lunedì 23 dicembre 2013

Ma l'odissea non si ferma

di Renzo Balmelli

ODISSEA. Non è soltanto di oggi la vergogna di Lampedusa che di colpo, come un soffio gelido, spegne le candeline sull'albero. Basta un rapido giro negli archivi per rammentare che lo scandalo degli immigrati disinfestati e trattati come nei lager nazisti è il tragico epilogo di una situazione sfuggita a ogni controllo e che nel corso degli anni è andata via via degenerando fino a raggiungere il grado di abiezione mostrato dall'agghiacciante video del TG2. Ora si moltiplicano le manifestazioni di sdegno e di condanna ma chi ha buona memoria sa quante inchieste sulle disumane condizioni di accoglienza fecero scalpore in passato con denunce articolate e documentate. Invano. Forte è dunque il sospetto che anche questa volta, passata l'ondata di indignazione, i buoni propositi si perdano nelle pastoie burocratiche e nello sterile rimpallo delle responsabilità. Da tempo si invoca l'avvio di una ricognizione del dolore tramite una carta per Lampedusa che garantisca il pieno rispetto della dignità umana per migliaia di donne e uomini che vedono calpestati i loro diritti senza nessun ritegno. Ma l'odissea non si ferma, al punto da condannare centinaia di disgraziati a morire in fondo al mare per inseguire il flebile miraggio di una esistenza migliore. E nessuno può chiamarsi fuori, perché questo dramma interpella le coscienze di tutti noi.

FORMULE. Le larghe intese non sono un'invenzione tedesca. Se oggi Angela Merkel è in grado di presiedere il suo terzo governo, buona parte del merito va all'Italia che del centro-sinistra è stata la culla negli anni in cui la "grosse Koalition" era ancora di là da venire. Ma c'è di meglio. Di accordi a tutto campo già se ne parlava durante il regno di Sardegna, a conferma del fatto che il Bel Paese in quanto a formule innovative è sempre stato un fecondo laboratorio d'idee. Non di rado lasciate però al loro destino. Difatti, diversamente da quanto accade in Germania, dove si premia la concretezza, a Roma anche le iniziative col marchio del made in Italy apprezzate all'estero finiscono spesso con l'essere vanificate dai bizantinismi di corridoio.

LIBRI. E' difficile dire quanto durerà il governo che prova ad aggiustare i mali dell'infausto ventennio targato S.B. Di solito quando un esecutivo cerca di spezzare il paradosso delle connivenze, procacciatrici di poltrone sicure, ha vita piuttosto breve. Alla compagine di Letta bisogna augurare di resistere a lungo non fosse altro che per la spinta a leggere buoni libri e quindi a valorizzare la cultura. Oggi più che mai si avverte il bisogno di quelle cose che non portano profitto, ma che cambiano l'esistenza. Chi legge – diceva Valentino Bompiani – vive due volte. Dopo anni di grossolana decadenza e di reality fasulli al servizio di una ideologia altrettanto fasulla, l'incentivo fiscale alla lettura è una bella notizia che fa ben sperare.

FORCONI. Quando riecheggiano sguaiati appelli alla marcia su Roma vengono i brividi. Che nella protesta , non priva di buone ragioni, possano annidarsi - scrive Mani Ovadia - fascisti e imbecilli che lanciano accuse sinistre ai banchieri in quanto ebrei, è da furfanti. I decaduti che cavalcano il movimento ad usum delphini non sono animati dalle buone intenzioni che sarebbero utili per intercettare il malessere, ma seguono soltanto l'irrefrenabile passione per le rivalse postume. Le scosse sociali chiedono invece risposte serie e non rozzi speculatori che soffiano sul fuoco evocando lo spettro di golpe immaginari. Perdere il controllo sarebbe pericoloso, perché , anche se di plastica, sempre forconi sono.

SCONFORTO. Nel suo comprensibile sfogo, il Presidente Napolitano dice che in giro c'è troppa disperazione. Fa eco alle sue considerazioni l'identikit fornito da Repubblica di un Paese stanco e che non crede più a quanto si racconta nei TG e nei talk-show. Un nostro assiduo lettore, il giornalista Peter Lorenzi, vi aggiunge del suo, sostenendo che è solo "perditempo, per non dire nausea" ascoltare i politici e anche certi giornalisti che fanno salotto. Bisognerà quindi vedere se in futuro i lampi di gioventù che a partire dal Pd mostrano una generazione decisa a cambiare passo riusciranno ad avere la meglio sul clima depresso di fine anno. Clima che all'interno di una crisi sempre più profonda diventa l'emblema dello sconforto.

LACUNE. Non tutti i quiz vengono per nuocere. Capita di rado, ma a volte succede di fare scoperte istruttive nelle titubanti risposte dei concorrenti che aprono squarci vistosi sulla scarsa conoscenza non dell'evo antico, ma di eventi a noi vicinissimi e ampiamente documentati. Sintonizzati su Raiuno, molti spettatori saranno rimasti sconcertati dalla difficoltà mostrata dai partecipanti al gioco nel collocare l'epoca in cui Hitler era il terrore dell'Europa. Nessuno ha saputo indicarla tranne che per esclusione, quando era rimasta una sola data disponibile. Sembra quasi impossibile che si possa ignorare il recente passato in modo tanto vistoso, al punto da chiedersi se con tali lacune persone mediamente istruite sappiano in che mondo viviamo.

SFERZATA. Slogan anarchico di fine Ottocento, tornato popolare negli anni della contestazione, il detto " una risata vi seppellirà" non ha perso la sua efficacia. D'altro canto è noto sin dai tempi di Molière che si piange col cuore e si ride col cervello. Ma va bene anche il contrario. Di fronte alle smanie del Cavaliere che vagheggia improbabili rivoluzioni come al solito solo per i suoi comodi, una buona battuta è una sferzata che ne accentua il ridicolo. Berlusconi – racconta Ezio Greggio a Striscia la notizia su Canale 5 – "vuole prendere la Bastiglia, ma si confonde, deve prendere la pastiglia". A Milano per una chicca così c'è un modo di dire eloquente: "Ciapa su e porta a cà", prendi e porta a casa.

