lunedì 23 giugno 2014

Iraq: Caporetto dello stato

Se mai servisse ancora una prova di

quanto insensata sia la guerra…

di Renzo Balmelli

CAPORETTO. Se mai servisse ancora una prova di quanto insensata sia la guerra, l'Iraq ne è la dimostrazione inoppugnabile. Costruita sulla menzogna, la menzogna delle armi di distruzione di massa, ancora oggi se ne misurano le fatali conseguenze: anziché la democrazia e la stabilità, in quella martoriata regione per ora vince il terrore, perde l'occidente ed a Bagdad si delinea la Caporetto delle autorità civili. Ne sa qualcosa d'altronde il presidente Obama che si è dato da fare per archiviare la sciagurata politica di Bush muovendosi sul terreno del negoziato e della pacificazione. I margini di manovra della Casa Bianca tuttavia sono esigui, tanto da pensare, per evitare il peggio, a una delicata manovra diplomatica con l'Iran, improponibile fino a ieri, pur sapendo di giocare una carta tanto difficile quanto scomoda.

CASTE. Con le elezioni l'India ha voltato pagina, ma l'opinione pubblica si chiede se il nuovo governo del fondamentalista Narendra Modi avrà la capacità di cancellare la vergogna del femminicidio che fa notizia con le sue orribili storie di stupri e violenze. Letterata e militante, la famosa romanziera e battagliera saggista Arundhati Roy nel presentare il suo nuovo libro giunge alla conclusione che il suo Paese non riuscirà a liberarsi tanto presto dalla lacerante contraddizione tra la non violenza gandhiana e la prevaricazione sanguinosa, se prima non sconfiggerà il suo grande nemico interno rappresentato dal sistema delle caste. Perché le violenze sulle donne - annota la scrittrice - nascono da li, così come le peggiori ingiustizie, frutto di un cultura dura a morire.

DIVERSITA'. Col film "Good Night and Good Luck", dedicato al giornalista televisivo Edward Murrow, figura storica della lotta al maccartismo, George Clooney si era guadagnato un posto nella schiera dei registi "liberal" che operano a Hollywood. Forte di questa garanzia, che ha risvegliato l'interesse degli strateghi democratici, attorno all'ex scapolo d'oro del cinema si va delineando un programma di lungo respiro che punta sulla diversità e sul cambiamento prima con le Presidenziali del 2016 e poi alla carica di governatore della California che in Clooney vede appunto un candidato credibile e ideale. Per la prima volta una donna, Hillary Clinton, alla Casa Bianca, un vice inedito, Julian Castro, esponente della forte comunità ispanica e in scia un attore di fama: nel partito della sinistra, muovendosi con tempismo , il confronto coi repubblicani, a corto di idee e di personalità , è ormai lanciato.

BRIVIDO. Da allora son trascorsi 74 anni, ma rivedendolo oggi nella versione restaurata dell'Istituto Luce, il discorso del duce che annunciava l'entrata in guerra dell'Italia conserva intatta tutta la sua sconfinata, rovinosa e contagiosa follia. Ancora si avverte un brivido gelido correre lungo la schiena per la drammatica svolta che avrebbe cambiato la storia del Paese. Colpisce, nel filmato, la " mostruosa" abilità della propaganda nel costruire la narrazione iconica del fascismo unita alla precisa regia nell'enfatizzare la postura di Mussolini, mascella protesa, mani sul cinturone, mentre parla di vittoria con la foga di un piazzista della bugia. Molti gli credettero e in quel caldo pomeriggio di giugno un popolo venne incamminato verso la rovina. Un giudizio storico che difficilmente potrà essere smentito.

INCULTURA. Nella mente dei nostalgici incalliti frulla ancora da qualche parte come un residuo di passate e assurde visioni, la tentazione mai del tutto rimossa, di "spezzare le redini alla perfida Albione". Se n'è assaporato l'amaro retrogusto negli astrusi giudizi sugli inglesi che una " eminente" personalità romana , un tempo ministro di FI, ha affidato a twitter dopo la vittoria dell'Italia ai mondiali di calcio. Ne è seguita una baraonda di pesanti improperi in libera e rovinosa uscita che ha indignato la Rete . Tra i vari commenti, uno coglie perfettamente nel segno: la destra, perlomeno la destra di quel tipo, " muore perché priva di cultura". Oltre alla figura di pessimo gusto, l'improvvida uscita è stata una imperdonabile caduta di stile, conferma appunto di incultura.

