giovedì 21 dicembre 2017

Anno del coraggio al femminile

di Renzo Balmelli

FORZA. È stato l'anno del coraggio declinato al femminile. Nelle tante zone d'ombra di questo 2017 che volge alla fine, la rivolta delle donne contro le molestie di ogni tipo ha rappresentato uno dei rari squarci di luce che rendono meno pessimista il bilancio conclusivo. L'iniziativa del TIME nel proclamarle "persona dell'anno" incornicia in modo ideale la forza di un movimento che vincendo inaudite resistenze è riuscito a spezzare il muro dell'omertà usato per occultare comportamenti intollerabili. Certo, una copertina da sola non basta a cancellare le prevaricazioni, ma ha il merito di proseguire il dibattito e mantenere sotto i riflettori un tema sul quale c'è ancora molto da dire e da scrivere. Pensiamo alla qualità e al genere degli insulti rivolti a Laura Boldrini, insulti indice di uno squallore senza fine, per capire quanto sia incrostata una " cultura" di stampo maschilista sorda a ogni cambiamento in ambito politico e nella sfera della sessualità destinata a essere solo terra di conquista. Ma d'ora in poi le cose non potranno più essere come prima grazie alle armi dell'intelligenza e della creatività messe in campo dal mondo femminile per lottare contro qualunque intimidazione, qualunque ingiustizia esercitata contro chiunque.

PEGNO. Mentre ci accingiamo a liquidare senza troppi rimpianti l'anno vecchio, ci prepariamo ad affrontare quello nuovo interrogandoci sulle grandi sfide che pesano sull'Europa e che ne possono minare la sua lunga e storica ragion d'essere. Tra rigurgiti ultra reazionari e bellicosi , ogni giorno ci troviamo confrontati a problemi vieppiù numerosi e in continuo peggioramento. Ormai l'estrema destra, ovunque si presenti e vinca, non solo è stata sdoganata, ma dall'alto della sua posizione chiede pegni sempre più onerosi per le alleanze richieste in molti Paesi allo scopo di garantirne la governabilità. Veicolate da blogger e social compiacenti, le tinte edulcorate e mistificatorie proprie della propaganda filo-nostalgica finiscono quasi sempre col ricadere sulle spalle dei migranti , soggetti a bieche speculazioni elettorali. Siamo dunque al cospetto di una deriva di cui possiamo già adesso immaginare le ricadute sapendo com'è cominciata, ma non quando finirà, e che presenta analogie assai inquietanti con quanto già successo negli anni venti del secolo scorso.

ILLUSIONI. Coalizione disperatamente cercasi , anche dove meno te l'aspetti. In Germania ad esempio dove la Merkel arranca alla ricerca di partner, ma che sotto l'albero di Natale ha visto impallidire le sue stelle. Oppure nei palazzi romani che prima ancora di votare provano a cucire probabili intese il più delle volte velleitarie in cui calcoli, illusioni e realtà virtuale della politica si mescolano in un puzzle difficile da ricomporre. Ovviamente con tutti i rischi del caso. Se finora Berlino era garanzia di stabilità, da adesso in poi i fari saranno puntati altrove e fino a marzo, in attesa di sapere come si svilupperà la crisi tedesca più lunga degli ultimi anni, toccherà all'Italia e alle sue intrinseche debolezze l'ingrato ruolo di osservata speciale. A pesare sono soprattutto le incognite sul previsto voto di primavera che stando alle previsioni meno incoraggianti invece di chiarire la situazione lascerebbe il Paese senza governo. Comunque sia - e non è un segnale da prendere sul ridere - rivedere l'ex cavaliere sui teleschermi che mostra le vecchie e logore tabelline e in pari tempo è indicato dai suoi come il " futuro" premier, è uno scenario che va oltre ogni immaginazione.

REGINA. In un mondo privo di virtù, un mondo difficile come cantava Tonino Carotone, non mancano gli spazi per ritagliarsi momenti di felicità. Magari brevi, ma gioiosi se vissuti in compagnia assaporando una pizza cucinata a regola d'arte. Una vera pizza col marchio di origine controllata come quella che stata proclamata patrimonio dell'umanità. Deciso dall'Unesco, il riconoscimento va sia al prodotto sia al lavoro del pizzaiolo artefice di un'opera d'arte culinaria sempre imitata e mai uguagliata, frutto di creatività e ingegno. Che poi quella che conquistò la regina Margherita cui è dedicata abbia origine più antiche e sia argomento di confutazione tra gli esperti non fa che sottolineare l'importanza della certificazione. Non c'è di che, un bel finale di partita per l'Italia che ha il più alto numero al mondo di beni da tutelare, ai quali si aggiunge ora la pizza, un prodotto gastronomico di fama universale e al centro nientemeno che di vibranti dispute filologiche sulla sua storia e le sue origini.

lunedì 18 dicembre 2017

Forse non sa di cosa parla quando ne parla

di Renzo Balmelli 

BRANDELLI. Può darsi che oltre Atlantico sia meno nota che in Eu­ro­pa. A maggior ragione leggere La Gerusalemme liberata potrebbe gio­vare agli attuali vertici della Casa Bianca e in primis a Donald Trump che forse non sa di cosa parla quando ne parla. Recuperare la me­moria letteraria sarebbe oltremodo utile per andare a fondo di una re­altà che da millenni si basa su un delicatissimo sistema di equilibri e compromessi. Facendolo saltare si rischia di accendere una miccia dal­le conseguenze incalcolabili. Quando il Tasso compose il suo mirabile poe­ma epico l'America era ancora in fasce, ma oggi che è rimasta l'uni­ca grande potenza ha il dovere di dare prova di saggezza. De­ru­bri­care la città a spavaldo oggetto del desiderio come fosse una prateria del Far West significa saltare di pari passo dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata e di conseguenza ridurre a brandelli ciò che resta del dialogo tra israeliani e palestinesi in quei luoghi ricchi di storia e profonde emozioni che sono di tutti noi.

SCHIAFFO. Sulle testate on line e sui blog di destra, di solito così so­lerti a incensare ogni mossa di Trump, la sconfitta in Alabama del can­didato repubblicano al Senato non si è trovata da nessuna parte. O, se c'era, in pochi l'hanno vista, sperduta tra le notizie in breve. E dire che in questo Stato, dove appena un anno fa il Presidente aveva disinte­gra­to Hillary Clinton, il Gran Old Party da vent'anni poteva starsene co­mo­damente nel fortino senza che la sua su­pre­ma­zia venisse mai posta in discussione. Ma nemmeno l'invincibilità più ferrea, quando il trop­po è troppo, poteva bastare a contenere le stralunate esternazioni di Roy Moore, estre­mi­sta filo-razzista, coinvolto in una serie di scandali ses­suali e che faceva campagna a cavallo ma­gnificando l'età dello schia­vi­smo. A rompere la roccaforte repubblicana ha provveduto il de­mo­cra­tico Doug Jones, che oltre a incassare una vittoria clamorosa rende ancora più stri­min­zita la maggioranza repubblicana al Camera alta. Uno schiaffo per Trump, che era sceso in campo personalmente per sostenere il suo candidato; uno schiaffo destinato a lasciare a lasciare il segno a un anno dalle legislative. Un personaggio come Ray Moore in un altro Stato anche solo un pochino meno reazionario dell'Alabama non sarebbe stato neppure presentabile.

DIRITTI. Siamo rimasti impietriti per la tragica fine di Madina, la bim­ba afgana di sei anni travolta e uccisa dal treno mentre camminava sui binari sognando l'Europa. La sua giovane vita è stata spezzata bru­tal­­mente mentre errava da una frontiera all'altra come migliaia di pro­fu­­ghi in cerca di asilo. Per lei la Dichiarazione universale dei diritti del­­l'uomo era solo un pezzo di carta ignorato dai responsabili di tali atro­­cità. L'anno prossimo si celebrerà il 70esimo anniversario della Di­chia­razione, voluta quale risposta agli orrori, le ferite e le rovine della Se­conda guerra mondiale. Di progressi in questo campo ne sono stati fatti, certo, ma l'odissea di Madina testimonia, specie di questi tempi segnati dall'intolleranza verso chi fugge dai conflitti e dalla fame, quan­­ta strada resta ancora da fare prima di debellare le peggiori di­scri­mi­nazioni a danno dei più deboli. Se i valori insiti nella Dichiarazione sono i pilastri fondamentali di una società giusta, difenderli può costare la vita o la privazione delle libertà individuali. Guai, quindi, arrender­si.

INDIETRO. Il difficile comincia adesso. Agli eurofobici incalliti non sembrava vero di recitare il De Profundis dell'UE dopo il primo parziale successo dei negoziati sulla Brexit. Aggiungendovi, tanto per non farsi mancare nulla, il solito benservito alle " zecche rosse" che svendono l'Italia per trenta denari. Ma l'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito è soltanto il primo tassello di una ancora lunga marcia negoziale il cui esito alla fine molto dipenderà dagli equilibri politici a Londra. Theresa May torna a casa con la consapevolezza che il divorzio si consumerà nel reciproco rispetto, ma senza la certezza di riuscire a portarlo a buon fine. La sua sopravvivenza a Downing Street deve fare i conti con gli umori dell'opinione pubblica, consapevole che il distacco sarà molto oneroso, e con la possibilità che i laburisti vadano al governo. Tanto che Oltremanica più di qualcuno vorrebbe rimettere indietro le lancette del referendum. Anche quelle della Brexit.

RISORSE. A vederla in televisione con quel viso tirato e gli occhi sempre più grandi e corrucciati, anche i suoi avversari più determinati provano una certo imbarazzo a metterla alle corde. Però, malgrado il dovuto rispetto, non si può fare a meno di analizzare l'operato di Virginia Raggi, che da quando è diventata sindaca di Roma ha fatto e disfatto la sua giunta, ma ha governato e combinato poco. Colei che doveva essere l'alfiere del cambiamento e il simbolo della "rivoluzione grillina" a ragion veduta un anno dopo l'elezione presenta un bilancio molto modesto. D'accordo, cambiare Roma in tempi brevi è impossibile. Ma nella "caput mundi" nulla sembra essere mutato e se la città mantiene ancora intatto il suo fascino agli occhi di milioni di turisti non è certo per il mito appannato della felliniana Dolce vita, ma per il concentrato di storia che vi si respira a ogni angolo. L'inquilina del Campidoglio non è l'unica responsabile del degrado che nell'Urbe ha radici antiche. Ora arriveranno nuove risorse per rilanciare la ripresa, ma resta da vedere se la Raggi sarà ancora alla guida della città anche dopo le elezioni di primavera.

