venerdì 30 maggio 2008

Di certo non fu un melodramma

di Renzo Balmelli
TOLLERANZA ZERO.
Quel passato che non passa. Che si ostina a non passare. La polemica sulla strada dedicata ad Almirante getta un fascio di luce livida sul distorto rapporto con la storia recente da parte di forze politiche che oggi tengono le redini del paese.

Winston Churchill ebbe a dire che il nazismo è stata una tragedia e il fascismo un melodramma. Aveva torto. A volte anche i grandi statisti infilano topiche madornali. Tra le sciagure italiane del secolo scorso, quella mussoliniana è stata la peggiore sotto ogni punto di vista. E la recrudescenza del teppismo neofascista, ringalluzzito dal relativismo se non addirittura dall’indifferenza della destra al potere rispetto al principio morale della persona umana e della sua dignità, evidenzia la necessità di rivedere da cima a fondo quella che in tedesco si chiama Vergangenheitsbewaeltigung, la fatica di fare i conti col proprio passato. Partendo da un assunto imprescindibile: l’unica tolleranza possibile verso il fascismo è la tolleranza zero.

FAMA.
 Il Cavaliere che amava andare all’estero per certi versi non c'è piu’. Berlusconi predilige gli affari interni e non avverte la necessità di viaggiare. “Ormai” - dice lui - “è inutile muoversi perché non ho piu’ bisogno di farmi conoscere”. Appunto. Con tutte le figuracce che ha rimediato nei precedenti spostamenti, la sua fama fuori dai patri confini è ampiamente consolidata.

TRISTEZZA.
Che nell’elenco, tanto per fare due nomi, vi siano la Cina e il Myanmar indigna, ma non sorprende. Qui la prevaricazione dell’uomo sull’uomo è un male endemico asservito a infami logiche di potere. Ma che nell’elenco dei reprobi allestito da Amnesty International figurino anche le nazioni che appartengono al novero dei paesi cosiddetti progrediti e figli dell’illuminismo lascia esterrefatti, a sessant’anni dalla "Dichiarazione Universale dei diritti umani". Si resta senza parole nel leggere che razzismo e xenofobia aumentano a vista d’occhio anche in Italia, ma non solo. Se Roma è chiamata in causa per la durezza nei confronti degli immigrati, persino nella civilissima Confederazione elvetica, un tempo indicata come un modello di tolleranza e ospitalità, si moltiplicano gli episodi di insofferenza specie verso gli emarginati, i deboli, gli umili, che non portano "palanche" per i forzieri, ma un fardello di esistenze cui è stata tolta anche l'ultima speranza. Ovunque le violazioni piu’ gravi fanno perno attorno alla strumentalizzazione politica del razzimo messa in atto principalmente dalle destre nazional-populiste. A tale proposito, tristemente famoso in tutto il mondo è rimasto il manifesto dell'UDC svizzera con la pecora nera cacciata in malo modo. La retorica della difesa dell’identità nazionale e dalla minaccia della presenza straniera è diventata ormai il leitmotiv di molte campagne elettorali in cui prospera e vince chi fa leva sulla paura e sui sentimenti piu’ riposti dell’individuo. Che triste conclusione. Dopo sessant'anni di fallimenti il dramma del mancato rispetto dei diritti umani è un “ j’accuse” inflessibile che non ammette repliche.

BUTTERFLY.
 I meteorologi dicono che il minimo battito d’ali di una farfalla in Brasile può determinare un uragano in India. A volte pero’ le distanze si accorciano. A Montecitorio, da un parte all’altra dell’emiciclo, il Silvio IV va "sotto" per colpa del frullar d’ali degli uccelli da proteggere. Su un tema in apparenza innocuo i grandi numeri della maggioranza si volatilizzano proprio nel giorno in cui si dissolve ogni possibilità di dialogo sull’emendamento “salva Rete 4”, un provvedimento che segnava il ritorno in grande stile delle leggi ad personam. Non ci poteva essere dimostrazione migliore per esemplificare in concreto il concetto del cosidetto “butterfly effect”. Succede quando si fanno cose sbagliate, piene di forzature e contraddizioni.

giovedì 29 maggio 2008

DURA MINGA NON PUÒ DURARE

C’era una volta il dialogo?
di Renzo Balmelli
La politica italiana non finisce mai di stupire e anche adesso si dimostra all’altezza della sua fama, magari un po’ approssimativa, ma certo non priva di risvolti stuzzicanti.

