giovedì 26 marzo 2009

QUE VIVA DI VITTORIO !

di Renzo Balmelli

DI VITTORIO - Puo’ darsi che la fiction della RAI su Giuseppe Di Vittorio non fosse priva di qualche ingenuità narrativa tipica di questo genere. Se pero’, al di la della controversa esegesi critica, essa è valsa almeno a restituire il diritto alla memoria al padre nobile del sindacato, forse non ha completamente fallito il suo scopo. Personalità come Di Vittorio sono diventate merce rara e il grande successo di pubblico ottenuto dallo sceneggiato conferma quanto se ne avverta il bisogno mentre la crisi peggiora ed estende le sue ricadute. Quando le condizioni si fanno difficili, il costo maggiore del disastro finisce sempre, ieri come oggi, col gravare sulle fasce piu’ deboli. All’epoca in cui Di Vittorio combatteva le sue battaglie per la dignità dei lavoratori, la destra reazionaria e latifondista non esitava a stringere alleanze con i regimi totalitari, nella speranza di uscire indenne dalla grande depressione che essa stessa aveva provocato. E niente permette di escludere che all’occorrenza sarebbe disposta a rifare la stessa cosa per salvarsi la pelle. A colpire i telespettatori, anche i piu’ smaliziati, è stato appunto il significativo passaggio in cui il regista ha fatto rivivere a mo’ di leitmotiv il “Quarto stato” di Pelizza da Volpedo che ben simboleggia la resistenza alle derive autoritarie. In questo senso la lezione di Di Vittorio ha un valore esemplare: ignorando il passato non si sa più neanche prevedere il futuro.

CAUDILLO -  Nasce il Pdl e la destra si rifà il trucco. Ma sotto il cerone i volti sono pallidi e tesi. L’irruenza “eltsiniana” con cui il Cavaliere cavo’ dal cilindro il partitone del “predellino” ha avuto l’effetto di un rullo compressore che ha spianato ogni parvenza di democrazia interna. Dice di lui Vargas Llosa al Corriere della Sera: è un caudillo moderno, definizione che non è esattamente un complimento. Forse qualcuno ancora ricorda come vide la luce il primo embrione del Pdl . Le azioni del premier a quel punto stavano per toccare il fondo, ora sono gli altri a dovere chiudere la storia inchinandosi alla velleità egemone del capo. Punzecchia Lina Sotis:" Silvio e Gianfranco, la fusione dolce. Dolce per il primo, amara per il secondo". Tempo fa, quando il suo mondo girava ancora dalla parte che lui ritiene giusta, La Russa, con il linguaggio temerario di cui è campione imbattibile, affermo’ che “ abolire la fiamma tricolore è come tagliarsi gli attributi”. Nonostante l’impeto del ministro, la virile ostentazione non è valsa a evitare il fatal declino. Il simbolo dell’epopea neo e postfascista è finito per sempre in soffitta lo stesso giorno in cui An saluta e se ne va. Che dolore per i camerati di vecchio e nuovo conio. Se cercassimo una metafora che meglio si adatta a Gianfranco Fini potrebbe venirci in soccorso l’apologo di Peter Handke sulla solitudine del portiere prima del calcio di rigore. E solo, molto solo, lo è davvero il Presidente della Camera mentre il Cavaliere batte dagli undici metri e la sua creatura si scioglie per confluire in una “liaison” col Pdl che ai suoi occhi ha ben poco di romantico. Per non essere “berlusconizzato” , l’ex leader della defunta An si accinge a entrare nel nuovo partito senza una carica che ne caratterizzi il rango e il ruolo di decano onorario della real casa di Arcore. A dire il vero, non si capisce tanto bene se si tratta di scelta consapevole o di necessitata virtù. A giudicare dalla tensione che serpeggia tra i due schieramenti sono piu’ spine che fiori d’arancio a pungere nel di’ del matrimonio. E guai a parlare di delfini. Berlusconi appare piu’ determinato che mai a tenere saldamente in pugno il Pdl, convinto che alle europee, grazie ai suoi rigori, non ci sarà partita. La destra sogna il colpo del definitivo ko per la sinistra , sotto la guida illuminata del grande timoniere Silvio I. Eppure, incredibile ma vero, a dispetto dei pronostici bulgari, la maggioranza non sembra affatto tranquilla. Per rendersene conto, bisognava vedere con quale animosità è stata fatta a pezzi la prima comparsa in tv di Prodi dopo oltre un anno. La divertita, inoffensiva ed ironica intervista concessa a Fabio Fazio è bastata per fare venire un forte mal di pancia a “ tutti gli uomini del presidente”. Il ricordo del duplice sgambetto del Professore è una ferita che continua a sanguinare. Ma c’é dell’altro. Alcuni sondaggi meno addomesticati evidenziano se non proprio un’inversione di tendenza, almeno sensibili oscillazioni nel tasso di popolarità del governo. Sotto la spinta della crisi, la comunicazione carismatica del verbo berlusconiano che finora è stata una carta vincente non funziona piu’ come prima. I messaggi subliminali della pubblicità mescolati alle cose politiche perdono la loro efficacia e il risultato si vede: dal mese di settembre, quando la squadra guidata dal Cavaliere aveva raggiunto la massima popolarità, la fiducia nella maggioranza è calata vistosamente di dieci punti. Allo stesso tempo è cambiato pure lo scenario politico complessivo che mostra qualche timido segno di recupero del principale partito di opposizione , rigenerato dalla cura Franceschini . Sul piano etico Berlusconi offre poche credenziali al paese e l’ elettorato comincia forse a intuire che la felicità “ catodica”, malgrado la rutilante coreografia, è una balla sacrosanta che non migliora la vita.

