lunedì 25 gennaio 2010

Un anno di Obama

Se l’intento è arare il terreno per far crescere il seme della democrazia, la dottrina di Obama della mano tesa , del dialogo e della diplomazia è la piu’ indicata. Ma allora, per favore, senza troppi generali d'attorno...

di Renzo Balmelli 

SPERANZA. - Da piu’ parti cui si interroga sulla massiccia presenza americana ad Haiti. Col realismo teorizzato da Bismarck, la Casa Bianca invia truppe, pianta bandiere a strisce e stelle, controlla il territorio e proclama la sua leadership nella gestione dell’emergenza. Nell’infinità apocalittica della tragedia Obama mette in campo , oltre alla generosità, il suo prestigio e quello degli Stati Uniti per vincere la sfida umanitaria. Ma c’è appunto quel seguito di militari , quel vistoso spiegamento di marines in armi che invero sembra fuori posto in un paese che non è in guerra. Le immagini degli elicotteri targati USAF che atterravano nel giardino per blindare il palazzo presidenziale in effetti hanno creato qualche perplessità anche all’ONU. Ovviamente in un paese in queste condizioni è inevitabile che vi siano problemi pazzeschi nel garantire un minimo di governabilità. Da questo punto di vista tuttavia l ’onestà morale e intellettuale del presidente è fuori discussione. Anche per le sue origini Obama intende marcare la differenza dalla precedente amministrazione che non ha mai ascoltato le invocazioni d’aiuto provenienti dall’isola. E questo è il punto: bisogna ridare coraggio e speranze a un popolo che non aveva nulla e nel terremoto ha perso anche il futuro. Per non alimentare sospetti andrà subito chiarito, pero’, che i marines sono sul posto soltanto per oliare la macchina dei soccorsi e non per mansioni di caserma che risulterebbero del tutto incongrue. Se l’intento è arare il terreno per far crescere il seme della democrazia in un luogo che ha conosciuto soltanto soprusi, la dottrina di Obama della mano tesa , del dialogo e della diplomazia è la piu’ indicata. Ma appunto, senza generali.

SCHIAFFO. -  Negli USA la destra repubblicana non sta piu’ nella pelle. Da tempo meditava di farla pagare a quel giovanotto di colore che aveva avuto l’audacia di vincere le elezioni mettendo a nudo le inadempienze del suo predecessore.L’occasione si è presentata inaspettatamente nel Massachussets dove l’elezione per il seggio senatoriale lasciato vacante da Ted Kennedy ha consegnato ai rivali del Grand Old Party una vittoria tanto sorprendente, quanto clamorosa. Nella culla della tradizione kennedyana Obama oltre al seggio ha perso d’un sol colpo uno storico bastione democratico, la maggioranza qualificata alla camera alta e non poche speranze di portare in porto la riforma sanitaria che la gente non capisce e non considera prioritaria. Infine, e qui lo schiaffo fa veramente male, ha perso anche il primo , vero referendum su se stesso. Molto, troppo. A un solo anno dal suo ingresso alla Casa Bianca, Obama si trova quindi nella condizione di doversi reinventare per non arrivare col fiato corto alle elezioni di novembre, le cosidette “ mid term” che costuiscono un temibile banco di prova per qualsiasi presidente. Nessuno immaginava che la necessità di cambiare marcia fosse tanto urgente, ma è esattamente cio’ che il carismatico trascinatore del “ yes we can” dovrà fare per recuperare il feeling con gli elettori che ha perso molto dell’entusiasmo iniziale. Sulle ragioni della caduta dei consensi si sono versati fiumi di inchiostro. I giudizi variano, ma almeno uno emerge con chiarezza. Nei dodici mesi trascorsi dal suo insedianmento il presidente puo’ sostenere di avere governato con equilibrio e competenze, senza tuttavia essere riuscito , fors’anche a causa della crisi economica, a esorcizzare le paura e l’impazienza degli elettori. In quest’ordine di idee il secondo anno di Obama si preannuncia ancora piu’ difficile del primo, gravato com’è, oltre che dai rovesci interni, da un dossier di politica estera che dalla gestione virtuosa del terremoto al terrorismo afghano, capace di portare la sfida nel cuore di Kabul, è una lista infinita di scelte irte di difficoltà. Ricostruita con un capolavoro diplomatico l’immagine degli USA nel mondo, ora a Obama serve nuova determinazione per affrontare i mali dell’America, demoralizzata dalla disoccupazione, e poi per replicare all'opposizione conservatrice , che ha cominciato ad assediare la Casa Bianca, non piu' con soluzioni ecumeniche, ma alzando il profilo delle sue azioni, quelle che aveva promesso durante la scintillante campagna elettorale.L'audacia di scalare la Casa Bianca deve fare il paio con l'audacia di governare.
SPETTRO. - Washington ha smesso di considerare l’America latina come lo zerbino di casa. Cio’ nonostante, l’esito delle elezioni che riconsegnano il Cile alla destra non mancherà di evocare sgradevoli ricordi. Sebbene il buio dell’era Pinochet sia ormai lontano, lo spettro del dittatore che fu spalleggiato dagli Stati Uniti resta una presenza inquietante. Sul futuro del paese si staglia in filigrana il pinochettismo dal volto pulito, cioé in doppiopetto e quindi ancor piu’ infido, che il neo presidente Sebastian Pinera, un magnate in preda a un berlusconiano conflitto di interessi, vorrebbe sdognare e riportare al governo. Se la Concertacion di sinistra, che in ventanni ha reso il Cile una nazione prospera e moderna, paga con la sconfitta lo scotto della litigiosità, sull’altre versante il successo della destra con le sue nostalgiche promiscuità non lascia tranquilli. Le prossime mosse aiuteranno a capire se il paese andino ha vissuto una normale transizione democratica oppure un traumatico passaggio di consegne .
CAMOMILLA. - A Maurizio Sacconi farebbe bene un ripasso di Welfare di cui è ministro. Gli tornerebbe utile per presentare il quadro della disoccupazione cosi’ com’é e non con le stime alla camomilla del governo. Secondo Bankitalia la congiuntura sul mercato del lavoro non solo è negativa, ma è resa ancor piu’ pesante dall’alto numero di cassintegrati. Stranamente pero’ l’incaricato del “ benessere” non li considera disoccupati, ma lavoratori in ferie prolungate. Cio’ rientra nel copione del reality show di Palazzo da cui è bandita qualsiasi allusione alla crisi quotidiana che coinvolge le persone e le famiglie. Nel verbo berlusconiano chi osa turbare la scena mediatica in cui fatti e contesti critici hanno sempre meno spazio è disfattista. Per certi versi la tesi di Sacconi fa venire in mente la storiella della fanciulla che confessava di essere incinta, “ ma solo un pochino”. A loro volta i cassintegrati d’ora in poi potranno dire di essere disoccupati, ma, appunto, solo un pochino!