La sorpresa maggiore è proprio di questi giorni. A sentire i leader del Pd usare parole di fuoco contro il governo, ad ascoltarli mentre pronunciano frasi tipo “avranno l’opposizione che si meritano”, c’è infatti da rimanere trasecolati. L’impressione è che tra maggioranza e opposizione si sia passati appunto dal dialogo al muro contro muro. Naturalmente la reale portata del repentino giro di boa resta tutta da verificare.

Sarà vera gloria? Oppure è la solita mano truccata? A qualcuno, convinto di trovarsi al cospetto dell’ennesimo escamotage magari sarà tornato in mente il famoso slogan “non dura, dura minga, non puo’ durare” che ai tempi di Carosello faceva furore nella pubblicità di un digestivo. Ovviamente era uno scherzo, un’astuzia del mestiere affidata alla bravura di Ernesto Calindri. In realtà il tormentone anziché esaurirsi durava, durava, eccome durava! E il giorno dopo andava di nuovo in onda nei siparietti serali.

Mezzo secolo dopo l’interrogativo torna in auge riferito all’idillio tra Veltroni e Berlusconi; idillio che varie fonti danno per esaurito. Durerà, non durerà? Le scommesse sono aperte, l’esito incerto. I bookmaker della politica si avventurano in pronostici che smentiscono la loro proverbiale prudenza. Secondo loro la luna di miele tra Silvio e Walter è agli sgoccioli.

E persino nell’ovattato salotto di Vespa lo stucchevole, mieloso teatrino post-elettorale dei sorrisi e delle strette di mano incanta sempre meno. A ragion veduta, d’altronde. In effetti, non occorre essere Einstein per capire che la bonaccia artificiosa tra i due opposti schieramenti non poteva perpetuarsi come uno spot pubblicitario.

Per quanto screditata la politica non puo’ ridursi a un banale elenco di slogan rivestiti di carta stagnola. Se la dialettica tra maggioranza e opposizione decade a mero esercizio retorico, c’è il rischio tutt’altro che trascurabile di privare il paese di un serio confronto sui problemi che contano. E Dio solo sa quanto sia necessario misurarsi senza infingimenti con la realtà che ci circonda. A maggior ragione con questa maggioranza che non nasconde di avere del potere una concezione a dir poco singolare.

Nella destra resiste infatti la convinzione che vincere significhi prima comandare, poi governare. L’esempio più flagrante è fornito dal nuovo sindaco di Roma. Con una palese distorsione della storia, Alemanno è deciso ad avviare le pratiche per intitolare una strada della capitale a Giorgio Almirante, il leader missino che fu uno strenuo sostenitore della Repubblica di Salo’. A quando una piazza per Mussolini ?

Con queste premesse la ritrovata verve polemica della sinistra, se dovesse consolidarsi, sarebbe effettivamente il miglior antidoto contro le insorgenti, inquietanti derive revisioniste.

E’ troppo sperare? Le disavventure elettorali, frutto di scelte avventate, consigliano di non illudersi. Ma nemmeno di abbassare definitivamente le braccia. Tranne il dialogo per le riforme, che resta aperto, sugli altri grandi temi dell’agenda politica (clandestini, Rete4, impoverimento della società, riordino della RAI) ormai emergono divergenze tra Pd e Pdl che non consentono ne patteggiamenti, ne compromessi. Altrimenti si cade nell’imbroglio.

