mercoledì 29 aprile 2009

Fantasmi e altre parvenze

di Renzo Balmelli

FANTASMI - Nell’assistere all’andamento titubante e deludente della conferenza di Ginevra sul razzismo, il pensiero non poteva che andare al “Patto di Monaco” che fu uno dei capitoli piu’ ingloriosi , accomodanti e tragicamente sbagliato della diplomazia europea. In pratica una resa senza condizioni alla Germania hitleriana. Il documento conclusivo, frettoloso e generico, in effetti non fa molto per placare le preoccupazioni di chi teme il ripetersi di derive incontrollabili e devastanti in altre parti del mondo. Il testo ricalca nelle grandi linee quello della conferenza di Durban che diede il via a polemiche infinite e creo' non pichi problemi nei rapporti con Israele, con la politica di Gerusalemme nei territori occupati e con il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla creazione di uno Stato indipendente. Sullo sfondo si agitano ancora i vecchi fantasmi dell’antisemitismo e indirettamente anche dell’islamofobia che pervade alcuni settori dell’opinione pubblica occidentale. La conferenza , occorre ammetterlo, ha risentito di molte circostanze negative ed ha patito come non mai le feroci filippiche di Ahmadinejead ,di cui é nota la posizione sull’Olocausto. Il conseguente boicotto di una decina di paesi, tra cui l’Italia, ha poi fortemente ridimensionato la portata universale della dichiarazione conclusiva che già di suo si distingue per la mancanza di novità. Per questo al fine di affrontare con maggiore incisività i molteplici aspetti del razzismo serve qualcosa di piu’ potente del nuovo testo elaborato a Ginevra. Cio’ che viene richiesto é un impegno a tutto campo, scevro da ambiguità e accomodamenti che nella peggiore delle ipotesi potrebbero fornire una sorta di legittimazione ai vari ducetti e ai loro accoliti. A tale proposito non sono certo gli esempi che mancano . La spada di Damocle dell’intolleranza continua a pendere sul capo dell’umanità ed é sempre in grado di provocare guasti insanabili nel tessuto sociale. Ne abbiamo avuto una crudele dimostrazione nella civilissima Torino dove i cori e gli insulti rivolti al calciatore Mario Balottelli per il colore della sua pelle hanno mostrato fino a che punto puo’ spingersi il livore xenofobo alimentato dalla sottocultura squadrista. Di rimando la lezione del 25 aprile é valsa a ricordare proprio questo concetto, a rammentare agli smemorati della storia che una scelta non vale l’altra , che quando si vuole parificare Resistenza e Salo’ si travisa la verità e si rende un pessimo servizio alla causa dei diritti umani. Nella visione d’assieme del problema, la debolezza intrinseca del negoziato che si é riscontrata a Ginevra deriva appunto non tanto dalla buona volontà , che nessuno mette in dubbio, ma dalla mancanza di scelte piu’ radicali e coraggiose da mettere in campo contro il razzismo in nome dell’umanità intera.


IMMAGINI -  Se non ne potete piu’ del protagonismo torrenziale di Berlusconi e vi occorre un antidoto efficace non perdetevi “Il Corpo del Capo”, l’ultimo libro di Marco Belpoliti , edito da Guanda. Farete un viaggio divertente , sobrio e raffinato tra le pieghe del potere e la cura maniacale con cui il premier rincorre il mito della migliore inquadratura. Il volume di Belpoliti evita con intelligenza la trappola della demonizzazione del premier che di questo passo, come dice D’Alema, farà vincere il patron di Mediaset per altri mille anni. L'occhio curioso dell'autore é rivolto altrove. Grazie al ricco e selezionato materiale iconografico, la ricerca entra nel vivo dei comportamenti che innervano le pose del signore di Arcore indicando in che modo i messaggi vengono veicolati attraverso l’uso sapiente del corpo, dello sguardo e la posizione delle mani. Una ricerca che Berlusconi, proprio come Mussolini, affida ai suoi fotografi ufficiali, coloro attraverso cui il Cavaliere può trasmettere al mondo l’immagine ideale di se stesso. Nella raccolta mancano soltanto le ultime esibizioni autocelebrative in Abruzzo che sono valse a mercificare il terremoto per incrementare i consensi. I fans adoranti pero' stiano tranquilli. Nemmeno un solo istante della passerella berlusconiana é andato perso. Un giorno si e l’altro pure la sequenza dei baci e degli abbracci elargiti da Berlusconi in copiosa messe ha occupato i teleschermi dalla mattina fino all’ultimissima replica della notte. Solo quando sono andate in onda le sequenze delle tendopoli zuppe d’acqua e dei superstiti infreddolititi, c'é stato un attimo di compiacente amnesia nella fiumana di immagini. Nel piovoso dopo-terremoto non si é vista nemmeno l'ombra di un ministro. Forse a Palazzo Chigi avevano smarrito gli ombrelli.