RICAMBIO. - Sarà vera gloria? Lo smarcamento di Fini da Berlusconi ha incuriosito la stampa internazionale che ora aspetta la prossima mossa. Finora pero’ la tregua armata tra i due tenori del Pdl ha prodotto soltanto precauzionali smentite. Come suggerisce la prassi andreottiana il potere logora soltanto chi non ce l’ha. E chi ce l’ha se lo tiene stretto. Comunque sia, lavorare non PER, ma CON Silvio , come pare abbia detto il presidente della Camera, non è soltanto un distinguo tra due preposizioni semplici, ma una scelta di campo che rimette in discussione i rapporti di forza nella coalizione di governo. Allo stato attuale l’Italia è ferma al palo anche a causa del populismo che infetta la democrazia. La sospensione dei dibattimenti, il legittimo impedimento, il nuovo lodo Alfano sono tutti temi critici condannati a essere leggi ad personam, cioé senza nessuno beneficio per la popolazione. In queste condizioni, con o senza il fattore F, l’urgenza del ricambio morale alla guida del paese si fa sempre piu’ impellente.


TU, LEI, VOI. - “ Lei non sa chi sono io”. Ben presto ogni tribuna politica si trascinerà dietro la memorabile battuta dell’ ’onorevole Toto-Votantonio che ci fece sbellicare dalle risate. Nella nuova stretegia comunicativa escogitata dal premier, il “ Lei” prenderà infatti il posto del piu’ confidenziale “ tu” durante i dibattiti. Con questa trovata ( ma non hanno altro a cui pensare?) il Pdl intende marcare le distanze anche grammaticali con gli avversari dell’opposizione in vista della campagna per le Regionali di primavera. Sandro Bondi, sempre attento a intuire le mosse del Capo, ha fatto da apripista intimando a Franceschini di dargli del Lei. Al che l’ex segretario dei Democratici ha replicato con un beffardo.” Si, eccellenza...”. Insomma, chi l’ha detto che questo governo manca di iniziativa. Anzi, a quando il ritorno al “Voi” ?       