Nella sfida sulle idee e sui programmi la sinistra, muovendo da un retroterra storico, culturale e politico di ben altro spessore, ha il dovere di smarcarsi dall’abbraccio soffocante degli inciuci di marca berlusconiana. E farlo subito, senza esitazioni. Con
altre strategie , all’occorrenza con altri uomini. E’ quanto i suoi elettori aspettano di sentirsi dire. Bisognerà comunque avere ancora un po’ di pazienza e attendere altri segnali per verificare se sul fronte dell’opposizione sia davvero in atto una riflessione critica sul recente passato. Per verificare se sia davvero tornata la voglia, la passione di dire e fare qualcosa di sinistra. Autenticamente di sinistra.

“Non puo’ durare” -- cantava Calindri -- "Dura minga". E concludeva: "Oggigiorno tutto è una lusinga”. Proprio come a casa di Silvio IV.

venerdì 23 maggio 2008

Ma mi raccomando, niente saluti romani

di Renzo Balmelli
VERGOGNA
Quando si parla di rom e immigrazione c'è chi riesce a dare il peggio di se stesso. L’europarlamentare Luca Romagnoli (destra dell'estrema destra) si è segnalato a Strasburgo - leggiamo su La Stampa - con due proposte che non si vorrebbero mai sentire: 1. introduzione del controllo del dna sui bambini nomadi (per poterli identificare come animali da allevamento); 2. creazione di uno stato rom in qualche parte dell'Europa centrale, così stanno bene loro e stiamo bene noi.

Una vergogna. Secoli di democrazia e diritti buttati nel gabinetto. Gli ha risposto per le rime Claudio Fava. Una vecchia proposta per nulla originale, ha detto. L'aveva già fatta Goebbles nella Germania nazista. Sappiamo com’è andata a finire.

Ci tranquillizza Francesco Storace. Per le commemorazioni di Giorgio Almirante non si farà il saluto romano in chiesa. Non ancora!

NEMMENO una macchina usata
C’erano fiori sulla strada di Berlusconi ieri a Napoli. Ma era un’immagine trompe l’oeil, una finta, un equivoco per salvare le apparenze. Bastava girare l’angolo, come hanno fatto i giornalisti che hanno il coraggio di raccontare i fatti scomodi, per scoprire il
rovescio della medaglia. E ritrovare la Napoli di sempre, la Napoli di serie B, la Napoli sepolta sotto i rifiuti, la Napoli ferita dalla criminalità organizzata.

Quindi, per favore, smettiamola con gli specchietti per le allodole, con il clima sciropposo della melassa bi-partisan, con le profferte di dialogo che in filigrana conducono esttamente laddove il premier vuole arrivare: ovvero al monologo.

Agata Christie considerava che, per ottenere una prova, occorrono almeno tre indizi. Qui ce ne sono a iosa. Nel canovaccio furbetto e insidioso del volemose bbene tornano i vizi del passato, la tentazione mai sopita della giustizia “fai da te”. Una norma inserita di soppiatto nel decreto sulla sicurezza regala nuove scappatoie al Cavaliere, sotto processo a Milano per corruzione. Quanto basta perché si torni a parlare di legge “ad personam”.

Segno dei tempi: l’anomalia è un premier sempre alle prese con le aule di tribunale. Anomalia inquietante, ma a quanto pare non piu’ motivo di scandalo per nessuno o quasi. Nessuno o quasi si chiede quanto ci si possa fidare di uno che prima tende la mano e poi pensa agli affari suoi? E viceversa. Negli Stati Uniti, secondo un vecchio detto, non gli compreresti nemmeno una macchina usata.

