giovedì 22 settembre 2016

Fatti e misfatti di cui siamo testimoni

Dire che stiamo vivendo in un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà…

 

di Renzo Balmelli

 

MEMORIA. Al cospetto dei fatti e misfatti di cui siamo testimoni, dire che quello che stiamo vivendo è un periodo difficile della nostra democrazia è quasi un'ovvietà. Stretta tra due pericoli maggiori, il terrorismo di matrice jihadista da una parte, il neo fascismo nazional populista dall'altra, la società sta attraversando una profonda crisi dalle molteplici sfaccettature etiche, politiche e culturali. A volte pare addirittura in affanno nel produrre gli anticorpi atti a contrastare le malsane pulsioni oscurantiste. Fortunatamente c'è la sinistra che assieme agli altri schieramenti progressisti tiene il punto per non darla vinta a chi trama nell'ombra. Sotto tiro sono finiti i valori che affondano le radici nel nostro comune vissuto e che non sono retorica, ma lo strumento indispensabile per crescere e per guardare avanti nel rispetto della memoria troppo manipolata e troppo poco condivisa. Contro i ripetuti attacchi impregnati di razzismo e xenofobia, l'Europa può e deve offrire una risposta forte attraverso solide forme di resistenza morale che però, per non fallire, non consentono di abbassare la guardia anche soltanto per un secondo.

 

GALASSIA. Non è la prima volta, e non sarà nemmeno l'ultima, che l'estremismo di destra, imbevuto di sconsiderate ideologie, prova a conquistare spazio col suo linguaggio vieppiù esplicito e aggressivo. In questa galassia tenuta assieme non da un programma ma da un impasto di volgarità e slogan fallaci, non passa giorno senza che vengano aggiunti altri mattoni al muro dell'odio eretto contro il mondo e la civiltà. E non è difficile immaginare quale potrebbe essere lo scenario se la corrente eversiva a furia di cavalcare la paura tra le pieghe della sfiducia e dell'insoddisfazione, dovesse moltiplicare i consensi ai prossimi grandi appuntamenti elettorali in Austria, Germania, Francia. La deplorevole tendenza di indicare un capro espiatorio ha individuato la causa di tutti i mali nei migranti, facendoli diventare la facile preda e il comodo pretesto per procacciare consensi. In quest'ottica, senza un deciso cambio di passo si finirà col correre verso una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche, mentre già adesso più non si contano le fosse in quell'orrendo cimitero in cui si è trasformato il Mediterraneo.

 

SFIDE. Neppure il più fervente europeista poteva restare indifferente di fronte alla scarsità di proposte uscite dal vertice di Bratislava che ha disatteso clamorosamente le aspettative della vigilia. Sola voce fuori dal coro del conformismo di facciata a farsi sentire è stata quella dell'Italia. L'Italia che dopo avere dato tante dimostrazioni di generosità non vuole più essere lasciata sola a gestire l'emergenza dei profughi, ma esige che la crisi venga affrontata e risolta nei luoghi di provenienza. Giustamente, viene da dire. A Palazzo Chigi si possono rimproverare molte cose, ma non di essere rimasto inoperoso nel dare la sveglia ai 27 che non sono riusciti ad andare oltre il proprio orticello. La sfuriata sarà stata anche il frutto di impellenti urgenze elettorali legati al referendum costituzionale. Ma se non tutto è inganno vogliamo credere, una volta tanto, che il messaggio fosse invece indirizzato a tutti coloro i quali hanno a cuore l'uomo e il suo destino. Porsi domande serie di fronte alle sfide del nostro tempo è l'unico modo possibile d'altronde per preparare degnamente i 60 anni dello storico Trattato di Roma della prossima primavera prima che la sua eredità si disperda ai quattro venti. 

 

NODI. L'attuale capo del Cremlino, confortato dal risultato delle legislative, non si è tolto né mai si toglierà le scarpe all'ONU brandendole in segno di sfida all'occidente come fece Nikita Kruscev. Non è nel suo stile. Qualcosa di simile tuttavia lo accomuna nell'immaginario collettivo al suo lontano predecessore. Parliamo della forte identificazione nel mito della grande e allegorica Madre Russia che tra la gente non è mai venuta meno neanche nelle circostanze più drammatiche. Se quel gesto clamoroso e così poco diplomatico non salvò l'ex segretario del Pc dall'epurazione, non di meno, anni dopo, grazie a un sondaggio che fece molto discutere, lo riabilitò agli occhi dell'opinione pubblica, appunto sempre molto sensibile su questo argomento, quale vigoroso interprete dell'orgoglio patriottico. Se ora Putin naviga indisturbato verso altri traguardi, potendo disporre alla Duma di un docile strumento al suo servizio, una delle ragioni è data proprio dal fatto che la maggioranza degli elettori ha visto in lui, forse per effetto di fascinose e nostalgiche analogie, l'alfiere del ritorno alla grandezza della Russia sul piano internazionale. Ovviamente fino a quando l'incanto durerà. 