GARA. Autore tra i più rappresentativi del ventesimo secolo e campione degli aforismi, Fernando Pessoa sosteneva che il poeta per sua natura è un fingitore. Sarebbe interessante sapere cosa penserebbe lo scrittore portoghese degli scienziati cinesi che hanno attinto a piene mani alla tradizione e alla poesia per tenere a battesimo lo sbarco sulla luna di una sonda con le insegne del Celeste Impero. Anche loro fingitori? Una dea, Chang-e, e un coniglio di giada figureranno d'ora in poi accanto a nomi più convenzionali tipo Atlas o Cosmos nella corsa al nostro satellite. Una gara che effettivamente di poetico ha poco, ma che attesta il gigantesco balzo tecnologico di Pechino per fare valere le proprie ragioni nello spazio , tornato a ingolosire le grandi potenze.

 

giovedì 12 dicembre 2013

Una fiducia non scontata

di Renzo Balmelli

FIDUCIA. E' prematuro dire se il cambio della guardia alla testa del Pd sia il presagio di un periodo di bonaccia nella convulsa politica italiana. Bisogna augurarselo, ma di sicuro la reazione non mollerà la presa tanto facilmente pur di tenere il Paese sotto scacco. Comunque sia, intanto il governo incassa la fiducia delle Camere; un gesto che non era scontato, soprattutto al Senato, dopo la vociante sarabanda messa in scena da Forza Italia e dai pentastellati. E quindi ancor più significativo, se si considera l'ampiezza della posta in palio. Ora non resta che mettersi all'opera per non sprecare altro tempo prezioso. Il voto del Parlamento non è una cambiale in bianco, questo no, ma un segnale molto importante che oltre a confermare il sostegno all'Esecutivo lascia sperare nella possibilità di una navigazione meno turbolenta in vista delle riforme. Che è poi quanto ha bisogno l'Italia in questo periodo segnato dalla crisi, dalla rassegnazione e dalle sventurate contorsioni di chi cavalca il movimentismo non certo animato da nobili intenti .In politica il passato pesa, specie dopo un ventennio traumatico, ma se persino Obama e Raul Castro si stringono la mano in mondovisione è immaginabile che anche a Roma si possa pianificare il futuro con maggiore serenità e in un clima meno esasperato.

DIGNITÀ. Ogni successione importante contempla la speranza di un cambiamento. Nel Pd, erede di una tradizione culturale votata al primato delle idee, sono maturate dopo un lungo travaglio le condizioni per uno storico mutamento che non può in nessun modo venire disatteso. In quest'ottica Matteo Renzi si accinge ora ad affrontare la prova del fuoco. Senza indugi il nuovo segretario dovrà dimostrare non soltanto a parole, di cui non è certo sprovvisto, ma anche nei fatti, di essere l'uomo giusto al posto giusto, all'altezza del trionfale mandato ricevuto alle primarie. Da qui non si scappa: l'incentivo rappresentato dal maggior partito italiano è l'unica alternativa in grado di arrestare la marea montante di una destra sempre più demagogica. D'altronde dovrebbe essere chiaro a tutti che l'obiettivo primario di una sfida epocale in cui per vincere non basta rottamare, consiste proprio in questo: consiste nella capacità di ricostituire il tessuto morale per portare la nazione fuori dall'infausto inverno di Arcore. Richiesti all'uopo sono, in ugual misura, grandi visioni e progettualità concrete nella piena consapevolezza che "sinistra" significa in primo luogo dignità.

"NEGRI". Gli hanno tributato onori planetari, ma il più importante sarà di non lasciare che gli ideali di giustizia e libertà – per i quali Mandela si è battuto fino a quando le forze lo hanno sorretto – finiscano in uno scatolone chiuso nel mausoleo della storia. Per misurare l'ampiezza dello straordinario cammino compiuto da colui che verrà ricordato come l'ultimo mito del Novecento, bisogna immaginare cos'era l' orrenda realtà dell' apartheid, quando i neri del Sud Africa erano considerati dai coloni bianchi poco più che oggetti di cui disporre a piacimento, e non persone. Per porre fine allo scempio, colui che spezzò le catene della prevaricazione dell'uomo sull'uomo, ha trascorso un terzo della sua vita in carcere, convinto che il mondo non avesse un solo colore. C'è riuscito, ma ora, come detto, è la sua eredità che andrà amministrata e perpetuata con saggezza per far sì che la gramigna del segregazionismo, mai del tutto estirpata, non torni ad attecchire e a infestare i comportamenti verso coloro che sono ridiventati i "negri" agli occhi degli incalliti oppressori sparsi ai quattro angoli della terra.

SGOMENTO. Nei rigurgiti del razzismo che intossicano l'Europa, non c'è più rispetto nemmeno per Anna Frank, la ragazzina ebrea trucidata dai nazisti. L'ennesimo episodio antisemita arriva dal cuore di Roma e ruota attorno al tifo esasperato tra opposte fazioni in cui l'immagine della giovane è stata oltraggiata in modo abominevole. Si rimane sgomenti di fronte a un episodio tanto aberrante; un'escrescenza nauseabonda che è la spia di una sottocultura frutto dell'ignoranza e degli esempi forniti dai cattivi maestri. A tal punto da perdere di vista il rispetto verso il passato. Che poi, su questo fronte, agiscano forze che campano sugli istinti riposti e le ideologie bacate per raccattare voti, non fa che accrescere lo sconcerto in chi paventa derive ancor più minacciose.