AZZERARE -  La Perestroika del duemila pesca nel glossario dell’informatica. Ora si chiama “ reset”, azzerare, verbo che Obama ha fatto suo per indicare la volontà di ridare slancio alla diplomazia planetaria, ricominciando da capo. A dispetto della crisi che assorbe la maggior parte delle sue energie, il presidente americano è seriamente intenzionato a perseguire la tabella di marcia della sua politica estera,nella consapevolezza che il “ reset” sia ormai non solo indispensabile, ma urgentissimo. La storica apertura all’Iran in occasione del “Nowruz”, il giorno nuovo, indica con chiarezza che Obama non contempla l’aggressiva retorica dei repubblicani tra le sue opzioni in campo internazionale. Anche le modalità scelte per tendere la mano agli ayatollah rappresentano una svolta rispetto alle pretese egemoniche dell’America di Bush. Il videomessaggio in lingua farsi è per certi versi la prosecuzione della diplomazia del ping-pong che segno’ un nuovo inizio nei rapporti con la Cina. Il difficile pero’ deve ancora venire. La palla è passata ora nel campo di Teheran e l’annuncio di Obama, perfetto nella scelta dei tempi, sarà conforme alle attese soltanto se gli iraniani daranno una risposta razionale, non viziata dai rancori, dalle derive integraliste e dalla propaganda orchestrata ad arte. Ufficialmente i due paesi non si parlano e l’Iran è stato inserito nelle nazioni “ dell’asse del male” per le sue inquietanti mire nucleari. Se il programma arrivasse alla bomba atomica, andrebbe inevitabilmente nella direzione peggiore. La strada comunque pare segnata. L’esortazione al “ reset” era d’altronde già stata anticipata nella famosa scatoletta con tanto di dicitura che Hillary Clinton aveva offerto al suo collega russo Sergei Lavrov al fine di recuperare il clima distensivo iniziato negli anni ottanta da Gorbaciov e Reagan. L’iniziativa coglie un punto fondamentale, perché senza un accordo con la Russia per impedire la proliferazione delle armi nucleari e senza dialogo con l’Iran è impossibile stabilizzare una regione che ribolle come un vulcano. La via della distensione passa da qui e cio’ spiega quanto sia alta la posta in palio della partita negoziale avviata dalla Casa Bianca a guida democratica.

martedì 17 marzo 2009

Regime a rischio Weimar?

