giovedì 17 marzo 2016

L'IMPERO È FINITO, STATE IN PACE

di Renzo Balmelli

 

SCIABOLE. Già erano scarse le speranze di normalizzare la situazione in Libia, nazione devastata dal terrorismo, dalle bande armate e da un groviglio di interessi inconfessabili. La tragica fine di due ostaggi italiani e l'avventurosa quanto misteriosa liberazione di altri due, le ha praticamente ridotte al lumicino. Il Paese, culla di una millenaria civiltà, oggi è una mina vagante, priva di un governo affidabile, in una regione tra le più pericolose dell'aerea mediterranea. A mo' di rappresaglia qualche esaltato e belluino nostalgico dell'impero sognava di rivivere i fasti della fascinosa Gea della Garisenda che glorificava l'impresa coloniale italiana in Libia intonando "Tripoli, bel suol d'amor", coperta solamente da una bandiera tricolore. Ma il tempo di Lady Godiva e del tintinnar di sciabole a cavallo di un bianco destriero è finito. Quindi state in pace: la guerra non è un videogioco.

 

DECLINO. Coniato dall'analista Jim O'Neill, l'acronimo BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) divenne in breve sinonimo di boom grazie in particolare all'effetto Lula, il Presidente brasiliano figlio di analfabeti che dopo essere stato la stella di un'epoca felice è passato dagli altari alla polvere. Da ruggente qual era, l'economia emergente latino-americana – e non solo – si è trovata avvolta nelle spire della crisi, mentre il tornitore sindacalista che aveva saputo stregare il mondo al di sopra degli steccati ideologici è finito sotto indagine per corruzione come un qualsiasi politicante. Colui che ha fatto uscire dalla miseria milioni di diseredati, il Castro di Rio meglio del Castro dell'Avana come è stato definito, ora si accinge ad affrontare il giudizio della storia con la sola compagnia della "saudade", la malinconia che sovente accompagna il declino del mito.

 

LIMITI. In attesa del "Brexit" di giugno che deciderà se l'UE così come la conosciamo avrà ancora un futuro, oppure se inizierà la sua lenta, inesorabile parcellizzazione, l'Europa, onde verificare la solidità o meno della sua coesione, si misura con la Turchia, ancora lontana dai parametri richiesti per essere accolta nella casa comune, ma non avara di pretese. Ankara difatti alza la posta sui migranti, esige più aiuti dal fondo di solidarietà, però nicchia sulla libertà di stampa, conditio sine qua non posta sul tavolo dei negoziati dal governo di Roma. Qualsiasi revisione del Trattato di Dublino non può esimersi dal rispetto dei fondamentali diritti democratici dell'Unione, inclusa la libertà dei media quale elemento non negoziabile e caposaldo etico prima ancora che politico della sua ragion d'essere. Che Palazzo Charlemagne sia il luogo dei compromessi è risaputo, ma non oltre certi limiti.

 

BRIVIDO. Piccoli Trump crescono. All'ombra del "frontrunner" che l'America tremare fa e manda in tilt i repubblicani moderati (ma ci sono ancora?), in Europa sta crescendo una corposa pattuglia di "trumpisti" che fremono all'idea di vederlo alla Casa Bianca. Sperano infatti di aggiungere le sue alle loro già poco gloriose gesta per formare un asse transatlantico col "lepenismo" made in USA. Il loro sostegno è netto, chiaro, senza giri di parole. "Gli Stati Uniti e il mondo – dicono – hanno bisogno di Trump. Questo è il momento dei confini, dell'esclusione, non dell'accoglienza". Da brivido! Quale sia la summa del pensiero divulgato dal tycon delle primarie è documentato dal video che lo ritrae mentre inveisce contro una donna di colore cacciata dal suo comizio a Louisville, nel Kentucky, e che ha mandato in visibilio i fan puri e duri dell'emarginazione. Quest'ultima cosa non è solo un poco, ma molto preoccupante.

 

RIPOSTIGLI. Sull'onda dei corsi e ricorsi, già in altre circostanze il mondo politico di Washington si è trovato a fare i conti con candidati alla Trump. Ad esempio il repubblicano Barry Goldwater ben sintonizzato, all'epoca, sulle onde di Joseph McCarthy, il fanatico epuratore dei "comunisti" al quale bastava un tocco di rosa per vedere trame rosse ovunque, nei gangli della cultura e dello spettacolo. Nel 1964 Goldwater, ex senatore dell'Arizona, riuscì a strappare l'investitura per la Casa Bianca, ma sia lui sia il suo partito uscirono a pezzi dal confronto con i democratici. Nonostante le sconfitte è curioso notare come gli ultra-conservatori non demordano ed escano dai loro ripostigli quando negli States soffia il vento del rinnovamento: quella portato dai Kennedy e adesso da Obama, ieri come oggi invisi all'America profonda e reazionaria che fa la spesa dall'armaiolo. Coincidenza niente affatto casuale!

 

INGIUSTIZIA. A cavallo tra varie definizioni, tutte ispirate però a un sentimento di disobbedienza e ribellione, l'anarchia fin dall'antichità greca ha dato vita a una gamma di movimenti e linee di pensiero che spaziano da Tolstoj a Bakunin, su, su, fino ai filosofi contemporanei. Nel mondo moderno la figura di maggior spicco è l'americano Noam Chomsky, teorico della comunicazione, sostenitore di Bernie Sanders e noto esponente del pensiero socialista libertario, spesso citato per le sue opinioni in contrasto alla destra demagogica del Tea Party. "Una delle ragioni principali per cui sono anarchico – ha detto a un suo discepolo – è che odio l'ingiustizia, la prepotenza e la falsità. Non voglio comandare né essere comandato e mi schiero sempre dalla parte dei più deboli". Ossia, per essere attuali, di coloro che oggi formano il dolente corteo dei migranti.