lunedì 18 gennaio 2010

Un grido di dolore

di Renzo Balmelli 

HAITI.
Come nella voce spezzata dei primi soccorritori, è difficile trovare le parole che aiutino a superare l’orrore per l’apocalisse di dimensioni bibliche che si è abbattuto su Haiti. L’accanimento della natura supera ogni immaginazione e l'enormità del terremoto ci rimanda l’immagine di una nazione distrutta e di una città, Port au Prince, con due milioni di abitanti, che di fatto non esiste piu’. La capitale è solo una distesa di rovine difficile da raggiungere. Nell’annunciare l’invio degli aiuti, il presidente Obama ha parlato di una tragedia incomprensibile e feroce. I cultori del vodoo, pratica mistica che affonda le sue radici in questo lembo di terra nel mar dei Caraibi, avranno ora una ragione in piu' per convincersi che una sorte maligna tiene in pugno la popolazione. Certo, la fatalità ha il suo peso. Ma è soprattutto l'incuria, la colpevole, delittuosa incuria del potere, a moltiplicare all'ennesima potenza la forza devastante e incontrollabile degli elementi. I rituali semipagani hanno poco o niente a che vedere
con quanto è accaduto. In realtà nulla è imcomprensibile in un paese che ha subito tutti i drammi del colonialismo e della prevaricazione. Haiti ha pagato e paga tutti i peccati del mondo, il mondo bianco, ma anche le follie di chi se ne assunto il governo con tale insolenza da portarla alla rovina. Non c'è nemmeno l'ombra dei rutilanti e goderecci paradisi caraibici, forzieri prediletti degli evasori milionari, nel paese piu’ povero del continente americano, agli ultimi posti al mondo per il reddito annuo pro capite che è appena di 1300 dollari. Qui si respira soltanto miseria, miseria nera. Nonostante le cospicue esportazioni di zucchero, caffè, banane e mango, l’antica Hispaniola , dove Cristoforo Colombo attracco’ al termine del suo primo viaggio, nel 1492, la popolazione vive ancora oggi in condizioni di arretratezza spaventose. La furia omicida del sisma ha messo a nudo la fragilità di un paese che è sempre è stato in balia di crudeli dittatori, predoni della libertà, dei commerci e del progresso. Con conseguenze terribili. La mancanza di strutture adeguate ha contribuito a ingigantire ulteriormente l’impeto del terremoto e a dilatare in modo spaventoso il bilancio dei morti e dei danni. Pur trovandosi in una regione a forte attività sismica il paese è privo persino delle piu' rudimentali reti di protezione per l'incolumità della popolazione. Quella di Haiti è una lunga storia di ordinari soprusi che durano fin da quando, oltre 200 anni fa, questo fu il primo stato dell’America latina a rendersi indipendente dalla Francia, diventando la prima Repubblica fondata da schiavi. Fu pero’ un’illusione di breve durata. Con la perfida ambiguità di cui erano capaci, le grandi potenze mai hanno permesso ad Haiti di essere realmente indipendente, aprendo cosi’ una ferita che non si é mai rimarginata. Dal regime sanguinario dei Duvalier, che a quanto di dice fece eliminare oltre trentamila oppositori, ai successori del despota, non meno efferati, questa è stata una terra di conquiste e di soprusi in cui la barbarie ha cancellato i piu’ elementari diritti umani. In tempi piu’ recenti, il colpo di stato col quale nel 2004 venne abbattuto Jean Bertrand Aristide, democraticamente eletto ma giudicato inaffidabile dagli Stati Uniti di Bush, ebbe effetti sconvolgenti che avviarono una serie interminabile di violenze e massacri. L’accanimento delle maggiori potenze mondiali contro un Paese piccolo e povero non ha ne spiegazioni ne giustificazioni se non quelle dettate dai piu’ riposti egoismi di bottega. Ora, al cospetto del grido di dolore che si alza dalle macerie, si abbia almeno la decenza di ammettere che oltre alla natura anche altre ragioni inconfessabili hanno contribuito a gettare il paese nel lutto e nel dolore, lasciandolo in una condizione di estrema povertà che lo rende indifeso e vulnerabile.