 
di Renzo Balmelli

WEIMAR - Viene ricordata come una sfortunata opera incompiuta la breve eppure esaltante stagione della Repubblica di Weimar. Il perché si sia arresa al rullo compressore delle camicie brune è ancora oggi la questione maggiormente dibattuta dagli storici. Tanto più che come sottolinea Eric Weitz, uno dei massimi esperti di quel periodo, nel suo libro uscito da poco (La Germania di Weimar. Utopia e tragedia, Einaudi) non c'era alcunché di inevitabile nella marcia trionfale del nazismo. Nulla, tranne la colpevole condiscendenza delle varie gerarchie che voltarono la testa dall'altra parte in nome di interessi inconfessabili.

    Il volume di Weitz, docente all'università del Minnesota, ha il grande merito, grazie a una ricca e dotta documentazione, di cogliere la centralità della scuola weimariana nella storia delle idee del ventesimo secolo, quando la Germania era il fulcro del pensiero mondiale. Poi la luce si spense e l'eredità di quella che fu la culla della prima democrazia liberale tedesca riuscì a scampare alla morte certa cui l'aveva condannata la bacata ideologia del Terzo Reich solo grazie agli esuli che ne piantarono i semi un po' ovunque. 

    Weimar è stata simbolo del sapere fin dai tempi di Goethe e Schiller, per poi conoscere una nuova, esaltante fioritura col Bauhaus e le spinte più innovative della modernità. La sofferta esistenza di quella inesauribile fucina di creatività ci è stata tramandata non solo come eredità spirituale, ma anche come monito affinché non si scordi mai di quali follie sono capaci le dittature, di quali piaceri perversi riescono a macchiarsi i regimi totalitari per soffocare la cultura . In questo senso la lezione di Weimar rimane una pietra miliare per esortarci a tenere alta la guardia contro le prevaricazioni del potere, quelle di ieri e quelle di oggi.


REGIME - Ha fatto rumore l'editoriale di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera che butta la croce sulla "stupefacente inazione" della sinistra e di D'Alema nel bloccare Berlusconi quando verso la metà degli anni novanta esistevano le condizioni per farlo. Secondo il ficcante " j'accuse", anziché escogitare efficaci contromisure sono stati commessi sbagli colossali fino a " regalargli" l'impero tv, tutto quanto, pubblico e privato, da cui è partita la sua irresistibile ascesa. E fu lì che cominciò pure la lenta, inesorabile crisi della sinistra. L'ipotesi è destinata a riaccendere il fuoco della polemica, considerando che sulla vicenda si sono sprecate le speculazioni. Senza esito.

    Con quali subdole manovre il Cavaliere sia riuscito a impadronirsi delle reti, è uno dei tanti misteri italiani che si perdono nelle nebbie del sottobosco politico. In eredità resta l'anomalia mai risolta del colossale conflitto di interessi che impedisce di governare in modo sereno, imparziale. Il partito elettoralistico di Silvio esiste soltanto - è sempre Sartori che parla - "per vincere le elezioni e catturare il governo".

    Prova a tenergli testa quello che il politologo definisce il "partito-testimone" che si costituisce per affermare valori etico-politici di cui si vanno perdendo le tracce. Se il tempo sarà galantuomo un giorno forse tornerà a vincere. Per ora il paese deve fare i conti con le pulsioni autoritarie del Cavaliere che riemergono ciclicamente come un fiume carsico in simultanea con la classifica dei suoi redditi che Forbes stima in 6,5 miliardi di dollari. Oddio, che il Berlusconi Paperon de Paeroni nutrisse un totale disinteresse per la cultura costituzionale e il suo spirito, non si scopre oggi. Se pero' gli alleati di una certa destra post-fascista trovano " divertente e interessante" la proposta di fare votare in Parlamento soltanto i capigruppo, forse sarebbe ora di trasferire le ronde a difesa della democrazia.

    Nasce il sospetto di assistere a una prova di regime coi fiocchi e controfiocchi. Se come pare probabile il premier stravincesse le europee non avrebbe piu' rivali e potrebbe fare cose inimmaginabili per svuotare l'Aula dalle sue prerogative. Finché un giorno voterebbe soltanto lui. Nei meandri della potere è difficile vederci chiaro, ma se davvero dovesse prevalere la tesi che il parlamento dopotutto non è che una scocciatura, allora che Dio salvi l'Italia.