Con altri e più nobili mezzi

di Renzo Balmelli 

 

LUMICINO. Sarebbe a dir poco favoloso se i grandi della terra riuscissero finalmente a sovvertire il famoso teorema di Bismarck e stabilire, una volta per tutte, che la diplomazia e soltanto quella è la vera, unica e umanamente accettabile prosecuzione della guerra con altri e più nobili mezzi. E non il contrario come sosteneva il cancelliere di ferro. Un lumicino in tal senso, seppur flebile, si è acceso con la nuova tregua in Siria concordata tra Stati Uniti e Russia dopo tanti, troppi ritardi. L'intesa oltre a consentire l'accesso agli aiuti umanitari dovrà creare le condizioni per arrivare un giorno alla ripresa dei negoziati di pace ed a mettere in comune gli sforzi per contrastare il terrorismo. Ma poiché ai vertici del potere le favole sono merce quasi introvabile, prima di realizzare l'obbiettivo finale bisognerà sciogliere il groviglio geo politico di sospetti e interessi contrastanti che hanno trasformato la regione in una polveriera devastante. Per ora la " chimica" tra Obama e Putin, talmente diversi da tentare al massimo modeste prove di dialogo, sembra reggere. Però, se per disavventura Washington finisse nelle mani di Trump e Mosca non dovesse mettere la sordina alle sue ambizioni, il lumicino farebbe in fretta a spegnersi.

 

SCENARI. Si vorrebbe non scriverlo mai, nel timore di alimentare giudizi affrettati e storicamente fuorvianti. Ma nell'assistere alla deriva che l'infatuazione populista propone con preoccupante regolarità a ogni scadenza elettorale non si può fare a meno di ricollegarla ai tristi scenari che pensavamo esserci gettati alle spalle. Sempre più forte è infatti la percezione di essere al cospetto di una guerra anomala, ma non meno subdola. Per capirci, quella che è già stata definita la terza  guerra mondiale non dichiarata che si combatte tra una visione etica del mondo ed i rigurgiti ormai palesi e incontrollabili del fascismo. Intendiamoci, non quello ridicolmente tronfio dal petto in fuori o quello pauroso degli scarponi chiodati. No. I suoi strateghi si sono adeguati ai nuovi network di comunicazione, usando linguaggi apparentemente rispettabili, ma non meno rovinosi. A tal punto che perfino i conservatori classici si trovano spiazzati di fronte all'ampiezza e la gravità del fenomeno.

 

COLLA. Chi ha amato Joseph Roth e Stefan Zweig, condannati all'esilio dalla crudeltà della storia matrigna, non fatica a immaginare quali sarebbero le loro pene se fossero ancora in vita. Considerato quanto propone il loro Paese in questa fase davvero concitata della sua esistenza, i due grandi autori mitteleuropei avrebbero difatti molte ragioni per essere preoccupati. Su quell'Austria che tanto amarono, quell'Austria felix forse più frutto della fantasia popolare ma non di meno ricca di fascino, si stanno addensando nuvoloni minacciosi che lasciano presagire un sostanzioso incremento delle preferenze a favore dell'ultra destra di Norbert Hofer. Se tale fosse il verdetto del ballottaggio previsto a dicembre e già preceduto da episodi piuttosto strani in merito al voto per corrispondenza e le relative buste mal incollate, l'UE si troverebbe di fronte a un verdetto che avrebbe l'effetto di un terremoto per i suoi futuri assetti. Un sisma culturale oltre che politico che farebbe tremare l'intero Continente.