 

giovedì 12 giugno 2014

MOSE di Venezia

BEFFA. C'è un mare di rassegnazione nel profondo scoramento che ha colto l'Italia allo scoppio degli ennesimi casi di malversazione in due settori sensibili quali l'EXPO di Milano e l'ardimentoso MOSE di Venezia. Su uno sfondo di delusione e di sfiducia s'intuisce di primo acchito quanto la corruzione pesi sull'animo dei cittadini e quanto continuerà a pesare senza una risposta convincente della politica. Ma finora al di la delle solite parole di circostanza (bancarotta etica e morale, riscrivere le regole, fermezza con chi sbaglia) già sentite e risentite fin dai tempi di Tangentopoli, nulla lascia presagire che l'odioso fenomeno della mazzetta, fonte di tanti guai per la Nazione, possa essere debellato a breve giro di posta. Se poi l'ex degli ex assegnato ai servizi sociali afferma che la corruzione è intollerabile, cascano le braccia. Poiché una frase simile detta da quel signore ha l'amaro sapore della beffa!

INFEDELTA'. Come in Europa, anche in Italia il populismo, che sembrava al tappeto dopo la batosta elettorale, resta ancora in grado di rallentare il progresso della società. Dai ballottaggi escono, infatti, dati che oltre a frenare, seppure in misura ridotta, l'onda del Pd, testimoniano come il qualunquismo di destra, ancorché litigioso, sia tutt'altro che inesistente. Nel giro di tre settimane il quadro che emerge rispetto a quello delle urne europee evidenzia una situazione non priva di rischi che sommata all'astensione solleva non pochi e legittimi interrogativi. Ma d'altronde era prevedibile: tra corrotti che si proclamano innocenti e partiti che giocano a scaricabarile capita che i cittadini, ormai stanchi, scoprano l'infedeltà elettorale e che la democrazia vada in affanno. Purché non si avveri lo slogan della nostalgica senatrice di FI, che esorta a inchinarsi al fascismo. Che tristezza!

GRIMALDELLO. Nella Confederazione elvetica il Ticino è terra d'elezione per l'italiano che vi viene parlato da secoli. Questa peculiarità fa sì che il meridione della Svizzera si distingua dalle altre regioni per lo stretto legame culturale con il suo vicino del sud. Ma da un po`di tempo, proprio mentre l'idioma di Dante non se la passa tanto bene nella patria di Tell, il clima intossicato che in questo cantone si è creato nei rapporti con l'Italia è motivo di serie preoccupazioni. Tale deriva è il frutto della scriteriata propaganda messa in campo da certi movimenti di stampo leghista che la usano senza ritegno come un vero e proprio grimaldello elettorale. Tutto ciò, però, getta un'ombra sulla sorte della terza lingua nazionale che se già vacilla nella culla della latinità elvetica, non troverà certo la strada spianata quando si tratterà di tutelarla e difenderla a livello federale dall'incontenibile avanzata dell'inglese nelle scuole e in altri campi.

PISTOLA. Alla faccia dei suoi detrattori che da tempo sperano di fargli un funerale politico di prima classe, Obama non deflette dai suoi principi e li ribadisce in Normandia. Nel ricordo dei quasi diecimila soldati americani caduti su quelle spiagge per liberare l'Europa dall'oppressione nazifascista, il capo della Casa Bianca traccia appunto una netta linea dii demarcazione tra forze di conquista e quelle di liberazione , com'erano infatti quelle impegnate nello sbarco. Nel contempo però rifiuta ogni intervento in cui si debbano posare scarponi chiodati sulla terra. Quando mancano due anni alle presidenziali del 2016 sarà questo uno dei capisaldi della politica votata al negoziato che il primo presidente di colore intende tramandare ai suoi successori. Di giovani americani tornati a casa in una bara avvolta dalla bandiera stelle e strisce ce ne sono già stati fin troppi nell'illusione che la pace fosse possibile soltanto con una pistola fumante.

SUCCESSIONE. L'Europa che non piace nemmeno ai suoi più strenui fautori, è quella che si dipana in questi giorni davanti ai nostri occhi, litigiosa e impegnata in un duro braccio di ferro per la successione di Barroso. Che la carica di Presidente della Commissione, che fu già di Prodi, sia di primo piano nessuno lo contesta; si tratta del governo dell'UE. Ma le manovre dietro le quinte non fanno che accreditare l'impressione, oltremodo sbagliata, di una nomina ottenuta senza esclusione di colpi tra le capitali che più contano, lasciando agli altri il solo ruolo di spettatore. Tutto olio che cola per i Le Pen, padre e figlia, che fingono di litigare, ma continuano a scavare nel fango degli istinti meno nobili. Se invece "l'europremier" venisse scelto democraticamente dagli elettori come si fa coi deputati al Parlamento di Strasburgo, i 27 renderebbero un servizio impagabile alla solidità e la credibilità della casa comune.

