra l'altro da mettere in atto senza indugi già nei Paesi d'origine. All'opposto farne un po' ovunque, come purtroppo avviene in maniera sempre più esplicita, il pretesto di bieche speculazioni elettorali alla mercé di interessi inconfessabili è un atteggiamento che va oltre l'indecenza e interpella le coscienze di tutti, nessuno escluso. 

 

VOTO STORICO. A proposito della politica ungherese, fonte di gravi apprensioni nella maggior parte delle capitali, giunge da Bruxelles la conferma che l'europarlamento non intende recedere dai suoi principi istituzionali e resta determinato a scendere  in campo contro i nemici interni della comunità.  Con una votazione storica a favore dello stato di diritto, Strasburgo avvia la procedura che potrebbe attivare l'articolo 7 del Trattato di Roma circa l'adozione di sanzioni contro Budapest. Al governo di Orban si rimprovera di minare i valori europei in merito alla libertà di stampa e contro la discriminazione verso i migranti messa in atto con la chiusura dei confini. Ora spetta ai capi di stato e di governo indicare la procedura da seguire per decidere se applicare o meno le sanzioni. Intanto però il messaggio del Parlamento va direttamente al cuore della questione e si rivolge in particolare ai Paesi che con varie sfumature sono sulla stessa linea delle autorità magiare. Dall'Europa essi esigono soltanto i vantaggi pecuniari sotto forma di svariati miliardi di euro senza offrire nulla in cambio se non astruse ideologie sovraniste del tempo che fu. La posta in palio invece è altissima in quanto chiama in causa i diritti fondamentali sui quali si regge la forza dell'Unione. Al di la dei meri interessi di bottega, a prevalere nelle considerazioni emerse dal lungo dibattito, sono altre motivazioni ; motivazioni etiche e morali affinché l'Europa resti tollerante, aperta, accogliente,  e non diventi una fortezza costruita sull'odio come negli anni Trenta.  In quest'ordine di idee la dinamica dell'eurovoto è già stata all'origine di crepe profonde all'interno della coalizione giallo-verde, con i 5stelle favorevoli alle sanzioni e la Lega schierata invece con Orban. Resta ora da vedere quanto le prossime mosse incideranno sulla compattezza del governo, non proprio solida, e dei suoi rapporti già difficili con Bruxelles. Affaire à suivre.

 

INTEGRITÀ. "No pasaran" era il grido di battaglia col quale la pasionaria Dolores Ibarruri incoraggiava i combattenti anti franchisti esortandoli a tenere duro. Le cose andarono diversamente, però adesso sappiamo che il Duce, Franco ed i loro degni compari, convinti di essere passati, alla fine dovettero ricredersi. Ai tempi nostri in cui l'attualità si mescola ai fantasmi più cupi del Novecento, il no pasaran arrivato da Stoccolma, faticoso ma deciso, è un balsamo per chi lotta al fine di porre un argine all'onda neo fascista. Giunta sull'orlo del precipizio, la Svezia seppur con qualche patema d'animo, per fortuna nostra si è rivelata salda nei suoi principi e non ancora disposta a rinnegare la sua storia ed i valori fondanti della socialdemocrazia che ne hanno fatto una Nazione all'avanguardia nel campo del welfare, della civiltà e della convivenza tra i popoli. La minaccia tuttavia non è ancora scongiurata. Certo, alla destra sempre più estrema e di chiara ispirazione razzista, non è riuscito lo sfondamento che i sondaggi le attribuivano. Ma ci riproverà alla prossima occasione da qualche altra parte e col dente vieppiù avvelenato. Ragion per cui nell'organizzare la Resistenza contro l'oscurantismo bisognerà fare propria la locuzione latina frangar non flectar intesa come uno stimolo per indicare una integrità morale che non si piega e non si spezza davanti a nessuna minaccia o pericolo.

