martedì 26 aprile 2016

A dispetto dei cattivi profeti

di Renzo Balmelli 

 

CAREZZA. Speranzosi e forse anche un pochino ingenui, ci eravamo illusi di poter crescere nell'Europa senza frontiere. Purtroppo tra il vino sempre più acido di Matteo S. e il bel Danubio sempre meno blu sono aumentate a dismisura le probabilità che i sogni muoiano all'alba. In risposta al colossale esodo di migranti sappiamo solo mobilitare gli eserciti che per effetto dei vasi comunicanti rischiano di trasformare il continente in uno sterminato "deserto dei tartari" irto di filo spinato. A chi ha venduto l'anima per un pugno di voti maledetti poco importa se il naufragare nel mare della disperazione sarà una sconfitta irrimediabile per l'intera umanità. Dopo l'ennesimo barcone colato a picco sorge però un interrogativo angoscioso. Quanti ne devono morire ancora e quando si capirà finalmente, a dispetto dei cattivi profeti, che questa è una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche? Quando prenderemo coscienza che solo una carezza e non uno sdegnoso rifiuto potrà dischiudere la flebile speranza di un avvenire migliore alla mamma spaventata che sotto la pioggia allatta il suo bimbo infreddolito nell'orrore dei lager. Quando?

 

PROGRESSO. Coi tempi che corrono, parlare di integrazione dei profughi, soprattutto rispetto a una cultura diversa, identitaria e radicata, è un messaggio che trova scarsa e difficoltosa rispondenza. Molto più gettonati sono gli appelli alla chiusura e al sabotaggio degli accordi di Schengen che significherebbero l'inizio della fine per i valori nei quali crediamo. Ma forse non tutto è perduto se la Germania, in controtendenza rispetto alla deriva populista, di colpo, dopo le turbolenze che hanno fatto traballare il trono della Cancelliera, si ravvede e decide che di muri le ne è bastato uno e che nella sua storia non ci sarà un altro passato di cui vergognarsi. Con la nuova legge sull'immigrazione che fa perno attorno al concetto della reciprocità è stato compiuto il primo passo verso un diverso concetto dell'accoglienza che è già stato definito un progresso storico pur suscitando, come era facile immaginare, molte polemiche e reazioni ostili .

 

PARTIGIANO. "Una vita ricca di emozioni, avventure, ideali, impegno sociale e solidarietà" è quella del medico ticinese Sandro Pedroli, membro onorario del Cooperativo, raccolta nel bel ritratto-intervista curato dal giornalista Silvano De Pietro per il settimanale "Ticinosette". Nel servizio, ricco di aneddoti e testimonianze, scopriamo un personaggio fuori dal comune che a Zurigo ha curato e assistito migliaia di emigranti, quando la loro condizione non era tutta rose e fiori, dopo essere stato a sua volta un "Gastarbeiter" a Torino con passaporto svizzero. Ma non un immigrato che si limitava a frequentare la facoltà di medicina, bensì forse l'unico ticinese "ad avere collaborato in prima persona" alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo, guadagnandosi sul campo, correndo non pochi pericoli, la tessera di volontario rilasciata da Giustizia e Libertà al "partigiano Sandro" che ancora oggi è sempre in prima fila a tenere alta la bandiera della Resistenza in occasione del 25 Aprile.

 

SLOGAN. Più che mai dopo le primarie di New York, diventata a sorpresa lo spartiacque per la corsa alla Casa Bianca, sembra impossibile fermare la cavalcata di Donald Trump a meno che i repubblicani, divisi e confusi, decidano con un atto coraggioso, però assai poco probabile, di mettergli i bastoni fra le ruote. Dietro il tycon che prova a smembrare i valori sui quali è stata costruita l'America, il miliardario che divide e radicalizza il confronto anziché unire, si è formato un elettorato eterogeneo e sensibile agli slogan di facile suggestione che possono diventare davvero un pericolo. Con Bernie Sanders i democratici avrebbero avuto un candidato capace di rompere le stereotipo secondo il quale alcune cose negli Stati Uniti non possono essere fatte. Ad esempio rigenerare il concetto di solidarietà. E saranno questi i temi che Hillary Clinton, ormai quasi certa dell'investitura, dovrà recuperare nel solco di una tradizione che va da Franklin Roosvelt a Barak Obama e che il socialista del Vermont ha usato nella sua campagna fuori dagli schemi per scuotere l'establishment. 