 

FRAGILE. Non immune dal lepenismo d'importazione e da altre brutte compagnie, è un'America piena di dubbi quella che si prepara a vivere gli ultimi, decisivi mesi della corsa alla Casa Bianca. Un'America in mezzo al guado, come in un classico copione da film western, in bilico tra le tesi estreme e tentatrici di Trump, che cesella con diabolica abilità gli istinti meno eleganti, la continuità rappresentata da Hillary Clinton, in testa ai sondaggi ma non amata, e i dubbi sulla salute della candidata democratica che alimentano gli scatti d'umore dell'opinione pubblica. Fortemente personalizzata e polarizzata, la sfida anche in passato ha sempre avuto toni molto accesi. Questa volta però si è andati oltre e ciò che la distingue in negativo dalle precedenti, è lo stile della campagna impostata dalla destra repubblicana, con slogan inveritieri e picchi di volgarità inaudita.  Ben presto orfani di Obama, uomo del negoziato che ha impresso alla sua presidenza un'impronta di alto profilo etico, gli Stati Uniti saranno posti, quindi, davanti a una scelta cruciale. Sotto gli occhi del mondo dovranno decidere se costruire il loro futuro proseguendo nel solco della linea progressista basata sui principi della giustizia sociale ed economica, oppure se affidarsi ai cattivi profeti, a chi predica odio, allarmismi e divisioni fra i popoli. Inutile aggiungere che la posta in palio riguarda anche tutti noi.

 

SFIDUCIA. Travolto da un impulso di omerica ira funesta, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si è lasciato andare a un giudizio sommario e oltre modo superficiale quando ha affermato che "dai summit socialisti raramente esce qualcosa di molto intelligente". Bontà sua, il severo guardiano dell'ortodossia finanziaria ha avuto un improvviso vuoto di memoria e si è semplicemente dimenticato di quali errori è stato a sua volta capace lo schieramento al quale appartiene. Che poi l'incontro dei leader mediterranei ad Atene sia stato un errore è tutto da dimostrare, specie dopo la Brexit che rende necessario in tempi brevi il ripristino di una Europa meno burocratica e più vicina alla gente, così come la immaginarono i padri fondatori.  In quest'ottica la rabbia del ministro per il vertice eurosocialista, che aveva appunto quello scopo, è parsa davvero una plateale dimostrazione di sfiducia, tanto più che le intenzioni erano condivisibili. Agli alleati socialdemocratici nel governo di Berlino la lezioncina ministeriale non è andata giù.

 

PROMESSE. Avvolto da una cortina di mistero non meno fitta della colonna di fumo che esce dalle Torri Gemelle dopo il terribile impatto con l'aereo impazzito, è stato ricordato il 15esimo anniversario del fatale 11 settembre 2001 che stravolse il mondo, senza tuttavia risolvere gli interrogativi di fondo. A 15 anni dall'attentato al " faro più luminosi della libertà", come lo definì G. W. Bush, non tutti i veli sono stati alzati per conoscere, al netto delle assurde teorie complottiste, la verità di quell'attacco a Manhattan e al Pentagono che fece scoprire un terrorismo mutevole, proteiforme, inafferrabile, e mai domo. Dietro la foto delle Torri in fiamme si dipana, come in una tragedia greca, il destino dell'umanità, non meno di quanto fa, seppure per motivi di segno opposto, un'altra immagine emblematica: quella scattata a Times Square a New York per la fine della Seconda guerra mondiale. Quel bacio del marinaio all'infermiera, scomparsa alcuni giorni fa, il bacio più celebre della storia contemporanea, segnava con la sua contagiosa spontaneità la cesura tra l'orrore del conflitto e  la promessa di un mondo migliore  racchiusa nell'obbiettivo che l' aveva catturato facendolo diventare una icona dei nostri tempi.

 

PROFEZIA. Quando si evocano i nomi di Sacco e Vanzetti torna alla mente il dramma dei due anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti, ingiustamente condannati a morte per un omicidio mai commesso. Un capitolo vergognoso che continua a coinvolgere le coscienze da 89 anni nonostante i vari tentativi di rimozione. Entrambi furono vittime sacrificali di una giustizia vendicativa e fraudolenta basata esclusivamente sul pregiudizio suscitato dalla loro origine e dai loro orientamenti politici, senza mai considerare la confessione del vero assassino. A ricordarci quel triste episodio concorre una bella iniziativa del Corriere del Ticino, il maggiore quotidiano svizzero di lingua italiana, che per celebrare i 125 anni di fondazione offre ai suoi lettori un affascinante viaggio a ritroso nel tempo in cui propone una selezione di notizie e articoli del passato. In quella del 24 agosto 1927, all'indomani della barbara esecuzione dei condannati, l'editoriale dell'epoca, ripubblicato in questi giorni, parla di "tragedia sociale ed umana" che avrà tristi ripercussioni nel mondo. Mai profezia fu tanto azzeccata.