PENTIMENTO
A destra s’odono squilli di trombe e tromboni. A sinistra tace persino il piffero. La via solitaria del Pd ha dato esiti pessimi dai quali non sarà facile riaversi. Tra le ombre del suo governo che non c’è Veltroni , forse tardivamente pentito, intende verificare adesso le condizioni per un nuovo soggetto politico aperto a tutte le forze di sinistra disponibili. Per sommi capi, un nuovo centrosinistra. A questo punto sorge una domanda, una sola. Questa: non poteva pensarci prima?

mercoledì 21 maggio 2008

La verità sull'Eldorado

La verità sull'Eldorado è, in breve, quella che diceva Max Frisch qualche tempo fa: "Aspettavamo braccia. E giunsero uomini".

di Renzo Balmelli

VERITA’.
In politica è difficile stabilire se vi sia una qualche forma di verità accettabile. La materia è complessa, subdola, fuorviante. La verità fa male, come diceva una famosa canzone, la verità puo' anche far male.

Berlusconi, nel clima "nuovo" perché "senza contrapposizioni ideologiche", si è pero' fatto una sua idea della verità, avvalendosi di un simbolo quanto mai allusivo. A Palazzo Chigi il premier ha rifatto gli addobbi della sala stampa e si è cucito addosso - scusate la modestia - nientemeno che la "Verità" del Tiepolo: una Venere che viene disvelata dal Tempo e ha in mano un sole, il sole della Verità. Che pensasse a se stesso?

Attore consumato qual è, fino a due giorni fa incendiario: oggi pompiere. Da lui ci si puo' davvero aspettare di tutto. Non al punto pero' di farla sempre franca. Il cambio di tapezzeria da solo non basta per consegnare al paese la verità come l’aveva immaginata il Tiepolo, perennemente fresca e giovane.

ELDORADO.
Nel libro "Eldorado", vero e proprio evento editoriale in Francia, lo scrittore Laurent Gaudé compie un’operazione di grande spessore morale oltre che letterario.

Attraverso il racconto prova (e ci riesce) a dare un volto e un’anima agli emigrati che, nei media, formano una marea indistinta. Nella grande famiglia umana l'uomo ritrova il suo posto. Protagonista del romanzo è il comandante di una motovedetta italiana che ha il compito di sorvegliare le coste al largo della Sicilia dove avvengono gli sbarchi dei clandestini.

Un giorno l’ufficiale travolto dal dubbio, dal disgusto e dalla compassione cambia vita, si cala nei panni dell’immigrato e decide di intraprendere il suo "viaggio al termine della notte". Sarà un’esperienza sconvolgente, tra odio, violenza e rari sprazzi di amore, speranza e fede nell’umanità.

La metafora si adatta perfettamente all’Italia di oggi, l’Italia post-elettorale, dove la caccia ai rom scatenata in tutto il paese, unita agli insani propositi di ricacciare in mare i boat-people, sta cominciando a suscitare solo qualche disagio parlamentare, ma non ancora la necessaria rivolta morale.

Con l’alibi della volontà popolare, per i politici è facile sdraiarsi sull’opinione pubblica, soprattutto quando i sondaggi dicono che tre italiani su quattro condividono la linea dura del governo.

Sta insomma avverandosi quanto si temeva con l’avvento al governo di forze politiche che in nome della sicurezza hanno cavalcato senza pudori paure e istinti riposti. Il tumulto delle emozioni travolge la cultura della convivenza civile e crea un clima di intolleranza generalizzata.

Non si fa nessuna distinzione tra il dramma di chi non certo per libera scelta affida la propria vita alle carrette del mare , e la delinquenza di determinati soggetti. Dietro i clandestini c’è la grande criminalità, ci sono gli affari di chi li manda, ci sono complicità inconfessabili che portano sofferenze e morte.

Tra le fila della maggioranza al governo qualcuno, indifferente al degrado dei costumi, ha ironizzato sul “buonismo” di sinistra , quasi che avere una vocazione umanitaria fosse una colpa.

“Al contrario" - scrive Gad Lerner su Repubblica – "dobbiamo sperare in una reazione civile agli avvenimenti di questi giorni, prima che i guasti diventino irrimediabili”.