 

UOMINI. E' difficile dire se Matteo Renzi pesino più le trivelle o la geografia. Certo è che agli svizzeri, popolo abituato a fare colazione con pane e referendum, è parso piuttosto strano quel quesito in cui occorreva votare SI per dire NO. Ancora più strana agli occhi del popolo elvetico, geloso custode del San Gottardo, è però sembrata la cantonata del premier che ha millantato inesistenti meriti per il nuovo traforo ferroviario da inaugurare il primo giugno. Quasi un affronto di lesa maestà alpina che richiederà un delicato rammendo diplomatico per non appesantire le relazioni tra i due Paesi. Peccato però che nessuno nella foga della polemica abbia ricordato quanta parte d'Italia è invece presente sul cantiere del Gottardo: presente coi nomi incisi nel granito di coloro venuti da oltre confine; coloro che non erano braccia, ma uomini, e che a furia di scavare si sono spezzati le ossa e hanno dato la vita per avvicinare i popoli. Ma questa è un'altra storia!

 

SEGNO. Che succede col cinema italiano? L'interrogativo è stato rilanciato con toni preoccupati dopo la conferma che quest'anno nessun film realizzato in Italia sarà in gara al concorso principale di Cannes, tra tutte le rassegne quella che ha l'identità più forte. Si dice che la settima arte, come tutte le altre d'altronde, sia lo specchio del Paese, dei suoi problemi e della sua capacità di affrontarli. . Considerato che lo scorso anno sulla Croisette i registi venuti dall'Italia erano tre, si potrebbe parlare di un momento di crisi temporanea. Ma così non sembrano pensarla gli addetti ai lavori, convinti invece che il cinema italiano stia vivendo un'era incerta, una fase di transizione durante la quale non è sempre facile confrontarsi con i nuovi orientamenti dei grandi festival. Basterà però rifarsi all'immortale lezione del neorealismo e della commedia all'italiana, capaci al momento giusto di interpretare il segno dei tempi, per ritrovare la vena creativa da cui sono nati tanti capolavori 

 

FUMO. Sullo schermo gli attori non fumano più e se lo fanno fuori dal set lo fanno di di nascosto per non dare il cattivo esempio. Certo è che l'inversione di tendenza è vistosa. Con tre pacchetti al giorno il primo James Bond si metteva in corpo un nemico ancora più temibile del cattivissimo Spectre. Era una finzione, però ormai scomparsa dai copioni. Nemmeno dalla terrazza dell'immaginaria Vigata, dove Montalbano si riposa tra un'inchiesta e l'altra, sale uno solo fil di fumo, benché Camilleri, fumatore accanito, conceda al suo commissario il piacere di una "bionda", ma solo nei romanzi, mai in televisione. Anche nel mondo della celluloide è ormai acquisito il concetto che il fumo è nocivo e può indurre negli spettatori poca consapevolezza dei danni. E' tutto vero, giusto e salutare, ma a costo di commettere peccato di cui chiediamo venia, bisogna però convenire che Casablanca con Humphrey Bogart senza il trench, tornato di moda, e senza l'inconfondibile sigaretta non sarebbe la stessa cosa.

 

mercoledì 20 aprile 2016

Prima dell'ipocrisia mascherata da ragion di stato

di Renzo Balmelli 

 

BUIO. Alzare muri non fermerà l'esodo dei profughi, ma il rifiuto dell'accoglienza che sotto la spinta delle bacate ideologie xenofobe sta ormai raggiungendo livelli parossistici ci fa compiere un viaggio all'indietro nel buio della notte. Nel solco dell'ignobile deriva si arriva così al punto di strumentalizzare in modo indegno le parole di Mattarella quando esorta ad aprire le frontiere per valorizzare il vino italiano nel mondo. Speculare sulla sorte dei profughi usando a mo' di grimaldello, come ha fatto Salvini, un italico prodotto di eccellenza è una operazione di bassissima "lega" al limite del vilipendio che concorre però ad aizzare gli istinti più riposti anziché contribuire ad affrontare le grandi difficoltà legate all'emergenza dei migranti ascoltando la voce del cuore prima dell'ipocrisia mascherata da ragion di stato.