 

SCORCIATOIE. Dopo i giorni neri della Sassonia e lo scampato pericolo scandinavo (ma fino a quando?), per i democratici europei si avvicina l'ora della verità in uno scenario pieno di trabocchetti e insidie di matrice populista e reazionaria. In Italia, mutatis mutandis, mentre Berlusconi, dimenticate le olgettine, prova a rilanciarsi tuffandosi nel calcio minore, sull'altro fronte il governo del cambiamento ha sempre più le fattezze di quello messo in campo dall'ex Cavaliere. Il suo leader in pectore, ovvero Matteo Salvini, non perde occasione di ripetere che lui e solo lui comanda e che non andrebbe a colazione coi magistrati. Frasi roboanti e inutili già sentite ai tempi di Arcore, ma buone per fare voti all'ingrosso. Quanto alla Lega che per anni ha suonato la grancassa di Roma ladrona, ora si scopre- ma guarda che coincidenza- che sui finanziamenti dentro le segrete stanze del Carroccio vigevano regole poco chiare e non tanto diverse da quelle denunciate con tanto accanimento. Un bel boomerang per i leghisti che con gli slogan facili, facili se la sono sempre cavata battendo il tasto sui migranti per sviare l'attenzione dai veri problemi , ma che adesso navigano in acque piuttosto agitate. Ciò nonostante sarebbe incauto da parte della sinistra fare conto sulle scorciatoie giudiziarie per invertire la rotta. Al punto in cui il Paese si trova, ovvero piuttosto basso, la vera sfida si giuoca sul piano culturale e civile, non sulla furbizia demagogica. 

 

VALORI. Per I leader dalle spiccate pulsioni autoritarie il futuro potrebbe avere in serbo un cammino lastricato non soltanto di rose e fiori. Le loro strategie fondate sulla insistente ricerca del capro espiatorio hanno una data di scadenza e tutto alla fine si scopre. Ad alzare i veli ha provveduto Obama che lasciando da parte l'abituale fair-play ha definito il suo successore alla Casa Bianca un rischio per la democrazia. L'affondo segna l'esordio dell'ex presidente nella campagna per le elezioni di metà mandato a novembre che potrebbero risultare fatali per Trump e il suo mandato. Il discorso, caduto non a caso sui demagoghi che cercano consensi a buon mercato sfruttando la paure e il risentimento, ha attraversato l'oceano ed è arrivato a destinazione mentre l'UE si appresta ad affrontare il nodo dell'Ungheria di Orban e decidere se avviare la procedura per la violazione dello Stato di diritto a causa delle sue leggi liberticide. È facile immaginare che nell'aula di Strasburgo si assisterà a una battaglia campale per affermare i valori europeisti che i sovranisti mostrano invece di volere distruggere.

 

VINILE. Strattonato dalle opposte fazioni e a più riprese accusato, senza prove attendibili, di simpatizzare per l'estrema destra, Lucio Battisti a vent'anni dalla scomparsa incanta ancora e ancora fa discutere chi vorrebbe inquadrarlo in un determinato contesto politico. Per la verità tutto ciò sembra piuttosto una polemica di lana caprina che nulla toglie alla musica di Battisti, genio visionario e popolare la cui lezione è sempre attuale. Tanto che le sue canzoni si fischiettano e si cantano a prescindere dalla scheda elettorale. Morto ad appena 55 anni per un male incurabile, il celebre artista ha lasciato in eredità pagine fondamentali della musica popolare italiana pubblicando canzoni che nulla hanno perso della loro attualità grazie anche ai testi che il grande Mogol ha saputo cucirgli sopra. Testi che hanno addirittura contribuito a insegnare l'italiano e nei quali ogni persona è in grado di specchiarsi. L'ultima chicca legate al suo nome è la riproduzione in vinile dei suoi pezzi più noti su un formato che sta risalendo la china e che ha mandato in visibilio i fan vecchi e nuovi di Battisti e del nostalgico e sempre emozionante giradischi.