 

martedì 3 giugno 2014

Ora cinque anni per salvare l’Europa

di Renzo Balmelli

SHOCK. Alla fine del combattuto passaggio elettorale l'Europa non ha subito la paventata sconfitta irreparabile che sembrava delinearsi sui fondali dell'ostracismo e del livore rancoroso, come invece avrebbero tanto desiderato le malefiche Cassandre che si auguravano la morte dell'UE dentro l'urna. Urna che in questo caso aveva un evidente doppio significato. Ma lo shock c'è stato, inutile negarlo, e ora per risollevarsi dall'avanzata dei populisti, visceralmente ostili alla costruzione comunitaria, l'Unione è condannata a vincere e consolidarsi muovendosi senza indugi nel solco dei sogni genuinamente europeisti dei Padri fondatori. Per farlo avrà a disposizione cinque anni di tempo durante i quali dovrà dare fondo a tutte le sue risorse etiche, morali, culturali ed economiche al fine di dimostrare quanto sia insensato e anti storico lo splendido isolamento britannico, ma soprattutto quanto sia insopportabile la macchia nera che, molto peggio di quanto è accaduto oltre Manica, deturpa l'immagine della Francia, culla dei lumi e della fratellanza. Quel voto sconvolgente, che scatena l'avidità del Front National deciso a scalare l'Eliseo e ad imporre un sistema retrogrado, infatti non segna soltanto la rivolta rabbiosa degli euroscettici, ma indica qualcosa di molto più inquietante. Nella sua virulenza sciovinista il verdetto di una larga maggioranza di francesi riesuma le pagine più tristi e vergognose nella storia recente di questa grande Nazione che in un momento di crisi e di sconforto pare abbia dimenticato la sua dolce Marianne preferendogli la meno allegorica Marine.

DEMOCRAZIA. Adesso l'essenziale è che l'UE non faccia la stessa fine delle "anime morte" di Gogol, ma che la sua anima, andata persa in quella che non sempre a torto è stata percepita come la soffocante burocrazia di Bruxelles, la ritrovi in fretta per proseguire il suo cammino senza cadere in preda al disincanto. Se fossero gli scettici a dettare l'agenda politica, per le generazioni future si aprirebbe una voragine piena di incognite. Occorre dunque fermare la deriva populista prima che diventi uno tsunami e sfoci in una situazione estrema che fa gridare all'orrore già al solo pensiero che tre neonazisti, eredi di una ideologia bacata, andranno a occupare i banchi del Parlamento di Strasburgo. Lo sforzo maggiore sarà di riportare la democrazia dentro l'Europa, ma avendo l'accortezza di non trascinare nelle istituzioni votate al bene comune dei 27 le beghe, le meschinità, gli intrallazzi e le insulse ripicche delle parrocchie nazionaliste che spesso hanno frenato l'attuazione di programmi a largo respiro e condivisi per il rilancio della crescita e dell'occupazione, più necessario che mai. Sono in gioco, non dimentichiamolo, settant'anni di pace e molti altri a venire.

PROMESSA. Verrebbe quasi da dire: incredibile, ma vero. A bocce ferme il riformismo italiano, più volte paralizzato dall'infausto ventennio berlusconiano, potrebbe diventare un punto di riferimento e un laboratorio per l'Europa turbata dagli estremismi e in cerca di una nuova identità. Non fa ombra di dubbio, in effetti, che il trionfo del Pd, in pratica quasi un monocolore rinforzato dai dati delle regionali in Abruzzo e Piemonte, rappresenti un segnale in controtendenza di cui si dovrà tenere conto quale stimolante risposta agli euroscettici mentre l'Italia si accinge ad assumere la presidenza di turno dell'UE nel delicato clima post-elettorale. Ad ogni buon conto, comunque lo si valuti, nell'ora del giudizio il Bel Paese dopo gli sbandamenti del passato, riscopre la politica, non tradisce, da prova di equilibrio e saggezza, e sconfessa gli avventurieri del potere. Se nell'elenco dei trombati figurano un ex ormai definitivo e uno che dopo tanto vociare sta per diventarlo, uno che con uno slogan ormai privo di senso sostituisce il "vinceremo noi" con il "vinceremo poi", vuol dire che la lezione al termine del lungo viaggio nel deserto del qualunquismo è stata recepita. A chi ha il pallino in mano dopo avere superato la prima investitura popolare, corre ora l'obbligo di non vanificarla, questa lezione, affinché il voto non sia soltanto il prodotto dell'imprevedibilità, non diventi la classica occasione sprecata, ma si trasformi in una vera promessa più forte della paura nel solco della sinistra moderna, scevra dall'inciucio alla Nazareno.