 

DEBOLEZZA. Andare a Lesbo tra i profughi è costato al Papa l'avversione della destra reazionaria che ormai lo considera "venduto al nemico" (chissà quale?) e al servizio del comunismo. Al di là della ridicola insinuazione, l'offensiva contro Francesco rappresenta però la spia di un atteggiamento che non arretra di fronte a nulla pur di rimestare nel torbido. E' un'altra risposta sbagliata al drammatico problema dei richiedenti l'asilo, altrettanto riprovevole della barriera anti-migranti voluta dall'Austria sul Brennero. Con questa iniziativa - afferma la senatrice del Pd Laura Puppato – l'Europa muore. Quel reticolato è una grave ferita alla solidarietà europea che mette in discussione l'essenza stessa della Comunità pensata dai padri fondatori. Dividere denota una fatale debolezza politica.

 

POTENZA. Per uscire dalla crisi dei valori che ne turba l'esistenza, all'Unione Europea serve un altro e alto progetto capace di riconquistare la fiducia dei cittadini. A tale proposito è illuminante il contributo col quale la pagina culturale del Corriere della Sera presenta il libro “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi) di Roberto Esposito, docente di filosofia alla Normale di Pisa. L'autore, consapevole che il Vecchio Continente vive una fase di smarrimento, suggerisce di dare vita a un diverso pensiero all'interno di una nuova prospettiva filosofica nel solco della tradizione italiana che va da Machiavelli a Gramsci, passando per Gian Battista Vico. Ciò che il volume propone è un percorso affascinante per fare dell'Europa dei popoli – citiamo – una “grande potenza civile”. Ne vale la pena!

 

RUOLO. Mentre l'America si prepara a scegliere un nuovo Presidente, sul tavolo di colui che è ancora in carica senza essere, come si ostinano a dire i suoi detrattori, una "anatra zoppa" è arrivato l'incartamento forse più drammatico del suo mandato. Nell'ultimo scorcio dei suoi otto anni alla Casa Bianca, Obama si trova proiettato, a causa delle insidie che pesano sulla sicurezza, alla vigilia della scelta più difficile di politica internazionale. Nei mesi che gli rimangono dovrà affrontare la terribile minaccia che incombe sull'Occidente in seguito all'esplosiva miscela dell'Isis, della tragedia siriana e delle ondate migratorie. Calendario alla mano il tempo stringe e dallo statista dello "yes we can" si attende un colpo d'ala che gli consenta di ritagliarsi un ruolo da protagonista sull'onda della storia di oggi e domani.

 

TORNELLI. D'accordo i massimi sistemi. Ma poi fa sorridere l'idea che Hillary Clinton e Bernie Sanders non perdano occasione di punzecchiarsi a vicenda sulla loro capacità di muoversi coi mezzi pubblici. Quella che è già stata definita la "disfida della metropolitana" non poteva che svolgersi a New York dove la conoscenza della chilometrica rete della ferrovia sotterranea da parte dei due contendenti è apparsa piuttosto lacunosa. Di fronte alla contro-prestazione viaria si è divertita tutta la metropoli, cuore pulsante di uno Stato, quello di New York appunto, prevalentemente democratico che quest'anno avrà un peso rilevante per la scelta del candidato alla volata finale delle presidenziali. L'ex first lady guida i sondaggi, ma l'imbarazzo davanti ai tornelli può costarle qualche simpatia poiché anche questa, come si usa dire, "è la democrazia bellezza!".

 

 

mercoledì 13 aprile 2016

La fiducia non può reggersi sulla sfiducia

di Renzo Balmelli 

 

VALORI. Cercare la purezza in politica è impresa mille volte più ardua che scalare l'Everest a mani nude o trovare il classico ago nel pagliaio. Tuttavia, pur facendo la tara delle umane debolezze e senza scivolare nei giudizi giacobineggianti, v'è pur sempre un limite da rispettare se non altro per tenere ben separata la gestione della cosa pubblica dagli interessi privati. Ciò vale a maggior ragione a sinistra, dove la questione morale è giustamente collocata in cima alle priorità. Ne consegue che su questo fronte trasparenza e onestà dovrebbero essere valori non negoziabili in nessuna circostanza. Arrivare quindi al punto di costringere un ministro a dimettersi a causa di un passo falso che svela i retroscena di una vicenda, denominata "Tempa Rossa" e dai contorni opachi, non è una nota di merito. Ne va del rapporto di fiducia con i cittadini che non può reggersi sulla sfiducia.