L’ opposizione ora sa cosa occorre fare per porre un argine alle eventuali derive xenofobe di cui già Max Frisch paventava le terribili ricadute quando pubblico’ il suo celebre proclama: aspettavamo braccia, e giunsero uomini.

martedì 13 maggio 2008

SILVIO QUARTO SUL TRAMPOLINO PER IL COLLE

di Renzo Balmelli

Quando prendeva carta e matita, Norberto Bobbio di sconti non ne faceva a nessuno e senza peli sulla lingua, come suo costume, non esitava a scrivere che “Berlusconi, come il tiranno classico, ritiene che per lui sia lecito quello che i comuni mortali sognano”. Sono passati alcuni anni, eppure il giudizio calza alla perfezione, oggi come ieri. Silvio IV in effetti altro non è che la replica esatta del ritratto che ne faceva tempo fa il filosofo torinese: un governo “dell’uomo solo al comando” concepito a immagine e somiglianza del capo. In quest’ordine di idee, l’esecutivo del Cavaliere si configura come il combinato disposto di una schiera di solerti gregari, chi piu’ tosto, chi meno, per i quali non esiste comunque alternativa se non quella di assecondare il primato del leader.

Il reuccio di Arcore, evidentemente, ha capito la lezione allontanando i promotori del “terrorismo interno” che finirono col logorare la sua coalizione in un negoziato permanente, ricco di conflitti e poverissimo di risultati. A questo punto sorge una domanda. E' mai possibile che al quarto tentativo d’un colpo tutto sia cambiato? E' veritiera l'immagine del Pdl saldato dal “vogliamoci bene” attorno alla paterna figura del capo saggio e illuminato? Francamente, osiamo dubitarne. Affidiamoci piuttosto alla buona regola e diffidiamo dalle apparenze, che spesso ingannano. La sfilza di “avv.”, “prof.” e “dott.” con la quale Berlusconi ha indorato il blasone della lista dei ministri non è automaticamente sinonimo di coesione e armonia. La luna di miele post-elettorale con Lega e AN che, da quanto traspare, si sono piegate piu’ nolenti che volenti all’ansia decisionale del premier, potrebbe presto non bastare più, quando i primi nodi varranno al pettine, quando Palazzo Chigi dovrà inevitabilmente gestire un problema di consenso reale dentro il Paese, quando il braccio di ferro sul federalismo tornerà a innescare potenziali motivi di dissenso.

Comunque sia, la vera sfida dei primi cento giorni, la sfida che va a incominciare riguarda l’opinione pubblica. La portata del successo e le difficoltà in cui versa la sinistra offrono in teoria margini di manovra quasi illimitati a Berlusconi. Ma la vittoria, ancorché cospicua, non è garanzia assoluta di riuscita. Anzi, ci sono segnali che dovrebbero dare da pensare al nuovo inquilino della stanza dei bottoni. Gli stessi elettori che hanno decretato il trionfo della destra, si sono fatti stranamente guardinghi e già dalle prime verifiche sembrano avere assunto un atteggiamento critico, per nulla disposti a concedere alibi di sorta al governo che il Cavaliere ha plasmato con le sue mani. Questo diffuso orientamento emerge dai sondaggi online delle maggiori testate, sondaggi che ovviamente non hanno un valore scientifico, ma rappresentano comunque un dato da non sottovalutare. La radiografia che ne risulta rivela che la nuova squadra di governo, così com’è composta, piace poco, quando non si colloca addirittura sotto la sufficienza nel gradimento dei lettori.