SCANDALO. A guardare bene non è poi così esatto sostenere che l'ex cavaliere, tornato di colpo al centro della scena politica, sia il capostipite di quel fenomeno di costume ormai noto e citato in tutto il mondo col nome di "bunga bunga". Le "cene eleganti" sono sempre esistite ed a ricordarcelo è la scomparsa di Christine Keeler, splendida modella degli anni sessanta, che si trovò coinvolta in una torbida vicenda di tale ampiezza da fare tremare l'occidente. Ora il suo nome dice nulla ai più, ma quando aveva appena 19 anni la sua torrida relazione con John Profumo, allora ministro della guerra, portò alla caduta di un intero governo di Sua Maestà, quello conservatore guidato da Harold Macmillan. E poiché tra le relazioni della ragazza figurava anche un agente del controspionaggio sovietico ne scaturì in piena guerra fredda uno scandalo enorme che metteva a repentaglio la sicurezza nazionale e internazionale secondo i canoni di una spy story in piena regola, consumata tra le lenzuola.

SIMBOLI. Un altro attentato a New York. Nelle mille luci che illuminano l'immensa metropoli natalizia e festante, di colpo si è fatto buio. Come una folata di vento impetuoso il bagliore dell'esplosione ha paralizzato l'affollatissima Times Square, la piazza simbolo della città dove transitano 500 mila pedoni al giorno. La paura per le conseguenze immediate del folle gesto si è dileguata in tempi brevi, una volta capito che non c'erano vittime. Ma l'inquietudine per quel " terrore fai da te" con l'ausilio di una bomba rudimentale rimane comunque presente nei gangli vitali della città che ha conosciuto prove ben più drammatiche, ma che sempre ha reagito senza cedere all'isteria. L'attentatore, sbucato dal nulla, è un lupo solitario che si definisce militante dell'Isis, che forse è stata debellata ma non nelle menti di chi ne è rimasto contagiato: la qualcosa rende lui ed i suoi imitatori ancora più pericolosi e incontrollabili. Ma New York non sarebbe New York se non tenesse i nervi saldi. Nelle avversità la Grande Mela ha le sue ancore di salvezza, i suoi simboli vincenti entrati nell'immaginario collettivo come il famoso bacio del marinaio all'infermiera, proprio a Times Square; un bacio più forte delle calamità per festeggiare la fine della guerra e di un incubo.

mercoledì 13 dicembre 2017

Nel silenzio e nell'indifferenza

di Renzo Balmelli

SCHIAVI. In un'epoca ormai remota, quando il telefono non si chiamava ancora smartphone, i ragazzi curiosi, anziché smanettare tutto il santo giorno, trascorrevano le ore libere tra le pagine di un romanzo famosissimo, La capanna dello zio Tom, che raffigurava la crudele realtà della schiavitù sullo sfondo della guerra civile americana. E poiché lo schiavismo, da quanto si evince dai rapporti più recenti, rimane ancora ai nostri giorni una ferita che non si rimargina, sarebbe forse consigliabile una rilettura del capolavoro di Harriet Beecher Stowe che rese più acuto il conflitto delle coscienze verso le inaudite sofferenze inferte alla popolazione di colore. Purtroppo di questi tempi poco gloriosi sovente trovano più posto nei media le sceneggiate di un ex leader avvizzito invece del dramma dei popoli e dei profughi schiavizzati che si consuma nel silenzio e l'indifferenza, senza che si riesca a porre fine allo scempio. Per questa e altre ragioni l'opera della scrittrice, abolizionista della prima ora, che si guadagnò l'ammirazione di Abramo Lincoln, ma anche l'odio perenne degli sfruttatori di ieri e di oggi, rimane un secolo e mezzo dopo la pubblicazione una voce forte ma non abbastanza ascoltata nel deserto della prevaricazione dell'uomo sull'uomo.

VERGOGNA. Quando si parla delle tragedie imputabili alle follie dell'uomo nel corso delle guerre, non ci si sofferma con la dovuta attenzione sulle sofferenze inflitte dagli eventi bellici a milioni di bambini, vittime innocenti di conflitti sanguinosi di cui non hanno nessuna responsabilità. Se ne torna a parlare ora, attraverso svariate pubblicazioni, avendo come punto di riferimento la foto della ragazza vietnamita che urla di dolore mentre corre bruciata dal napalm. Sono passati gli anni, ma quella testimonianza iconografica più potente e raccapricciante di mille parole evoca con un solo scatto tutto l'orrore dell'infanzia dilaniata, rubata e travolta dalla brutale aggressività che la perdita del più piccolo barlume di umanità riesce a esprimere quando la ragione viene sopraffatta dai più bassi istinti. Ciò che si dipana sotto i nostri occhi è il resoconto di crudeltà inaudite che hanno nel lavoro e nella prostituzione minorile una delle sue forme peggiori di sfruttamento al servizio di regimi corrotti e ideologie bacate. La geografia della morte, per riprendere una definizione di uno storico contemporaneo, non ha confini, e tremano le vene ai polsi al pensiero che la logica della guerra possa finire nelle mani di personaggi inquietanti e inadatti al loro incarico come quelli che si muovono lungo le opposte sponde del Pacifico.

NORMALI. Nell'italica destra prevale la tendenza a giudicare con molta benevolenza gli atteggiamenti che in vario modo rimandano al ventennio fascista. Episodi come l'irruzione degli estremisti a Como, la scritta "Bella ciao" a Milano cancellata da frasi inneggianti al duce, oppure l'esposizione di una bandiera militare del Reich tedesco in una caserma, vengono ridotti a una goliardia, al frutto dell'esuberanza giovanile nel contesto (sic) di una destra moderna. Al di là della vexata quaestio sulla possibilità che la destra riesca ad essere moderna, appare evidente il salto di qualità nel rivendicare pieno diritto di cittadinanza democratica a fatti che sono invece una provocazione e un vulnus dell'ordinamento repubblicano. Coloro che se ne fanno promotori agiscono ritenendo che le pregiudiziali etiche e culturali nei confronti del passato a cui si ispirano siano cadute e che il ritorno a comportamenti che si credevano sepolti dalla storia debba essere considerato normale. Proprio come accadde negli anni Venti, prima di accorgersi che tanto normali non erano.

STRATEGIA. Se dovessimo stabilire una graduatoria degli avversari che possono dare filo da torcere alla sinistra, la lista comprenderebbe il movimento 5Stelle, Forza Italia, la Lega e i vari cespugli dell'opposizione. Ma sarebbe una lista scontata e comunque ampiamente incompleta poiché non vi figura il competitore più insidioso. Il competitore interno il quale fa dire a chi osserva da fuori che il vero nemico della sinistra, in virtù di un paradossale ossimoro, è purtroppo la sinistra stessa che ora vediamo dibattersi nella ragnatela delle beghe e nelle tortuosità della non meglio definita " cosa rossa". Nella confusione dei ruoli i vari attori anziché dialogare vanno avanti ognuno per la loro strada, giusta o sbagliata che sia, rendendo in tal modo ancor più più traballante il percorso di un'idea che non può essere sacrificata sull'altare delle ripicche. Per evitare il disastro nelle urne occorre dunque avere il coraggio di gettare lo sguardo oltre l'ostacolo .Se il partito laburista di Jeremy Corbyn ad esempio vola nei sondaggi magari potrebbe essere utile dare un'occhiata da vicino alla sua strategia se non altro per arginare la guerra fratricida che di questo passo finirà col favorire soltanto la destra e il populismo.

EVENTO. A dispetto del quadro a fosche tinte dipinto dall'opposizione per racimolare voti facendo leva sulla paura, non tutto va male in Italia. Nonostante i ritardi, le inadempienze, la disoccupazione e altri difetti strutturali, nel Paese, oltre ai segnali di una timida ripresa dell'economia, esistono ancora, e sempre esisteranno, quelle punte di eccellenza che gli hanno consentito di occupare un posto non secondario al tavolo del G8. In ordine di tempo l'ultimo progetto andato in porto grazie al lavoro italiano è l'entrata in servizio del primo treno merci diretto tra il polo logistico integrato di Mortara e la località cinese di Chengdu. Si tratta di collegamento che aggiunge un altro tassello alla Via della Seta, il solo di tale ampiezza tra l'Europa e l'Asia, che ha avuto ampio risalto sui media internazionali per le prospettive che apre nello sviluppo del commercio mondiale e la velocizzazione dei trasporti. Il viaggio ripropone in chiave moderna la leggendaria impresa di Marco Polo in un contesto che grazie al Mortara Express fa sentire a chi ne è protagonista di essere parte attiva di un grande evento.

AFFRONTO. Dopo la grande Brexit con Londra, forse già l'anno prossimo , qualora la diplomazia non riuscisse ad appianare le divergenze , Bruxelles potrebbe trovarsi a dovere fare fronte a una piccola, ma non meno laboriosa Brexit con la Confederazione Elvetica.Pur non facendo parte dell'UE la Svizzera è comunque già adesso al centro di regolari negoziati per non guastare le relazioni di buon vicinato con Berna. Di sicuro però non contribuirà a rischiarare l'orizzonte la decisione dell'Ecofin di non inserire il Paese nel libro nero dei paradisi fiscali,ma di collocarla comunque nella lista grigia, meno severa ma recepita altrettanto male, assieme alle nazioni da tenere sotto sorveglianza fino a quando non verranno realizzati ulteriori e sostanziali progressi nella lotta all'evasione. Inutile dire che l'UDC dell'ex ministro Christoph Blocher, refrattario anche quando era nell'esecutivo a tutto ciò che sa di europeo, è già sul piede di guerra per promuovere altre iniziative destinate a far saltare il banco dell'intero pacchetto di accordi bilaterali e in secondo luogo per mobilitare l'opinione pubblica contro un provvedimento che viene considerato un vero e proprio affronto alla sovranità nazionale. E con la brutta aria a livello popolare che tira anche nella patria di Tell nei confronti dell'UE non è escluso che una Brexit in salsa bernese possa essere prima di quanto si creda all'ordine del giorno.