 

lunedì 12 settembre 2016

I profughi in TV e la paura nelle urne

di Renzo Balmelli 

DESTINO. Grazie alla salutare tenuta della SPD forse sarà ancora possibile sfuggire alla marea nera del Meclemburgo. Tuttavia sarebbe vano illudersi che la minaccia sia sventata. Infatti, comunque la si declini, l'attrazione fatale esercitata dalla AfD (Alternative für Deutschland) va oltre l'emergenza migranti, usata in gran parte quale grimaldello elettorale in funzione del potere. E ciò non tanto per le ricadute politiche immediate, che restano ancora da valutare, quanto per le reazioni che il risultato potrà produrre sul piano psicologico nella mente della gente in questa fase di grande incertezza nella vita di ogni giorno e di non minori paure nelle urne. Se una percentuale tanto alta sostiene l'estrema destra in un Land che i profughi li ha visti quasi soltanto in televisione, il governo non dovrebbe reinventare la propria politica migratoria, bensì quella dell'educazione e la corretta lettura dei media. E sarà appunto ragionando in questi termini che capiremo se il buon senso riuscirà, col contributo decisivo della sinistra, a rafforzare gli anticorpi democratici oppure se quello della Cispomerania sarà stato davvero il “voto del destino”, lo Schiksalswahl che in tedesco si carica di significati inquietanti e tenebrosi.

BUONISMO. Chiunque salva una vita salva il mondo intero. Memore della citazione incisa nel Talmud e che rimanda all'orrore della Shoah, la comunità dei popoli civili dovrà rivedere le proprie priorità e di conseguenza raddoppiare gli sforzi per articolare una risposta atta a contrastare l'estrema destra nel suo tentativo di rovesciare i valori universali dell'accoglienza e della tolleranza, sostituendoli con l'odio, il razzismo e la violenza. Il dramma dei profughi necessita una strategia sul piano politico e molta solidarietà nei confronti di chi si batte per i loro diritti. Oggi chi considera che dare una mano al prossimo in gravi ambasce sia un gesto altamente umanitario va incontro a brutte sorprese da parte dei nazionalisti xenofobi che declinano la parola “buonismo” con scherno e disprezzo. Non Angela, ma l'altra Frau tedesca del momento, la signora Frauke Petry leader incontrastata degli ultra conservatori, si arrabbia se si definiscono illiberali le sue soluzioni. Però non spiega come le vede lei.

CATTIVISMO. Che l'Occidente abbia il fiato corto è un sintomo che non si scopre oggi bensì una tendenza in atto da parecchi anni. Anche il recente vertice in terra cinese, povero di risultati come tutti i summit troppo affollati, ha segnato una ulteriore battuta d'arresto del pensiero occidentale sulla mappa geopolitica del mondo. Non pochi osservatori tendono a fare risalire l'inizio del declino alla mancanza di un nuovo ordine multipolare capace - come scrive Franco Venturini sul Corriere della Sera - “di gestire le tensioni di un dopo-Muro che è stato sin qui sinonimo di stragi e impotenze”. E non è difficile immaginare quali sarebbero gli scenari se alla Casa Bianca dovesse arrivare Trump, intrattabile commesso viaggiatore di muri, filo spinato e armi in libera uscita. L'analisi è severa, ma ciò nondimeno riflette l'impaccio dei leader presenti al G20 nel formulare strategie condivise per rimediare al “cattivismo” delle guerre che provocano terrificanti tragedie umanitarie. Dall'Occidente culla dell'Illuminismo, ahinoi finito a sua volta nelle fauci dei revisionisti, sarebbe lecito attendersi qualcosa di più e di meglio.