venerdì 24 aprile 2009

Dov'è finito Voltaire?

di Renzo Balmelli

CENSURA - Voltaire non abita qui. Ci insegno’ che la libertà di opinione va protetta anche a costo della vita. Purtroppo da qualche parte c’è sempre la lunga mano di un editto bulgaro pronta a chiudere gli spazi, a soffocare chi non si adegua al “mainstrem”, all’informazione alla “carte” destinata ad appagare gli appetiti dei potenti. L'ultimo esempio obbliga a riflettere. Il povero Candido, ingenuo com'era, se fosse qui, sarebbe inorridito tanto appare fuori luogo, assurda, l’ingiunzione inflitta a Santoro e Vauro per il servizio sul terremoto.

    Assurda, non perché non si possa criticare il taglio della trasmissione. Ci mancherebbe. No, assurda perché aggiunge un altro tassello alla visione del pensiero unico che trova rispondenza in un auspicio non tanto sibillino del premier: Alla Rai voglio facce nuove...

    Il giornalismo degno di questo nome pero' non sa che farsene delle inchieste accomodanti, dello stile vellutato piu' sciapo di una minestrina senza sale. Certo, a taluni non piacerà l'impostazione di Annozero, altri troveranno lo stile della testata di pessimo gusto, ma il panorama mediatico che ogni giorno si batte per la sua indipendenza, sarebbe molto piu' povero senza questo contributo essenziale per la completezza e il pluralismo dell'offerta.

    Come dicevamo, sulle scelte redazionali è lecito dissentire. Imporre diktat no. Tra l’offensiva censoria scatenata dalla destra e il diritto di critica c’è un abisso. Il tentativo di usare un programma sgradito come alibi per imbavagliare i pareri dissonanti è una mossa lugubre che riecheggia le sbandate di regime. E’ la spia di un malessere interno alla maggioranza che sfocia in provvedimenti ridicoli, di stampo quasi sovietico. A voce tutti ammettono che la satira ovviamente puo’ essere anche abrasiva. Guai pero’ se scuote le cattedrali del potere. Guai, per dirla con Sabina Guzzanti, se una vignetta diventa “turbativa della commozione”.

    Sentimento nobilissimo, la commozione. Ma che in prospettiva appare forse un po’ meno nobile se serve a fare palcoscenico sulle macerie, se torna utile per imbastire una plateale “via dolorosa” ministeriale grondante retorica da ogni parte. La stampa libera - diceva Camus - puo’ essere buona o cattiva, ma è certissimo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva. Nel fervore delle crociate punitive e “riparatrici” si tende a dimenticare che zittire chi canta fuori dal coro è una prova di debolezza, una forma di inquisizione che porta con se squallore e minacce.

DISAGIO -  “A Mosca, a Mosca”, esortava Tolstoi. Ci sia libertà della stampa e domani la capitale sarà una repubblica. Il domani é arrivato, ma del quadro é cambiata solo la cornice. Dopo la sbornia di zarismo, comunismo, post-comunismo e neo -zarismo il risultato piu' vistoso e preoccupante é che nella Russia di Putin, portatore di speranze disattese, sono rimaste poche voci critiche. Uno dei rari baluardi del dissenso é “ Novaya Gazeta”, periodico specializzato nelle inchieste sulle magagne del regime. Ma a che prezzo. Tra le sue firme piu’ autorevoli c’era Anna Politkovskaja , la coraggiosa giornalista che ha pagato con la vita il suo impegno professionale al servizio della verità. Ora a “ Novaya Gazeta” é arrivato un riconoscimento insperato grazie all’intervista con Dmitri Medvedev . Il primo cittadino della Federazione ha colto tutti di sorpresa recandosi nella tana del lupo per dire al paese come la pensa. Ovviamente nel suo intervento il presidente si é guardato bene dal rompere la cristalleria.. “Ho scelto voi - ha detto il capo di stato russo ai giornalisti della Gazeta - perché siete gli unici a non fare i leccapiedi”. Quanto basta perché agli oligarchi che difendono i loro previlegi a denti stretti il caviale sia andato di traverso . L’immagine di Medvedev, cresciuto all’ombra di Putin, considerato il vero manovratore degli affari moscoviti, non brilla di luce propria. La sua mossa é stata pero’ troppo audace per essere derubricata a semplice operazione cosmetica nel tentativo di recuperare prestigio agli occhi della popolazione e sul piano internazionale. Anche la data della pubblicazione sembra essere il frutto di una strategia studiata a tavolino per rendere palese il tentativo di smarcamento dal predecessore. L’intervista é uscita infatti in concomitanza con la fine della “lotta antiterrorismo” in Cecenia. Sappiamo tutti che cosa significa: é stato uno spaventoso macello abilmente filtrato dalla censura, un elenco interminabile di pesanti violazioni che non pone la Russia tra le nazioni all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Alla luce di questi episodi , la lezione del presidente non fa una piega. Solo la certezza di avere una buona stampa, scevra da condizionamenti, consente di progredire nella democrazia. Speriamo che la stoccata di Medvedev riesca ad aprire uno squarcio nella granitica politica del Cremlino. Speriamo...