 

TENSIONI. Tempesta in un bicchier d'acqua per taluni, scandalo epocale per altri, il caso che ha portato il ministro Federica Guidi a gettare la spugna ha tutta l'aria, così come si presenta, di finire nel lunghissimo elenco dei tanti misteri italiani. La ragione è presto detta. La vicenda cade nel bel mezzo delle tensioni che arroventano il clima elettorale segnato da appuntamenti cruciali: referendum di aprile, amministrative di giugno, riforma costituzionale in autunno. La questione legata al viluppo di telefonate più o meno interessate attorno al giacimento petrolifero in Basilicata continuerà dunque a tenere banco fino a quando dalle urne usciranno i verdetti destinati a disegnare i futuri assetti e i nuovi equilibri della mappa politica. Alla triplice sfida la maggioranza si avvicina proclamando la propria buona fede, mentre l'opposizione, che quando governava accettò senza battere ciglio la deriva del bunga-bunga, ora si erge a improbabile Catone. Ci mancava anche questa!

 

IMBROGLI. Che l'evasione fiscale sia una foresta più intricata di quella in cui si perse il dottor Livingstone non è una novità. Ma che ci fosse una sorta di Grande Fratello a dirigere la piovra della frode planetaria ai danni dello Stato e della popolazione è una rivelazione che aggiunge un nuovo, inquietante tassello alla storia infinita dei paradisi fiscali e dei suoi protagonisti. Con i "Panama Papers", frutto del lavoro di un consorzio internazionale di giornalisti investigativi, è venuta alla luce una rete di imbrogli miliardari che coinvolge sovrani, capi di stato, leader politici e vip intessuta all'interno di un mondo spregiudicato, senza regole, o provvisto di regole tutte sue che garantiscono infiniti privilegi negati al comune cittadino, tassato fino all'ultimo centesimo. Forse non esiste più l'elvetico segreto bancario di una volta, ma gli esperti del ramo non hanno perso tempo a trovare altre scappatoie. E neppure stupisce il tentativo degli ambienti colti col dito nella marmellata di denigrare l'inchiesta volta ad alzare i veli sulla palude della corruzione, definendola poco onorevole. Poco onorevole per chi?

 

SOLIDARIETÀ. Aiutare i profughi a casa loro è il ritornello caro a quella destra che i migranti non li vuole e non lascia nulla di intentato per tenerli lontani, spostandoli da un campo all'altro, da una frontiera blindata a un muro, come fossero bestiame e non essere umani. Ovviamente, così di primo acchito, la frase potrebbe apparire convincente, suadente, se non fosse permeata dall'ambiguità che prima o poi finisce con lo sfociare nella xenofobia. Poiché si fa in fretta a invocare forme di assistenza in loco senza però accompagnarle da seri e concreti programmi di intervento a media e lunga scadenza messi in atto col concorso politico e finanziario della comunità internazionale. Quello che facciamo, diceva madre Teresa, è solo una goccia nell'oceano, ma se non ci fosse quella goccia, all'oceano mancherebbe. Non c'è altro modo per declinare la solidarietà.

 

ARROGANZA. Nel film di Ettore Scola "C'eravamo tanto amati", Vittorio Gassman, si improvvisa posteggiatore di un parcheggio per non svelare la sua vera identità di riccone con scarse basi morali. Nella realtà Carmela Rozza, assessore milanese, donna di saldi principi, non ha nulla da nascondere, ma si batte contro l'arroganza da parte del solito cafone e dei tanti come lui, a loro volta di non solide basi morali, che lasciano la macchina dove gli pare. Con la pennellata sulla fiancata dell'auto in sosta vietata l'esponente del Pd si aspettava che la discussione si aprisse sullo scandalo di chi si arroga il diritto di rendere insicuro i marciapiedi destinati a tutelare l'incolumità di bambini e ai disabili. Invece si è trovata nel mezzo di una bufera per quella mano di vernice forse inappropriata per chi esercita le sue funzioni ma che voleva essere un gesto forte, una denuncia per l'evidente sopruso e il malcostume di chi parcheggia in seconda o terza fila incurante del prossimo.

