lunedì 26 maggio 2014

Populismo "perbene"?!

Marine Le Pen ha provato a sdoganare il populismo "perbene", ma il suo compare italiano, il leghista Salvini, vuole dare il Daspo agli immigrati perché "portatori di scabbia e tubercolosi". E Grillo si colloca “oltre Hitler”.

di Renzo Balmelli

SLOGAN. Fra una settimana, quando uscirà il prossimo numero dell'AdL, capiremo quale indirizzo avrà preso l'Europa al termine di una tornata elettorale che di rado in passato ha tanto surriscaldato gli animi come stavolta. Vedremo se l'Unione si sarà fatta ammaliare, come gli ingenui marinai della Lorelei, dalle sirene di una certa destra ringhiosa e rognosa, determinata a liquidare l'importante eredità de padri fondatori, oppure se dal grande fiume ricaverà nuova linfa per creare un'entità, solida e capace d'imporsi. Con la furbizia che la distingue, Marine Le Pen ha provato a sdoganare il populismo "perbene", ma se pensiamo a certi suoi compari italiani (il leghista Salvini che vuole dare il Daspo agli immigrati perché "portatori di scabbia e tubercolosi", o Grillo che si colloca oltre Hitler), la diagnosi è presto fatta: il populismo "perbene" non sarà mai altro che uno slogan di basso conio.

CARENZA. Abbiamo bisogno di più Europa, di una comunità che sia il contrario di quella disgregata e disfatta di cui parla Primo Levi nel suo magistrale La Tregua, viaggio nel cuore di una umanità dispersa e rassegnata all'idea che "guerra è sempre", come dice un protagonista del romanzo. Qualcuno che di sicuro milita nel campo degli euroscettici ha scritto che da tempo l'UE è più all'origine di problemi che non di soluzioni. In simili affermazioni è palese una preoccupante carenza di idee alla quale il "Corriere della Sera" si impegna a porre rimedio, alla vigilia dell'eurovoto, riproponendo il libro dello scrittore torinese nell'ambito dell'iniziativa "Romanzi d'Europa". Attraverso la lettura di quelle pagine, che posano uno "sguardo lucido sul Vecchio Continente oltraggiato", la necessità di "una Europa dal valori condivisi" appare più che mai attuale.

SONDAGGI. Dalla virulenza della campagna elettorale per le europee risulta chiaro che in Italia il verdetto delle urne sarà considerato in primis un banco di prova sul piano interno per misurare i rapporti di forza tra i vari schieramenti. A diradare le incognite sul voto ha provveduto il portale Ticino online venuto a conoscenza di sondaggi che per legge gli elettori italiani non possono conoscere. In base a questi dati, finiti in rete, il Pd resta con ampio distacco il primo partito, con le carte in regola per uscire vincitore dalla consultazione, nonostante la disgregante ricaduta di EXPO 2015. Al Sud e nelle isole lo insidia il Movimento 5 Stelle, ma non in misura tale – osserva il portale – da ribaltare il quadro politico e quindi trasformare lo scrutinio delle europee in un referendum sul governo. Renzi insomma non dovrebbe fare le valige, potendo contare sulla compattezza degli elettori che lo voteranno, in parte magari piangendo, ma comunque lo voteranno. Quanto a Forza Italia, per ora naviga al terzo posto di una corsa sulla quale domina tuttavia la pesante ipoteca del reale interesse per queste elezioni che potrebbe dilatare il fenomeno dell'astensionismo.

VIOLENZA. Ha avuto vita più effimera di "Tripoli bel suol d'amor", la canzone con Gea della Garisenda avvolta nel tricolore sabaudo che glorificò le imprese coloniali italiane, la speranza che dopo Gheddafi la Libia potesse poco alla volta prepararsi a vivere un domani migliore. Le attese sollevate della rivoluzione del 2011 sull'onda della primavera araba se ne sono andate come le fragili promesse scritte sulla sabbia del deserto, mentre il desidero di rinnovamento politico non ha avuto seguito se non nei ricorrenti focolai di guerra civile. Scomparsa ormai da parecchio dalle prime pagine, la Libia vi è ritornata in questi giorni in seguito all'ennesima esplosione di violenza, settarismo e terrore che evidenzia la drammatica e dolorosa inconsistenza delle istituzioni nazionali e internazionali chiamate a governare la transizione. Tripoli è tutto fuorché un suol d'amore.

NAZIONALISMO. Anche l'India non sfugge al richiamo del nazionalismo che ormai è presente nel continente asiatico secondo modalità che è impossibile tratteggiare in modo univoco. Di quali colori si tingerà quello hindu in salsa agro-dolce che ha soppiantato la gestione storica della dinastia Gandhi-Nehru è un interrogativo non privo di incognite. In questa parte del globo i nazionalismi sono tanti quante le nazioni che la compongono e quindi ancor più insidiosi. Con la stessa lentezza che ha contrassegnato la lunga maratona elettorale indiana, durata più di un mese, bisognerà dunque dare prova di infinita pazienza per capire in quale direzione di muoverà il nuovo governo di Narendra Modi dopo la dirompente vittoria del Bharatiya janat, il suo partito forte di un consenso che non si vedeva da 30 anni e che per la sua ampiezza avrà di sicuro un peso maggiore pure sugli assetti internazionali.