IDONEITA’ - Come volevasi dimostrare. A un anno dalle ultime elezioni il tallone d’Achille della maggioranza é dato dalla rivalità tra la Lega e il Pdl. Ai tempi dell’ultimo Prodi bastava il raffreddore di un senatore a vita per paralizzare la vita politica e la destra ne approfitto’ senza pudore. Ora, sono i Lumbard a tenere sotto scacco l’esecutivo . La posta in palio, come si sa, é l’egemonia sul Nord quale ago della bilancia delle prossime battaglie. Le concessioni fatte a Bossi sul referendum elettorale non lasciano dubbi a questo proposito e indicano con assoluta chiarezza chi é che tiene in mano il pallino. In chi osserva da fuori prevale la sensazione che lo sisma in Abruzzo e l’election day stiano ridisegnando , in un clima permeato di nervosismo , i rapporti di forza nella coalizione domiciliata a Palazzo Chigi. Tra l'altro, Berlusconi non ha nemmeno provato ad addolcire la pillola, ammettendo candidamente che se non avesse accolto le richieste del Senatur il suo esecutivo sarebbe caduto. E cio’ non era possibile, per “ il bene del paese”. Ma questo lo dice lui. Congetture a parte - annota Giovanni Sartori nel suo libro di prossima pubblicazione da Laterza- il Cavaliere si é dato a “ costruire” un sultanato con cui mantenere il contollo sul partito di sua proprietà, in un groviglio di abusi e conflitti di interesse. In quest’ottica l’ opposizione continua giustamente a considerare Berlusconi una intollerabile anomalia, un leader, come scrisse l’Economist, “ unfit to govern”, non adatto al governo del paese. Come si vede, nell’imminenza dell’appuntamento elettorale di giugno, appuntamento che la maggioranza vuole trasformare in “ marcia trionfale”, vi sono seri motivi di inquietudine sull’idoneità di questa compagine a restare in carica altri quattro anni.

EQUAZIONE - Oscillano su due piani distinti le opzioni di Obama: su quello internazionale si muove da riconosciuto protagonista a tutto campo; su quello interno, come spesso capita, avanza tra luci e ombre. Partiamo dal primo. Da un capo all’altro del pianeta continua a crescere il numero dei leader conquistati dal contagioso multilateralismo dellla Casa Bianca. Obama appare sempre piu’ determinato a ridisegnare la mappa dell’ordine mondiale anche a costo di inviperire la vecchia guardia conservatrice. La mano tesa a Cuba e al Venezuela di Chavez, nemico giurato degli Stati Uniti, segnalano la disponibilità a lasciarsi alle spalle le ruggini del passato. Anni e anni di embargo e di incomprensioni hanno reso difficili e tesi i rapporti tra Washington e l’America latina, con pesanti conseguenze per tutti. Molte iniziative che avrebbero potuto contribuire a un migliore sviluppo politico, economico e sociale della regione sono rimasti nel cassetto. E’ quindi ora e tempo di cambiare registro, di liquidare le ultime scorie della guerra ideologica e di ripartire da capo. Sul piano interno il discorso si fa invece piu’ostico e delicato. Tra le eredità che Obama si é trovato a dovere amministrare, figurano le scomode verità legate agli anni piu’ duri della lotta al terrorismo. Il documento che illumina il lato oscuro di questa guerra é una spia di come un paese di forti radicamenti democratici possa abbassare il suo livello morale. Percio’ bene ha fatto il presidente a svelare i segreti della Cia sulle tecniche brutali e le torture con cui venivano interrogati i terroristi islamici. Si é trattato di un taglio netto con i comportamenti illegali della precedente amministrazione repubblicana che Bush ed i suoi giuristi avevano reso legali con sordide manovre di corridoio, Al tempo stesso pero’ Obama, forse per risparmiare al paese il trauma di un processo alle istituzioni, si é spinto oltre le proprie competenze, erigendosi di fatto a giudice della nazione. E in questo ruolo ha deciso di assolvere gli aguzzini spiegando che gli “OO7” hanno fatto il loro dovere. Che sarebbe poi questo: operazioni clandestine, violazione dei diritti, rapimenti, prigioni segrete. I loro crimini resteranno impuniti e cio che é peggio grazie all l’immunità si lascia aperto il varco ad altre derive. Come si poteva facilmente immaginare, i liberal che rappresentano la punta di diamante della nuova elite democratica, sono rimasti letteralmente allibiti dalla decisione. La sola idea che si possa associare l’immagine degli Stati Uniti a quella di un paese che tortura in nome della ragion di stato, é fonte di grave turbamento per gli spiriti piu’ illuminati. Obama sicuramente era in buona fede quando ha provato a conciliare l’esigenza di fare luce su una pagina buia con l’imperativo della sicurezza nazionale. Ma la doppia responsabilità, che ha reso coraggiosa e insiodiosa la sua scelta, ha acceso un dibattito di carattere etico che non é destinato a esaurirsi tanto presto.