GOGNA. Avrà tanti difetti, ma l'Italia non è di sicuro un Paese autoritario. Tuttavia pare non sia tramontato il vizietto della gogna mediatica e delle liste di proscrizione per i giornalisti sgraditi al "regime" di cui si ebbe una prima, eloquente dimostrazione col famigerato editto bulgaro di Silvio B. Ora sembra che anche i grillini vogliano mettere il bavaglio alla libertà di criticare e quindi alla libertà di stampa. Si va così costituendo una sconclusionata alleanza che ha quale collante il populismo e che si sviluppa lungo due direttrici, l'una non meno perniciosa dell'altra: da un lato gli attacchi sconsiderati al Colle, dall'altro il piacere maligno di soffiare sul fuoco per portare il Paese allo sfascio. Dove vogliano arrivare con un programma tanto velleitario e confuso è una incognita non esente da pericoli: ma qualsiasi cosa sia non sembra portare a buon fine. Forse a chi si ostina a farla fuori dal vaso sfugge il fatto che nel giornalismo è un obbligo morale diffidare del potere, specie se ha queste fattezze.

MOBILITAZIONE. Mai come adesso è parso necessario mobilitarsi per salvare l'Europa dal nazionalismo che di giorno in giorno si sta facendo sempre più forte, incendiario e ostile, col rischio di portarla alla rovina. Sullo sfondo dei moti che dall'Ucraina all'ira dei "forconi" testimoniano l'esistenza di un profondo disagio, la tendenza a esasperare le difficoltà – che pur ci sono e sono tante – rispetto ai progetti comunitari, può magari far vincere una singola battaglia elettorale, ma alla fine – chiosa Enrico Letta – costruire solo macerie. Parole sante, poiché fu proprio sulle macerie che nacque l'Europa unita, determinata a bandire la guerra dal suo orizzonte. Sessant'anni di pace sono li a dimostrare che l'impresa è possibile, non soltanto per farne una terra di opportunità economiche, ma anche di giustizia e libertà.

VITALITÀ. Metti sullo stesso palcoscenico l'intoccabile Traviata e una regia molto poco tradizionale, e lo spettacolo nello spettacolo, tra applausi interminabili e manifestazioni di dissenso, è assicurato. Si sa che ogni prima alla Scala crea rari momenti di totale concordia. La contestazione è però anche un segno di vitalità. Mostra infatti l'altra Italia, la migliore, quella non contaminata dal bunga-bunga, quella che lo stesso giorno ha trionfato grazie a Paolo Sorrentino, regista, e Paolo Servillo protagonista, all'Oscar europeo del cinema con " La grande bellezza". Mentre si faceva buona cultura, da destra si levavano le solite berlusconate di fine impero. Come volevasi dimostrare, la decadenza non è di un uomo solo, ma del sistema da lui creato e di chi l'ha tenuto in piedi.

 

giovedì 5 dicembre 2013

Un’invocazione con molta interpunzione

di Renzo Balmelli

OSSESSIONE. Basta!!!!!!! Scritta così, con una sequela infinita di punti esclamativi, è l'invocazione più usata dai lettori per biasimare l'ossessiva rincorsa a Berlusconi come fosse un divo e non un politico decaduto in virtù di una sentenza che non è uno scherzo. Ovunque cada lo sguardo, i titoli si ripetono come tanti cloni. Berlusconi con la Pascale, Berlusconi con Dudù, Berlusconi sgrida Barbara, Berlusconi ad Arcore, Berlusconi a Palazzo Grazioli, Berlusconi in elicottero, Berlusconi a Milanello. Sì, davvero basta!! Non se ne può più. Per poi concludere con la domanda dalle cento pistole: ora che farà Berlusconi? Che volete che faccia. Niente, come ha sempre fatto, tranne curare i suoi interessi personali. Ma per quanto ovvia la risposta sia, stranamente però non figura da nessuna parte per un semplice motivo: la "deberlusconizzazione" del Paese è appena iniziata e non terminerà tanto presto.

VENTENNIO. Dopo la decadenza l'avventura politica di Silvio B. cambia, ma non finisce qui. Purtroppo. Chiuso un ventennio, c'è il rischio che se ne apra un altro ancor più turbolento e facinoroso. I sondaggi, ammesso e non concesso che siano veri, sembrano svelare una realtà difficilissima da rimuovere dal tessuto nazionale. Come un virus, il berlusconismo è dentro gli italiani. O perlomeno una parte di essi. E' il cosiddetto "mal du siècle" di cui parla Barbara Spinelli, ancora molto radicato in chi non ha altra ambizione se non di essere come il Cav. Tutt'altro che morta, l'eredità politica e culturale del ventennio - " è un'abitudine mentale, un credo epidemico" che non cesserà di intossicare il Paese senza uno spietato esame di coscienza. Impossibile? Una utopia? Forse no. Forse quel grande, stimolante laboratorio che è l'Italia può ancora sorprenderci.

VISIONI. Al Pd si offre la straordinaria possibilità di guidare la riscossa civile, economica e morale dell'Italia, Basta fare le scelte giuste. Non è la prima volta che ciò accade nella storia della sinistra e non è la prima volta, ahinoi, che l'obbiettivo viene mancato per le lotte intestine, come sta appunto avvenendo adesso in vista delle primarie. Ma quali scelte? Ai cittadini nauseati dell'insulso teatrino delle poltrone occorre offrire una vera alternativa. Un deciso salto di qualità rispetto alla tetraggine un po' wagneriana della decadenza dell'ex premier, consumata nella noia dei soliti slogan davanti a quattro gatti . Occorre un forte segnale di discontinuità, alla larga dalle larghe intese prima maniera. Il Pd torni insomma ad essere orgoglioso dei suoi valori e portatore di quelle visioni su come dovrà essere il Paese nei prossimi anni: visioni che sono la chiave di volta per una buona politica, al passo coi tempi.