MICCIA. Fra annunci roboanti, tweet sparati in ogni direzione e iniziative dettate più dalla frenesia che da scelte ponderate , Donald Trump nel suo operato presidenziale, sul quale pesa il macigno del Russiagate, appare sempre più simile a quel tale che una la fa e l'altra la pensa. In quest'ordine di idee rientra la proclamata volontà di spostare l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Si tratta di una entrata a gamba tesa nel già precario equilibrio del Medio Oriente che getta il mondo nel caos ed è fonte di gravi preoccupazioni nelle Cancellerie internazionali, da Roma a Pechino. Gerusalemme è una città unica, sacra per le tre religioni monoteiste, e con una vocazione speciale alla pace. Minarne lo status quo con la promessa di riconoscerla come capitale d'Israele apre scenari inquietanti dalle conseguenze incalcolabili. Qualora venisse concretizzata in tempi brevi, l'ultima mossa del Presidente , lontana da ogni criterio razionale, potrebbe avere l'effetto di una miccia ad accensione di un nuovo ciclo di guerra in una delle questioni più complicate e controverse della geopolitica: quella delle crisi israelo-palestinesi che costituisce un azzardo permanente per gli sforzi volti a consolidare la distensione. Di ben altra sostanza dovrebbe essere invece il ruolo di commander in chief della maggiore potenza mondiale. Disattenderlo in modo così plateale può essere fonte di grossi guai per tutti.

martedì 5 dicembre 2017

Un anno un po' così, senza infamia e senza lode

di Renzo Balmelli 

GIUDIZIO. Per l’Europa si sta avvicinando la fine di un anno che pur evitando l’impietoso giudizio di “annus horribilis” non passerà comunque alla storia con la sua controparte positiva di “annus mirabilis”, secondo la locuzione tramandata ai posteri dalla letteratura inglese del seicento. A questo proposito anche i più fervidi europeisti, consapevoli delle difficoltà che sta correndo la casa comune, non nascondono un certo quale pessimismo e chiedono che i Paesi membri trovino la forza e la volontà di sedersi al tavolo dei negoziati per avviare le indispensabili riforme dell’UE. Altrimenti gli anni a venire potrebbero essere peggiori di quello che Bruxelles si sta lasciando alle spalle. Il riferimento alla letteratura inglese d’altronde non è casuale poiché è proprio dalla patria di quel genio universale di Shakespeare che è arrivato il terremoto chiamato Brexit. Uno sconquasso che con le sue scosse sempre più intense oltre al danno economico potrebbe procurare un oltraggio inimmaginabile alla cultura europea, secondo canoni che non possono coincidere in nome di un assurdo isolazionismo.

DECLINO. C’è un manifesto e diffuso compiacimento tra l’interna­zionale della destra populista per le difficoltà che sta incontrando Angela Merkel nel formare il nuovo governo. Difficoltà che innestano nel destino della Germania elementi insoliti ed estranei al tradizionale pragmatismo renano. Senza rilasciare cambiali in bianco alla Cancelliera, nei confronti della quale anche da sinistra esistono riserve tali da complicare il ritorno alla Grosse Koalition, occorre pur sempre ammettere che i suoi dodici anni alla testa dell’esecutivo federale sono valsi se non altro a costruire un argine alla prorompente avanzata dell’estremismo nazionalista, inesorabile nell’erodere le possibilità di una vera e condivisa governance europea. Come hanno osservato alcuni attenti e preoccupati osservatori, se la Repubblica federale, nazione stabile per antonomasia, non riuscisse a uscire dall’impasse, potrebbe tornare a farsi vivo il fantasma degli anni di Weimar il cui ricordo è associato da un lato a uno straordinario periodo di vivacità creativa, ma dall’altro a un crollo dalle tragiche conseguenze.

PREDELLINO. Serve un progetto per l’Italia – si può leggere a titoli cubitali mentre nel Paese sta iniziando la lunga e sfibrante campagna elettorale che paralizza la buona politica. Un progetto, sì, ma quale? Mentre la sinistra si svena nella stucchevole guerra delle reciproche re­criminazioni, la destra presentandosi come “futuro che avanza” in real­tà volge lo sguardo al passato. Ne risulta un gigantesco dispendio di energie che invece andrebbero investite in altri e più profittevoli campi per fare fronte alle tante emergenze, dalla disoccupazione che morde alle caviglie ai disagi degli sfollati che all’arrivo dell’inverno ancora non sanno quando potranno tornare alle loro abitazioni distrutte dal si­sma. Nel 2017 , anno del limbo con segnali positivi ridotti al lumi­ci­no, tanto per completare il quadro deprimente si inserisce pure una delle tan­te amenità dell’ex cavaliere che nell’euforia del momento non ha re­si­stito alla tentazione di riproporre a dieci anni di distanza la sce­neggiata del predellino. In un clima che più inconcludente non si può, parlare di progetto per l’Italia ha l’amaro sapore dell’ennesima beffa.

BUSINESS. Sembra una storia paradossale quella del cambio di pro­prietà al Time, la prestigiosa rivista di New York che viene annoverata tra gli alfieri dell’editoria liberal e progressista americana. Memorabili sono rimaste le sue prese di posizione contro Trump e una copertina che lo ritrae quale uomo dell’anno, ma con toni intinti nell’inchiostro dell’ironia. Ma l'aspetto curioso in questa nuova tappa della battaglia per l’informazione sta nel fatto che la scalata al settimanale è stata finanziata da un gruppo nazional popolare di ricchi petrolieri del Kansas, i fratelli Koch, repubblicani da una vita, che però- ecco il paradosso – avevano cercato di ostacolare in tutti i modi la scalata alla Casa Bianca del rivale della Clinton. Non si creda però che l’iniziativa sia un endorsement per la linea del settimanale. Allora perché? Ora che il peggio è fatto, nel paese del business l’operazione si spiega molto più prosaicamente col tentativo di smussare le voci critiche per le sbandate di Trump, non sempre compatibili con la logica degli affari, affinché non provochi danni maggiori finché rimane in carica. Insomma, come direbbe il grande Eduardo, con questa presidenza “adda passà a nuttata”. Resta da capire che ne sarà del Time.

ISOLA. E adesso le nonne che favole racconteranno ai nipotini se dietro ognuna di esse si nascondono secondi fini inconfessabili. A dire il vero qualche sospetto sui contenuti e la morale di alcuni capolavori della letteratura per i bambini circolava già da parecchio tempo. Non ci voleva d’altronde un grande sfoggio di fantasia per capire che “dietro lo specchio” di Lewis Carrol, autore del romanzo Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie si celassero sguardi non sempre casti. E neppure Cappucceto Rosso, col lupo travestito, ucciso e squartato, può essere considerato un bel esempio per l’infanzia. A volte può far paura anche ai grandi. Che dire poi di Biancaneve con quei sette nani pieni di vigore sempre tra i piedi. Ma la mazzata fatale è arrivata quando una mamma ha lanciato una campagna per mettere al bando addirittura il bacio che porta al risveglio della Bella Addormentata, considerandolo estorto con l’inganno. A questo punto forse non rimane che rifugiarsi sull’isola di Peter Pan che però, purtroppo, è un lungo immaginario, un luogo che non c’è.

BRAMOSIA. Sulla incandescente scacchiera della follia nucleare, il leader nord coreano con il lancio di un nuovo missile intercontinentale ha effettuato un’altra mossa del suo personalissimo e pericolosissimo gioco “o la va o la spacca” che tiene il mondo col fiato sospeso. E quand'anche si trattasse solo di un bluff per puntellare il proprio prestigio interno al cospetto di una popolazione stremata dalle difficoltà, a questo tavolo nemmeno la Cina, ossia il competitore più accreditato della regione, sembra in grado di smascherarlo. Le Cancellerie internazionali si erano illuse che Pechino riuscisse a disciplinare il suo vassallo, l’alleato riottoso che invece, anziché piegarsi a più miti consigli, annuncia pomposamente l’ingresso della Corea del Nord nel club delle potenze atomiche in grado di provocare distruzioni apocalittiche nelle metropoli americane. Nell’assenza prolungata di altri test balistici si pensava che l’emergenza nord coreana si stesse dissolvendo, ma quell’ordigno a lunga gittata molto più potente dei precedenti e in grado di trasportare una testata nucleare non solo smentisce crudelmente le congetture degli esperti, ma rischia di fare saltare il banco delle opzioni diplomatiche messe in conto per disinnescare la miccia di un eventuale conflitto con armi atomiche dalle conseguenze spaventose. Forse, speriamo, non siamo ancora al punto di non ritorno, ma parafrasando Pascal, verrebbe da dire che la bramosia del potere conosce ragioni che la ragione non conosce.

martedì 28 novembre 2017

Argine quanto mai fragile al populismo

di Renzo Balmelli

VISIONE. Doveva essere una mini prova generale dei prossimi ap­pun­tamenti con le urne, e così è stato. Con la sinistra grande e inspie­ga­bile assente, la turbolenta elezione del sindaco di Ostia, che premia ben al di la dei suoi meriti la mutevole pattuglia grillina, prefigura un quadro politico tutt'altro che rassicurante per l'intero Paese. Dopo la Sicilia, dopo l'inaudita aggressione a un giornalista, dopo la beffa inconcepibile dell'Agenzia europea dei farmaci fonte di nuove ama­rez­ze, il microcosmo della inquieta località balneare, drogata dal­l'as­sen­teismo, diventa la visione di quanto potrebbe accadere tra qualche mese nel clima carico di tensioni e incognite che precede le elezioni nazionali. Se nella circostanza Casa Pound, almeno questo, è rimasta ferma al palo, è tuttavia prematuro parlare di scampato pericolo. Perdurando il disagio e la rassegnazione dell'opinione pubblica sempre più delusa dalla governance incolore ed inefficace degli ultimi anni, l'argine che si vorrebbe porre al minaccioso populismo di estrema destra risulta quanto mai fragile.

OCA. Fuori giuoco nel litorale romano, non è che la sinistra, sempre prigioniera del demone delle divisioni e delle faide interne, stia brillando ad altri livelli. Di questo passo pare piuttosto condannata all'inesorabile destino del tanto peggio, tanto meglio che lascia dietro di sé soltanto macerie. E a questo punto nemmeno Freud saprebbe trovare il bandolo della matassa. Tutto oro che cola per Berlusconi tornato in auge sulle prime pagine dei rotocalchi rosa per via degli alimenti da versare all'ex moglie. Nel curioso mélange di gossip e vecchi trucchi, l'ex cavaliere, a dire il vero senza incontrare molte resistenze, medita, Strasburgo permettendo, di cavare dal logoro cilindro le scontate magie d'antan, che potrebbero riportarlo alla casella di partenza del suo personale gioco dell'oca. Basti pensare che si è persino inventato il ministero della terza età per fare colpo sull'elet­to­rato più disorientato che mai. E potrebbe pure riuscirci assieme ai compagni di merenda se nella generale confusione non si farà nulla per scongiurar il rischio di riconsegnare il Paese a chi l'ha rovinato.