mercoledì 15 aprile 2009

La lezione che ci giunge dall'Abruzzo

di Renzo Balmelli
RESPONSABILITA’ . Quando il mondo ci crolla addosso, la classe politica invoca la fatalità. Ma é una via di fuga che solo rarissimamente risponde a verità. In Abruzzo se fatalità c’e’ stata, essa ha connotati ben precisi, porta il nome dei palazzi della morte costruiti sulla sabbia. Bene ha fatto quindi la procura ad aprire un’inchiesta, per altro un atto dovuto dopo le inequivocabili parole del presidente Napolitano che ha evocato responsabilità diffuse e la necessità di compiere un approfondito esame di coscienza. Le polemiche verranno presto a galla, quando si tratterà di scoprire il bluff delle abitazioni anti-sismiche che invece sono crollate come castelli di carta. Il terremoto - ha scritto Giorgio Bocca - si distingue dalle altre calamità per la rapidità e l'indifferenza naturali: nei pochi minuti il disastro è compiuto, ai superstiti non resta che cercare i cadaveri sepolti sotto le macerie e camminare smarriti fra ciò che resta di città e villaggi. L’imprevedibilità qui tuttavia non c’entra, o c’entra in misura ridottissima. In California - ha detto un esperto - un terremoto di intensità pari a quello abruzzese non avrebbe fatto un solo morto. A patto di costruire le case a regola d’arte. Il paese invece piange a causa di gravi inadempienze, di scelte imprudenti, di materiali scadenti, di appalti superficiali, di lavori approssimativi eseguiti senza criterio, in criminale contrasto con i piu’ aggiornati manuali della moderna edilizia antisismica. La lezione che arriva dall’Abruzzo da questo punto di vista non lascia scampo. E’ una lezione indirizzata a chi é chiamato ad assicurare la tutela dei cittadini e della loro dignità . Se verrà recepita come di dovere ovviamente essa non consolerà chi rimane, ma sarebbe un segnale nella giusta direzione almeno per una volta. Si proceda dunque senza commettere altri errori fatali. Dopo il terremoto e gli innumerevoli morti, la cosa peggiore che possa capitare all’Abruzzo, quando l’onda dell’emozione si sarà ritirata, sarebbe infatti di finire relegato nelle pagine interne. A dispetto della fiumana di retorica , il dolore collettivo non dura in eterno e spenti i riflettori c’é il rischio che l’Aquila e la sua provincia si trovino sole ad affrontare prove difficilissime. In passato, complice la latitanza dello Stato, nella gestione del dopo-terremoto frequenti sono stati i casi di sprechi incredibili, di fondi finiti in tutte le tasche tranne che in quelle giuste. Per buona sorte, quando la sciagura incombe, c’é l’altra Italia pronta a correggere il tiro, l’Italia dell’esercito di volontari sbucati da ogni dove che non cercano sovraesposizioni mediatiche, ma si rimboccano le maniche destando l'ammirazione generale in patria e all'estero. Nelle prime ore, quelle dell’emergenza, in Abruzzo si é radunata la generosità degli italiani, si é vista la parte migliore del paese, solidale nella sofferenza e nella fratellanza. La forza dell’altruismo ha rivendicato quanto c’é di sano nel tessuto sociale, ossia tanto, tantissimo, e col suo esempio ha contribuito a rinsaldare l’unità nazionale piu’ di tutti i proclami. Che la politica ne prenda atto e restituisca credibilità al proprio operato impegnandosi ad abbassare i toni del confronto. Dimostri cosi’ alla popolazione terremotata, la popolazione che oggi si guarda attorno col cuore gonfio di tristezza , che la rinascita é fattibile, che oltre il sisma puo’ esistere un futuro possibile.