 

giovedì 7 aprile 2016

La fiducia non può reggersi sulla sfiducia

SPIGOLATURE 

 

di Renzo Balmelli 

 

VALORI. Cercare la purezza in politica è impresa mille volte più ardua che scalare l'Everest a mani nude o trovare il classico ago nel pagliaio. Tuttavia, pur facendo la tara delle umane debolezze e senza scivolare nei giudizi giacobineggianti, v'è pur sempre un limite da rispettare se non altro per tenere ben separata la gestione della cosa pubblica dagli interessi privati. Ciò vale a maggior ragione a sinistra, dove la questione morale è giustamente collocata in cima alle priorità. Ne consegue che su questo fronte trasparenza e onestà dovrebbero essere valori non negoziabili in nessuna circostanza. Arrivare quindi al punto di costringere un ministro a dimettersi a causa di un passo falso che svela i retroscena di una vicenda, denominata "Tempa Rossa" e dai contorni opachi, non è una nota di merito. Ne va del rapporto di fiducia con i cittadini che non può reggersi sulla sfiducia.

 

TENSIONI. Tempesta in un bicchier d'acqua per taluni, scandalo epocale per altri, il caso che ha portato il ministro Federica Guidi a gettare la spugna ha tutta l'aria, così come si presenta, di finire nel lunghissimo elenco dei tanti misteri italiani. La ragione è presto detta. La vicenda cade nel bel mezzo delle tensioni che arroventano il clima elettorale segnato da appuntamenti cruciali: referendum di aprile, amministrative di giugno, riforma costituzionale in autunno. La questione legata al viluppo di telefonate più o meno interessate attorno al giacimento petrolifero in Basilicata continuerà dunque a tenere banco fino a quando dalle urne usciranno i verdetti destinati a disegnare i futuri assetti e i nuovi equilibri della mappa politica. Alla triplice sfida la maggioranza si avvicina proclamando la propria buona fede, mentre l'opposizione, che quando governava accettò senza battere ciglio la deriva del bunga-bunga, ora si erge a improbabile Catone. Ci mancava anche questa!

 

IMBROGLI. Che l'evasione fiscale sia una foresta più intricata di quella in cui si perse il dottor Livingstone non è una novità. Ma che ci fosse una sorta di Grande Fratello a dirigere la piovra della frode planetaria ai danni dello Stato e della popolazione è una rivelazione che aggiunge un nuovo, inquietante tassello alla storia infinita dei paradisi fiscali e dei suoi protagonisti. Con i "Panama Papers", frutto del lavoro di un consorzio internazionale di giornalisti investigativi, è venuta alla luce una rete di imbrogli miliardari che coinvolge sovrani, capi di stato, leader politici e vip intessuta all'interno di un mondo spregiudicato, senza regole, o provvisto di regole tutte sue che garantiscono infiniti privilegi negati al comune cittadino, tassato fino all'ultimo centesimo. Forse non esiste più l'elvetico segreto bancario di una volta, ma gli esperti del ramo non hanno perso tempo a trovare altre scappatoie. E neppure stupisce il tentativo degli ambienti colti col dito nella marmellata di denigrare l'inchiesta volta ad alzare i veli sulla palude della corruzione, definendola poco onorevole. Poco onorevole per chi?

 

SOLIDARIETÀ. Aiutare i profughi a casa loro è il ritornello caro a quella destra che i migranti non li vuole e non lascia nulla di intentato per tenerli lontani, spostandoli da un campo all'altro, da una frontiera blindata a un muro, come fossero bestiame e non essere umani. Ovviamente, così di primo acchito, la frase potrebbe apparire convincente, suadente, se non fosse permeata dall'ambiguità che prima o poi finisce con lo sfociare nella xenofobia. Poiché si fa in fretta a invocare forme di assistenza in loco senza però accompagnarle da seri e concreti programmi di intervento a media e lunga scadenza messi in atto col concorso politico e finanziario della comunità internazionale. Quello che facciamo, diceva madre Teresa, è solo una goccia nell'oceano, ma se non ci fosse quella goccia, all'oceano mancherebbe. Non c'è altro modo per declinare la solidarietà.