INCERTEZZA. Quando vacillano anche i bastioni più solidi come generalmente veniva giudicata la Germania, c'è poco da stare allegri. Se il caldo sole della Giamaica non è riuscito a diradare la plumbea cappa di nebbia che avvolge la porta di Brandeburgo e se nel cielo sopra Berlino, fallito il tentativo di dare vita a una coalizione caraibica tanto pittoresca quanto fantasiosa, cominciano a circolare termini come Verunsicherung, ossia incertezza, c'è motivo di preoccuparsi per la tenuta del Paese, fin qui incrollabile assertore della stabilità. Tanto più che l'estrema destra, ormai terza forza politica a nord del Reno, potrebbe uscire vincitrice dal collasso delle trattative e dall'eventuale ricorso alle elezioni anticipate. Un malinconico detto francese sostiene che tout casse, tout passe, tout lasse ("Tutto si rompe, tutto passa, tutto va"), ma aggiunge che il n'est rien e tout se remplace ("Nulla c'è, tutto si rimpiazza"). Resta da stabilire se i tedeschi, oltre che stanchi, siano davvero disposti a rimpiazzare Angela Merkel e con chi. Ma soprat­tut­to a che prezzo sia per la Repubblica federale che per l'Europa.

ROBOT. A volte capita che la realtà superi la fantasia e renda plausibili gli scenari descritti e anticipati dagli autori di fantascienza. In questo campo, che apre prospettive infinite e ancora in gran parte da esplorare, c'è già chi profetizza una svolta epocale nel campo delle tecnologie più avanzate che porterà enormi benefici a tutta l'umanità. Protagonisti della rivoluzione nonché di congressi e mostre a non finire sono i robot di nuova generazione che stanno compiendo molti passi avanti in questa direzione negli ultimi anni. Il primo a sdoganarli per cancellare le diffidenze e renderli più simpatici era stato Isaac Asimov, caustico scrittore di origine sovietica, che nell'interazione tra genere umano, i robot e la morale, intravvedeva lo strumento in grado di alleviare le fatiche dell'uomo durante il suo percorso esistenziale. In questo campo la scelta non manca e sarà maggiore in futuro, ma sulla convivenza tra l'omino d'acciaio e quello in carne ed ossa sussistono ancora riserve di tipo filosofico che tengono vivo il dibattito e ne mettono in discussione l'opportunità sociale oltre che culturale.

CORAGGIO. È in edicola la nuova Repubblica e parafrasando Fabri­zio De André verrebbe da dire che ci vuole coraggio, tanto coraggio, per varare una iniziativa di tale ampiezza editoriale e giornalistica men­tre le testate tradizionali un po' ovunque stanno attraversando un fase critica segnata dal riflusso dei lettori. Ormai, inutile girarci attor­no, sempre meno persone leggono più i quotidiani. Lo sanno tutti che la maggior parte di chi è interessato va a cercarsi le informazioni su altri vettori di facile e immediato accesso e consumo. Come quaran­t'an­ni fa, quando Eugenio Scalfari seminò il germe dell'innovazione, anche ora la redazione si accinge a raccogliere questa sfida epocale per restare al passo coi tempi e con la sua storia nell'Italia che è cambiata, così com'è cambiato – leggiamo nella presentazione – il ritmo dei fatti, il tempo della loro narrazione e il modo di raccontarli. Con questa ini­zia­tiva, che richiederà non pochi sforzi ai timonieri della navigazio­ne car­tacea, si aprono nuove prospettive per intercettare attraverso gli ap­pro­fondimenti le mutazioni, i desideri e le inquietudini di un'epoca che non ha – citiamo – risposte semplici a problemi sempre più complessi. In tal senso formuliamo i migliori auguri ai colleghi di Repubblica.

lunedì 13 novembre 2017

Baruffe e batoste

di Renzo Balmelli

RISCATTO. Basta batoste. Basta brutte figure. Basta baruffe tanto sciocche quanto infantili. E basta ai regali nell'urna, buoni soltanto ad aizzare il gioco al massacro degli avversari. Dalla Sicilia arriva un monito ineludibile per la sinistra prossima al collasso. Diversamente dallo sbarco dei Mille in camicia rossa, essa poco a poco è affondata nel mare procelloso del suo pazzesco marasma interno, trascinando nei gorghi una certa idea dell'Italia moderna, aperta e dinamica, ormai sempre più soverchiata dalle forze della reazione. Peggio della controprestazione, lascia però trasecolati il tentativo di liquidarla come l'inevitabile conclusione di una sconfitta annunciata che ha tutto il cattivo sapore di una resa senza condizioni. Ma vi pare possibile! E come se non bastasse, quando il disastro si era già consumato, avanti con i rimbrotti, le faide, le rese dei conti che oltre a indebolirla sono anche un elemento di disaffezione degli elettori. Se è nel solco di questo spettacolo indecoroso che la sinistra, litigiosa e indecisa, intende avvicinarsi alle prossime elezioni nazionali senza dare segni di risveglio, è inutile chiedersi come andrà a finire. La sua sarà davvero una Caporetto però senza il riscatto del Piave.

TRACCE. Silvio c'è! Torna il grido di esultanza della destra (scritta volutamente senza centro) a tal punto baldanzosa che , previo il consenso dei Cinque stelle, autoproclamatisi vincitori morali , già si vede insediata a Palazzo Chigi, nel cuore del potere, da cui l'uomo di Arcore, non fosse per i guai con la giustizia che ne impediscono la rielezione, vorrebbe cacciare coloro che considera alla stregua di usurpatori. Certo è che l'ola trionfante del quartetto vittorioso sull'isola è un serio indizio di come potrebbe diventare il Paese se di colpo si trovasse con un glorioso futuro alle spalle e un incerto passato davanti a se. Nello scenario che ripropone alcuni passaggi dell'infausta era berlusconiana manca soltanto il celeberrimo “meno tasse per tutti” , poi sconfinato nel sarcastico “meno tasse per Totti”, e la tavola per una “cena elegante” sarebbe già bella che imbandita. A quei tempi le magniloquenti promesse del Cavaliere si vendevano un tanto al chilo , ma nonostante i risultati disastrosi, non sembrano avere lasciato tracce, al punto da riproporsi tale e quali come prima, però con una aggravante di peso: l'avanzata delle frange estreme che crescono in maniera inquietante nelle periferie abbandonate dalla politica senza che siano state escogitati i necessari rimedi.

DIALOGO. Al giro di boa del diciassettesimo anno del nuovo millennio, se c'è una immagine che non si immaginava di vedere negli Stati dell'Europa comunitaria è quella che mostrava il corteo dei neri cellulari con a bordo i ministri catalani rinchiusi in galera per il loro sostegno alla causa dell'indipendenza da Madrid. A prescindere da come ci si ponga di fronte agli interrogativi sollevati dalle controverse, problematiche e divisive spinte autonomiste di Barcellona, scene simili, malgrado le divergenze, non hanno nulla da spartire con i principi della civile convivenza. Da quando sono state rimosse le rovine della guerra, all'interno dell'Unione Europea, garante del più lungo periodo di pace nel continente, i contenziosi, per quanto gravi , si regolano attraverso il dialogo e non con le misure coercitive. Cose simili accadevano il secolo scorso, quando il continente era percorso dalle orde con gli scarponi chiodati. Adesso, per fortuna, da noi non si imprigiona più nessuno per le sue idee, giuste o sbagliate che siano. Altri scenari lontani dalla nostra cultura umanista e dal nostro sentire comune potrebbero avere ricadute perniciose nel momento in cui sono all'opera movimenti ispirati da ideologie bacate che mirano a sovvertire l'ordine democratico, l'unico che ci pone al riparo dai conflitti di una volta.

 

SHOPPING. L'America ha smesso di sognare. Mentre Trump attraversa l'Estremo oriente con la furia di un ciclone per puntellare la sua traballante Presidenza, il suo Paese si trovava esposto una volta ancora all'altra faccia dell'attualità: quella più dura segnata dal terrore, sia esso politico o personale. Come appunto sembrerebbe essere la strage di fedeli nella chiesa battista di Sutherland Springs, nel Texas, imputabile al gesto di un folle. Ma per quelle 27 vittime non cambia assolutamente nulla che la loro fine sia da mettere sul conto del fanatismo ideologico e religioso oppure il frutto di una mente bacata .Perché con le armi a portata di mano come fossero giocattoli, la violenza seriale da qualunque parte venga ha un effetto contagioso che colpisce sia la spumeggiante Las Vegas che la quieta campagna di provincia. Tutti gli autori di queste infamie contro l'umanità si considerano, a modo loro, dei vendicatori e non dei volgari assassini quali sono. Per ammazzare basta che facciano shopping indisturbati al discount di pistole e fucili. L'inquilino della Casa Bianca invoca la protezione di Dio sulla gente, ma se provasse a dargli una mano mettendo un freno alla lobby delle armi, la Nazione a stelle e strisce potrebbe ricominciare a sognare. Ma è risaputo che i sogni muoiono all'alba.

IMBARAZZO. Quando la Svizzera era il forziere del mondo, era impossibile perforare la cortina di riserbo che circondava i titolari dei conti cifrati, protetti dal segreto bancario e custoditi, sotto il manto di graziosi “nickname” , non soltanto negli istituti delle principali piazze finanziarie, ma anche nelle più piccole e insospettabili filiali alla periferia della Confederazione. Se ciò avvenga ancora oggi non si sa, ma quanto si può dire in proposito è che di quella centenaria discrezione non v'è traccia nell'enorme flusso di denaro che ora si muove in tutt'altre direzioni, alla ricerca di ospitali paradisi fiscali in grado di fornire lo strumento giuridico necessario alla pratica dello sport preferito da chi manovra centinaia, forse migliaia di milioni: evadere le tasse. In quelle oasi dove il comune cittadino, operaio o salariato, non metterà mai piede se non vedendole al cinema, l'affollamento di personalità in vista è pari a quello delle ore di punta. Un continuo andirivieni svelato per l'occasione dai “ Paradise Papers”, documenti scottanti che lambiscono addirittura la Regina delle Regine, nonché capi di Stato, ministri, star della politica e dello spettacolo. I loro portavoce si affrettano a sottolineare che ovviamente non v'è nulla di illegale in tutto ciò. Sarà vero, ma intanto le carte mettono in imbarazzo l'Occidente.