PRESIDENTE? - Il terremoto e il premier. Tra lacrime, abbracci e ali di folla, il confine dell’overdose mediatica alla ricerca della migliore inquadratura é stato sfiorato e forse superato piu’ di una volta. Nulla a che vedere insomma con la signorile discrezione del Capo dello Stato. Ma dove Berlusconi ha dato il meglio di se, certo di ricavare un vantaggio competitivo, é quando si é lasciato andare a una pubblica confessione che la dice lunga sulle sue intenzioni. “Per la prima volta in questi giorni - ha esclamato il leader del Pdl - ho sentito di rappresentare l’Italia al di là delle differenze politiche. Per la prima volta non sono piu’ il presidente del Consiglio, sono diventato il presidente degli italiani”.

Presidente degli italiani? Che fretta! Forse ci siamo persi qualcosa, ma non risulta che al Qurinale ci sia già stato il cambio di inquilino. Sul Colle c’é si un presidente, quello degli italiani appunto, di tutti gli italiani, ed é un signore che non si chiama Silvio, bensi’ Giorgio Napolitano. Oh no! Resta ora da capire se questo é il clima di unità e di rapporti piu' rispettosi cui allude il premier nel tendere la mano in nome della " pax berlusconiana", oppure se é una trovata in vista delle Europee. Per la verità, conoscendo il personaggio e la sua voglia di distinguersi , planano non pochi dubbi sul significato della pacificazione ecumenica, un'operazione insieme abile e ambigua.

GIUSTIZIA - L’antica storiella tedesca è nota: trattato con arroganza da Federico II di Prussia, un mugnaio di Potsdam decise di non arrendersi e di chiedere giustizia. La frase che pronunciò di fronte all’imperatore - «Ci sarà pure un giudice a Berlino» - è diventata lo slogan di tutti coloro che lottano contro gli abusi del potere. A Montecitorio, grazie all’azione incisiva del Pd, é accaduto qualcosa di simile. Tanti giudici quanti erano i voti contrari alle inique regole sulla sicurezza hanno detto basta agli abusi e riportato il senso della giustizia in aula. Per la maggioranza blindata che ha preso la pessima abitudine di governare a colpi di decreti, la battuta d'arresto, del tutto imprevista, é stata durissima. La duplice bocciatura delle norme sulle ronde e sul tempo di permanenza degli immigrati ha prodotto infatti risultati ancora insperati fino a ieri, dapprima ridando dignità alla civiltà giuridica del paese, poi restituendo al Parlamento le sue prerogative, sovente minate dall'arroganza del potere. La faccenda, come si poteva immaginare, non é andata a genio alla Lega che é montata su tutte le furie. Il Carroccio interpreta la lotta ai clandestini come una cavalcata senza quartiere a scopo punitivo e carcerario . I criteri del suo operato in questo campo non tengono assolutamente in nessun conto i risvolti umani di questo esodo forzato del terzo millennio che sta costando un tributo altissimo di vittime. La piaga della clandestinità é grave, ma all’infuori dell’Italia non esiste altra democrazia europea che abbia introdotto leggi tanto eversive. Le ronde anticlandestini sono questo e non altro, sono il prologo alla giustizia fai da te che al colmo dell’escalation puo’ sfociare nel tiro al bersaglio umano. Il problema va affrontato, questo é certo: ma affrontato e gestito senza inefficaci moralismi, ma anche senza demagogici ideologismi elettorali. In questo senso, la doppia bocciatura dei provvedimenti è una novità che fra tante altre cose fa pure ben sperare per la qualità politica del dibattito. Quando sono in giuoco i principi umanitari imperniati sui diritti degli individui , la tutela delle istituzioni e la difesa dello stato laico, si é visto che altre alleanze sono possibili oltre la forza dei numeri, oltre lo steccato del pensiero unico, populista e plebiscitario, "elaborato" fra il Cavaliere e il Senatur nel chiuso delle cene di Arcore. Il partito moderato di massa degli italiani - scrive Repubblica - se esiste davvero, non è ancora e forse non sarà mai il partito dei padani, xenofobi e spaventati. In questo ordine di idee, l ’iniziativa del Pd, che sembrava per alcuni versi persino velleitaria, alla fine é risultata vincente al di la di ogni aspettativa. Ora non resta che perseverare per recuperare il primato che davvero conta, la leadership morale sull’ assolutismo imperante nel Popolo delle libertà.

giovedì 9 aprile 2009

Protesta

L'irritazione del Pdl era palese. La CGIL è scesa in piazza contro la politica economica di Palazzo Chigi: una grande manifestazione di democrazia che ha dato voce a un profondo disagio sociale.

