lunedì 29 febbraio 2016

Un lumino in fondo al tunnel

di Renzo Balmelli 

 

INTESA. Pur plaudendo all'iniziativa russo-americana che accende un lumino in fondo al tunnel del dramma siriano, non si può fare a meno di chiedersi: perché solo ora? Quanto ci voleva ad agire prima, se dopo tanti balletti diplomatici è bastata una telefonata tra Obama e Putin per spianare la strada all'intesa sulla cessazione delle ostilità. Vengono i sudori freddi all'idea delle morti assurde che si potevano evitare se la peggiore tragedia umanitaria del secolo fosse stata affrontata con maggiore determinazione. Un giorno forse si alzeranno i veli sul groviglio di brutture e di inconfessabili lotte di potere che hanno sconvolto la vita della regione. E non è che sia finita, tutt'altro. Il presidente Assad, senza nemmeno aspettare che l'inchiostro dell'accordo si sia asciugato, ha avuto il cattivo gusto di indire le elezioni per il 13 aprile come se il Paese non fosse coinvolto in una guerra sanguinosa da quasi cinque anni. Chissà perché?

 

BREXIT. E' facile immaginare con quanta esultanza gli eurofobici avrebbero accolto la fine dell'UE dopo la logorante maratona sul destino della Gran Bretagna. Invece non è andata come da loro ardentemente auspicato e così la galassia del populismo dovrà pazientare fino al referendum del 23 giugno, quando i sudditi di Sua Maestà decideranno se restare nella casa comune, a condizioni fatte su misura, oppure se rintanarsi nell'atavico, splendido isolamento. Con il così detto "Brexit" che spacca il Regno Unito, l' Unione di 27 Stati affronta quella che senza esagerare può essere definita la sfida più importante, se non decisiva, della sua storia , mentre sull'altro fronte dilaga l'esercito dei becchini pronti ad affossare l'ideale concepito dai padri fondatori. Nelle sue varie fasi la Comunità ha dimostrato di avere sette vite, ma ora serve uno sforzo davvero grande per evitare che l' Europa finisca mestamente con l'avere un passato davanti a se.

 

NOBEL. Siamo un popolo di navigatori, forse un po' meno di Santi. Di rado per libera scelta , molto spesso per necessità, sono milioni le persone che hanno solcato gli oceani alla ricerca di un mondo migliore o per sfuggire dalle dittature. Ora che il problema è causa di forti tensioni e di stress per i governi dell'area Schengen, l'Orso d'oro del Festival di Berlino al documentario "Fuocoammare" dell'italiano Gianfranco Rosi è un invito a riflettere sui migranti, sui loro drammi in quel mare che si è preso la vita di migliaia di uomini, donne e bambini indifesi. Di fronte a un fenomeno sempre più malamente tollerato, lo sguardo del regista ripercorre l'odissea di chi non è mai giunto al termine del viaggio della speranza e si sofferma sulla straordinaria gente di Lampedusa che ha aperto il cuore a chi arriva e ogni giorno si prodiga per asciugarne le lacrime. Più di tanti proclami sono questi i gesti che davvero contano per dare un senso concreto alla solidarietà e alla costruzione della pace ; gesti da onorare con il Nobel alla faccia di chi sigilla le frontiere. 


DINASTIE. Dopo il leggendario "Boston Tea Party", la battaglia del tè, dal dna della politica "made in USA" sono scomparsi re, principi e nobili. Non sono invece spariti del tutto alcuni retaggi della Vecchia Europa ravvisabili nella non infrequente successione dinastica delle massime cariche. Sarebbe potuto accadere anche quest'anno con Clinton e Jeb Bush se l'esito deludente delle primarie non avesse costretto il figlio e il fratello di due presidenti a gettare la spugna con una decisione che scrive la parola fine alla dinastia del petroliere texano. Comunque se ne potrebbe aprire un'altra qualora Hillary riuscisse nell'impresa di diventare la prima donna Presidente, occupando il posto che fu del marito. Quando l'America delle grandi innovazione assume le vaghe sembianze di una monarchia repubblicana, anche il Nuovo Mondo non sa resistere al fascino, un po' hollywoodiano, delle scelte dal sapore antico.

 

SOCIALISTA. Viste dal nostro osservatorio, le primarie americane offrono due variabili che presentano similitudini con quanto accade in Europa: una decisamente interessante, l'altra decisamente poco raccomandabile. Quella interessante è data dall'emergere di un candidato con concrete possibilità di successo come Bernie Sanders, l'arzillo senatore del Vermont che si è sempre definito socialista in una società dove la parola socialismo veniva pronunciata a bassa voce. Sanders piace perché si colloca fuori dagli schemi, perché rappresenta l'alternativa all'establishment teso a perpetuare se stesso. Ne prenda nota la litigiosa sinistra di casa. L'altra variabile, quella appunto poco raccomandabile, è rappresentata da Donald Trump, che, al pari di noti personaggi nostrani, incassa consensi e continua a vincere facendo leva sulla paura e la promessa di proteggere gli Stati Uniti dalle "invasioni barbariche" con la costruzione di altissimi muri. E potrebbe pure mantenerla.