VALORI. Come accade in tutte le democrazie consolidate, anche negli Stati Uniti è nelle urne, e solo lì, che si misurano gli umori e la temperatura del Paese. Da face book a twitter, i social saranno senz'altro un elemento del termometro, ma alla fine sono i voti i criteri che contano realmente. E Trump, alle prese con un primo test importante e con una popolarità ai minimi storici, si trova confrontato ad una nuova erosione di consensi su cui cerca di sorvolare, ma che solleva altri interrogativi sul suo operato a un anno dalla campagna che lo ha condotto alla Casa Bianca. Quelli incassati ad opera dei democratici eletti governatori in Virginia e nel New Jersey, ossia due Stati non propriamente progressisti, senza essere decisivi sono comunque due colpi che fanno male; così come lascia un segno il successo dell'italo americano Bill De Blasio, confermato sindaco di New York, ovvero la metropoli da dove Trump è partito per dare la scalata al potere senza però condividerne i valori. Perché è proprio sui valori che si è giocata questa partita significativa per ridare tono e fiducia ai democratici e che può essere un segnale di ripresa in vista delle elezioni di metà mandato. Se ti rivolti contro i valori della tua città e pretendi di sfidarli – ha commentato De Blasio rivolgendosi al Presidente – la tua città risponde a tono. E così è stato!

lunedì 6 novembre 2017

New York reagisce compostamente

di Renzo Balmelli  
 
PAURA. Chi in cuor suo aveva sperato che la caduta di Raqqa tagliasse l'erba sotto i piedi non soltanto al sedicente e declinante stato islamico, ma soprattutto al suo crudele braccio armato, ha dovuto amaramente ricredersi. Il terrorismo di matrice jihadista non è stato debellato ed è sempre pronto a colpire nel mucchio. Nell'autoproclamata capitale dell'ISIS non sventola più la bandiera nera, questo è vero, e di pari passo il califfato sta perdendo buona parte dei suoi territori: però l'attacco omicida di New York dell'altro giorno evidenzia che il gruppo può ancora avvalersi di una rete di terroristi decisi a uccidere innocenti e passanti inermi. Sono elementi infidi perché spuntano improvvisamente dall'ombra dopo essere passati inosservati, più o meno come l'attentatore uzbeko con quell'aspetto inquietante alla Rasputin. Per la prima volta dopo l'11 settembre, New York è di nuovo teatro di un sanguinoso gesto di follia e l'episodio apre un altro, drammatico e doloroso capitolo nella storia di tutto il mondo. Un gesto che riporta la paura nella metropoli, dove ancora sono visibili le cicatrici del precedente trauma. Ma nel contempo la città manda pure un coraggioso segnale di resistenza e reagisce con compostezza alla sfida del terrore, ossia con l'unica maniera per non cedere al ricatto e per non darla vinta a chi intende impadronirsi delle nostre vite.
SCONTRO. Parafrasando il titolo di un famoso romanzo di Osvaldo Soriano, pare proprio che l'aspra contesa tra Barcellona e Madrid si stia avviando verso un "Triste, solitario y final". Verso una conclusione incattivita dalle divergenze che nessuno, qualunque sia la sua posizione nel merito della questione, si sarebbe mai augurato. Non fa bene alla Catalogna, non fa bene alla Spagna e non fa bene all' Europa , già di suo attraversata da inquietanti fermenti, questo scontro a muso duro tra le opposte fazioni . E tanto per complicare la vicenda, nel vortice dei colpi di scena si inserisce pure l'Aventino in terra belga di Puigdemont. Un atto desueto dal sapore antico, quasi un vago segnale di resa, come ai tempi lontani dei regnanti in esilio. Per arrivare all' ordine europeo nel quale viviamo ci sono voluti milioni di morti. Il solo pensare non di scardinare, ma anche soltanto di incrinare le basi di questo tanto delicato quanto insostituibile edificio comune avrebbe conseguenze difficili da riassorbire.
CONVERGENZA. Quando si legge che il futuro Cancelliere austriaco, destinato a diventare il più giovane capo di governo al mondo, si appresta a coalizzarsi con l'estrema destra, ossia quanto di più vecchio vi sia in circolazione, è lecito chiedersi in che direzione intenda muoversi l'esecutivo viennese. La contraddizione in termini tra il dire che il prossimo governo " sarà europeista o non sarà " e la prevista convergenza con alleati radicalmente eurofobici è in effetti talmente palese da rendere ardua la ricerca di similitudini nei rispettivi programmi. In queste condizioni il comune desiderio di un cambiamento fondamentale dell'Austria da parte di schieramenti che nulla dovrebbe unire, porta a citare Beuamarchais quando diceva di affrettarsi a ridere di tutto per la paura di essere costretto a piangere. Che è poi quanto aveva già intuito in tempi non sospetti quel genio insuperabile di Mozart che ne musicò l' opera sulla folle giornata delle nozze di Figaro
 
PATRIE. Non soltanto nella penisola iberica, ma anche in Italia sono tornate a manifestarsi spinte autonomiste che hanno trovato il loro sbocco nei due referendum lombardo-veneti. Ora che le urne hanno parlato ed espresso un verdetto inoppugnabile, sorge immediata una domanda delle cento pistole: e adesso? Adesso i promotori della consultazione che uso faranno del mandato, seppur consultivo, uscito dalle urne? Da voci che si odono in giro pare che le richieste autonomiste non bastino a coloro che si proclamano vincitori e sembrano determinati a ottenere altri poteri ancora tutti da definire. I fermenti avvertiti nel Verbano Cusio Ossola per passare con armi e bagagli dal Piemonte alla Lombardia se non altro per la vicinanza geografica sono a questo proposito un indicatore da non sottovalutare mentre cresce la voglia delle piccole patrie. Voglia che non è garante di federalismo e maggiore democrazia. Se l'Italia anziché proclamare l'unità si fosse smembrata non sarebbe oggi la "settima potenza".
ESCALATION. Negli Stati Uniti, stando ai sondaggi, pare che il numero di coloro che svegliandosi al mattino si mettono le mani nei capelli al pensiero di avere Trump come presidente stia aumentano in modo vertiginoso. E di riflesso in modo altrettanto vertiginoso cala la popolarità dell'inquilino della Casa Bianca che a un anno dalla sua elezione ha toccato il punto più basso con percentuali mai registrate prima dai suoi predecessori. Adesso con la pesante irruzione del Russiagate, che potrebbe scavare solchi più profondi del Watergate e soprattutto l'escalation nella crisi tra Stati Uniti e Nord Corea il vento sta cambiando per il peggio mettendo a dura prova la leadership del Presidente. In realtà nessuno vuole la guerra., ma intanto gli esperti concordano nel ritenere che il punto di non ritorno di uno scontro nucleare non sia soltanto una mera ipotesi. E dal capo della maggiore potenza gli americani si aspettano che quel punto non venga mai raggiunto, pena l'indecorosa uscita di scena dalla Storia. Per la verità non soltanto loro.
SEXIT. Altro che Le allegre comari di Windsor di shakespeariana memoria che fecero ballare il rubicondo Falstaff. In questa fase non proprio "very british" per i sudditi di Sua Maestà a tenere banco sotto il cielo di Londra, più grigio del solito, sono gli allegri compari di Westminster che ne hanno combinato di tutti i colori allungando troppo le mani. Tra molestie sessuali e altri comportamenti indecenti di ministri, sottosegretari e deputati, l'austero palazzo del Parlamento non ha nulla da invidiare alle alcove hollywoodiane. Sembra di essere tornati al caso Profumo e la squillo che gli stroncò la carriera. Nel momento meno opportuno per la povera Theresa May, lo scandalo investe in pieno il suo governo già traballante, mettendone a rischio la tenuta. I vizietti di taluni personaggi pubblici, virtuosi solo in apparenza, e che invece di occuparsi dei dossier si concentravano sulle scollature e le gambe delle collaboratrici sono tutto oro che cola per chi ha in animo di destituire la premier. Tanto da far dire ai soliti buontemponi che per il futuro politico dell'inquilina di Downing Street più della BREXIT poté la SEXIT.

venerdì 3 novembre 2017

200 milioni… di "cene eleganti"

di Renzo Balmelli  
 
CENE. Che l'iperbole sia uno dei principali nutrimenti della politica non si scopre oggi. Di affermazioni magniloquenti e promesse mirabolanti sono piene le fosse. A volte però l'uso della figura retorica sconfina negli spropositi. Si arriva così alla mastodontica quota di 200 milioni di voti, tanti quanti ne avrebbe raccolti Berlusconi nella sua non proprio esaltante carriera. Più o meno come se l'intera popolazione italiana, neonati compresi, avesse votato per lui quattro volte di fila. Cose da fare impallidire la famosa maggioranza bulgara. Se non è una bufala colossale (fake news come si dice oggi) poco ci manca. D'altronde anche i turibolieri meglio indottrinati ammettono, seppure a denti stretti, che il calcolo è un po' forzato. Ma dopotutto che cosa non si farebbe per un posticino alle "cene eleganti" di cui i sostenitori agognano il ritorno.
 
MONTAGNA. Col passare del tempo e volatilizzata l'euforia post referendaria, la Gran Bretagna è tormentata dai dubbi. La Brexit non è esattamente come l'avevano prospettata i suoi promotori. Costa una barca di soldi ed è soggetta a regole che allontanano la prospettiva di divorziare dall'UE senza perdere i vantaggi riservati ai Paesi membri. La stessa Theresa May, costretta a far buon viso a cattiva sorte, contribuisce ad aumentare l'incertezza non sapendo che pesci pigliare tra lo "exit" e il "remain" se si dovesse rivotare. La sua speranza è che sotto l'albero di Natale possa esserci un accordo che le risparmi di essere scalzata dai secessionisti più radicali. Ma oggi come oggi a Londra nessun bookmaker accetta scommesse su come andrà a finire questa storia, più impervia delle montagne che nell'ottocento gli alpinisti inglesi scalavano con albionica baldanza. 
 
IDENTITÀ. Soltanto grazie a una grande forza socialista l'Europa riuscirà a navigare in acque più tranquille. Ultimamente la sinistra europea dava l'impressione di essersi assopita, anziché elaborare le necessarie contromisure per fare argine all'onda nera e sovranista. Indubbiamente le controprestazioni elettorali, pesanti come macigni, hanno frenato gli ardori. Per fortuna, a furia di squillare sempre più forte, il campanello d'allarme è stato recepito e la gloriosa famiglia del PSE, a dispetto delle sconfitte, è ora determinata a ricostituire una forte identità tanto nazionale quanto a livello internazionale. È un grande sfida democratica – ha detto il presidente Pittella alla Convention di Togheter – una sfida per sottrarre i cittadini a un senso di abbandono e solitudine che finirebbe col dividere e non a cambiare l'Europa in senso progressista.
 
