di Renzo Balmelli
EREDITÀ. Quando scompare un personaggio carismatico e controverso come Fidel Castro si usa dire che con lui è finita un'epoca. Ci si spinge addirittura più in là per affermare che con il Leader Maximo si è chiuso definitivamente il Novecento. Adesso la prima cosa a cui si pensa è come i suoi successori riusciranno a gestire un'eredità storica tanto importante, quanto ingombrante. L'altro interrogativo, non meno cruciale, è provare a capire quale sarà la sorte di Cuba senza il Comandante che ha riscattato un popolo umiliato dalla feroce dittatura di Batista e dalla pedantesca tutela americana. L'isola caraibica, col suo fascino immutato, oggi è a un bivio: conservare la sua identità o diventare un rifugio per facoltosi dandy annoiati. Con la svolta alla Casa Bianca e l'ingresso del suo prossimo, edonista, imprevedibile inquilino l'orizzonte appare cupo.
OPA. Solo i grandi lasciano dietro di sé sentimenti fortemente contrastanti. Fidel Castro, artefice di una storica rivoluzione che ha entusiasmato e diviso, mobilitato e deluso, appartiene a questa categoria sia per i risultati conseguiti in vari campi, dall'istruzione al sistema sanitario considerato tra i più avanzati al mondo, sia per avere lasciato i dissidenti in prigione. Nonostante le evidenti contraddizioni, all'Avana il cordoglio è sincero tra la popolazione, memore della stagione in cui l'Isola era asservita agli Stati Uniti che la consideravano uno zerbino sulla soglia di casa. Il ruolo della CIA nel sostenere il regime militare è uno dei lati oscuri dalla politica americana in una delle regioni più calde del globo dove la crisi causata dall'istallazione dei missili sovietici si risolse per un pelo sull'orlo della guerra nucleare. Ora come ora è difficile valutare quali intenzioni abbia l'amministrazione repubblicana prossima ventura che però non ha mancato di anticipare le proprie riserve all'operato di Obama determinato ad avviare una nuova era nelle relazioni tra i due Paesi. Con l'OPA su Cuba che a quanto pare Trump sarebbe intenzionato a lanciare per rivedere i trattati di buon vicinato, potrebbe aprirsi una ulteriore partita sulla scacchiera caraibica carica di incognite.
CONFUSIONE. Ma che succede? Dove vogliono portarci gli impresari del potere? Si parla di una seconda Yalta, ipotesi inquietante come poche. Intanto a Parigi sale l'astro di Fillon, in pole position per l'Eliseo, pragmatico, conservatore nei costumi, liberale in economia, che strizza l'occhio a Mosca e all'elettorato lepenista. In Italia Silvio medita il ritorno dopo il referendum, non si capisce da dove e per dove. Salvini esulta e si capisce ancora meno. In Austria Hofer, favorito dai sondaggi che ultimamente però sono usciti piuttosto screditati, scalpita come un bianco Lipizzano della Scuola spagnola di Vienna. In Olanda furoreggia il partito anti-immigrati e la Gran Bretagna si scopre vieppiù populista. Solo la destra – e non c'è di che stare allegri – sembra in grado di raccogliere il grido di rabbia che sta assordando il mondo. Nella gigantesca confusione della platea internazionale, la sinistra vecchia maniera, quella buona rosso antico, è una N.P., una non pervenuta, alla quale si addice la battuta d Woody Allen: Dio è morto, Marx pure e anch'io non mi sento tanto bene.
ASSETTI. Sono in molti a chiedersi, come dicevamo all'inizio, se la preoccupante prospettiva di una nuova Yalta sia destinata davvero a concretizzarsi ed a ridisegnare, come fece la precedente, gli assetti del pianeta. Rispetto al primo vertice in Crimea – oggi tra l'altro teatro di gravi e sintomatiche tensioni stile guerra fredda – sono cambiati i protagonisti e gli scenari. Ma l'idea che gli attuali attori, ossia Putin e Trump, si ispirino ai loro predecessori per spartirsi il mondo in zone d'influenza non è tra le più allettanti. Anzi, mette paura. Sappiamo cosa successe dopo la conferenza del 1945 e quante attese andarono deluse. Ancora non è chiaro che cosa potrebbe scaturire dall'incontro tra il leder americano e quello russo se Washington e Mosca decidessero di giocare la partita da soli, senza fastidiosi intrusi e lasciando in disparte l'Europa di cui oltre tutto non hanno un'altissima considerazione. Sembra insomma di assistere a un nostalgico ritorno di fiamma in cui prevale la tentazione di riesumare dalle catacombe della storia un passato infarcito di pessime ideologie che non si vorrebbe più rivivere e che pesa e condiziona il presente e il futuro. No, così non va.
STILLICIDIO. La sera prima del 25 novembre, alla vigilia della giornata indetta in tutto il mondo per dire basta alla violenza contro le donne, la giovane Elisabeth è andata incontro a una fine atroce, così com'è accaduto ad Angela, Giada, Martina e Rossana a loro volta vittime in pochi giorni del tremendo fenomeno noto come femminicidio. Fenomeno che non è il prodotto di una distorsione mediatica, ma l'espressione di una brutale forma di prevaricazione che continua a persistere. Di casi analoghi in Italia ve ne sono stati quasi seicento (599 per la precisione) dal 2012 a oggi. Uno stillicidio pazzesco a opera di mariti, fidanzati, spasimanti. In tutti questi anni – si poteva leggere sul Corriere della Sera – non sono mancati gli appelli e le riflessioni su come cambiare questo brutto racconto al quale manca tuttora la fine. Invano. Purtroppo il paradosso di questa società è che insegna alle donne a difendersi dallo stupro anziché insegnare agli uomini a non stuprare le donne.