VERGOGNA.
Altro che partito dell’amore. Cio’ che arriva da Rosarno è la fotografia agghiacciante di un’ Italia che vorremmo cancellare dalla vista. La dolente cronistoria di un dramma umanitario in cui si rispecchia l’inesorabile consunzione della legalità, della fratellanza, della solidarietà. Pensavamo che con il famigerato White Christmas fosse stato toccato il fondo dell’iniquità, invece ci sbagliavamo. Abbiamo rivisto esplosioni di odio razziale imbastito sul colore della pelle che ci riportano ai tempi bui dell'America piu' ferocemente segregazionista. La rivolta dei disperati si è consumata in un grumo di violenza, soprusi e xenofobia che lascia atterriti. Bisognerà aggiornare l’accorato appello di Max Frisch che esortava i suoi connazionali a non farsi traviare dai cattivi maestri. Non piu’ “ Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, bensi’ “ Volevamo braccia, sono arrivati schiavi”. Schiavi del terzo millennio. Ecco chi sono quei ragazzi che raccolgono arance al freddo, vivono in tuguri che sembrano porcilai,vagano come animali da una terra all’altra, sono chiamati da tutti “negri” , lasciati senza nulla. Ad aggiungere vergogna alla vergogna provvede la latitanza del governo, troppo a lungo assente da un territorio in cui la criminalità , temuta, riverita, corteggiata, detta indisturbata le regole sociali. La classe politica avebbe dovuto gestire il complesso processo dei flussi migratori, conseguenza delle tensioni e della povertà in sempre piu’ ampie sacche del mondo, applicando le ragioni del cuore e non la vulgata repressiva. Invece ha puntato le sue fortune sulla paura e ne ha ricavato facili consensi. Le conseguenze sono spaventose. Si indaghi adesso sulla trave dei torbidi intrallazzi mafiosi e non sulla pagliuzza dell’immigrazione clandestina che poi tanto clandestina non è. Sono oltre ventanni che a ogni stagione il popolo degli ultimi, complice il silenzio delle istituzioni, si spacca la schiena per pochi spiccioli all’interno di un sistema abbietto che corrompe, avvelena e inquina tutto cio’ che ricade sotto il suo raggio d’azione.


ABUSO.
L’anno nuovo sembra già vecchio. Le feste sono finite da un pezzo, lo spettacolo ricomincia. Una contraddizione in termini, ma non per la politica italiana che ci ha abituato alle cose piu’ incredibili. Tanto che la maggioranza continua a scannarsi a mezzo stampa di famiglia, in una sarabanda di fratelli-coltelli che non aiuta certo il buon governo. Dopo un 2009 horribilis che ha duramente colpito il mondo del lavoro, l’inerzia dell’esecutivo consegna al paese il diario di una dolorosa sconfitta sociale . In questo clima di sconforto fatichiamo a farci persuasi che il 2010 porterà una copiosa messe di riforme , a meno che come al solito non siano soltanto uno strumento-ponte fino al prossimo lodo Alfano. Su questo punto d'altronde la road-map del premier non lascia dubbi. Si intuisce al volo che prima di ogni altra riforma viene la giustizia, l’ossessione quotidiana del Cavaliere. Come diceva Remarque “ all’ovest nulla di nuovo”. E il dialogo? Risponde Anna Finocchiaro: " le decisioni prese al vertice con il premier e non in Parlamento sono come un dito nell’occhio". By-passare le Camere significa aprire la strada all’inciucio che è cosa non buona e ingiusta. In realtà a Berlusconi non interessa il bene della collettività, ma soltanto la sua impunità . Parla di leggi “ ad libertatem”, ma pensa a uno scudo “ ad personam” che lo ponga al riparo dai processi. A questo punto il centro dello scontro sarà sullo smantellamento della Costituzione. Sul passaggio dallo Stato di diritto allo Stato autoritario. Insomma siamo alle solite. Sullo sfondo di una stagione che si preannuncia carica di incognite torna a riccheggiare il monito di Marco Tullio Cicerone: per quanto tempo ancora Catilina abuserai della nostra pazienza!

BUGIE.
Era un tale istrione da riuscire con il trucco e con gli inganni a farsi osannare dalle folle oceaniche mentre portava l’Italia alla rovina. Sembra, detto con un filo di malizia, un personaggio contemporaneo, invece è il Mussolini privato della Petacci, l’amante gelosa e fedele fino alla morte. Nei diari di Claretta, di cui è stata pubblicata la prima parte, ci sono scarsi riferimenti alla politica, ma parecchie considerazioni umane sul Duce, il suo entourage e i cortigiani del fascismo. Ne viene fuori il ritratto di un dittatore che a buon diritto puo’ essere considerato il precursore del gossip tanto è abile a usarlo quale strumento demagogico per accrescere il consenso popolare. Non aveva la televisione, ma i reality dell’epoca, i famosi telefoni bianchi e i film di guerra che accreditavano l’immagine virile cara al regime , contribuivano a fare di Mussolini un irresistibile Don Giovanni, invidiato e ammirato dagli italici maschi in orbace. Pare insomma un “ papi” ante-litteram , un incantatore di serpenti che con una strizzatina d’occhio e un sorso di olio di ricino per i recalcitranti preferisce far vincere , anziché la verità, l’arte della retorica. Sappiamo purtroppo come ando’ a finire quel castello di bugie.