ALLEANZA. Anche declinato nella lingua di Goethe, il matrimonio delle larghe intese tra SPD e CDU/CSU non è, come si suol dire, un viaggetto di tutto riposo. A dispetto della concretezza tedesca, avulsa dai bizantinismi all'italiana, la strada verso la grande coalizione resta in salita e al momento non offre ancora garanzie di riuscita, ancorché sia considerata su entrambi i fronti un'alleanza quasi indispensabile. Uscito dalle elezioni senza una maggioranza assoluta, lo schieramento della Merkel non è in grado di fare da solo. In casa socialdemocratica la scelta appare in un certo qual senso obbligata, ma la base, chiamata a decidere con un referendum dall'esito affatto scontato, rumoreggia nel timore di perdere consensi. La posta in gioco è dunque molto alta. A detta degli esperti si tratta di far nascere il nuovo governo o di ucciderlo prima ancora che venga alla luce.

EUROVOTO. Nelle trattative in corso a Berlino uno dei passaggi cruciali è rappresentato dalle opzioni in vista delle prossime elezioni europee, in programma a fine maggio. All'appuntamento mancano ancora sei mesi, ma le dinamiche comunitarie occupano ormai uno spazio fisso in tutti i paesi,, tanto da poter dire che la campagna elettorale batte ormai il pieno. In questo contesto, la maggiore preoccupazione è data delle ideologie subdole che si insinuano nei gangli vitali della società sull'onda di quella che si potrebbe chiamare l'internazionale del populismo: un'alleanza paradossale che mira a fare saltare il banco dell'integrazione e dentro la quale si muovono gli aspetti più inquietanti dell'euroscetticismo, dall'ostilità verso la libera circolazione alla paura degli altri, dai proclami nostalgici, alle tendenze xenofobe. Tutte incognite che verosimilmente non avranno la meglio, ma che rischiano di pesare sull'esito del voto fornendo alle formazioni nazional-populiste altro foraggio per le loro perniciose ideologie.

STRAGE. Vivere e morire in una fabbrica, come schiavi dell'era moderna. Siamo nel 2013, in un secolo di tecnologia avanzata, eppure può succedere che sette operai vadano incontro a una fine orribile, arsi vivi nell'incendio del capannone in cui lavoravano e vegetavano in condizioni di drammatico e criminale sottosviluppo. Erano cinesi, sfruttati all'inverosimile, capitati chissà come a Prato, fiorente cittadina toscana, tra i distretti tessili più grandi d'Italia. Quasi ogni giorno le cronache raccontano di situazioni di disagio al limite della sopravvivenza. In un paese civile è intollerabile che cose del genere possano proseguire senza regole, sullo sfondo spietato di una immensa, disumana illegalità. Dire adesso che era una tragedia annunciata e restare a guardare senza porre fine all'ignobile sfruttamento, sarebbe come uccidere una seconda volta quei poveri esseri umani alla deriva e privi di difese.

 

giovedì 28 novembre 2013

Un punto per Obama

di Renzo Balmelli

DIALOGO. Quando non è soltanto una parola più gentile per indicare le cannoniere, la diplomazia a volte riesce anche a smuovere le montagne. Qualcosa del genere è accaduta a Ginevra col primo accordo sul nucleare iraniano che costituisce una mina vagante per la sicurezza. Pur comprendendo le legittime apprensioni di Israele, che dal precedente regime di Teheran non ha certo ricevuto profferte d'amore, occorreva rimuovere gli ostacoli che impedivano di disinnescare la tensione in una delle regioni più a rischio del pianeta. Forse è ancora troppo presto per parlare di svolta storica. Intese di questa portata necessitano di un lungo periodo di incubazione, tanto più che non mancano i nemici nelle rispettive società nazionali. Basti pensare al livore della destra repubblicana negli USA. D'altro canto mantenere a oltranza l'Iran nel cono d'ombra degli stati canaglia era una scelta carica di insidie. Obama l'ha capito e nella ricerca del dialogo ha messo a segno, a dispetto del Tea Party e degli ayatollah intransigenti, un punto importante.

ABOMINIO. Quasi si stenta a crederci quando si leggono le raggelanti statistiche relative alla violenza sulle donne. Invece quei dati che certificano l' aumento impressionante del femminicidio sono la conferma inesorabile di un fenomeno che non accenna a diminuire nonostante la mobilitazione e le giornate internazionali di sensibilizzazione. Le iniziative in tal senso per fermare l'abominio difatti non mancano. Significativo è stato il gesto del Presidente Napolitano che ha conferito l'onorificenza di Cavaliere all'avvocatessa di Pesaro sfregiata con l'acido su ordine dell'ex fidanzato. Ma fintanto che in tutte le parti del mondo continuerà a imperversare la sottocultura maschilista che considera la donna alla stregua di un oggetto, non si dovrà mai stare zitti poiché il silenzio è complicità. Oltraggiare l'altra metà del cielo è un gesto bestiale che ricalca le peggiori prevaricazione di stampo fascista.

EQUITA'. Se qualcuno osa sfidarne le prerogative, anche la destra svizzera è simile a tutte le altre. Nel campo dei super stipendi poi non vuole sentire ragione. E' dunque con un sospiro di sollievo udito in tutta la Confederazione che i top manager, quelli dei compensi annui oltre i 15 milioni di franchi, hanno accolto la bocciatura del referendum che mirava a ristabilire un minimo di equità nelle retribuzioni aziendali. Due svizzeri su tre hanno respinto la proposta dei Giovani socialisti che per il suo significato universale ha destato molto interesse anche all'estero. Rovesciando l'assioma si potrebbe d'altronde osservare che uno su tre l'ha comunque approvata, a testimonianza del crescente malessere tra i salariati. Gli avversari dell'iniziativa hanno parlato di un ritorno del bolscevismo. In realtà si trattava di promuovere una maggiore giustizia sociale non tanto per superare il capitalismo quanto i suoi eccessi intollerabili.