di Renzo Balmelli

MALESSERE - Prima di pensare alle riforme presidenzialiste che altro non servono se non a costruire un'impalcatura di potere per un solo uomo, Berlusconi e il suo esecutivo dovrebbero dedicare il loro tempo a cercare risposte piu' appropriate alla situazione economica. Le misure concrete e incisive tuttavia tardano a concretizzarsi, ed é per questo motivo  che centinaia di migliaia di italiani, preoccupati per il loro avvenire, hanno risposto all'appello della CGIL contro la politica economica di Palazzo Chigi,  portando in piazza il loro malessere. Si é trattato di una grande manifestazione di democrazia che ha dato voce a un profondo disagio sociale, cui non serve replicare con i soliti slogan di facile suggestione.  L'irritazione del Pdl  per un evento che ovviamente ha avuto risvolti politici oltre che sindacali, era palese.  Nelle sue  reazioni la destra ha espresso giudizi arroganti, al limite del disprezzo,  derubricando  la dimostrazione   a semplice "scampagnata" a una " gita fuori porta", come se la crisi fosse un piacevole passatempo, un lieto  " déjeuner sur l'herbe" per ingentilire il week-end.  Che tristezza. Ma lo spiazzo del Circo Massimo nereggiante di folla ha mostrato  un fronte progressista che seppure con qualche fatica cerca di ritrovare l'unità a tutela dei lavoratori e di tutte le categorie che stanno soffrendo sulla loro pelle i contraccolpi del disastro finanziario che la maggioranza tende invece a minimizzare gestendola in modo populistico.

VERTICI -  Dall’immancabile gaffe di Berlusconi, cui é bastata una giornata a Londra e un’altra a Strasburgo per confermare la sua fama, ai completi indossati da Michelle Obama, ormai sulla buona strada per fare ombra a Carla Bruni, il G20 é stato un incontro di sicuro effetto mediatico. Non meno intenso é stato il seguito del balletto diplomatico che aveva lo scopo di portare l’umanità fuori dal tunnel della crisi e in pari tempo di delineare un futuro senza armi nucleari. Sono due sfide strettamente intrecciate che vanno vinte entrambe per non trovarsi sull’orlo dell’abisso. I pericoli tuttavia sono lungi dall’essere scongiurati e l'ambizioso obbiettivo é ancora lontano. Se il giro del mondo non in ottanta, bensi’ in soli quattro giorni sia stato sufficiente per colmare le attese riposte nel summit, lo sapremo quando dalle enunciazioni di principio si passerà all’attuazione pratica degli impegni sottoscritti al tavolo delle trattative. E non é detto che la cosa riesca. L’impressione é che l’asticella sia stata posta troppo in alto e che dopo le promesse il risveglio possa essere piuttosto brusco. Già solo riuscire a cancellare la dose di scetticismo cresciuta in parallelo con l’impotenza di cui fin qui hanno dato prova i governi, sarà un lavoro di lunga lena che non ammette reticenze. Di buono, dalle consultazioni, é arrivato un primo segnale di volontà politica collettiva nella gestione dell’emergenza. La boccata d’ossigeno per la fiducia potrebbe tuttavia esaurire in fretta il suo effetto benefico se ognuno, tornato a casa sua, dimenticherà i propositi virtuosi. La posta in palio per avviare la ripresa sono i 20 milioni di posti di lavoro in meno annunciati per il 2010 che se non verranno assorbiti grazie a incisive manovre occupazionali rischiano di creare situazioni di grave disagio esistenziale. Sul piatto ci sono 5 trilioni di dollari, una cifra colossale a 12 zeri, finalizzati a contrastare non soltanto gli effetti della crisi, ma anche a rendere meno illusorio l’avvento del nuovo ordine mondiale di cui si é tanto favoleggiato, ma che ancora manca di un solido impianto. Senza benessere non puo’ esservi pace e la capacità di vincolare questo principio a provvedimenti di rapida applicazione potrebbe essere la principale conquista dei vertici d’aprile. Sotto questa soglia ci sarebbe unicamente un cammino lastricato di buone intenzioni e nient’altro.

ANTIFASCISMO -  Il contratto che siglava il matrimonio tra An e Forza Italia era ancora bagnato d’inchiostro, che già circolavano le prime variazioni sul tema. Una rivendicazione in particolare ha creato non poche perplessità. Nel clima di restaurazione che ha fatto da sfondo all’incoronazione del nuovo leader, ha colpito l’insistenza con la quale alcuni ambienti tendono a considerare ormai superato l’antifascismo. La tesi piu’ o meno é questa: archiviato quel che del fascismo rimaneva con lo scioglimento di Alleanza nazionale nel Pdl, l’antifascismo puo’ andare in soffitta in quanto non ci sarebbe alcun rischio di deriva anti-democratica. La risposta é ovvia: un NO chiaro e tondo. L’antifascismo é una categoria di pensiero, una scelta ideale, un fondamentale movimento d'opinione che di volta in volta va modellato sulla situazione contingente al fine di intervenire con prontezza contro altre e nuove forme di autoritarismo di stampo populista e telecratico che in Italia preoccupano e fanno discutere.