RISVEGLIO. Chissà se a Virginia Raggi, nelle ore più difficili e delicate del suo ancor giovane mandato, sarà successo di canticchiare, sola nel suo ufficio, le strofe di “Roma non fa la stupida stasera” e di capire, più in fretta di quanto avesse desiderato, che la politica non è uno stornello, ma un campo minato che non da tregua. Arrivata al Campidoglio sulle ali del consenso e il bisogno di cambiamento di una città segnata dal malgoverno, la sindaca ha avuto un risveglio piuttosto brusco finendo nel mezzo di una di quelle bufere che sovente nel corso dei secoli hanno scompigliato la vita dell'Urbe, capace del meglio e del peggio. Per capire come funzionano certi meccanismi, forse le converrebbe, per una curiosa quanto casuale omonimia, rivedere l'irriverente film di Monicelli/Sordi “Il marchese del Grillo”. Al povero nobiluomo, su è giù nei corridoi della Roma papalina, ne accadono di tutti i colori proprio come succede a lei nei ranghi del traballante Movimento 5 Stelle che sta vivendo una metamorfosi dolorosa e non sa che pesci pigliare per uscire dal caos.

LIBERTÀ. Ha provocato non pochi mal di pancia e ancor più numerosi problemi di coscienza la discutibile vignetta di “Charlie Hebdo” sul terremoto che ha colpito il Centro Italia. Nel disegno che col solito stile irriverente rappresenta le vittime del sisma simili a “ penne al pomodoro” o “ lasagne” fatte di corpi ammassati, i luoghi comuni sul Paese sono stati tirati in ballo senza nessun rispetto per chi ha perso la vita, i propri familiari e le proprie case. Ma se è giusto indignarsi e criticare il pessimo gusto di una rivista che fu al centro della solidarietà mondiale quando venne colpita dai jihadisti, non è meno lecito interrogarsi sulla libertà della satira che va comunque tutelata anche se non ci piace, anche se stavolta, pensando alle vittime, si è comportata in modo indegno. Per giunta sbagliando il riferimento al sugo. Perché a tavola, caso mai, il simbolo di questa terra ferita a morte è l'amatriciana, un grande classico della tradizione culinaria. Perciò, nel caso specifico, se d'ora in poi qualcuno si sentirà un po' meno “Je suis Charlie” non si potrà fargli torto. Perché anche questa è libertà.

lunedì 5 settembre 2016

Quando la terra trema

di Renzo Balmelli 

 

MACERIE. Quando la terra trema raramente siamo di fronte soltanto a un'oscura fatalità. Sul bilancio delle vittime pesa quasi sempre il reticolo di colpevoli inadempienze che amplificano la forza devastante della natura. Lo stesso scenario si staglia davanti ai nostri occhi mentre l'Italia prova tra infinite sofferenze a riemergere dalle macerie morali oltre che materiali del terremoto che ha devastato il Centro della penisola. Tra lutti, feriti e dispersi è carissimo il prezzo pagato alle scelte sbagliate, alle promesse disattese. In mezzo a tanto dolore, l'Italia generosa del volontariato e della solidarietà che nulla chiede, l'Italia migliore, tiene accesa la speranza di riportare la vita dove adesso c'è una desolante distesa di morte e distruzione. La ricostruzione non si fa con le parole e le auto blu. Ai superstiti servono risposte concrete, e subito, risposte trasparenti, non diluite nel limbo impalpabile del "faremo" o nella prospettiva sconsolante di un futuro di la da venire, mai veramente coniugato al presente.

 

FIDUCIA. Da Amatrice, luogo simbolo della catastrofe, si alza una domanda che non ammette rinvii in politichese stretto. Quanta fiducia può avere il cittadino in chi avrebbe dovuto investire tutte le risorse disponibili per evitare lo sfacelo? Poca verrebbe da dire, tanto più che le linee guida e le leggi previste all'uopo, ottime in teoria, all'atto pratico hanno trovato finora applicazioni che soltanto in minima parte rispondono alle reali necessità delle popolazioni colpite. Nelle zone a rischio vi sono stati interventi antisismici di modesta efficacia e i fondi a disposizione sono stati usati male per opere di ripristino, senza tenere conto delle durissime lezioni del passato. L' imprevidenza, la cupidigia, l'avidità formano la tela di fondo di una situazione da recidere con un taglio netto e non con i soliti pannicelli caldi. Insomma non dovrà mai più accadere che un vigile del fuoco col cuore infranto lasci una lettera sulla bara della piccola Giulia scusandosi per non essere arrivato in tempo a salvarla da sotto le rovine. Da quel gesto trapela il sentimento di impotenza per un dramma che poteva, doveva essere evitato.