TRUCCO. Qualcuno ricorderà il finale a sorpresa del film di Woody Allen " La maledizione dello scorpione di giada", quando la formula magica che alterava la realtà cessava di funzionare. Al crocevia della Seconda repubblica l'Italia sta vivendo un finale di partita più o meno simile. Dopo vent'anni , il torpore ipnotico del berlusconismo ha smesso di fare effetto: il trucco non solo c'è, ma si vede. Il potere di seduzione non dura in eterno e ormai dal cappello a cilindro del Cavaliere escono frasi senza l'arte e la grazia del carisma che i suoi sostenitori vorrebbero attribuirgli. Di carismatico, difatti, c'è ben poco nelle dichiarazioni fuori misura, quasi eversive, per scongiurare l'ineluttabile decadenza. Sprecare una parola così bella e preziosa com`è appunto il carisma, da usare solo in casi eminentissimi, significa difatti ricadere nella trappola dell'abbaglio mediatico che già tanti guai ha procurato.

SOLITUDINE. Decadenza di Silvio B. Si, Ma come? Con ogni verosimiglianza vedendosi abbandonato da coloro che un tempo formavano la corte di Arcore e che ora, col leader che barcolla, emigrano verso altri carri di possibili vincitori. Al fuggi, fuggi, l'ex premier replica alzando la posta. Forse non gli hanno ancora insegnato che l'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re. Perché lui di cose nel vuole tante. Esige l'immunità parlamentare e ordina al Colle di concedergli la grazia, minacciando sfracelli in caso contrario. A suo dire sarebbe un golpe colpire colui che i fedelissimi chiamano il "Kennedy di Arcore", benché l'unica affinità riguardi le infedeltà coniugali. I maligni adesso immagineranno il Cavaliere intento a fischiettare " La mia solitudine sei tu" interpretata dalla zingara di Ligonchio, al secolo la devota Iva Zanicchi, che dopo due legislature la mano non gliela da più.

REALISMO. Che la vicenda non abbia alcun rilievo penale è accertato. Ma che questo basti per dissipare le ombre sullo slalom della Cancellieri non è per nulla provato. Ci sono situazioni in cui il concetto etico della politica dovrebbe prevalere su qualsiasi altra considerazione. Ammesso e non concesso che esista ancora. Ciò che il Paese disorientato dai precedenti e poco edificanti esempi di mala gestione, attendeva con ansia era un gesto di umiltà, un passo indietro per rassicurare l' opinione pubblica che non esistono due Italie, quella dei potenti e delle corsie preferenziali e quella della gente comune per la quale non si fanno telefonate. Sarebbe stato un segnale di altissimo valore morale, nel momento in cui il Pd è davanti a scelte cruciali. Non è arrivato. Ha vinto il realismo delle larghe intese che non sempre è una buona risorsa per rianimare le speranze di un cambio epocale.

 

giovedì 14 novembre 2013

LE ANIME PERSE

di Renzo Balmelli

RILANCIO. Se ci fosse un Gogol contemporaneo, più che di anime morte parlerebbe delle anime perse della sinistra, tesa a inseguire un'ansia di rinnovamento che tra i brandelli del passato e le foglie al vento del presente non riesce a costruirsi una nuova identità per il futuro. Il problema non è tanto la litigiosità che fa da sfondo alle primarie. E' fisiologica. Basta guardare a quello che succede negli Stati Uniti dove i competitori se ne dicono di tutti i colori. No, il problema è che non sono d'accordo su niente, nemmeno sull'adesione al PSE, voluta e rinnegata fino ad arrivare al punto di rottura. E' insomma una questione di cultura politica che se non riesce a esprimere un minimo comun denominatore e uno straccio di modello unitario, difficilmente darà risultati di lunga lena. Senza una visione condivisa un grande partito come il Pd non si rilancia.

MISERIA. Nemmeno durante la Prima Repubblica si erano contati così tanti emendamenti per un solo provvedimento. Mai si era arrivati alla cifra mostruosa di 3093, tanti quanti ne sono stati presentati per la Legge di stabilità, frutto di appetiti irrefrenabili. E neanche a cercarla col lanternino si troverà in questa intricata foresta di modifiche, rettifiche e aggiunte, una richiesta che avvicini alla cultura, sebbene sia uno dei temi ricorrenti in ogni dibattito sul declino e la possibile ripresa dell'Italia. In questo settore cruciale il mondo politico italiano , prigioniero delle sue faide quotidiane, ha mostrato un'attenzione sicuramente non pari alla straordinaria potenzialità dell'offerta che ne fa una delle prime al mondo per il pregio artistico e naturalistico. Non meraviglia quindi se all'estero, dove serpeggia lo sconcerto per le evidenti lacune, si parli di " bella miseria" anziché di Bella Italia.

MEMORIA. Con la dolente compostezza richiesta dal triste evento, è stata ricordata la Notte dei cristalli che 75 anni fa diede il via al bestiale pogrom nei confronti degli ebrei. Ma poiché l'incontro con la stupidità, lungi dall'essere impossibile, è perfino probabile, le voci stridule non smettono di farsi sentire. Mentre non si è ancora depositato il polverone sollevato da quel signore che confonde l'Italia democratica con la Germania nazista, un suo emulo, ospite a Gerusalemme, ha rincarato la dose asserendo che quel signore e gli ebrei rappresentano i mille volti della persecuzione. Si torna insomma in altra forma sullo stesso parallelo nel tentativo di sdoganare un concetto improponibile che non ha nessuna attinenza con la realtà se non quello di rivendicare il ricorso alla memoria per l'uso personale. Un triste, tristissimo esempio di cupio dissolvi.