 

COMPLOTTO? Sull'attendibilità di WikiLeaks, la fonte che ha fatto scoppiare la bomba delle intercettazioni ai danni di Berlusconi, i pareri divergono e non di poco. Essere spiati, attività che fa concorrenza al mestiere più vecchio del mondo, non piace a nessuno. E' una ingerenza intollerabile nella sfera sia pubblica, sia privata, talmente antica da essere già menzionata nell'Odissea. Quanto ai sistemi invero poco ortodossi usati dalla NSA, l'Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, più di una volta Washington ha dovuto correre ai ripari per non incrinare le relazioni con gli alleati, cosa che potrebbe ripetersi ora con Roma. Ma da qui al teorema avanzato dall'opposizione di un complotto ordito con la complicità della sinistra, ce ne corre parecchio. Il caso c'è, ma considerando l'origine della notizia va trattato con cautela, opportune verifiche e senza spararle grosse prima di formulare ipotesi fanta-complottiste che si sono molto amplificate grazie anche ai nuovi media. 

 

EREDITÀ. La "Nave di Teseo" della letteratura saluta il suo capitano salpato verso altri lidi. Ammirato, certo, ma non da tutti, Umberto Eco consegna un ricco patrimonio alla storia delle idee che i suoi eredi stanno già sottoponendo ad accurate analisi critiche ed esegetiche. Sul piano letterario e civile, l'autore scomparso a 84 anni , si colloca tra i maître à penser della sua generazione sia per l'impegno "politico", sia per l'instancabile apostolato teso a fare della lettura una stimolante avventura dell'intelletto, una medicina per vivere meglio e più a lungo "Chi non legge – soleva dire – a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni. C'era quando Renzo sposò Lucia. Quando Leopardi ammirava l'Infinito. Perché la lettura è una immortalità all'indietro". Sfogliare libri, appassionarsi alle storie, mobilitare lo spirito era il suo modo di affrancare l'Italia dall'appiattimento del bunga-bunga, di fare Resistenza morale come lo è stata Libertà e Giustizia l'associazione creata a Milano che suggerisce non casuali assonanze con Giustizia e Libertà, movimento di esuli antifascisti prima e poi di partigiani resistenti cui questa testata fu tra le prime a dare voce. Con la vanità dello scrittore Eco sosteneva di non amare " Il nome della rosa", ma fu proprio da li, dalle ardite e anche controverse invenzioni filosofico- romanzesche di quel libro che iniziò il viaggio di milioni di lettori nei sorprendenti territori del sapere mai esplorati prima.

 

lunedì 22 febbraio 2016

Infanzia rubata - E bruciata

di Renzo Balmelli 

SCHIAVI. Ogni anno il 12 febbraio si celebra la Giornata inter­na­zionale contro lo sfruttamento dei bambini soldato. L'impegno è lode­vole anche se talvolta scivola via un po' troppo in sordina per una ma­ni­festazione che considerando l'estrema gravità del fenomeno me­ri­te­rebbe un maggiore risalto mediatico. Difatti nonostante la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la ricorrenza è funestata dai drammatici dati sui casi di minorenni assol­da­ti da eserciti regolari o irregolari e da individui privi di scrupoli che ne fanno oggetto di un turpe mercato di esseri umani. Centinaia di mi­glia­ia di ragazzine e ragazzini strappati alle loro famiglie e impiegati come soldati, schiave sessuali, stuprate o adibiti a lavori faticosi, se sfug­gono alla morte subiscono traumi dai quali non si riprenderanno mai per tutta la vita. La piaga infernale dall'infanzia rubata e bruciata è in aumento in tanti Paesi africani ma anche in alcuni dell'Asia e del Sud­­america malgrado gli strumenti a disposizione del Diritto interna­zio­nale di cui i responsabili di violenze inenarrabili ridono senza ritegno.