CACAO. Quella del cioccolato è una storia appassionante che risale al 600 dopo Cristo, quando la civiltà dei Maya era all'apice. Sconosciuto in Europa fino alla scoperta dell'America, con i semi trasportati da Colombo divenne ben presto un nettare celebrato dal Casanova ed elevato dagli intraprendenti pasticcieri svizzeri a una forma d'arte della golosità. Con meno voli pindarici, ma tanto pragmatismo, la tavoletta dai mille gusti è stata la carta vincente che ha consentito a Petro Poroshenko, noto nel suo Paese come re del coccolato, di accedere alla presidenza dell'Ucraina dopo avere sbaragliato tutti gli avversari nonostante la presenza ingombrante dello zar Putin e la minaccia del feroce separatismo filo russo. A dispetto delle difficoltà, l'Ucraina a vocazione europea è riuscita almeno per ora, grazie alle elezioni strappate coi denti, a frenare lo smembramento dei suoi assetti scandito dal neo colonialismo di Mosca, anche se l'esito delle presidenziali non basterà per riportare la Crimea sotto la sua bandiera. Ad ogni buon conto, quando verrà invitato al Cremlino, Poroshenko, inventore della diplomazia al cacao, ci andrà di sicuro con una scatola di cioccolatini che non guastano mai per distendere l'atmosfera e smaltire le tensioni.

SEGRETO. In una sua canzoncina che conobbe un momento di popolarità, Renato Rascel si chiedeva dove andavano a finire i palloncini quando sfuggono di mano ai bambini. Al giorni nostri, invece, sono gli evasori provenienti da tutto il mondo a chiedersi dove andranno a finire i loro milioni sottratti al fisco, dal momento che la combinazione per proteggere i compiacenti forzieri svizzeri, reputati un tempo un fortino inaccessibile agli sguardi indiscreti, sta diventando sempre meno sicura. Col lento, ma inarrestabile declino del segreto bancario, il mitico segreto bancario, si stanno infatti aprendo maglie sempre più grandi nel tessuto di una istituzione che risale addirittura al 1934 e che niente e nessuno, né guerre né rivoluzioni, sembrava in grado di scalfire. Ma a quanto pare nemmeno ai piani alti della grande finanza elvetica nulla è eterno e l'accordo richiesto dall'Ocse a Berna per lo scambio automatico di informazioni sui conti cifrati rientra nel quadro delle concessioni reciproche che tolgono la Confederazione dalla scomoda lista nera dei paradisi fiscali, ma lascia gli evasori senza nessuna voglia di cantare e pieni di dubbi sulla sorte dei loro capitali in cerca di nascondigli.

ENERGIE. Dopo La grande bellezza, anche Le Meraviglie. L'Italia torna in prima pagina non soltanto per il voto europeo che la distingue dagli altri, ma anche perché dà segni di risveglio nel campo della creatività che è stata un suo fiore all'occhiello prima di essere anestetizzata dalla stiracchiata indolenza culturale del sultanato di Arcore. Nel cinema, al quale diede capolavori assoluti, la scuola italiana ha ottenuto in poche settimane due riconoscimenti prestigiosi: l'Oscar per il miglior film straniero a Paolo Sorrentino, e il Grand prix du Jury ad Alice Rohrwacher, giovane regista che con le sue Meraviglie, tra api, reumatismi e incantevoli quanto profonde riflessioni su una famiglia di agricoltori divenuta specchio e metafora della società, ha emozionato la sala e la giuria, sfiorando la Palma d'oro al festival di Cannes. Che la giovane regista, prima italiana a vincere sulla Croisette, sia stata accompagnata alla premiazione da una non meno commossa Sofia Loren sotto lo sguardo di Marcello Mastroianni, raffigurato sul manifesto della Croisette, ha avuto un duplice, ed evidente significato: da un lato l'omaggio ai mostri sacri di Cinecittà, dall'altro la conferma che in questo Bel Paese tradito dai cattivi maestri ci sono ancora tante energie da liberare.