CASACCA. Erano quegli anni la, quando il "Libretto Rosso" di Mao andava a ruba anche in occidente. È stata l'opera che ha avuto la maggior diffusione con oltre 300 milioni di copie, ma quanto ancora resti di quella bibbia del comunismo ritenuta in grado di risolvere tutti i problemi della vita, è una questione rimasta irrisolta. Se una immagine vale più di mille parole, quella che mostra le hostess elegantissime che a passo marziale servono il tè al recente congresso del partito comunista cinese da la misura di quanto sia cambiato il Paese. Eppure, nonostante le apparenze, sembra di scorgere una sottile linea di continuità tra la politica dei cento fiori del "Grande timoniere" e il leader attuale che promette "una vita migliore e più felice" al suo popolo. Ora più nessuno indossa la casacca d'ordinanza, ma l'abito sartoriale non sempre è sinonimo di democrazia.


martedì 31 ottobre 2017

200 milioni… di “cene eleganti”

di Renzo Balmelli

CENE. Che l'iperbole sia uno dei principali nutrimenti della politica non si scopre oggi. Di affermazioni magniloquenti e promesse mirabolanti sono piene le fosse. A volte però l'uso della figura retorica sconfina negli spropositi. Si arriva così alla mastodontica quota di 200 milioni di voti, tanti quanti ne avrebbe raccolti Berlusconi nella sua non proprio esaltante carriera. Più o meno come se l'intera popolazione italiana, neonati compresi, avesse votato per lui quattro volte di fila. Cose da fare impallidire la famosa maggioranza bulgara. Se non è una bufala colossale (fake news come si dice oggi) poco ci manca. D'altronde anche i turibolieri meglio indottrinati ammettono, seppure a denti stretti, che il calcolo è un po' forzato. Ma dopotutto che cosa non si farebbe per un posticino alle “cene eleganti” di cui i sostenitori agognano il ritorno.

 

MONTAGNA. Col passare del tempo e volatilizzata l'euforia post referendaria, la Gran Bretagna è tormentata dai dubbi. La Brexit non è esattamente come l'avevano prospettata i suoi promotori. Costa una barca di soldi ed è soggetta a regole che allontanano la prospettiva di divorziare dall'UE senza perdere i vantaggi riservati ai Paesi membri. La stessa Theresa May, costretta a far buon viso a cattiva sorte, contribuisce ad aumentare l'incertezza non sapendo che pesci pigliare tra lo “exit” e il “remain” se si dovesse rivotare. La sua speranza è che sotto l'albero di Natale possa esserci un accordo che le risparmi di essere scalzata dai secessionisti più radicali. Ma oggi come oggi a Londra nessun bookmaker accetta scommesse su come andrà a finire questa storia, più impervia delle montagne che nell'ottocento gli alpinisti inglesi scalavano con albionica baldanza.

 

IDENTITÀ. Soltanto grazie a una grande forza socialista l'Europa riuscirà a navigare in acque più tranquille. Ultimamente la sinistra europea dava l'impressione di essersi assopita, anziché elaborare le necessarie contromisure per fare argine all'onda nera e sovranista. Indubbiamente le controprestazioni elettorali, pesanti come macigni, hanno frenato gli ardori. Per fortuna, a furia di squillare sempre più forte, il campanello d'allarme è stato recepito e la gloriosa famiglia del PSE, a dispetto delle sconfitte, è ora determinata a ricostituire una forte identità tanto nazionale quanto a livello internazionale. È un grande sfida democratica – ha detto il presidente Pittella alla Convention di Togheter – una sfida per sottrarre i cittadini a un senso di abbandono e solitudine che finirebbe col dividere e non a cambiare l'Europa in senso progressista.

 

CASACCA. Erano quegli anni la, quando il “Libretto Rosso” di Mao andava a ruba anche in occidente. È stata l'opera che ha avuto la maggior diffusione con oltre 300 milioni di copie, ma quanto ancora resti di quella bibbia del comunismo ritenuta in grado di risolvere tutti i problemi della vita, è una questione rimasta irrisolta. Se una immagine vale più di mille parole, quella che mostra le hostess elegantissime che a passo marziale servono il tè al recente congresso del partito comunista cinese da la misura di quanto sia cambiato il Paese. Eppure, nonostante le apparenze, sembra di scorgere una sottile linea di continuità tra la politica dei cento fiori del “Grande timoniere” e il leader attuale che promette "una vita migliore e più felice" al suo popolo. Ora più nessuno indossa la casacca d'ordinanza, ma l'abito sartoriale non sempre è sinonimo di democrazia.

martedì 17 ottobre 2017

Banale dettaglio della Storia?

di Renzo Balmelli 
 
ALLARME. È inutile menare il can per l'aia. Solo quando si darà all'AfD la definizione più consona al suo inquietante e oscuro Dna, si potrà cominciare a ragionare seriamente sul vespaio in cui rischiano di trovarsi la Germania in particolare e l'Europa in generale dopo l'esplosiva avanzata dello schieramento ultrà. Tutti gli altri tentativi di addolcire la pillola sono scappatoie per non prendere atto di una deriva torbida e allarmante. Quasi cento deputati in un solo colpo non sono una bazzecola e neppure un casuale incidente di percorso, bensì l'espressione di uno stato d'animo alterato che non soltanto si ribella ai migranti e all'euro, ma che affonda le sue radici in un pantano maleodorante. Definire la Alternative un movimento di estrema destra pare quindi riduttivo. Per capirne la reale portata si pensi agli abitanti di quel villaggio tedesco che pur non avendo in casa un solo profugo hanno votato in massa per il partito che in appena quattro anni, a riprova della sua strisciante e contagiosa ramificazione, ha sbancato il tavolo delle elezioni al Bundestag. Magari sarà vero che l'AfD resterà tagliata fuori dalle alleanze, ma intanto l'allarme suona mentre si allarga il fronte di chi scalpita per "resettare" la democrazia. Il suo vero nome? Lo scopriremo presto, molto presto, e non sarà come soleva dire il vecchio Le Pen un banale dettaglio della storia. 
 
SINISTRA. In passato, quando la destra tracimava (e adesso sta tracimando come un fiume in piena), toccava alla sinistra dare prova di saggezza per riportare le acque dentro il loro alveo naturale. Ma qualcosa ci dice che questa volta non sarà così. Dopo l'esito della tornata elettorale che ha messo a soqquadro la Berliner Republik, i margini di manovra della SPD, che porta con orgoglio il primato di più vecchio movimento della classe operaia e internazionalista, sono ormai piuttosto ridotti. Il crollo della compagine guidata da Martin Schultz evidenzia una crisi di programmi, leadership e consensi laddove, ai tempi di Willy Brandt, la SPD si poneva invece all'avanguardia nel contrastare le forze della reazione. Nell'intervista al Corriere della Sera il presidente emerito Giorgio Napolitano, al quale rubiamo le parole chiedendo venia per il plagio, sostiene che la sinistra «è in crisi ed ha smarrito la sua funzione». Giusto. L'analisi però non si limita al caso tedesco, ma punta i riflettori sulle condizioni in cui versa il socialismo europeo che ora, di fronte a questa sfida, ha l'impellente obbligo morale di ritrovare in sé la forza di reagire e di affrancarsi dalla litigiosità che lo paralizza nello svolgere appunto la sua naturale funzione. "Quale?", si dirà. Non cerchiamo lontano. Essere semplicemente di sinistra, per quanto banale ciò possa suonare.
 
DOLORI. Non sappiamo se nella cultura del Myanmar, nome moder­no dell'antica Birmania, vi sia un personaggio simile al Werther di cui Goethe cantò i dolori. In una chiave di lettura contemporanea, a tale ruolo, sicuramente non dei più facili da interpretare, potrebbe essere associata la figura di Aung San Suu Kyi che – da celebrata, citata e imitata Premio Nobel per la Pace – di colpo si è trovata nel mezzo di durissime contestazioni a causa delle persecuzioni di cui sono vittima i profughi della minoranza Rohingya. La posizione poco chiara assunta dalla leader birmana nei confronti della crisi dagli evidenti risvolti umanitari oltre che politici, ha finito col trasformarla da ammirata e indomita lottatrice contro i soprusi della dittatura militare in una eroina tragica che, proprio a causa dell'atteggiamento defilato, mostra la debolezza del processo di transizione democratica nel Paese dei mille templi. E in cui i generali, seppure nell'ombra, pare abbiano ancora l'ultima parola. Solo le azioni dei prossimi tempi potranno restituire a questa donna che ha incarnato le speranze di tutto un popolo il credito internazionale andato perso nel corso di una vicenda che rischia di esporre il Myanmar a nuove ondate di radicalizzazione e ad altri dolori.
 
STRUMENTO. Da più parti era stato annunciato che l'anno in corso avrebbe segnato la sconfitta del populismo e il riscatto dell'Europa. Come una puntata al lotto che raramente ci azzecca, anche questo pronostico, seppur dettato dalle migliori e più condivisibili intenzioni, è andato nella direzione opposta. Il populismo non ce lo siamo lasciato alle spalle e tutto il magma indigesto che gli fa da contorno pesa come un macigno sul cuore e sullo stomaco. Per fortuna nostra – al di là di chi senza arrossire fa l'apologia dei soldati di Hitler - a evitare di cadere nel baratro provvede instancabile e salvifica la missione della cultura che non conosce frontiere, razze e problemi di identità. Esemplare a tale proposito è stato il Festival musicale di Lucerna che nel solco tracciato da Claudio Abbado e dal suo insigne erede Riccardo Chailly, per la prima volta ha aperto le porte ai migranti, sottolineando così il valore universale della musica quale potente strumento – è proprio il caso di dirlo – per mettere in comunicazione popoli diversi. Questa iniziativa raccoglie nel senso dell'apertura al mondo la sfida che Toscanini lanciò all'egida nazista e che ora prosegue affinché la note sublimi dei grandi compositori possano essere ascoltate da tutti scavalcando le bacate ideologie dei costruttori di muri.


mercoledì 11 ottobre 2017

Una riga di zeri non basta

di Renzo Balmelli

SOLIDARIETÀ. Sulla terra il motore di chi lotta contro le prevari­ca­zioni è sempre acceso. Purtroppo, nonostante l'abnegazione di chi si impegna per il bene degli altri, il quadro anziché migliorare peggiora, sopraffatto dall'egoismo e dall'avidità. In un mondo segnato dal cal­vario dei migranti in fuga dalle guerre e dai soprusi dell'uomo sull'uo­mo, l'abisso tra ricchi e poveri assume sempre più proporzioni che non è esagerato definire mostruose. Una di queste righe non basta per alli­neare gli zeri necessari a calcolare i patrimoni in mano a pochi privi­le­giati. Qualcosa come 70 mila miliardi di dollari o giù di lì. Eppure non è affatto impossibile immaginare di mettere in piedi un sistema capace di riscattare da una vita di stenti tutti coloro che sono condannati all'esilio nel cono d'ombra di un benessere che non conosceranno mai. Andando oltre la carità pelosa, basterebbe uno scatto di solidarietà pura e condivisa per porre rimedio ai guasti delle ingiustizie. Il messaggio però non sembra fare breccia nel resort esclusivo dei Paperoni trincerati in un loro ovattato e invalicabile Eldorado.