ASTUZIA. Quanto sono insistenti i seguaci di Schwarzenbach, il politico di Zurigo che detestava i "Gastarbeiter" meridionali. Insistenti nel rovistare tra gli istinti più riposti per ricavarne vantaggi elettorali. In vista del prossimo affondo hanno nel mirino il referendum per l'espulsione dei criminali stranieri, problema serio di per sé già rego­la­to da leggi severissime, che però nelle loro mani diventa una poten­tis­si­ma "arma di distrazione di massa". Con diabolica astuzia gli strateghi del fronte populista elvetico hanno partorito un mostriciattolo giuridico di facile suggestione che non serve a nulla tranne che ad alimentare la cul­tura del sospetto. Intuendo la pericolosità del testo che antepone la giu­stizia punitiva a quella giusta in barba ai Diritti umani, Parlamento, go­verno e ampi settori della società civile vi si oppongono con fer­mezza. Ma in un clima continentale sempre più brutalmente xenofobo e contagioso, la partita per il NO si fa ostica. Sotto l'occhio dell'Europa e il tifo della vociante galassia "lepenista", si vota a fine febbraio di un anno bisesto che nella tradizione popolare fa rima con funesto.

RICORDO. Verissimo e inconfutabile: l'emigrazione italiana nella Confederazione elvetica è una storia di successo; un successo però non regalato, ma conquistato a caro prezzo. Nel corso degli anni, dalla tragedia di Mattamark a molte altre rimaste impunite, tante sono le pagine di una grandiosa vicenda umana scritte con l'inchiostro del dolore. Lungo è l'elenco degli emigranti restituiti alle famiglie in una cassa di legno tra mortificanti lungaggini burocratiche per vedere riconosciuti i propri diritti. Col passare del tempo gli anniversari provvedono a fare in modo che su quei drammi non cada la patina dell'oblio. Mezzo secolo fa la località di Robiei, nel cantone Ticino, fu teatro di una delle peggiori disgrazie che abbia colpito i cantieri di montagna. Nella galleria della diga rimasero imprigionate 17 persone, due pompieri svizzeri e 15 lavoratori italiani, asfissiati dalla mancanza di ossigeno. Non fu la fatalità, ma l'avere scordato che si aspettavano braccia ed erano arrivati uomini. I loro nomi scolpiti sulla lapide ricordano ai posteri il sacrificio dei caduti sul lavoro che hanno contribuito in modo esemplare a costruire il benessere del Paese.

TELEFONO. E' già stata definita la " telefonata della guerra fredda", ossia più formale che sostanziale, quella intercorsa tra Putin e Obama per rendere meno cupo il futuro della Siria. Nell'ottica diplomatica, il brusco ritorno alla terminologia del passato già evocata dal premier russo Dimitri Medvedev, in effetti non promette nulla di buono se non nuovi i temporali. La Russia a Damasco c'è e fa sapere di volere restarci, mentre le relazioni tra Washington e Mosca rimangono imbrigliate dalle divergenze di fondo sulle modalità per arrivare al cessate il fuoco. Intanto la diplomazia balbetta, limitandosi ad applicare un cerotto del tutto inadatto a cicatrizzare la spaventosa ferita che in quella regione ha innescato la più grave tragedia umanitaria del secolo. Ad Aleppo, splendida città distrutta e senza vita, migliaia di persone fuggono dalle bombe di origine sospetta, dalle armi stupide che fanno strage di civili e aggravano le sofferenze della popolazione anziché debellare il terrorismo.

PACE. Se non fosse irriverente verrebbe da dire: non è mai troppo tar­di. Agli occhi del profano tuttavia non risulta facile capire come mai due Chiese importanti come quella cattolica e ortodossa che affidano la loro missione alla riconciliazione tra i popoli, abbiano deciso soltanto oggi di andare oltre un millennio di incomprensioni e divisioni per tro­va­re un comune terreno d'intesa sulle calamità che sconvolgono il mon­do. Mille anni non sono una bazzecola. Stando alla prima im­pres­sio­ne, pare vi sia un senso di urgenza dettato dalla gravità della si­tua­zio­ne nel vertice cubano di Papa Francesco e del Patriarca Kirill, fi­nal­men­te non più ingabbiato negli antichi dogmi. Superati gli steccati, ciò che più conta ora è l'esortazione a non lasciare cadere il tavolo ne­go­zia­le per porre fine al dramma che si sta consumando in Medio Orien­te. Per dare un senso compiuto al messaggio dell'Avana, capitale che do­po la caduta dell'embargo è sempre più crocevia di storiche ini­zia­tive, è però indispensabile che il processo avviato in questi giorni dia ri­sposte all'odissea di tutti, dei cristiani e dei fedeli di altre religioni, an­ch'essi vittime del caos e dei soprusi. Prima appunto che sia troppo tardi. 