RIBELLE. Già le origini, umili, in uno sperduto villaggio algerino al tempo del colonialismo, concorsero a fare di Albert Camus l'étranger qui nous ressemble (“lo straniero che ci somiglia”), la scomoda coscienza critica della Francia e dell'Europa. A oltre 50 anni dalla prematura morte in un misterioso incidente e nel centenario della nascita, l'autore francese più letto al mondo, premio Nobel, ammiratore di Silone, ribelle, eroe della Resistenza, assetato di giustizia e libertà, resta una presenza viva per la sensibilità e la capacità di indagare nei meandri dell'essere umano. Autore di capolavori come La peste , Lo straniero e L'uomo in rivolta ci ha lasciato un pensiero attualissimo, non omologabile, vigoroso e quanto mai necessario in quest'epoca povera di visioni illuminanti, segnata dal pressappochismo e dal "bunga-bunghismo" di cui l'Italia sta ancora pagando un prezzo elevatissimo.

MILIARDARI. Spuntano come i funghi dopo una spolverata di rugiada, ma sono meno appetitosi. Mentre l'Europa stenta e sul ponte sventola bandiera bianca, i miliardari proliferano a vista d'occhio nei cinque continenti e messi assieme detengono una ricchezza superiore al PIL di tutti i Paesi, tranne USA e Cina. Per loro la crisi è soltanto una parola sotto la lettera "c" del vocabolario, un dettaglio da non prendere nemmeno in considerazione nel mare sterminato del loro patrimonio complessivo che raggiunge i 3.100 miliardi di dollari. O Dio, anch'essi , poveretti, qualche preoccupazione ce l'hanno. Dover scegliere ogni giorno in quale villa o in quale maniero assecondare la passione per i viaggi, le collezioni d'arte, il golf e i jet privati alla lunga può sfiancare. Vuoi mettere l'adrenalina di una bella fila per un posto di lavoro!

ORELLI. Nel mezzo di una situazione difficile che vede critici e letterati accorrere al capezzale della poesia in sofferenza, viene a tacere una delle voci più autenticamente poetiche della nostra epoca: quella del ticinese Giorgio Orelli, considerato uno dei maggiori rappresentanti della poesia contemporanea di lingua italiana. Se l'idioma di Dante, ma anche di Foscolo, Pascoli e Montale, non è ad ammuffire in qualche scaffale, ma continua a far vibrare le corde più profonde dell'animo, gran merito va a questo figlio della valle a ridosso del Gottardo, scomparso a 92 anni, che ha insegnato a intere generazioni a vederlo con occhi nuovi, in tutta la sua ricchezza verbale. Per questa sua capacità di innovare, per il gusto della parola precisa, Orelli oltre che poeta è stato un grande ambasciatore della lingua italiana. Ciò che fa di lui, come disse Gianfranco Contini, un toscano del Ticino.

 

martedì 5 novembre 2013

Stupisce che ci si possa stupire

Nel balletto dello spionaggio amico tra le due sponde dell'Atlantico, ciò che maggiormente stupisce è il fatto che ci si possa stupire per qualcosa di cui da tempo si conosceva l'esistenza e che riguarda tutti.

di Renzo Balmelli

SCANDALO. Nel balletto dello spionaggio amico tra le due sponde dell'Atlantico, ciò che maggiormente stupisce è il fatto che ci si possa stupire per qualcosa di cui da tempo si conosceva l'esistenza e che riguarda tutti. Siamo infatti in un campo in cui nessuno può dirsi innocente. Non sorprende quindi che dalla Casa Bianca la polemica raggiunga il Cremlino, risvegliando il ricordo della stagione in cui secondo la vulgata corrente faceva comodo pensare che le spie venissero dal freddo e fossero soltanto i comunisti a frugare nella vita degli altri. Non è una attenuante, nemmeno per Obama che adesso ha le sue gatte da pelare per riconquistare la fiducia degli alleati furiosi. Caso mai la differenza rispetto al passato è il dilagare di tecnologie ultra sofisticate e gadget truccati che consentono di intercettare qualsiasi Cancelleria e qualsiasi vertice, eludendo le reti di protezione e rendendo lo spionaggio uno strumento misterioso, potentissimo e impossibile da controllare. Questo semmai è il vero scandalo orwelliano.

GUERRA E PACE. Siamo così assuefatti da non farci emozionare quando sentiamo la parola guerra, una delle peggiori contemplata dal dizionario, se non la peggiore. Per trasalire, per indignarci, le immagini devono essere di una tale efferatezza da risultare intollerabili finanche ai generali. Complice l'indifferenza di chi finge di volerla, ma si guarda bene dallo smantellare gli arsenali, l'umanità si è rassegnata all'idea che la pace nel mondo sia la più utopistica delle utopie. A smentire la fallace teoria provvede con il suo instancabile impegno Jody Williams, invisa ai mercanti di morte per la sua vittoriosa battaglia contro le mine antiuomo che le valse il premio Nobel. Ora la "ragazza del Vermont", come ama definirsi, lancia una nuova campagna con l'obiettivo di smascherare il legame perverso tra tecnologia e guerra. Se avrà successo, il suo sforzo contribuirà a rendere la pace un tema meno utopistico, togliendo denaro alle armi per investirlo in vera sicurezza.