SEGRETO - La crisi non si ferma nemmeno davanti ai santuari un tempo inaccessibili dell'alta finanza. Attorno al segreto bancario si è verificato nell'arco di pochi giorni un "effetto domino" che ha portato vari paesi ad annunciare un allentamento progressivo di tale principio.
    Era un atto dovuto. La pressione dei governi maggiormente colpiti dalla fuga di capitali si era fatta insostenibile. Non c'era altra via d'uscita che adeguarsi all'osservanza rigorosa dei criteri OCSE in materia di frode ed evasione fiscale, senza fare distinzione tra un'infrazione e l'altra. Chi sgarra finirà sulla lista nera dei paradisi fiscali. La decisione di snellire le procedure di assistenza giudiziaria in caso di reati patrimoniali non è ancora pero' il preludio al funerale di prima classe del segreto bancario.
    All'opposto pare invece un espediente strategico per guadagnare tempo nella speranza che la bufera passi in fretta. D'altra parte, conveniamone, è difficile credere che malgrado la buona volontà un sistema avvezzo a stare in equilibrio sul crinale delle convenzioni internazionali abbia di colpo tanta voglia e tanta fretta di iniziare un percorso virtuoso da cui non ha nulla da guadagnare.
    In questo braccio di ferro dove la moralità conta meno di un soldo bucato, la posta in palio è troppo alta per rassegnarsi a uccidere la gallina dalle uova d'oro.
    La partita resta dunque aperta. Dai forzieri di Zurigo alle isolette dell'Atlantico, il segreto bancario forse non è piu' il totem intoccabile che era prima della crisi, ma rimane comunque, sintetizzato in una battuta, un servizio provvisorio, soggetto anche a mutamenti, che pero' dura nel tempo. Che dire: sembra un saggio della scuola di pensiero di gattopardesca memoria. 

lunedì 16 marzo 2009

via Crucis

Lo stupro è un'infamia

di Renzo Balmelli

8 MARZO - E' facile oltre che immorale mendicare voti facendo leva sulla paura. Quando il discorso cade sugli stupri si invocano castrazione chimica e chirurgica, ma solo se il carnefice è straniero. E gli applausi scrosciano. A questo volgare giochetto non si è pero' prestato il presidente Napolitano che in occasione dell'8 marzo, giornata della donna, ha voluto ribadire con la massima fermezza, dopo un anno segnato da troppe barbarie, un paio di concetti fondamentali. Lo stupro è un'infamia e la nazionalità non conta, non è una circostanza attenuante. Gli indici del Viminale evidenziano d'altronde che la responsabilità delle aggressioni chiama in causa sia gli italiani che gli immigrati, ancorché il numero dei reati attribuibili a quest'ultimi tenda purtroppo a crescere. Il Capo dello Stato ha pero' mandato un messaggio inequivocabile. Sotto ogni bandiera, lo stupro rimane un gesto mostruoso che lascia nel corpo e nell'anima di chi subisce la violenza ( in nove casi su dieci si tratta di donne) il ricordo incancellabile di sofferenze indicibili e ferite che non guariranno mai. E altrettanto mostruoso è il comportamento di chi se ne avvale per bieche strumentalizzazioni elettorali. 