 ATTACCO. A dieci mesi dalle presidenziali, la destra repubblicana sta rendendo impossibile la vita a Obama scatenandogli addosso il fuoco incrociato del livore. Tutta la bile accumulata nei due mandati ormai prossimi alla fine di colui che i suoi rivali considerano "l'intruso di colore nella Stanza ovale", ora travolge gli argini senza nessun riguardo per la dignità della funzione. La parola d'ordine nel giro di Trump consiste nel negare al Presidente le sue prerogative con metodi che vengono considerati un attacco senza precedenti se non addirittura un oltraggio all'esecutivo. L'ennesima sfida ruota attorno al braccio di ferro per l'eredità di Antonin Scalia, il giudice italo-americano scomparso a 79 anni, che da ultra conservatore ha favorito tra l'altro la nascita di movimenti radicali come il Tea Party. Dall'esito del confronto politico-istituzionale che Obama è determinato a condurre senza farsi imporre umilianti diktat, forse capiremo meglio come sarà il volto dell'America quando avrà scelto il nuovo inquilino della Casa Bianca.

ANALOGIE. Per uno strano, ma non casuale concorso di circostanze, la bufera che ha investito la sanità lombarda riporta alla memoria le vicende legate agli anni di Tangentopoli. Anche Mani pulite ebbe inizio nelle corsie del Pio Albergo Trivulzio che gestiva case di cura e ospedali per anziani il cui direttore venne colto con le mani nel sacco mentre intascava mazzette. Questa volta nel nuovo scandalo che si abbatte sulla Regione Lombardia e che ha portato a numerosi arresti eccellenti è finito in manette un alto papavero leghista che si fregiava del titolo di padre della riforma sanitaria, tuttavia senza spiegare come. Le gravissime accuse puntano il dito contro il potere politico usato come strumento per accumulare ricchezze attraverso un sistema chiamato "Spectre", un nome in codice irriverente e più che azzeccato dietro il quale scorrevano fumi di danaro illecito. Insomma come ai tempi di Tangentopoli il vizio della illegalità, carico di analogie con il passato, arriva come una mazzata che rischia di vanificare la ripresa morale e materiale avviata dal successo dell'Esposizione universale.

DISCORDIA. Solleva parecchie inquietudini in Svizzera la prospettiva invero poco rassicurante di vedere il San Gottardo trasformato in un groviera pieno di buchi in seguito alla paventata realizzazione di un altro tunnel autostradale. La sorte del progetto miliardario che fa gola a molti, è legata al referendum di fine mese sul quale pesano molte incognite, tanto da essere già chiamato il traforo della discordia. La vastità del cantiere, destinato a stravolgere gli equilibri ambientali, pone infatti serie ipoteche sulla salvaguardia del delicato eco-sistema alpino, già oggi sottoposto a carichi pesantissimi. Con quattro corsie a disposizione incombe la minaccia di creare una prateria di cemento sulla quale finiranno con lo scorrazzare mandrie di bisonti motorizzati. Uno scenario da incubo in stridente contrasto con la posta in palio se l'intento è invece quello di consegnare alle future generazioni un mondo sano, intatto, grazie a una politica dei trasporti rispettosa dell'ambiente e non solo al servizio dell'economia.

mercoledì 17 febbraio 2016

A costo di ripetersi

SPIGOLATURE 

  

Bisogna cercare di "cambiare lo stato di cose presenti", come scriveva Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato al Cairo.

 

di Renzo Balmelli 

 

INCUBO. Quando il dolore e l'indignazione si intrecciano come dopo l'ennesima strage di migranti nell'Egeo, il rischio è di non trovare più le parole giuste per stigmatizzare la crudele, intollerabile, assurda violazione dei diritti umani. A costo di ripetersi bisogna invece andare avanti e reagire senza tregua per cercare di "cambiare lo stato di cose presenti" come scriveva Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato al Cairo. Anch'egli vittima della brutale, insensata violenza di forze oscure e spietate che assistono con sguardo indifferente alla riedizione dell'olocausto consumato in presa diretta, tra bimbi annegati. barconi afflosciati, scafisti senza cuore. Che nel terzo millennio, nonostante le lezioni della storia, tante atrocità fossero ancora possibili al punto da chiedersi se ragione e sentimenti siano ormai un bene definitivamente rottamato, è qualcosa che stravolge i sogni di un mondo migliore trasformandoli in un incubo senza pace.

 

VEZZO. Ricco di una tradizione che ne fa il secondo più vecchio partito socialista e operaio del mondo (solo l'SPD tedesca venne fondata prima), allo PSOE si presenta l'opportunità di riconsegnare alla Spagna un esecutivo di sinistra. Dopo l'incolore stagione di Mariano Rajoy e del suo Partido Popular, duramente punito dalle urne, la svolta avrebbe un effetto salutare per rimodulare in senso progressista il panorama politico sia nel Paese iberico, sia in Europa dove le spinte populiste e xenofobe non promettono nulla di buono. Però c'è sempre un però. Che qui si chiama litigiosità, quella che sta dentro al partito del giovane leader socialista Pedro Sanchez incaricato di formare il governo ma che potrebbe inciampare nei veti e nelle ostilità dei suoi, un vezzo dal quale lo PSOE, simile in questo a quanto accade in seno al Pd, non riesce a guarire, rischiando di farsi male da solo e di mancare l' appuntamento con la storia.