 

ARROGANZA. Nel film di Ettore Scola "C'eravamo tanto amati", Vittorio Gassman, si improvvisa posteggiatore di un parcheggio per non svelare la sua vera identità di riccone con scarse basi morali. Nella realtà Carmela Rozza, assessore milanese, donna di saldi principi, non ha nulla da nascondere, ma si batte contro l'arroganza da parte del solito cafone e dei tanti come lui, a loro volta di non solide basi morali, che lasciano la macchina dove gli pare. Con la pennellata sulla fiancata dell'auto in sosta vietata l'esponente del Pd si aspettava che la discussione si aprisse sullo scandalo di chi si arroga il diritto di rendere insicuro i marciapiedi destinati a tutelare l'incolumità di bambini e ai disabili. Invece si è trovata nel mezzo di una bufera per quella mano di vernice forse inappropriata per chi esercita le sue funzioni ma che voleva essere un gesto forte, una denuncia per l'evidente sopruso e il malcostume di chi parcheggia in seconda o terza fila incurante del prossimo.

 

Quanti tragici errori - Quante strategie sbagliate

di Renzo Balmelli 

 

IDRA. Dall'Iraq alla Siria, passando per la Libia e il miraggio precocemente impallidito della primavera araba, l'Occidente e il Cremlino non avrebbero potuto muoversi in modo più maldestro di quanto hanno fatto nel ribollente calderone medio orientale. Col risultato invero sconfortante di non riuscire a contrastare il terrorismo jihadista, fenomeno proteiforme capace di riprodursi come l'Idra a sette teste e ormai in grado di colpire a piacimento. La silente armata dei kamikaze che spunta da ogni dove a dispetto dei controlli e delle retate firma col sangue l'ennesima carneficina nella capitale belga, l'ennesimo oltraggio a ciò che ci è più caro: la vita delle persone che amiamo. Qualsiasi cosa sia il mostro senza volto che semina lutti e dolori, esso si insinua nei gangli sani della società con la sua arma più potente; l'arma del caos, della paura, del panico sfruttando le nostre fragilità. Se non si riusciranno a rimuovere le cause dello sconquasso geo-politico che sconvolge quelle martoriate regioni, altre Parigi, altre Bruxelles verranno a turbare le nostre Pasque.

 

FURIA. E adesso dove e quando colpiranno di nuovo? Se Parigi era l'attacco al cuore della cultura e dello spettacolo, se con Bruxelles si è voluto colpire oltre al Paese che ha arrestato Abdelsalam Salah anche l'Europa, che però mai si piegherà al folle ricatto, ora cresce l'angoscia per individuare il prossimo obbiettivo sensibile e simbolico della furia iconoclasta. Quella furia alla quale, forse per una strana forma di pudore diplomatico, si esita a dare il suo nome di guerra informale e asimmetrica, come in effetti è. Nello sgomento che ci coglie davanti alle tante vittime innocenti allineate nella hall di un aeroporto e nella stazione della metropolitana, ci sentiamo impotenti ed esposti a rischi inauditi. Se ne può uscire, certo, se ne può uscire restando uniti e mettendo in comune i servizi di "intelligence" al di là delle prerogative nazionali. La salvezza però consiste soprattutto nella capacità di elaborare strategie di lungo respiro in grado di coinvolgere attivamente la società civile, che già lo ha saputo fare in altre, non meno temibili circostanze, quando sotto la sferza delle più atroci dittature tutto sembrava perduto.