PAROLE E NUMERI - Originalità, coraggio, sincera ammissione dei propri errori. Nulla di tutto cio'. Se qualcuno si aspettava che i responsabili della crisi dessero prova di immaginazione per uscire dal pantano in cui si sono cacciati, ha dovuto amaramente ricredersi. L’anno è iniziato male, peggio di come si fosse concluso l’annus horribilis dell’economia mondiale. E non sappiamo quali altre brutte notizie sono in gestazione. Quanto alla politica, che secondo Paul Valery è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di cio’ che la riguarda, mai come in questo frangente è parsa tanto impacciata di fronte alla vastità del terremoto che travolge certezze e patrimoni. Oddio, qualcuno che prova a truccare le carte per placare l'angoscia c'è sempre. Il modo peggiore è stato il desolante saggio di pressapochismo in cui si è prodotto Berlusconi con una leggerezza che spaventa. Il suo tentativo di attribuire la responsabilità dell'emergenza ai mass-media, rasenta l'incoscienza. Mentre il mondo va a rotoli, mentre gli esperti scommettono sulle probabilità che l’Italia ha di evitare il fallimento, il premier chiuso nel suo bunker dorato fa sfoggio di ottimismo e sembra palesemente incapace di vedere quello che accade nel paese delle persone normali, strette tra la morsa della recessione e la crisi dell'impiego. Dal suo cilindro ormai logoro non spuntano idee innovative, ma solo le ammuffite lavagnette di antica memoria infarcite di miliardi fittizi e di grandi opere che mai hanno visto la luce e forse mai la vedranno. Per incerottare il malessere torna persino in auge il ponte sullo stretto, che fu la bufala piu’ gigantesca mai escogitata a scopi elettorali. Qualcuno del suo staff è addirittura convinto che con l’ingegneria finanziaria si possa fare quasi di tutto, anche sdognare la tesi che la crisi sia non una iattura, bensì l'opportunità per affrontare e ridisegnare il futuro. Proviamo a dirlo a chi da un giorno all'altro ha perso tutto. Suvvia, siamo seri. Smontare l’inganno e ristabilire la verità nel balletto di parole e numeri che raramente coincidono sarà impresa ardua; tanto piu' ardua fino a quando gli uomini che ci governano si comporteranno con l'identica disinvoltura di tanti clown involontari travestiti da politici.

CARTINA - La via Crucis del Pd è come la crisi, lunga, dolorosa, imprevedibile e apparentemente priva di sbocchi. Ognuno prova a spostare la sua "linea" del Piave nella consapevolezza che se il Cavaliere riuscisse a travolgere anche gli ultimi argini non ci sarebbe piu’ partita. La prospettiva è reale, a meno che Dario Franceschini, giunto da poco al timone del partito, non si trasformi di colpo, come sono in molti ad auspicare, nella cartina di tornasole in grado di evitare alla sinistra una fine ingloriosa. Il segretario "pro tempore " sbucato improvvisamente dalle retrovie qualche atout invero ce l'ha. Non ha conti in sospeso, non ha cambiali da onorare, non è guidato da ambizioni personali. Per la gioiosa macchina da guerra berlusconiana è diventato un concorrente fuori dagli schemi, da maneggiare con le pinze. Muovendosi con la massima naturalezza e senza mai scomporsi, il successore di Veltroni, molto " british" nel suo incedere, lancia bordate alla maggioranza con l’ aria serafica di chi non ha nulla da perdere. Le vagonate di insulti che Gasparri e gli altri grilli parlanti gli rovesciano addosso non gli fanno nessun effetto e non scalfiscono minimamente la sua proverbiale imperturbabilità. Per giunta dispone di un'altra dote tutt'altro che disprezzabile : "buca" lo schermo. E l'abilità tutta berlusconiana di cui fa sfoggio in televisione per tenere testa agli intrerlocutori ha messo in allarme il Cavaliere che si è visto minacciato proprio sul terreno mediatico in cui si considera imbattibile. Si capisce quindi perché il leader di FI sia determinato ad anticipare i tempi della campagna elettorale euroepea: il premier probabilmente teme l'effetto Franceschini piu' di quanto voglia far credere e il nervosismo che serpeggia nei suoi ranghi ne è una dimostrazione eloquente. Sarà vera gloria? Per ribaltare il pronostico di una competizione dall'esito ampiamente scontato manca il tempo. E non solo quello. Ma anche un solo voto in meno andato alla maggioranza sarebbe una salutare boccata d’ossigeno per l’esangue opposizione: E’ poca cosa, d’accordo, ma potrebbe essere la spinta per non morire e ricominciare finalmente a dire qualcosa di sinistra.