 

QUINTE. Che si considerasse il padre della Patria se non addirittura un regalo della Provvidenza per trasformare l'Italia nel Paese delle sette meraviglie è un concetto col quale Silvio Berlusconi è riuscito, a dire il vero con grande abilità, a farsi aprire una linea di credito di cui però, come si è visto, non ha fatto l'uso migliore. Nel consuntivo dei suoi vent'anni di gloria effimera il saldo attivo è piuttosto modesto. Eppure, nonostante le batoste elettorali, giudiziarie e il suo partito ai piedi dei sondaggi, il Cavaliere si ostina ancora oggi, come ha ripetuto nel corso di una corposa intervista al Corriere del Ticino, a rivendicare per se un ruolo di primo piano nell'affrontare le sfide nazionali e internazionali. Al maggiore quotidiano svizzero di lingua italiana, il Cavaliere consegna una sorta di manifesto politico con il decalogo di quanto ancora farà per salvare l'Italia. Ma salvarla da chi e da cosa? Magari, senza volerlo, lo ha già fatto stando dietro le quinte.

 

BATTAGLIA. Risultati alla mano, nessuno dei suoi rivali potrà dire di Bernie Sanders, come andava ruminando Don Abbondio, "Carneade, chi era costui". Con la sonante seppure annunciata vittoria nella primarie del New Hampshire in cui ha surclassato Hillary Clinton, il senatore socialista del Vermont si attesta come una figura di primo piano, capace di interpretare meglio degli altri la voglia di cambiamento specie tra i giovani e di declinare su un registro più equo e solidale l'aspirazione verso il sogno americano. Si è trattato con ogni evidenza di un voto anti sistema e questo promette una battaglia lunga e complicata per la nomination visto che l'outsider non gode dei favori dell'establishment democratico. Chiunque salirà alla Casa Bianca dovrà comunque tenere in debito conto le pulsioni espresse dall'elettorato che si affaccia ora sulla scena politica per non consegnare gli Stati Uniti alla retrograda retorica della destra repubblicana. 

 

BRAMA. Dopo la dissoluzione dell'Unione sovietica si disse che la storia aveva imparato a correre. Seppure non sempre in modo positivo, la profezia in parte si è avverata. Nessuno però avrebbe immaginato, neppure scrutando la sfera di cristallo, che la destra nostrana in preda a strane scalmane voltasse le spalle all'America, un tempo suo faro e guida, accusandola di losche manovre per imporre la propria Weltanschauung. L'America di Obama, s'intende, non quella di Trump e dei suoi compagni di merenda che in quel circolo verrebbero accolti a braccia aperte. Non siamo ancora all'impero del male rovesciato, ma poco ci manca, tanto più che ora l' oggetto del desiderio è la Russia neo zarista; la Russia di Putin che nella repressione del dissenso e nei bombardamenti indiscriminati in Siria, non può dirsi un modello di democrazia. E' la brama dell'uomo forte che torna a fare capolino incurante delle tragedie già vissute.

 

TORPORE. Andare a Zurigo senza fare un salto al Cabaret Voltaire sarebbe come sprecare un'occasione per rivivere l'atmosfera che vi regnava cento anni fa, quando nel famoso locale nacque la corrente artistica e letteraria del Dadaismo. Come nel film "Midnight in Paris" in cui il personaggio creato da Woody Allen si innamora di un sogno incontrando i suoi autori preferiti, la stessa cosa potrebbe succedere lungo la Spiegelgasse, nel cuore del centro storico zurighese, entrando nel locale che fu la culla del movimento di rottura con le convenzioni imperanti. Una boccata d'aria fresca che proponeva nuovi percorsi nell'universo estetico e creativo mentre l'Europa era dilaniata dal conflitto mondiale. Tra magia e ironia si potrà assaporare l'onda lunga del Dadaismo immaginando di essere a tu per tu con i suoi impetuosi personaggi e con loro immergersi nel mondo sfavillante, stravagante, irriverente ,rivoluzionario e libero da costrizioni capace di accendere le più audaci fantasie. Quel mondo che un secolo dopo potrebbe risvegliarci dal torpore .