 

ANGOSCIA. Con la sferzata micidiale del sisma si è chiusa nel più triste dei modi un'estate di cattive notizie che ne fanno la peggiore del secolo. Ci fosse Céline parlerebbe di un lungo viaggio al termine di una stagione buia come la notte in cui la parola che ricorre con maggiore frequenza è " angoscia". Ci sovrastano mille pericoli che si insinuano nell'animo e determinano reazioni incontrollate e incontrollabili che finiscono col fare il gioco di chi sguazza nel disordine mondiale; disordine di cui il terrorismo di matrice jihadista è certo una componente sanguinaria e velenosa che rovina lo sguardo dell'uomo sull'uomo, ma niente affatto l'unica. Mentre ci interroghiamo sulla sorte dei nostri valori, nell'aria riecheggiano le parole di Antonio Gramsci quando ammoniva che "il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri".

 

SFIDE. Sono trascorsi quasi 45 anni dal giorno in cui la foto che ritrae una bimba in fuga dal suo villaggio in Vietnam bombardato con il napalm fece il giro del mondo gettandoci in faccia tutto l'orrore e il dramma della guerra. E in questo lasso di tempo nei libri di storia nulla è realmente cambiato, se non in peggio. Oltre a quello scatto che rese celebre il reporter Nick Ut, ora in pensione, altre immagini sono andate ad aggiungersi fino ai giorni nostri alla galleria delle atrocità che hanno fatto crescere in maniera inaccettabile le morti dei bimbi nel mondo, coperti di sangue e ceneri. Qualcuno ha detto che le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono. Che ci voglia una foto per risvegliare le nostre assopite coscienze evidenzia l'assoluta necessità di cambiare marcia nell'affrontare le vere sfide che incombono sulla società , senza sprecare energie nella penosa disputa del burkini. In caso contrario mal si intuisce che cosa possiamo aspettarci di diverso da quello che sta accadendo.

 

RICADUTE. Si parla tanto di Brexit, tema evocato senza cedere al pessimismo al recente vertice tripartito italo-franco-tedesco di Ventotene, culla del sogno federalista di Altiero Spinelli. Eppure, nonostante le inevitabili ricadute del voto britannico, a tenere banco tra gli osservatori internazionali è il referendum istituzionale italiano ritenuto nell'immediato più delicato e importante del divorzio da Londra. Collocata al pari delle presidenziali americane tra gli appuntamenti cruciali dell'autunno, la riforma costituzionale è vista a dipendenza dell'esito delle urne come lo snodo che nella peggiore delle ipotesi potrebbe consegnare al Paese maggioranze diverse non si sa quanto affidabili e con quali rischi per la governabilità che verrebbe messa in forse a perdita d'occhio. Certo è che la prospettiva di una simile incognita congiunta alla mina vagante rappresentata da una eventuale vittoria di Trump non lascia presagire sviluppi confortanti, ma unicamente tanta confusione, per l'avvenire prossimo venturo. L' 'Europa in particolare e l'occidente in generale hanno assolutamente bisogno di reinventarsi e di non avventurarsi lungo i sentieri minati della demagogia di facile suggestione per impedire di crollare e finire in mano al populismo più sbracato.

 

REVISIONISMO. All'età di 93 anni si è spento a Berlino, dopo una breve malattia, lo storico Ernst Nolte da annoverare, con Jünger e Heidegger, tra le figure più complesse e controverse dell'intellettualità tedesca formatasi all'ombra del nazismo e delle sue depravazioni. La longevità ha consentito ai tre di assistere all'ascesa e alla caduta del Reich e quindi di riflettere sulle immense responsabilità del regime, senza però mai liberarsi completamente da talune ambiguità nell'analisi conclusiva del fenomeno. In quest'ottica intrisa di revisionismo, proprio Nolte ha provato a dare una lettura poi molto contestata del male assoluto, che a quel punto assoluto più non era, presentandola quale risposta al bolscevismo. Lo storico vide nel Gulag la premessa della Shoah con una tesi assai avventata e pericolosa che gli valse le critiche severissime da parte di chi lo accusava, con fondate ragioni, di volere cancellare la memoria del genocidio, sminuendo la portata sconvolgente della Endlösung, la soluzione finale della questione ebraica. Quanto pesino ancora le sue tesi nella formazione dei movimenti neonazisti è un dato ancora tutto da appurare, ma il testo di una sua conferenza intitolata "Il passato che non vuole passare", testo quanto mai sfuggente, può essere letto in vari modi, nessuno dei quali però con animo tranquillo.