Solo un paio di ministri passa l’esame. Il risultato negativo più clamoroso è di Sandro Bondi, elevato al rango di improbabile titolare della cultura, che rimedia una bocciatura superiore all’80%. Probabilmente un errore di comunicazione. Il premier forse non intendeva ministro della cultura, bensì del culto. Ministro del culto di Berlusconi. In effetti, Bondi ne è il solerte sacerdote officiante. Lui e altri ministri di basso profilo come lui sono proprio il tipico esempio di quei collaboratori remissivi di cui il Cav. ama circondarsi: gente di retroguardia, incaricata di fornire al Capo le munizioni atte a compiere un percorso di guerra col quale, a 72 anni, gli riesca finalmente di passare alla storia da statista repubblicano, puntando dritto al Quirinale: la sua "magnifica ossessione".

Questo governo, così piatto, per l'Italia può anche non servire granché. Anzi, come i precedenti esecutivi in salsa berlusconiana sarà fonte di molte delusioni. Ma per il Cavaliere sembra il perfetto trampolino di lancio, costruito proprio con quell'unico scopo: il grande salto verso il Colle. Con uno sfoggio di spavalderia che la dice lunga sul personaggio, Berlusconi ha detto “di voler riprendere il lavoro dopo due anni di interruzione”, nella certezza, dopo la sconfitta di Veltroni, di non incontrare ostacoli.

Nell'ottica del Cavaliere il governo di Prodi era un incidente di percorso, anche se in realtà nel confronto diretto con il Professore è sempre stato battuto. Ora Prodi è uscito di scena. Il Pd litiga sul governo ombra. Tre milioni di militanti di sinistra non hanno più voce in parlamento. E il popolo della sinistra, frastornato, anziché proporsi come seria alternativa a colui che quando era all’opposizione rifiutò sdegnosamente di dialogare con la maggioranza, è totalmente in balia dei marosi. In queste condizioni appare chi potrà fermare il premier nella scalata finale al suo personalissimo sogno di potere? Eppure una via d’uscita ci sarebbe.

Se la sinistra per prima cosa almeno una ne capisse, se cominciasse a rendersi conto, invece di pensare a improbabili accordi, che la destra dai contorni ambigui con la quale si trova ora confrontata non è soltanto un incidente di percorso bensì un incidente della storia, sarebbe già un passo avanti: sarebbe un piccolo ma significativo progresso per rendere la pariglia e ritrovare il coraggio, l’unità, l’identità perduta.

E’ difficile, conveniamone, ma dopotutto non sta scritto da nessuna parte che la stella di Berlusconi sia intramontabile anche se lui appare ormai convinto di essere il Padreterno.


venerdì 9 maggio 2008

Ritorno del Cav

di Renzo Balmelli

SANTO SUBITO.
Berlusconi freme d’impazienza. Se in tempi brevi non saprà coronare le sue ambizioni di uomo del destino, dovrà cedere il primato a Vladimir Putin che pur essendo sceso in campo dopo di lui è già riuscito a realizzare il suo sogno di onnipotenza. Il nuovo zar di Mosca, ancorché grato della teatrale ospitalità ricevuta in Sardegna, non ci ha pensato infatti due volte a bagnare il naso all’amico Silvio, concentrando su di se tutti i poteri che contano.

Nel cambio da Presidente a capo del governo, Putin sarà un premier ben diverso dai
grigi funzionari ai quali lui stesso aveva fatto ricorso. Dal Cremlino alla “Casa bianca”, residenza del primo ministro russo, con lui traslocano le principali leve di controllo del paese.

In sostanza dunque, con buona pace della democrazia, non cambierà nulla. E Putin continuerà ad essere l’uomo forte della Russia: anzi, ancora piu’ forte , in quanto autodotatosi di mezzi decisionali che relegano in secondo piano il ruolo del suo successore. Ormai per avere la meglio il Cavaliere dovrà darsi molto da fare, provare a puntare al Quirinale tenendo un piede a Palazzo Chigi, e infine calare l’asso: santo subito!

martedì 6 maggio 2008

ROMA PIANGE E LONDRA ANCHE

Inconsistente la creatura veltroniana e pallido il laburismo tatcheriano lasciato in eredità da Blair. Dov'è finito il socialismo nella sua versione originale e vincente?