 

VETRINA. Sessantasei edizioni fa, rigorosamente in bianco e nero e con la rima obbligata "amore e cuore" per non offendere il comune senso del pudore, non occorreva blindare la perla della Riviera per assistere al Festival di San Remo. Tra pizzi, merletti e bianche colombe la vetrina della canzone italiana era ciò che doveva essere per appagare l'immaginario collettivo: allegra, canora, melodica e controllata dai rigidi censori democristiani. Nessuno insomma avrebbe immaginato che un giorno su quel palco , mentre risuonavano le note di Elton John, incontrastata icona gay, sarebbero comparsi i nastri arcobaleno a sostegno delle unioni civili. Anche quest'anno dunque il Festival ha assunto una connotazione politica, forse ancora più marcata che in precedenza, segno di un inarrestabile cambiamento del costume che scandalizza solo i benpensanti di facciata. Tanto da far dire a qualcuno che per riformare l'Italia basta riformare l'Ariston!

 

martedì 9 febbraio 2016

Non siamo al cinema

 di Renzo Balmelli 

 

ORRORE. Quasi fosse un film dell'orrore che non smette di girare e ad ogni sequenza aggiunge strazio allo strazio, da mesi siamo confrontati con notizie e immagini che non dovrebbero lasciare dubbi sulla drammaticità, la sofferenza e la disperazione che la migrazione forzata porta con sé. Ciò che rende necessario l'uso del condizionale non è però un vezzo grammaticale bensì la consapevolezza di non stare ad assistere alla proiezione di un lungometraggio, bensì di essere davanti alla realtà dei fatti che scorrono quotidianamente davanti ai nostri occhi senza che nessuno sia mai riuscito finora a porre fine alla più grave tragedia umanitaria del terzo millennio. Insomma non siamo al cinema. Quelli che vengono mostrati sono dolori veri, morti veri; è la cronaca terrificante di guerre e massacri compiuti da uomini in doppiopetto, in uniforme e sotto bandiere di vari colori a scapito di altri uomini, di altri esseri viventi che hanno la sola colpa di esistere. E ci si chiede quale biografia potranno mai fare valere coloro che ogni giorno rinnegano la politica fondata sui valori del consenso sociale e della solidarietà.

 

FANTASMA. Sono sempre più mal visti e sempre meno tollerati, eppure, tragica ironia del destino, non v'è trattativa, non v'è negoziato dal quale sia assente il tema dei migranti. In molti casi anziché aprire il cuore alla speranza, l'argomento viene affrontato alla stregua di una merce di scambio per strappare le migliori condizioni. Si parla di quote, si fissano paletti, oppure - notizia di questi giorni - si taglia il programma sociale per gli immigrati per aggirare la mina vagante del così detto "Brexit", termine che evoca la temuta uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, alla quale Londra aveva aderito senza troppa convinzione. La sospensione del welfare sembra essere il passaggio obbligato per scacciare un fantasma che si è agitato per tanto tempo e che ancora si agiterà se i nostalgici dello splendido isolazionismo della Gran Bretagna dovessero prevalere in occasione del referendum. Con conseguenze inimmaginabili per l'UE e per chi bussa alla sua porta in cerca di protezione.

 

TRIBÙ. Nel linguaggio degli indiani d'America il termine "caucus", che nello Stato dello Iowa fa da apripista alle primarie, indicava la riunione dei capi tribù. Orbene, alla luce dei risultati che hanno smentito i sondaggi, viene da dire che quest'anno i pronostici e i riti della politica che la tribù dei candidati mette in campo per la corsa alla Casa Bianca potrebbero forse riservare svariate sorprese. Difatti nel Paese più anti-marxista dell'emisfero occidentale, dove persino i progressisti preferiscono definirsi "liberal" per evitare confusioni di genere, a emergere dal confronto è il democratico Bernard Sanders che ha il coraggio di dichiararsi socialista a tutto tondo. Una scelta di campo che quando il famigerato McCarthy terrorizzava i suoi compatrioti avrebbe stritolato l'arzillo senatore del Vermont nelle spire di un sistema becero e pedantesco. Tuttavia, malgrado le premesse, appare poco probabile che gli Stati Uniti possano virare al rosso sebbene questo primo assaggio degli umori dell'elettorato abbia portato alla ribalta parole, idee e concetti di sinistra graditi ai giovani, ma molto meno dall'establishment di Washington.

 

OSTACOLI. Ogni quattro anni lo Iowa, considerato un "over flying State", uno Stato da sorvolare senza perderci troppo tempo, richiama su di se l'attenzione del mondo per il mal di pancia che a scadenze regolari riesce a provocare agli stati maggiori dei partiti. Accadde quando le primarie in questo lembo di terra del Midwest spianarono la strada a Barack Obama fino a quel giorno poco noto al grande pubblico. Ora tocca a Trump e a Hillary Clinton, dati per super favoriti, fare i conti con gli ostacoli disseminati lungo il percorso che porta alla presidenza. Battuto lo scalmanato populista miliardario prestato alla politica, per l'ex segretaria di stato il pareggio all'esordio nelle urne è già un campanello d'allarme che aggiunge altro pepe a quel grande spettacolo che nella patria di Hollywood sono le presidenziali americane, capaci di cambiare il volto del Paese e di rianimare l'interesse dello stanco Vecchio Continente.