RAI -  Com’era facile prevedere, il valzer delle poltrone alla guida di alcune importanti testate giornalistiche ha risvegliato gli appetiti per la direzione della RAI e del Tg1. Non appena annunciato l’arrocco che vede Ferruccio De Bortoli tornare alla testa del Corriere della Sera e la sua sostituzione al Sole24ore con Gianni Riotta, attuale direttore del Tg1, sono scattate le grandi manovre. A suo tempo De Bortoli se n’era andato da via Solferino per una questione di conflittualità" con l'allora premier Silvio Berlusconi, dopo le sue pressioni sulla direzione del giornale. Il suo rientro é una designazione di forte indipendenza. Quanto a Riotta lascia un Tg1 che in questi anni ha confermato la sua leadership. Ed é appunto l’ammiraglia di Saxa Rubra l’oggetto del desiderio nient’affatto oscuro che da tempo fa gola alla maggioranza. Tanto che la dalla centrale operativa di Palazzo Chigi la destra ha già mosso la cavalleria per l’assalto al Forte Apache della RAI. Il candidato maggiormente gettonato alla direzione del Tg1 é Maurizio Belpietro, berlusconiano di ferro, che si é guadagnato i galloni prima al Giornale e ora alla direzione di Panorama. A prescindere dalle qualità professionali di Belpietro, che non sono in discussione, se la sua nomina fosse confermata, la real casa di Arcore avrebbe un potere di controllo quasi illimitato sull’informazione televisiva pubblica e privata che di fatto verrebbero fuse in un solo, immenso monopolio ad personam. Una situazione che non ha uguali in Europa.

POLENTA -  Il “senatur” Umberto Bossi ne ha escogitata una delle sue per marcare la distanza dal neonato Pdl. Il giorno in cui Roma sembrava tornata ai fasti imperiali, il ministro delle riforme ha voltato le spalle al tripudio di inni e bandiere al vento ed ha varcato la frontiera per fare una capatina dagli amici svizzeri. Il pretesto era un incontro con gli esponenti della Lega del canton Ticino per rianimare il concetto di “Regio insubrica”, un’organizzazione transfrontaliera che va ripensata e rilanciata. L’intento era “ diplomaticamente” ineccepibile, ma la coincidenza era fin troppo palese per passare inosservata. Bossi d’altronde non si é tirato indietro e non ha avuto nessuna esitazione ad ammettere che le grandi cose, leggi Pdl, sono piu’ pesanti da digerire della polenta e stufato , rigorosamente settentrionale, consumata a pranzo. Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola, diceva lo scrittore Leo Longanesi. Ma a giudicare dalle reazioni, non sembra affatto che la Lega sia sazia.

giovedì 2 aprile 2009

L'era degli assegni in bianco è finita

di Renzo Balmelli

DISORDINE - Se verranno mantenute le promesse, se la volontà di guardare oltre lo steccato sarà piu’ forte della paura, se la solidarietà avrà la meglio sull’egoismo, il prossimo vertice del G20 a Londra potrebbe segnare davvero la fine dell’unilateralismo e l’inizio di una nuova epoca. Nel club che non sarà piu’ il ritrovo esclusivo dei ricchi com’era il G8, tutti dovrebbero potere affrontare e discutere assieme i grandi problemi del duemila. Già, dovrebbero. Perché è proprio quella sfilza di “se” a far vacillare il bel castello di speranze e buoni propositi. La bufera investe i quattro angoli del nostro pianeta, la sfida è globale , ma i rimedi sovente sono locali. Dietro le quinte ognuno pensa ai cavoli suoi e intimamente spera che il cambio di marcia, ancora fermo nei suoi vecchi ingranaggi , non abbia pesanti ricadute sul piano elettorale interno. L’obbiettivo del summit è la creazione di un nuovo e piu’ equo ordine mondiale per uscire dalla crisi. Non è la prima volta che se ne parla. L’ambizioso traguardo si ripropone a scadenze cicliche, ogni qualvolta la storia imprime agli eventi una brusca accelerazione . Ripensando pero’ all’ultimo passo falso, alla deludente conclusione della conferenza sulle risorse idriche, si misurano facilmente tutte le difficoltà di portare in porto il progetto. Se nemmeno si riesce a definire l’accesso all’acqua un diritto universale, un diritto dell’uomo, quale nuovo ordine potrà mai nascere all’interno di un sistema minato dai titoli tossici? Forse soltanto un nuovo disordine.