martedì 3 marzo 2009

In un mondo in fibrillazione

di Renzo Balmelli
REALISMO - Il Grande Comunicatore ha superato un importante test di popolarità. Quel “giovanotto abbronzato” inviso ai reazionari di qua e di la dell’Atlantico, quel giovanotto che prova a dare un senso etico al New Deal della sua presidenza, resta sulla cresta dell’onda a dispetto del febbrone economico. E coi tempi che corrono non era affatto un’ovvietà che Barak Obama ,nel primo intervento a Camere riunite, riuscisse a conservare inalterato il consenso che lo ha portato alla Casa Bianca. Il mondo è in fibrillazione, l'opinione pubblica ,impaurita e impaziente, esige risposte veloci agli angosciosi interrogativi di una crisi senza fondo. I miracoli però sono merce rara. La questione irrisolta e apparentemente irrisolvibile è l’inquietante debolezza del sistema bancario ormai prossimo al collasso. Barack Obama da Bush ha ereditato un deficit vertiginoso di cui solo adesso si possono misurare appieno le disastrose ricadute. Il presidente sta insomma incontrando ostacoli superiori al previsto che lo costringono a destreggiarsi tra realismo e speranze per portare in porto le riforme promesse. Ma è il primo sapere che l’America potrà ritrovare la leadership perduta solo con molti sacrifici. Come dice Tremonti la ricchezza non si crea col debito, ma soltanto col lavoro. Giusto, parole sante, che però sarebbero ancor più appropriate se la destra non avesse la pessima abitudine di lasciare il lavoro agli altri e di accumulare le ricchezze per se.

INSIDIE - Quando si pensa all’Iraq, in filigrana compare l’espressione grifagna di Bush e dei suoi compari, incluso l’attuale premier italiano. Scontato il fallimento, la scelta di Washington va dunque verso il disimpegno. Un altro focolaio di tensione, ancor più temibile, convoglia ora gli sforzi dell’ amministrazione americana. Obama ha già fatto capire come la pensa: mollerà la presa in Iraq entro l’anno prossimo per concentrare l’attenzione sull’Afghanistan. Sulla sua scrivania si accumulano rapporti inquietanti dai quali si evince che i talebani, lungi dall’essere sconfitti, stanno riconquistando posizioni su posizioni. Quella che doveva essere una punizione esemplare per le Torri gemelle potrebbe diventare un nuovo Vietnam. Volendo evitare che Kabul si trasformi nella sua Saigon, Obama appare determinato a giocare nella regione la carta della diplomazia mai usata dal suo predecessore. Nell’ottica del presidente solo il dialogo con tutti, anche con gli insorti, può restituire stabilità a un paese in cui prevalgono la violenza, la prevaricazione, l’oppio, l’umiliazione delle donne e il fanatismo religioso.Per questo si è aperto agli ayatollah di Teheran, interlocutori indispensabili per costruire una rete di sicurezza in una zona del mondo carica di insidie.

MOLLEZZE - Sarebbe piaciuta a Bunuel, implacabile fustigatore delle mollezze borghesi, la battuta di caccia che ha stroncato la carriera del ministro spagnolo Bermejo. Oddio, qualcuno dirà che sparare ai cervi non è proibito. Questione di gusti. L’ alto esponente governativo non era però un borghesuccio qualunque, bensì il Guardasigilli di Zapatero. Il nume tutelare della giustizia è stato colto a praticare il suo hobby sprovvisto dei permessi adeguati ed a tu per tu con il giudice Garzon che indaga sulla Tangentopoli dei Popolari. Un cocktail indigesto. C’erano tutti gli ingredienti per uno scandalo di ampie proporzioni che solo le dimissioni del ministro hanno scongiurato in extremis. Se il peggio è passato, resta tuttavia l’imbarazzo per una vicenda che vede la sinistra nuovamente in difficoltà nell’evitare le trappole disseminate lungo il cammino della politica dal fascino indiscreto del potere. E pensare che un lontano collega svizzero di Bermejo, l'ex ministro Willy Ritschard, socialista tutto d’un pezzo, per recarsi in ufficio preferiva il tram all’auto di servizio. La questione morale si serve anche così, con i piccoli, grandi gesti quotidiani.