 

SOBRIETÀ. Quando si parla di gesti spettacolari per suscitare l'attenzione del pubblico non si troverà mai, a tale proposito, un riferimento a Sergio Mattarella, che all'infuori degli impegni ufficiali di solito è piuttosto schivo nel presentarsi sotto i riflettori. Questo tratto caratteristico del Presidente viene d'altronde sottolineato svariate volte dai corrispondenti accreditati a Roma che di lui tracciano il ritratto di un personaggio sobrio e di poche, ma misurate parole. Il quadro d'assieme che ne viene fuori è quello di un uomo di altri tempi che alla teatralità preferisce di gran lunga i gesti misurati, muovendosi come se la politica-spettacolo veicolata dalla televisione non esistesse. Agli occhi degli osservatori stranieri l'attuale inquilino del Quirinale rappresenta l'antesignano del post-berlusconismo che gli italiani stanno poco alla volta scoprendo con sentimenti di simpatia e stupore individuando nel Capo dello Stato l'autorevolezza di colui che ha la "schiena diritta", una bella metafora in antitesi alle frivolezze del "bunga-bunga". Alla destra che si danna per parlarne male, il boccone sarà rimasto in gola.

 

NOIA. Per oltre un decennio è stato il salotto privilegiato di Berlusconi su RAI1, la comoda poltrona da cui parlare al Paese praticamente indisturbato, senza che il padrone di casa osasse interromperlo con domande critiche o fuori posto. Altri tempi. A 20 anni dalla prima puntata anche "Porta a Porta", lo storico programma di Bruno Vespa, ora in seconda serata, ma che in passato era il centro della politica, non ha più lo stesso smalto dell'epoca in cui lui e Silvio formavano la coppia inossidabile del servizio pubblico, a quel punto decisamente un po' meno pubblico. Ma il troppo stroppia. Se è vero che il potere logora soltanto chi non ce l'ha, è altresì vero che ormai in seguito alla proliferazione delle reti si finisce col vedere sempre gli stessi personaggi che dicono le stesse cose a tutte le ore del giorno col rischio di annoiare e di fare calare gli ascolti per l'eccesso di presenzialismo. Una volta se non eri in tivù non eri nessuno, ora anche il Cavaliere misura le apparizioni rivendicando per se un altro ruolo, quello di "padre nobile" anche se non si sa bene di cosa.

 

lunedì 1 febbraio 2016

Quasi un'ovvietà - Per l’Europa il 2016 sarà un anno cruciale

di Renzo Balmelli 

 

SFIDE. Dire che il 2016 sarà un anno cruciale per l'UE è quasi un'ovvietà. Muovendosi lungo il delicato crinale di Schengen, in questi giorni l'Europa mette in gioco se stessa, la sua sopravvivenza, i suoi valori, il suo destino di terra votata all'accoglienza e la tolleranza. La sua fine sarebbe la fine di un sogno, la resa alle peggiori ideologie del passato, la condanna ineluttabile della convivenza e dell'incontro tra culture millenarie. In quest'epoca in cui la disumanità dell'uomo rintocca di suoni attuali, in cui il mostro tentacolare dell'Isis è come una metastasi impazzita, e in cui nemmeno il cuore sembra conoscere le ragioni che la ragione non conosce, per tutto questo e altro ancora, vincere la madre di tutte le sfide nel nome della fratellanza e e della democrazia universale resta la sola cosa che conta prima che il Vecchio Continente, vecchio non lo diventi davvero , sospinto alla deriva nel mare dell'oscurantismo.

 

SEGNALI. Fin dal giorno in cui il "Mein Kampf" è apparso in libera uscita, non sono mancate le preoccupazioni per potere valutare quanto il delirante manifesto hitleriano possa ancora infettare gli animi. Nel rileggere quelle righe a 70 anni dal suicidio del suo autore si dovrebbe supporre che soltanto qualche mentecatto abbia voglia di imitare le gesta della follia con la svastica. In giro ci sono però tanti e tali segnali veicolati in rete da canali grondanti odio razziale da indurre a tenere la guardia molto alta per sventare il rischio di incontrollabili contagi. Nonostante una prefazione accurata, il manifesto del Terzo Reich rimane comunque un testo esplosivo capace di creare morbose tentazioni. Se chiudere sotto chiave la così detta" bibbia del nazismo" significherebbe conferirle una importanza malsana, resta non di meno il fatto che Hitler e i suoi complici, Mussolini incluso, altro non furono, per dirla con Tarantino, che vili "bastardi senza gloria". Guai a dimenticarlo!