PERICOLO. Alle prese con il ginepraio della Brexit, allarmata dal­l'esito delle elezioni tedesche e le loro ricadute estremiste, in difficoltà nell'elaborare una strategia concordata per affrontare l'emergenza dei profughi e in ultima analisi esposta alla minaccia del terrorismo, l'Eu­ro­pa unita si trova confrontata a una quantità di problemi che provo­ca­no la rabbia degli esclusi. Per tutta risposta agli interrogativi che ci assillano, da qualche tempo sembra prevalere, con una stupefacente contorsione del linguaggio, la tendenza a considerare destra e sinistra come categorie arrugginite. È una tesi che lascia perplessi non tanto per la terminologia, quanto per il tentativo di omogeneizzare idee, culture e visioni che non potranno mai stare sullo stesso piano. Quali disastri possa provocare la deriva populista, spesso intinta nell'inchio­stro della xenofobia, è ormai sotto gli occhi di tutti. Sempre più mar­cato si avverte di converso il bisogno di programmi sociali chiari, profilati e capaci di recuperare la vera anima di sinistra senza la quale incombe il pericolo del qualunquismo, quello sì davvero arrugginito.

STRAPPI. È difficile dire se esista un ritorno di fiamma per le piccole patrie di cui non si conserva un buon ricordo. In Catalogna la demar­ca­zio­ne tra coloro che aspirano all'autodeterminazione e chi invece con­sidera la stabilità all'interno dei propri confini come un valore comune che merita di essere difeso ha evidenziato che il problema esiste ed è profondo. Lo scontro tra le ragioni degli uni ed i torti degli altri, de­fla­grato durante il referendum nel peggiore dei modi per un Paese civile, non ha certo contribuito a creare un clima propizio a future intese su basi pacifiche. All'opposto gli strappi al tessuto democratico paiono difficili da riassorbire in tempi brevi non solo in Spagna, ma anche per le loro ricadute nel continente. Ogni spinta all'autonomia fa storia a sé. Nel Kurdistan il referendum contestato degli scorsi giorni è stato un modo per rivendicare la fine di una diaspora che priva il popolo curdo del diritto ad avere una nazione. Anche qui è mancato il dialogo, così com'è mancato nei confronti del popolo catalano per un irrigidimento dei fronti che non promette nulla di buono.

DISASTRO. Berlusconi e Trump non hanno nulla in comune, tranne il vistoso campionario delle promesse mai mantenute. Se i biografi del­l'ex Cavaliere tendono a stendere un velo pietoso per fare credere quel­lo che fa piacere credere, negli Stati Uniti i nodi per il Presidente ame­ri­cano stanno venendo al pettine a velocità impressionante. Ormai a Washington la domanda che circola con maggiore insistenza consiste nel capire che cosa resta del trumpismo e dei suoi proclami. Messo in difficoltà dalla “Alt-right” (la destra alternativa repubblicana che striz­za l'occhio ai suprematisti bianchi), naufragata l'abolizione della rifor­ma sanitaria dell'odiato Obama e, per giunta, sfidato sul piano interna­zionale dall'ineffabile dottor Stranamore di Pyongyang, Trump – a quasi un anno dal suo ingresso alla Casa Bianca – ha fin qui dimostrato di non sapere andare incontro alle esigenze dei suoi elettori, esigenze che aveva promesso di affrontare al grido di “America first”. Se non è un disastro, poco ci manca!

FRAGILITÀ. Tra le tante cose che Trump avrebbe potuto fare per distrarre l'opinione pubblica dalle sue inadempienze, esisteva la possibilità di lanciare al Paese un messaggio chiaro sulla necessità di regolare con maggiore fermezza il facile accesso alla detenzione delle armi in mano ai privati. Nell'angoscia provocata dalla strage di Las Vegas, la più grave della storia moderna americana, era questo il momento per porre un argine a un fenomeno inquietante che non nasce oggi, ma che il terrorismo ha contribuito a riacutizzare in maniera drammatica. Non lo ha fatto. Già in passato molte sono state le battaglie combattute e perse dai precedenti inquilini della Casa Bianca che hanno provato a contenere l'arroganza della lobby delle armi. Un potente gruppo di pressione che infischiandosene dei rischi chiede addirittura leggi ancora più permissive. Ma bisogna insistere. Invece, con quel suo discorso che aggira il nocciolo del problema, il leader repubblicano non ha certo contribuito ad unire la popolazione dietro il progetto di maggiori controlli sulla vendita di fucili e pistole. Quei lunghi minuti di orrore nella capitale dei giochi d'azzardo forse non cambieranno il quadro politico, ma la mancanza di concretezza nel delineare efficaci contromisure evidenzia la fragilità di una presidenza che a sua volta sembra un azzardo.

martedì 3 ottobre 2017

Banale dettaglio della Storia?

di Renzo Balmelli

ALLARME. È inutile menare il can per l’aia. Solo quando si darà all’AfD la definizione più consona al suo inquietante e oscuro Dna, si potrà cominciare a ragionare seriamente sul vespaio in cui rischiano di trovarsi la Germania in particolare e l’Europa in generale dopo l’esplosiva avanzata dello schieramento ultrà. Tutti gli altri tentativi di addolcire la pillola sono scappatoie per non prendere atto di una deriva torbida e allarmante. Quasi cento deputati in un solo colpo non sono una bazzecola e neppure un casuale incidente di percorso, bensì l’espressione di uno stato d’animo alterato che non soltanto si ribella ai migranti e all’euro, ma che affonda le sue radici in un pantano maleodorante. Definire la Alternative un movimento di estrema destra pare quindi riduttivo. Per capirne la reale portata si pensi agli abitanti di quel villaggio tedesco che pur non avendo in casa un solo profugo hanno votato in massa per il partito che in appena quattro anni, a riprova della sua strisciante e contagiosa ramificazione, ha sbancato il tavolo delle elezioni al Bundestag. Magari sarà vero che l’AfD resterà tagliata fuori dalle alleanze, ma intanto l’allarme suona mentre si allarga il fronte di chi scalpita per “resettare” la democrazia. Il suo vero nome? Lo scopriremo presto, molto presto, e non sarà come soleva dire il vecchio Le Pen un banale dettaglio della storia.

SINISTRA. In passato, quando la destra tracimava (e adesso sta tracimando come un fiume in piena), toccava alla sinistra dare prova di saggezza per riportare le acque dentro il loro alveo naturale. Ma qualcosa ci dice che questa volta non sarà così. Dopo l’esito della tornata elettorale che ha messo a soqquadro la Berliner Republik, i margini di manovra della SPD, che porta con orgoglio il primato di più vecchio movimento della classe operaia e internazionalista, sono ormai piuttosto ridotti. Il crollo della compagine guidata da Martin Schultz evidenzia una crisi di programmi, leadership e consensi laddove, ai tempi di Willy Brandt, la SPD si poneva invece all’avanguardia nel contrastare le forze della reazione. Nell’intervista al Corriere della Sera il presidente emerito Giorgio Napolitano, al quale rubiamo le parole chiedendo venia per il plagio, sostiene che la sinistra «è in crisi ed ha smarrito la sua funzione». Giusto. L’analisi però non si limita al caso tedesco, ma punta i riflettori sulle condizioni in cui versa il socialismo europeo che ora, di fronte a questa sfida, ha l’impellente obbligo morale di ritrovare in sé la forza di reagire e di affrancarsi dalla litigiosità che lo paralizza nello svolgere appunto la sua naturale funzione. “Quale?”, si dirà. Non cerchiamo lontano. Essere semplicemente di sinistra, per quanto banale ciò possa suonare.

DOLORI. Non sappiamo se nella cultura del Myanmar, nome moder­no dell’antica Birmania, vi sia un personaggio simile al Werther di cui Goethe cantò i dolori. In una chiave di lettura contemporanea, a tale ruolo, sicuramente non dei più facili da interpretare, potrebbe essere associata la figura di Aung San Suu Kyi che – da celebrata, citata e imitata Premio Nobel per la Pace – di colpo si è trovata nel mezzo di durissime contestazioni a causa delle persecuzioni di cui sono vittima i profughi della minoranza Rohingya. La posizione poco chiara assunta dalla leader birmana nei confronti della crisi dagli evidenti risvolti umanitari oltre che politici, ha finito col trasformarla da ammirata e indomita lottatrice contro i soprusi della dittatura militare in una eroina tragica che, proprio a causa dell’atteggiamento defilato, mostra la debolezza del processo di transizione democratica nel Paese dei mille templi. E in cui i generali, seppure nell’ombra, pare abbiano ancora l’ultima parola. Solo le azioni dei prossimi tempi potranno restituire a questa donna che ha incarnato le speranze di tutto un popolo il credito internazionale andato perso nel corso di una vicenda che rischia di esporre il Myanmar a nuove ondate di radicalizzazione e ad altri dolori.