SOGNI. Che a travolgerli siano i panzer di Breznev o i bizantinismi post-sovietici, l'esito è sempre sconfortante: coloro che un tempo ormai lontano trepidarono per la primavera di Praga, dovranno arrendersi all'idea che i sogni muoiono definitivamente all'alba. Delle inaudite speranze tramandate da Dubcek alla rivoluzione di velluto di Vaclav Havel, restano ormai soltanto brandelli di ricordi e la nostalgia di epoche diverse, ma cariche di fermenti, che mai videro concretizzarsi le aspirazioni del Paese. A rendere il contrasto ancora più acuto concorre nella Repubblica Ceca, sorta dalle ceneri della Cecoslovacchia, l'esito delle elezioni politiche che mostra un quadro frastagliato e oltremodo confuso. Dalle urne emergono, quale espressione di una nuova-vecchia casta politica, due filoni contrapposti destinati a fare scintille: da un lato il ritorno dei comunisti, decisi a ritrovare un ruolo in governo, dall'altro la pesante zampata dei populisti, presagio di "relazioni pericolose" dai risvolti inquietanti.

GIRAVOLTE. Possibile non vi sia nella destra un'anima pia tanto coraggiosa da dire a Berlusconi quanto sia patetico riesumare vecchi simboli che ormai non incantano più nessuno. Dirgli che il Paese è cambiato, che seppure con grande fatica è iniziato un nuovo capitolo, che non si fa il bene della comunità con la guerriglia che i suoi rambo e le sue pitonesse vorrebbero scatenare per fermare il corso della storia. Con le " larghe intese" si è fatto di necessità virtù, ma non ad ogni costo, non fino al punto da costringere il governo a sprecare energie per rintuzzare i capricci del Cavaliere. Non è accettabile, insomma, la strategia che inventa un pretesto al giorno per scaricare sulla popolazione il peso di scelte azzardate delle quali chi le ha provocate dovrà assumersi per intero la sua responsabilità. Forza Italia? Povera Italia!

SCENARI. Da Firenze a Trento la distanza è molta, ma non insuperabile. Vi si incontrano non soltanto le molteplici varietà del paesaggio italiano, ma anche le varie sfaccettature della sinistra che quando vuole riesce a imporsi nella consapevolezza che uniti si vince e divisi si perde. Visto in quest'ottica il franco successo nel Trentino Alto Adige in contemporanea col tonfo del Pdl, dei grillini e di Forza Italia, al primo test dopo il ritorno al logo e al nome delle origini, apre nuovi scenari non soltanto politici, ma anche culturali a livello nazionale. Da tempo, infatti, serviva un deciso colpo d'ala per ripristinare la fiducia nell'Italia e non più accreditare nel mondo l'immagine di un Paese in disfacimento "nonostante la grande bellezza", secondo il ritratto severo che ne fa il New York Times. Alla sinistra compete ora l'obbligo morale, oltre che istituzionale, di ricucire lo spirito unitario per porre rimedio al danno creato da un ventennio che ha soffocato le regole ed enfatizzato la teatralità.

 

martedì 29 ottobre 2013

Peggiora il peggio del peggio

La schiavitù è tutt'altro che scomparsa

di Renzo Balmelli

VERGOGNA. Un tempo nella biblioteca dei ragazzi non poteva mancare "La capanna dello zio Tom". Ora non usa più ed è un vero peccato perché, a giudicare dal rapporto dell'Unicef, la schiavitù è tutt'altro che scomparsa. Anzi, rispetto al romanzo della Beecher-Stowe, è addirittura peggiorata, ammesso che si possa peggiorare il peggio del peggio. Un film bello e forte come Django di Quentin Tarantino, ci aiuta a ricordare che in passato la tratta degli esseri umani importati dall'Africa imperversava soprattutto nelle ricche piantagioni di cotone degli stati sudisti. Ora la piaga dello schiavismo non risparmia nessun continente e conosce le forme più atroci dello sfruttamento, della prevaricazione, della prostituzione e della coercizione ai lavori forzati. Che una simile perversione altamente lucrativa possa continuare a esistere è una vergogna che interpella il mondo intero, senza eccezioni.

BRIVIDO. Dire a proposito di nazifascismo che malgrado l'orrore esiste un passato che non passa è quasi un'ovvietà. Eppure, per quanto sia una frase scontata, non se ne può fare a meno dopo le sguaiate manifestazioni seguite alla morte e ai funerali di Erich Priebke. Per un vecchio e arrogante ufficiale delle SS che meritava soltanto l'oblio, è stata riesumata, tra livori mai sopiti, la più ripugnante delle terminologie antisemite. Un brivido è corso lungo la schiena quando nell'entourage del boia si è cantata vittoria "perché non ci siamo fatti mettere i piedi in testa né dalle autorità né dagli ebrei". Sconvolgente! Se si considera che la malapianta dei rigurgiti nostalgici cresce di pari passo con la gramigna del populismo, ossia il solo movimento che raccoglie consenso a pochi mesi dalle elezioni europee, è lecito pensare che nelle Cancellerie del Vecchio Continente non si dormano sonni tranquillissimi.

PRECETTI. Quando si sentirà sola, è improbabile che Leonarda Dibrani , cacciata da Parigi come fosse una criminale, si consoli fischiettando "Douce France, cher pays de mon enfance", la canzone resa celebre da Charles Trenet. Per la ragazzina kosovara di 15 anni che gioca ancora con le bambole e ha il fidanzatino come nelle tavole di Peynet, quelle parole avranno sempre un retrogusto amaro. La sua espulsione è una macchia nella culla dei lumi, un mostro burocratico che aumenta la pena per il dramma dell'immigrazione esploso con i contorni della tragedia al largo di Lampedusa. Monsieur l'Eliseo che, per ricucire l'onta, offre alla giovane la possibilità di tornare, ma da sola, al danno aggiunge anche la beffa. Da Presidente socialista avrà qualche problema a chiarire un atteggiamento che fa a pugni con i sacri precetti di "liberté, égalité et fraternité".

