lunedì 10 ottobre 2016

Due immagini

SPIGOLATURE 

 

Siamo rimasti allibiti davanti alla foto dei bambini di Aleppo che si tuffavano nella pozza limacciosa provocata da una bomba. Non meno sconvolgente il filo spinato che nell'est europeo sbarra il cammino ai migranti.

 

di Renzo Balmelli 

 

BUROCRATI. Nell'era della comunicazione virale, l'accostamento tra due immagini diffuse in Internet e viste da migliaia di utenti a volte vale più di mille parole. Siamo rimasti colpiti davanti alla foto dei bambini di Aleppo che si tuffavano in una pozza d'acqua limacciosa ricavata nel cratere di una bomba. Quel tenero gioco ai bordi di una improbabile piscina era per loro un momentaneo antidoto alle brutalità quotidiane cui li condanna la follia umana. Non meno sconvolgente è il filo spinato che nell'est europeo, dimentico di quando a sua volta era prigioniero di un sistema liberticida, sbarra il cammino ai migranti. Sono entrambe testimonianze del nostro tempo in cui il cuore tace e si è perso il senso della ragione. Il futuro per quei piccoli è già stato cancellato, ha detto Dacia Maraini. E per il dolente corteo dei profughi il cammino della speranza che si infrange davanti allo sguardo impassibile dei burocrati.

 

PIFFERO. Venne per suonare e fu suonato. Chissà se il premier ungherese Orbán conosce il detto popolare dei pifferai decisi a fare valere le proprie ragioni e che rimasero scornati. La stessa sorte è toccata a lui, convinto di vincere il referendum che doveva condannare le quote sui rifugiati. Invece, sbagliando bersaglio, ha fatto la figura del piffero. Voleva dare uno schiaffo a Bruxelles, ma i suoi connazionali e non i "cattivi" europei glielo hanno restituito. Ora si tratta di analizzare le ricadute di una sconfitta che in se è una buona notizia, ma che però è maturata in virtù del troppo assenteismo piuttosto che per intima convinzione. Il mancato quorum può infatti significare due cose. Una, quella positiva, che nella patria dei saggi ragazzi della via Pal non è ancora calato il sipario. L'altra, negativa, che Budapest non terrà conto del risultato e andrà avanti col suo giro di vite. La questione magiara resterà quindi ancora inquietante per l'UE e per giunta resa ancor più grave dalla smania di rivincita dei perdenti di oggi. 

 

SFIDA. Al di là dei guai di Orbán, finito al tappeto per l'eccessiva sicumera, il verdetto delle urne ungheresi riporta al centro del dibattito una delle sfide maggiori portate all'ideale comunitario sul quale già pesa la gravosa ipoteca del recente Brexit. La sfida della destra radicale. In effetti, nonostante la battuta d'arresto incassata in Ungheria, non sarà certo la galassia nazional-populista, che sperava e spera ancora nell'effetto domino, a fare marcia indietro. In Francia non si può escludere che Marine Le Pen diventi presidente. L'Austria è pericolosamente in bilico. In Italia risuonano le intemperanze leghiste e in alcune parti del continente si segnalano pulsioni da anticamera del fascismo. Se per delirio d'ipotesi negli USA vincesse Trump, per l'Europa sarebbe una tragedia. Per sventarla il Vecchio Continente dovrà chiamare alla mobilitazione le sue forze migliori, liberali e di sinistra, onde costruire, in antitesi all'oscurantismo, un UE di accoglienza, diritto e giustizia.

 

APATIA. Fino a ieri si sprecavano gli elogi per la fine del conflitto tra la Colombia e i guerriglieri delle FARC dopo oltre mezzo secolo di lotta armata. Purtroppo è andato tutto storto. Il sorprendente "no" dei colombiani che ha fatto fallire il referendum ha avuto l'effetto di una doccia gelata per le speranze di pace. Il rifiuto riporta infatti il destino del martoriato Paese alla casella di partenza. Ma forse era troppo pretendere di cancellare mezzo secolo di orrori da un giorno all'altro. I sorrisi e le strette di mano tra gli ex nemici non sono bastati a esorcizzare il ricordo ancora fresco di una storia fatta di morti, paura, rapimenti, sospetti, veleni, cartelli della droga e vecchi rancori. Sebbene tutte le parti in causa assicurino che il processo di pacificazione comunque non si ferma, in realtà nessuno ha vinto nello Stato dell'America meridionale. Nessuno tranne l'apatia della popolazione sfociata anche qui, come in Ungheria, nel forte astensionismo. Che però, in questo caso, non è una buona notizia.

 

POTERE. A quattrocento anni dalla morte e al netto delle speculazioni su chi fosse realmente, William Shakespeare non solo continua a infiammare accademici e studiosi, ma conserva la sua aura di genio universale che aveva previsto tutto. Tale convincimento è così diffuso da indurre il Washington Post a chiedersi cosa avrebbe detto il bardo di Stratford-upon-Avon in merito al duello Clinton-Trump. In questo contesto si citano i discorsi di Bruto e di Marco Antonio nel Giulio Cesare: il primo razionale, il secondo emozionale. La qualcosa porta la testata che smascherò i misfatti di Nixon nello scandalo del Watergate a domandarsi se "il popolo americano sia tentato dal populismo a causa del fallimento della politica". Lo sapremo quando parleranno le urne. La lotta per il potere, sosteneva Shakespeare, si consuma facendo fuori gli altri, il che conferisce una nota davvero intrigante all'originale chiave di lettura del quotidiano a un mese dall'infiammato rush finale per la Casa Bianca.