mercoledì 15 giugno 2016

Per Andrea Rocchelli

La “troppa verità” di Rocchelli che dava fastidio ai potenti

 

Il testo dell’intervento di un decano del giornalismo svizzero alla matinée zurighese per Andrea Rocchelli

 

di Renzo Balmelli

 

Parlare di Andrea Rocchelli in presenza dei genitori è un onore che provoca profonde emozioni nel commemorare la figura di  un collega che si è sempre speso per tutelare la deontologia professionale, senza compromessi.

    Nel rispetto della memoria e nel rammarico per non averlo più tra noi, ciò che sconcerta a due anni dalla sua uccisione è l'assenza di un qualsiasi movente, se non quello della brutale prevaricazione. Il movente di un gesto criminale tanto assurdo. Niente si muove nell'inchiesta e alla domanda perché è morto non c'è risposta. O forse, invece, di risposte ce ne sono, eccome.

    In una sua mail Miriam Lustig, provetta interprete e guida dei vari interventi che hanno contrassegnato l'iniziativa del Coopi, annota che in Andy si avvertiva l'esigenza di un'esperienza diretta quale movente del fotoreporter. A documentarla, questa esigenza, ci sono le immagini che inchiodano i potenti alle loro responsabilità, alle loro viltà, ai loro biechi e inconfessabili interessi. Rocchelli insomma era un testimone scomodo. Nelle sue foto – dicevano i suoi critici – c'era troppa verità. Dava fastidio. Ma di verità non ce n'è mai troppa. La guerra è dura, non solo uccide, ma distrugge anche la dignità dell'uomo; quella dignità che Andrea, refrattario ai comunicati e alle versioni edulcorate, ha cercato di riscattare documentandosi sul posto per raccontare quel che succede, senza filtri, in modo diretto, senza ambigue mediazioni. E andando incontro al sacrificio.

    In quest'ottica il suo giornalismo non era ingessato, non era vittima di preconcetti e ottuse misure, non era omologato, ma capace di intercettare la realtà al servizio appunto della verità e per dare voce a chi ne ha poca o non ne ha del tutto. Un politico italiano, esprimendosi in un altro contesto, ebbe a dire che Casaleggio era morto a causa dei giornalisti. Nella sua veemenza iconoclasta aveva dimenticato che i giornalisti non uccidono, ma caso mai cadono al fronte, al servizio della buona causa. E sono tanti: duemila nel mondo, quasi una trentina in Italia, senza macchia e senza paura, proprio come Andy coraggiosi e determinati, consapevoli dal fatto che il senso più alto e meritorio del loro lavoro compiuto con onestà è un dovere etico e morale per il rispetto della vita umana e per la difesa della libertà nella democrazia.

    Le parole non alleviano il dolore dei suoi cari, ma il ricordo di Andrea Rocchelli e del suo esempio luminoso vivrà in chi lo ha conosciuto e ha condiviso la sua breve e intrepida vicenda umana e professionale tesa a lottare contro le angherie ed i soprusi. Una lezione preziosa che aiuta a guardare avanti.