SILVIO-CESARE -  Après moi le déluge! E’ nel constesto di un vistoso e imbarazzante culto della personalità che nasce il Pdl del leader maximo. I risultati dell’azione di governo non fanno faville, ma Berlusconi si regala un partito dalle ambizioni smisurate. Dietro di lui vuole che si allinei l’Italia intera, al traino di un sistema a sua immagine che alla faccia della proclamata "rivoluzione liberale" non ammette ne repliche, ne alternative. Gli oppositori ormai nemmeno li vede, né dentro né fuori. L’ostentazione di forza non poteva essere piu’ chiara: nessuno puo’ starmi alla pari. Ma la magniloquenza della scenografia non tragga in inganno. A dispetto dello sfavillio dei riflettori, il nuovo soggetto politico vede la luce sullo sfondo della polemica tra Fini e il premier per il rispetto delle regole. Gianfranco non spingerà il confronto fino a diventare il Bruto di Silvio-Cesare, ma il suo duro richiamo al signore di Arcore affinché non irrida il Parlamento è qualcosa di molto piu’ grave di una sfuriata passeggera.

    “Il timore - scrive l’Economist - è che la Libertà contenuta nel nome del nuovo partito, altro non sia che quella di Berlusconi di fare tutto cio’ che vuole”. L’analisi calza a pennello. In questo momento l’egemonia del berlusconismo cui la destra si rifà con enfasi missionaria è palese grazie anche alla debolezza patologica degli avversari. Se bastasse una vetrina rutilante per risolvere la gravità dei problemi , l’Italia sarebbe in una botte di ferro. Pero’ non è cosi’ che funziona. Ne l’UE ne Confindustria si allineano al clima euforizzante della festa pidiellina e con grande scorno della maggioranza collocano la Penisola tra i paesi a rischio per non avere riordinato le finanze pubbliche e il mercato del lavoro prima del collasso. Quelle che Franceschini ha definito “le armi di distrazione di massa” messe in atto dal premier per occultare la vera entità dell’emergenza ormai sono un placebo confezionato con la carta stagnola che non incanta nessuno.

CAMBIALE - Roosevelt conquisto’ l’America con la radio, Kennedy con la televisione e Obama con Internet. Mai nessun presidente prima di lui ha avuto tanti interlocutori in un colpo solo per una conferenza stampa. All’incirca erano 65 mila gli utenti online che hanno preso posto virtualmente nella sala ovale della Casa Bianca, accolti a braccia aperte come invitati di riguardo. Il concetto della trasparenza del potere ha avuto una prima, eloquente conferma. Ma non è che l'inizio di un lungo percorso di riforme che non si snoda come un rettifilo Se nel terzo millennio Internet è la chiave di volta del successo, ora per il presidente comincia da subito la fase piu’ difficile. Ad un paese che lo ha eletto per non piu’ rivivere l’orrore dei ragazzi tornati dal fronte in una bara, dovrà spiegare che l’emergenza per la lotta al terrorismo non è ancora finita e perché non è finita. Dovrà convincere gli elettori che occorre dare una spallata ad Al Qaeda e mettere in ginocchio i talebani per non trovarsi a piangere sulle macerie di un’altro 11 settembre. Nonostante le doti di grande comunicatore che tutti riconoscono a Obama, il messaggio non sarà facile da fare arrivare al cuore della gente.Dopotutto tra la strategia d’uscita promessa in campagna elettorale e l’invio di nuovi contingenti in Afghanistan c'è una differenza sensibile che mette un po' in sordina la via diplomatica. Certo, la missione rompe con gli schemi del suo predecessore. Il presidente americano schiererà altri 4.000 soldati non per vincere la guerra che dura da troppi anni solo con le armi, ma con l'ausilio di altri strumenti che dovrebbero permettere di preparare il terreno alla riconciliazione nazionale. La crisi tra le elite afgane in vista delle presidenziali è profonda, l'opposizione è divisa e senza un accordo tra le parti la tensione potrebbe degenerare in crisi globale, vanificando i tentativi di stabilizzare l’intera regione. Ne va insomma della pace nel mondo. "L'era degli assegni in bianco è finita" ha detto Obama , tuttavia, avvalendosi appunto di Internet, sarebbe utile verificare se l'opinione pubblica, ammaestrata dagli errori di Bush, è disposta in nome della sicurezza globale a firmare quest’ultima e non lieve cambiale.