IDENTITA'. - Se Roma piange, Londra non ride. Nell’ottica di sinistra quando si perdono due centri culturali di tale prestigio, le capitali in cui l’Italia e l’Inghilterra incontrano il mondo, la sconfitta non è soltanto elettorale, ma ha ramificazioni psicologiche che rendono ancora piu’ bruciante la ferita sul piano nazionale e oltre. Niente è dunque piu' naturale, alla luce dei mortificanti risultati, che i militanti e gli attivisti dei rispettivi Paesi, pur partendo da premesse diverse, chiedano a gran voce ai loro partiti di recuperare l’identità perduta. Ma come? L’inconsistente creatura veltroniana del Pd e il pallido laburismo tatcheriano lasciato in eredità da Blair sono una tale distorsione della storia da avvalorare piu' di un dubbio sulla possibilità di ricostruire il socialismo nella sua versione originale e vincente. Anzi! Di questo passo, svendendo anche gli ultimi gioielli di famiglia, andrà a finire che la destra riuscirà a espropriare il popolo della sinistra persino del primo Maggio!

CALDEROLI. - All’estero considerano con preoccupazione il ritorno della destra al potere in Italia. Noi pure! Nel caso Calderoli, le dure esternazioni libiche rientrano pero' nel novero delle indebite invasioni di campo. Quindi è stato giusto rimandarle al mittente. Libia a parte, però, bisogna dire, fuor di metafora, che il Calderoli del 2006 è semplicemente impresentabile. Due anni fa l'esponente leghista aveva mostrato in tv la famosa maglietta con le vignette anti-Islam. Il suo era stato un gesto da bulletto di periferia, non certo da ministro della Repubblica: un gesto che aveva destato scalpore in tutto il mondo. Con quel precedente, carico di livore xenofobo, riportarlo al governo sarebbe una scelta provocatoria e irresponsabile.

DERIVA. - “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, era la radiografia di una classe politica che aveva usato il potere per accordare a se stessa favori e privilegi strabilianti, senza curarsi dell’interesse generale della popolazione. “La deriva”, l’ultimo libro dei due autori, analizza invece quali sono stati i guasti causati dal governo dei ricchi. Il quadro mostra un Paese piu’ povero, un Paese che in molti campi, dall’educazione ai servizi, dall’impresa alle infrastrutture, arranca agli ultimi posti delle graduatorie europee. Ora, poniamoci una domandina semplice, semplice: chi è stato l’uomo piu’ ricco che ha governato negli ultimi quattordici anni? Altro domandina semplice: chi è stato il maestro delle leggi ad personam? Certo, se l’Italia è in sofferenza, le responsabilità non sono da una parte sola. Ma se non si impara la lezione, nessuna maggioranza, ancorché cospicua, riuscirà ad arrestare la deriva.


lunedì 5 maggio 2008

Se l'Italia s'è destra, ma Parigi isegna che...

di Renzo Balmelli
Per dirla con una battuta ampiamente abusata: "l’Italia s’é destra” come non accadeva da tempo, tra gli schiamazzi dei saluti romani indirizzati al nuovo sindaco della capitale ed i caroselli selvaggiamente gioiosi dei tassisti. Dopo la tornata elettorale chi guarda a Roma scorge una situazione dai caratteri abbastanza preoccupanti, che ha già messo in allarme i corrispondenti esteri: Alemanno primo cittadino, Schifani al Senato, Fini a Montecitorio, Berlusconi a Palazzo Chigi formano in effetti un quartetto non molto rassicurante per l'imparzialità istituzionale, un quartetto assolutamente convinto di salire alla gloria del Pantheon, non esente di scorie post-fasciste. Manca soltanto il Quirinale, il non tanto oscuro oggetto del desiderio del Cavaliere. Ma con l'aria che tira l'assalto al Colle potrebbe diventare presto il tema caldo di aspre contese.