 

LACUNE. Anche nella scelta delle politiche atte ad affrontare l'emergenza dei migranti, emergenza che si sta rivelando come la più grave tragedia umanitaria del secolo, sembra non vi siano alternative e strategie condivise. Non che si rimanga inoperosi. Tutt'altro. Tuttavia prevale il convincimento che nessun accordo sulla sorte di milioni di individui gettati nella disperazione potrà mai rivelarsi veramente efficace e duraturo, se il peso della "Realpolitik" finirà con l'essere predominante rispetto all'impegno a tutela di chi soffre. In quest'ordine di idee anche l'intesa UE-Turchia si presenta piuttosto lacunosa. Sull'altare degli interessi strategici si mettono a repentaglio valori e conquiste nel campo dei diritti umani davanti ai quali la comunità europea non può abdicare. Appena elaborata l'intesa con Ankara, la prima reazione è stata quella cara alla falange populista di blindare le frontiere, anziché immaginare una seria, ragionata e costruttiva politica dell'accoglienza. Qualcosa stona ed è stridulo.

 

SALE. Bono, leader degli U2, citava la frase pronunciata da un rifugiato, un ragazzo: "Non sono pericoloso, sono in pericolo". Nel dramma dei profughi ciò che manca è una voce che al di là della terminologia di circostanza sappia risvegliare le coscienze e riesca a mobilitare le folle, strappandole dal rischio dell'indifferenza e dall'assuefazione. La Siria non è il Vietnam. Forse è addirittura peggio, e mentre si scrive l'ennesimo editoriale sull'umanità abbandonata, si cercherà invano qualcosa che assomigli allo slancio degli anni sessanta – settanta, quando, salendo dal basso, esplose la contestazione giovanile, la contro-cultura dei figli dei fiori che diede un bello scossone alla pedagogia tradizionale. In questa società con pochi ideali, immersa nel torpore dei telefonini, tutto ciò latita, manca il sale della sana rivolta, mentre la destra ingrassa sulle disgrazie di tanta povera gente. Ahinoi, "fate l'amore e non la guerra" sembra il pallido ricordo di un'epoca in cui ci si poteva ancora illudere di riuscire a creare un mondo migliore.

 

CORAZZA. Nell'epoca della comunicazione globale è stato perfino scomodato il linguaggio di Star Wars per conferire allo storico viaggio di Obama a Cuba, dopo un lungo silenzio durato più di mezzo secolo, l'aura di una saga politico-mediatica oltre i confini dell'impero. In realtà la missione del presidente americano, che ha fatto saltare la mosca al naso ai repubblicani, più che un copione si è rivelata un primo passo concreto verso la completa normalizzazione dei rapporti tra gli USA e un Paese che col suo socialismo sopravvissuto a temperie e privazioni ha rappresentato una eccezione nel panorama latino-americano. Di cammino ne resta comunque ancora tanto da fare. All'Avana si è fatto capire all'ospite che il dialogo iniziato sullo sfondo di un'apertura obbligata non sarà il grimaldello per scalfire la corazza rivoluzionaria, non subito almeno, tanto più che ancora non si intravvede l'abolizione dell'assurdo embargo, ormai privo di qualsiasi ragion d'essere. Tuttavia, di solito quando la storia cambia e fa i primi passi in un'altra direzione, vuole andare fino in fondo. Il merito di Obama e di averle dato una spinta salutare e benefica. A meno che il furore ideologico del passato faccia lo sgambetto alla distensione se per disavventura la Casa Bianca finisse nelle mani dei reazionari.

 

CESPUGLIO. In un celebre "divertissement" letterario apparso sul finire degli anni ottanta lo scrittore Paul Auster definì Bush, che in inglese significa cespuglio, come un arbusto velenoso di una specie estinta. Ai nostri giorni l'autore di libri in cui si è spesso interrogato sul futuro del suo Paese con opere che scandagliano le angosce e le nevrosi dell'uomo moderno, dovrebbe forse ammettere invece che la specie degli arbusti velenosi purtroppo non è affatto in via di estinzione. Anzi è ancora molto diffusa, ha le fattezze di Donald Trump nonché quelle di tutti i suoi sostenitori in patria e all'estero che provano – si spera senza riuscirvi – a spingere gli Stati Uniti verso territori poco frequentabili e ancor meno raccomandabili. E di portarli alla deriva sotto la guida di un narcisista intemerato, convinto di essere il più grande presidente che Dio ha mandato sulla Terra. Vien proprio da dire: Dio salvi l'America!