STRUMENTO. Da più parti era stato annunciato che l’anno in corso avrebbe segnato la sconfitta del populismo e il riscatto dell’Europa. Come una puntata al lotto che raramente ci azzecca, anche questo pronostico, seppur dettato dalle migliori e più condivisibili intenzioni, è andato nella direzione opposta. Il populismo non ce lo siamo lasciato alle spalle e tutto il magma indigesto che gli fa da contorno pesa come un macigno sul cuore e sullo stomaco. Per fortuna nostra – al di là di chi senza arrossire fa l’apologia dei soldati di Hitler – a evitare di cadere nel baratro provvede instancabile e salvifica la missione della cultura che non conosce frontiere, razze e problemi di identità. Esemplare a tale proposito è stato il Festival musicale di Lucerna che nel solco tracciato da Claudio Abbado e dal suo insigne erede Riccardo Chailly, per la prima volta ha aperto le porte ai migranti, sottolineando così il valore universale della musica quale potente strumento – è proprio il caso di dirlo – per mettere in comunicazione popoli diversi. Questa iniziativa raccoglie nel senso dell’apertura al mondo la sfida che Toscanini lanciò all’egida nazista e che ora prosegue affinché la note sublimi dei grandi compositori possano essere ascoltate da tutti scavalcando le bacate ideologie dei costruttori di muri.

martedì 26 settembre 2017

Solo il racconto del male è eccitante». Falso!

di Renzo Balmelli 

STEREOTIPO. A scrivere il grande romanzo del bene e del male, ovvero le due forze che muovono l’umanità, ha provveduto e tutt’ora provvede una vasta letteratura che va dai primi filosofi agli autori moderni e contemporanei. Venendo alla nostra epoca, contrassegnata dal flusso caotico dell’informazione e dall’inquietante deriva del feroce qualunquismo, verrebbe da dire, ripensando ad Hanna Arendt, che il male inteso come banalità sia da mettere sul conto della cecità morale. Una condizione che sembrò portarci all’annientamento delle coscienze quando eravamo sovrastati dalle urla e dal rumore agghiacciante degli scarponi chiodati. Ora che certe minacce sembrano voler uscire dai loro sepolcri, cresce la spinta verso un rinnovamento dei valori che il Corriere della Sera prova a intercettare col settimanale "Buone notizie. L’impresa del bene". Una provocazione e una sfida – come avverte la presentazione – per attivare il circolo virtuoso del bene e smentire la credenza che soltanto il racconto del male sia eccitante. Uno stereotipo – citiamo – fuorviante e ingannevole.

ADDIZIONE. Tormentone dell’accozzaglia populista, lo ius soli non è soltanto il “fiero pasto” di chi in Italia conta di ricavarne ampie scorte elettorali. In virtù di regole non scritte che hanno sdoganato un modo di intendere la cittadinanza scostante se non addirittura intollerante, la questione dell’identità tende a manifestarsi in varie forme anche dove meno te lo aspetti. Nella civilissima Svizzera, che non conosce lo ius soli, ma resta comunque un buon modello di integrazione, il solo fatto che alcuni candidati al seggio del governo federale rimasto vacante avessero due passaporti, quello elvetico e quello europeo, ha innescato una campagna al calor bianco anche qui alimentata ad arte dalla destra nazionalista anti UE. Il fatto che la polemica abbia investito l’agenda politica evidenzia quanto siano scoperti i nervi su un argomento che finora non aveva mai destato particolari problemi di convivenza. La Confederazione difatti è l’addizione di più appartenenze, di più lingue e culture che ha sempre funzionato senza particolari intoppi. Ma in giro tira un brutto vento e nessuno ne è al riparo.

PROVA. Come l’allenatore che riprende una squadra in difficoltà e sull’onda del fattore novità riesce a vincere tre o quattro partite di seguito, ma poi ripiomba nella mediocrità, anche Martin Schulz chiamato al capezzale della SPD per conquistare la Cancelleria, dopo l’iniziale euforia non ha saputo far valere le proprie ragioni. L’ex Presidente del Parlamento europeo, carica che gli aveva conferito visibilità e prestigio, attirandosi i giudizi sprezzanti di Berlusconi, non è riuscito a offrire una prestazione all’altezza delle aspettative. I sondaggi dicono addirittura che i socialdemocratici subiranno alle elezioni di domenica uno smacco bruciante, il peggiore della loro storia recente. Qualcuno ha scritto che Angela Merkel, ormai avviata verso la sicura e confortevole riconquista del quarto mandato, in Italia col suo modo di fare non andrebbe lontana. Ma è una magra consolazione. Le elezioni tedesche, così come quelle francesi o la Brexit ci riguardano da vicino e nell’ottica della sinistra costituiscono un banco di prova il cui esito può davvero cambiare il corso della sua e della storia europea del Terzo millennio.

BUGIE. Se è sempre valido il teorema di Agatha Christie secondo il quale tre indizi fanno una prova, lo stesso concetto potrebbe essere applicato anche alle fake news, che in forme sempre più massicce intasano i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Enfatizzate, riproposte a oltranza e ingigantite dalla diffusione sui social network, le notizie false finiscono a volte col conquistare una loro subdola credibilità condizionando in modo erroneo la fruibilità da parte dell’utente più indifeso. È vero, certo, che le bugie ci sono sempre state. Ma nello scenario dell’ampia circolazione in rete il fenomeno dispone di un potenziale enorme e pernicioso che si manifesta attraverso gli appelli all’emotività e alle convinzioni personali. Mentre la cosiddetta famiglia dei “grandi fratelli” – Facebook, Twitter, Google – ha ormai una posizione consolidata, quello delle fake news rappresenta forse il fenomeno più subdolo di un sistema mediatico che ha detta di molti ha cambiato il mondo tanto quanto sia riuscito a fare la scoperta di Gutenberg. Ma con un impatto molto più amplificato.

venerdì 15 settembre 2017

Marcia su Roma 2.0 - Il grottesco e il ridicolo

di Renzo Balmelli

 OLTRAGGIO. Con largo anticipo sui tempi, nel romanzo “La ragazza di Bube” Carlo Cassola paventava la rinascita del fascismo sotto le mentite spoglie dell'Uomo qualunque. Mentre i segni della guerra erano ancora ferite aperte, il protagonista esortava i compagni di lotta a “tenere gli occhi addosso” a chi meditava tremende rivincite. Quasi settant'anni dopo i qualunquisti hanno cambiato nome, ma comunque si chiamino, populisti, sovranisti suprematisti, o più semplicemente xenofobi, sono sempre una mina vagante carica di minacce. Ora, ricadendo nel grottesco, preannunciano addirittura una nuova Marcia su Roma per il 28 ottobre, giorno rievocativo dell'oceanica adunata del 1922, che suona come un violento oltraggio alla Storia ed ai valori democratici nati dalla Resistenza. Difficile dire che seguito avranno e quali reazioni incontreranno nel Paese, ma nel loro modo di agire, come la storia insegna, il “pericolo” e il “ridicolo” costituiscono una mescolanza insidiosa, tipicamente “nera”.

 SFIDA. S'ode a destra uno squillo di tromba. Ma è un suono gracchiante, cacofonico. Ignorarlo sarebbe tuttavia come spianare la strada alle teste calde e la loro fissazione sul passato che si ostina a non passare. Agire prima che sia troppo tardi è il filo conduttore delle numerose iniziative messe in campo per contrastare l'allarmante fenomeno. Se ne parlerà anche alla conferenza “ Il fascismo ieri e oggi” proposta dal Comitato XXV Aprile di Zurigo, a conferma di come l'argomento sia sentito e fonte di preoccupazione. Nel solco delle elezioni tedesche l'autunno sarà un importante banco di prova per capire quanto l'Unione Europea sia attrezzata per fronteggiare il fanatismo revanscista che in Germania si presenta con forti connotazioni estremiste. La sfida che viene dagli ambienti ultra nazionalisti é di quelle che non è esagerato definire epocali nel momento in cui a dettare l'agenda politica del futuro in un senso o nell'altro sarà appunto la mobilitazione e la capacità condivisa di respingere senza indugi tutto quanto mette a repentaglio la libertà e la convivenza civile.

 CALVARIO. Potrebbe essere il titolo di un racconto dell'orrore. Invece c'è ben poco di romanzesco sul calvario dei migranti minorenni di cui parla il documentato rapporto dell'UNICEF intitolato “Viaggi strazianti”. Poiché di strazio e di null'altro è fatta la sorte di migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi lasciati alla mercé di trafficanti senza scrupoli che per ogni traversata, oltre a incassare dai mille a 5 mila euro a testa, espongono i derelitti del mare a sevizie indicibili, obbligandoli a viaggiare chiusi a chiave per evitare che possano fuggire. Arrivati a destinazione indebitati e privi di mezzi, questi schiavi della follia umana non di rado si trovano confrontati alla dura realtà di un clima sempre più ostile, in cui predomina, oltre alla logica dello scarica barile tra nazione e nazione, la difficoltà di concepire una gestione comune dell'accoglienza, spesso al centro di rivoltanti speculazioni elettorali.

 STUPRO. Che tristezza assistere alla squallida sceneggiata di chi tenta di incassare consensi dopo l'ondata di stupri commessi dal branco inferocito venuto da ogni parte, ma anche da coloro che per la loro funzione dovrebbero osservare un comportamento irreprensibile. La suddivisione in razze e nazionalità per condannare con varie sfumature un delitto infame contro la dignità delle donne, un crimine che per la sua ferocia non consente nessun cedimento, rivela una mentalità meschina e non fa che aggiungere orrore all'orrore. Lo stupro non ha colore e chi ne è vittima non di rado oltre alla bestiale prevaricazione fisica e morale si trova anche a dover subire le beffe del vile attacco all'integrità femminile. In quest'ottica ha sollevato enorme scalpore l'intenzione della Casa Bianca di rivedere le leggi sullo stupro e le violenze sessuali nelle università. Con questa incredibile mossa cade un altro tassello del lavoro di Barack Obama che aveva emesso la direttiva per rispondere con maggiore efficacia all'impatto della devastazione. Ed è proprio in questi gesti, crudeli e senza cuore, che si misura l'abissale differenza tra l'attuale Presidente e il suo predecessore. Con conseguenze destinate a lasciare il segno.

 ICONA. Quarto stato e Quarto capitalismo sono concetti tanto antitetici quanto difficilmente conciliabili ai giorni nostri. Se il famoso quadro di Pelizza de Volpedo ancora oggi agli occhi dei visitatori rimane il quadro simbolo del ventesimo secolo e icona forte e inesorabile dei lavoratori, sull'altro fronte mal si capisce dove vada a parare questa nuova versione piuttosto confusa del capitalismo nel contesto di un sistema produttivo che solleva parecchie perplessità. L'opera dell'artista è una allegoria delle battaglie politiche e sociali per l'affermazione e l'ascesa del movimento operaio nella vita delle nazioni. La sua forza evocativa è più che mai attuale mentre il mondo del lavoro, a dispetto dei vaghi proclami insiti nel Quarto capitalismo, pare incapace di garantire il pieno impiego e creare condizioni adatte per riassorbire la disoccupazione. Di tutti gli “ismi” il capitalismo con le sue camaleontiche manifestazioni è stato il solo ad avere attraversato gli tsunami della storia senza perdere i suoi privilegi. Gli si contrappone, per fortuna dell'umanità, l'immagine della folla di uomini e donne che insieme marciano per i propri diritti: un messaggio di speranza che il dipinto di Pelizza de Volpedo fissa per sempre nel cuore e nell'animo del popolo, oggi come ieri.