DIVERSITA'. Non c'è soltanto l'Italia che litiga per gli aerei da combattimento. Anche la Svizzera ha le sue gatte da pelare quando si tratta di stanziare fior di miliardi per rinnovare la flotta dei caccia. Il progetto che prevedeva l'acquisto di una ventina di Gripen, un modello di aviogetto svedese ancora tutto da costruire, è apparso però troppo fumoso anche a una nazione che va fiera del suo esercito. La bocciatura era quindi inevitabile anche se finirà col sollevare strascichi polemici di lunga lena. Sui miliardi negati alla Difesa già si è avuto uno scambio di battute al calor bianco su chi è più patriota tra i germanofoni, in maggioranza favorevoli al credito, e i cantoni francofoni contrari. "La Svizzera non esiste", disse un artista elvetico in vena di provocazione. Si sbagliava. In effetti ne esistono più di una, ma divise da diversità e visioni culturali molto distanti quando sono in ballo le questioni di fondo.

 

giovedì 8 maggio 2014

Scandaloso! In Italia il reddito dei dieci “Paperoni” più ricchi d’Italia vale quello di 500 mila famiglie operaie.

di Renzo Balmelli

RIVOLUZIONE. Per chi ne ha pochi, anche un euro conta. Se poi sono ottanta, come quelli promessi dal governo, quei soldi inaspettati saranno sempre meglio di niente. A sentire Pina Picierno del Pd, con quella somma si fa addirittura la spesa per due settimane. Ci si può credere o no, forse vale la pena provare. Ciò non toglie, tuttavia, che malgrado la buona volontà, la strada da percorrere se non proprio per annullare, perlomeno per smussare le peggiori disuguaglianze, sia più lunga della circumnavigazione del globo. Quegli euro faticosamente racimolati rappresentano, infatti, la classica, piccola, infinitesimale goccia nel mare al cospetto delle vistose storture, certificate dal Censis, in base alle quali in Italia il reddito di 10 Paperon de Paperoni vale quello di 500 mila famiglie operaie. Scandaloso! Qui per rimuovere le ingiustizie ci vuole altro, serve una vera "rivoluzione culturale".

TRISTE GERUNDIO. Neanche fosse Kiev, c'è una parte dell'Italia, quella meno bella, l'Italia del tifo esasperato e dei pessimi maestri, che si scontra nelle strade di Roma sparando, bastonando, ferendo e offrendo al mondo un'immagine indegna di un paese civile. Quattro gerundi tristi, spietata autobiografia di un Paese che non ce la fa, un Paese che per una partita di pallone confonde la passione con la frustrazione. E, nel contempo, anche radiografia di un sistema che sull'arco di un nefasto ventennio, oltre a dare il cattivo esempio, ha trasgredito impunemente le regole elementari del buon governo e ormai sfiora il collasso. Collasso che gli "ex" di turno non hanno nemmeno la decenza di riconoscere e che nonostante il fallimento addirittura persistono nella folle idea di passare alla storia come "padri della patria".

DETTAGLIO. Nella ricerca di una maggiore equità l'Italia non è sola a fronteggiare una situazione dominata dalla precarietà. Anche nelle nazioni che guidano la graduatoria del benessere, sempre più gente si trova a fare i salti mortali. Un po' ovunque, dagli Stati Uniti alla Svizzera, crescono le richieste di introdurre il salario minimo (10 dollari l'ora in America, 4'000 franchi mensili nella Confederazione elvetica) che consentirebbe alle categorie più esposte di respirare meglio. Manco a dirlo le più che lecite rivendicazioni sono ferocemente osteggiate tanto dai repubblicani americani quanto dagli imprenditori elvetici, "sciuri padroni dalle braghe bianche" che con mille cavilli non si sognano di scucire le palanche. E ai loro occhi conta poco l'assurdità esistenziale, invero avvilente, che un comune cittadino debba lavorare 140 anni per guadagnare quanto un mega direttore in un anno. Da brivido.

MENTALITA'. Dopo le sue sciagurate affermazioni sui campi di sterminio, l'Europa rottama Berlusconi e lo isola in un finale di partita doloroso per l'Italia, che davvero non merita di essere associata alle frasi sconclusionate di un gaffeur planetario. Dal disastro spunta la malafede del leader di uno schieramento irrecuperabile che all'appuntamento col voto europeo si presenta senza politica e senza risultati, ma con l'accompagnamento di una grancassa mediatica concepita per stordire chi vuol farsi stordire. La propaganda fracassona è indice di una pigrizia dura a morire che vede in chi si comporta senza attenersi alle regole del decoro la via più comoda per entrare nel fatuo regno della ricchezza facile. A questo punto un salto di mentalità sarebbe una riforma che non costa niente, e cambierebbe tutto. Basta volerlo.

POMPIERE. Con l'autoironia che distingue il vero statista, Obama ha imitato Vittorio Emanuele II quando sosteneva che un sigaro e una croce di Cavaliere non si negano a nessuno. Saputo che Putin era tra i candidati al Nobel per la pace, il capo della Casa Bianca ha ironizzato con il leader russo, divenuto il nuovo beniamino di tutti gli arci-conservatori per la sua aggressiva determinazione neo imperialista. "Ormai – ha esclamato Obama – quel premio lo danno al primo che capita", riconoscendo di averlo ricevuto anche lui senza grossi meriti. Ma con una differenza sostanziale: l'inquilino del Cremlino tra il visibilio della destra, anche quella made in Italy, in Ucraina scherza col fuoco, mentre con la presunta irrisolutezza che viene contestata a Obama dai suoi acerrimi nemici, il leader USA prova a fare il pompiere per domare le fiamme che rischiano di incendiare il mondo. Non è poco.