Sull’altro fronte la pseudo-sinistra veltroniana, che pretendeva di presentarsi nuova di zecca, deve rassegnarsi a prendere atto della mappa elettorale ridisegnata dai cittadini, cosi' diversa da come l'aveva immaginata. E’ come se il gruppo dirigente si risvegliasse da un lungo sonno e scoprisse di trovarsi in un mondo alieno che non ha assecondato le sue convinzioni. E c’è un retrogusto invero poco appetitoso nell’avanzata in forze di questa destra “pigliatutto” che si accinge a occupare i gangli vitali del Paese gustandosi la ciliegina della scalata al ridotto capitolino. Prigioniero dei propri abbagli, il Pd, come la zattera di Gericault sballottata nel mare in tempesta della storia, si ritrova svuotato di energie, palesemente incapace di frenare il carroccio dei vincitori. L’ascesa al Campidoglio di un ex missino mai pentito e croce celtica al collo è stata l’ultima goccia dell’amaro calice, a conclusione annunciata di scelte strategiche solitarie che hanno portato dritto dritto al disastro.

La grande famiglia della sinistra, famiglia litigiosa, certo, ma cosi' piena di vita, la sinistra che fino a ieri era un punto di riferimento culturale oltre che politico per milioni di italiani, con le elezioni ha perso non soltanto consensi, ma anche l’anima , consegnando le chiavi del paese alla destra un po' becera, refrattaria al 25 aprile ed ai valori della Resistenza, i pilastri sui cui poggia l'Italia democratica. La nuova formazione ha pagato la mancanza di chiarezza, l'equivoco ideologico che a lungo
andare ha disorientato gli elettori , spingendoli nelle braccia della Lega e degli Alemanno di turno. In tempi grami la demagogia populista, imbottita con slogan di facile suggestione, ha un potere d'attrazione micidiale. Sarà lunga la ricostruzione, lunga e dolorosa. Mentre Veltroni , reso piu’ fragile dalla batosta, si prepara ad affrontare il cammino in salita del Partito democratico, la destra si attrezza per la stanza dei bottoni. Il programma è noto. Ci sono processi da blindare, i test psichiatrici per i magistrati che non si genuflettono, l’occupazione della RAI, gli editti per i giornalisti e i conduttori sgraditi, e altre varie amenità.

Essendo ancora imputato a Milano per falso in bilancio il Cavaliere si occuperà anzitutto delle sue vicende giudiziarie. Se ne avrà il tempo andrà magari da Vespa per ridisegnare il Paese . Ma sarà una sceneggiata. Il problema non è piu’ soltanto l’eredità governativa di Romano Prodi, che comunque non era neppure cosi’ male. Il Professore, né miliardario né un seduttore, è stato l’unico a battere due volte il reuccio di Arcore sventandone le boutade, togliendogli qualcosa di vagamente simile al ruolo dello statista, correggendogli i conti e mandandolo su tutte le furie. Le personalità come Prodi - osserva Giorgio Bocca - fanno uscire pazzi di rabbia quelli che di ogni incarico pubblico fanno un affare privato. Eppure sulla storia dell'ormai ex Presidente del consiglio peserà piu' del resto il brutto ricordo del "fuoco amico", micidiale come quello americano in Iraq. Uno dei tanti misteri dei palazzi romani.

Conosciamo i vizi e le assurdità dell’Italia, capace di rieleggere per la terza volta una classe dirigente che nelle precedenti occasioni ha dimostrato tutta la sua inefficacia. Dovrà cominciare presto a pentirsene? In Francia nel giro di un anno la stella di Sarkozy è impallidita come nessuno avrebbe immaginato. La prova provata che in politica non si vive di gossip, operette ed inganni. Certo, nelle condizioni in cui versa la sinistra italiana la sfida è ardua, al limite dell’impossibile, ma non al punto di rassegnarsi alla sconfitta definitiva e alla disperazione. Parigi docet!