 

CONTRIBUTO. Sembra incredibile, eppure non mancano coloro che trovandosi in difficoltà perenne a confrontarsi con il passato che non passa, hanno l'ardire di contestare la Giornata della Memoria e ne mettono in dubbio l'utilità e la legittimità. Caso mai, invece, è vero proprio il contrario. Se passiamo a considerare gli inquietanti rigurgiti di antisemitismo che sotto la spinta dei gruppi neonazisti hanno un seguito sempre più vasto e aggressivo, determinando tra l'altro un massiccio esodo verso Israele, è incontestabile quanto sia necessaria la commemorazione della Shoah per contrastare una tendenza distruttiva così dura a morire. Nel contesto di un clima torbido per la tutela della civiltà, la Giornata della Memoria rimane un punto di riferimento fondamentale e un contributo alla riflessione affinché il ricordo del male assoluto non scada nella banalità, alla stregua di un trascurabile dettaglio della storia.

 

FASCINO. Quando Obama lascerà la Casa Bianca al termine del suo secondo mandato, nessuno potrà contendergli il titolo di Presidente più detestato dalla destra che non gli ha risparmiato nulla, dal " giovanotto abbronzato" di berlusconiana memoria all'irritazione per l'uomo di colore che" aveva usurpato" la supremazia bianca all'interno dell'Ufficio ovale. E' un complimento per lui, un boomerang per i campioni del livore. Tuttavia, mentre con le primarie dello Iowa si aprono le ostilità per una lunga campagna elettorale che si preannuncia incandescente, anche tra i suoi rivali cresce l'inquietudine per un improbabile, ma non del tutto impossibile cambio di passo con l'ascesa di candidati alla Trump portatori del verbo lepenista in salsa americana. In questa prospettiva non ci sarebbe da stupirsi se gli elettori cominciassero già sin d'ora a rimpiangere un leader che al contrario dei suoi detrattori ha fatto cose molto importanti, magari senza il fascino mediatico del celebre "yes we can", ma che in molti ambiti, a cominciare dalla sanità e in quello dei diritti umani, hanno riplasmato il volto dell'America. 

 

GIUSTIZIA. Nel solco della non dichiarata ma non meno micidiale terza guerra mondiale, la guerra dei padroni avidi e senza scrupoli, nulla si muove tranne il dolente corteo dei migranti e il conteggio aggiornato dei morti in mare. Ma fino a quando potremo sopportare le immagini sconvolgenti dei nostri simili condannati a sofferenze inaudite che conducono spesso a una fine atroce? Non un minuto di più. Finché verrà il giorno in cui i sopravvissuti alla strage degli innocenti chiederanno conto delle loro malefatte agli sciacalli del dolore che sulla pelle di uomini, donne e bambini giocano una partita mortale per soddisfare i loro sordidi interessi politici, economici e strategici. E non sarà che un atto di giustizia dovuto, un gesto di riparazione affinché chi scappa dai conflitti possa percorrere vie sicure, senza il timore di trovare le frontiere blindate e il muro dell'indifferenza che rischia di precipitare l'umanità nel baratro della barbarie.

 

FAMIGLIA. Con il dibattito sulle Unioni Civili, in Italia si è riaperto con toni non sempre sereni anche il confronto sulla famiglia e il suo ruolo nella società moderna. Per la verità l'argomento non è nuovo, ma lo è invece il contesto a cavallo tra due scuole di pensiero: quello che la considera un fatto antropologico e non ideologico o, all'opposto, un modello di vita da declinare diversamente rispetto alla tradizione. Già risulta difficile trovare un denominatore comune con cui definire il concetto di nucleo familiare. Di cosa stiamo parlando? Del ceto benestante che ha più case che figli oppure degli immigrati che hanno molti figli e poche stanze? Non è una differenza di poco conto, poiché da essa dipende lo sviluppo di quel Bildungsroman che è l'esistenza e la formazione dell'individuo nel mondo globalizzato, sempre più complesso

 

SCOLA. Quando il discorso cade su cinema e famiglia, il pensiero corre immediatamente a Ettore Scola, il grande regista scomparso il 19 gennaio che attorno a questo canovaccio ha costruito uno dei tanti capolavori che hanno contribuito alla sua fama di maestro nel mondo della celluloide. " La Famiglia" di Scola scandisce il trascorrere del tempo grazie a un impianto narrativo che serve a ricordarci come essa possa essere sempre diversa, ma anche sempre uguale a se stessa, protettiva, ma non estranea a quanto accade fuori dalle mura di casa. Come in tutti i film del regista , anche da questo ne esce un ritratto della società che Scola scandaglia col suo occhio di attento indagatore, rigoroso ma mai privo di quel tocco umano e pieno di comprensione che il pubblico amava e di cui sentiremo la mancanza.