SCISSIONE. Prima del "game over" politico del Cavaliere, il Pdl le prova tutte per prolungare l'agonia di un ventennio che ormai ha fatto il suo tempo. Chi lo sorregge a oltranza suddivide l'Italia tra coloro "che spingono per cambiare e chi resta arroccato sulla difesa di un presente inadeguato". Lo strano codice non spiega tuttavia in virtù di quali meriti documentati, l'ex premier sia da annoverare nella prima categoria, quella del cambiamento. Certo, Berlusconi ha fatto parlare tanto di sé, soprattutto all'estero, ma non per i suoi meriti di statista, né per come ha fatto progredire il Paese. Ciò che resta alla fine dell'esperienza è il bilancio fallimentare di una classe dirigente immobile che si è consumata nella demagogia, mancando tutte le promesse e sulla quale pende ora lo spauracchio della scissione. Sorge quindi il vago sospetto che per cambiamenti s'intendessero le leggi ad personam.

MELASSA. A volte tornano le accese e ferocemente partigiane discussioni sul ruolo degli intellettuali al tempo di Silvio B. Quando il tema riesce a spezzare il monopolio dei gossip sul cagnolino dell'ultima fidanzata, tra i contendenti sprizzano scintille che in altre epoche sarebbero state pretesto per un duello. A destra la categoria non è molto amata, a meno di non essere funzionale al sistema. Chi non rientra nel "mainstream" gradito ai censori, viene annoverato di forza tra gli "intellettuali del piffero", definizione che non è un elogio. Che gli intellettuali abbiano le loro responsabilità, è risaputo. Ma chiamarli falsi maestri, ipocriti, mitomani e ruffiani, è insultante oltre che immeritato. Significa liquidare in modo brutale e disonesto il contributo di chi si è fatto in quattro per impedire che il Paese sprofondasse in modo irreparabile nella melassa berlusconiana.

 

sabato 19 ottobre 2013

Trascurabile dettaglio

La condanna in via definitiva del Cav viene da più parti trattata
come un dettaglio da non prendere nemmeno in considerazione.

di Renzo Balmelli


SHOW. Sono vent'anni, ormai, che gli interessi personali di un solo uomo condizionano e paralizzano l'Italia. E a giudicare dall'andazzo di questi giorni, in vista degli arresti domiciliari di Berlusconi, forte è il timore che le cose non possano che peggiorare. Attorno all'esecuzione della pena, o, per meglio dire, attorno ai trucchi per ritardarla o addirittura per non attuarla, i compagni di merenda dell'ex premier stanno, infatti, costruendo un castello di trappole che lascia esterrefatti. Come nelle serie televisive di duemila e oltre puntate, non passa giorno che la telenovela non si arricchisca di nuovi, inverosimili sotterfugi, alla faccia della legge uguale per tutti. L'intento palese è quello di relegare in secondo piano se non addirittura fare dimenticare la condanna in via definitiva del Cav, quasi fosse un trascurabile dettaglio da non prendere nemmeno in considerazione. Che ciò possa avvenire deve fare riflettere poiché a questo punto non è più soltanto un fatto politico.



PRESTIGIO. Mette tristezza vedere come la deleteria stagione del bunga-bunga sia riuscita a mortificare persino l'Italia dei saperi, a giusta ragione orgogliosa custode di un patrimonio straordinario che il mondo le invidia. Culturalmente parlando prevale l'impressione che il Paese sia rimasto fermo al palo, frenato dall'ingordigia di pochi e incapace di rinverdire i fasti del mitico "made in Italy", un tempo sinonimo di immaginazione, inventiva e creatività. Che qualcosa non sia più all'altezza dell'antico prestigio si è avvertito alla Fiera del libro di Francoforte dove il contributo italiano è stato decisamente sotto tono. A Roma i soliti buontemponi hanno ribattezzato "Alfetta" il binomio Alfano-Letta. A loro si offre a questo punto l'occasione di raccogliere una sfida affascinante: fare il pieno di cultura affinché in questo campo l'Italia non diventi una nazione di seconda categoria.



CLONE. Al reazionari d'Italia piace da morire la gallica sorella lepenista. A tal punto piace, da vagheggiare una clone di Marine Le Pen in salsa romana alla quale affiancare un replicante di Alain Delon, anche a costo di far rivoltare nella tomba l'amato e comunista Luchino Visconti. Al rigurgito delle ideologie più sfrontate di cui è portatore ilFront National concorre l'avversione quasi viscerale, radicata e diffusa nei movimenti consimili che un po' ovunque guadagnano crescenti consensi, contro l'Europa e gli immigrati. Avversione che spesso si traduce nei toni gridati e insolenti riservati ai paladini della tolleranza e dell'accoglienza. Ma non solo. Quali siano i rischi reali insiti nella possibilità, tutt'altro che remota, che una destra radicale conquisti la scena politica si può facilmente capire da quanto accade negli Stati Uniti dove il Tea Party, ormai sempre più padrone in casa repubblicana, sull'estremismo devastante ci marcia alla grande, ballando sull'orlo del baratro. Abbassare la guardia sarebbe quindi un errore imperdonabile.



MALE. Priebke è morto e la cosa migliore sarebbe stata di fargli i funerali senza schiamazzi per non offrire ai nostalgici il pretesto di trasformare il persecutore in perseguitato. Uomo gelido e senza cuore, solerte burocrate di un sistema marcio fino al collo, ma con un forte seguito popolare, il capitano Priebke (non l'ex, ma l'eterno nazista mai pentito) non ebbe pietà ne dei vivi ne dei morti. Ciò che resta del famigerato boia delle Fosse Ardeatine, è la vicenda di un gaglioffo spudorato che ha continuato ostinatamente a negare l'Olocausto ed i crimini bestiali del Terzo Reich. Possa il suo sgradevole ricordo servire se non altro da monito – come sottolinea Serge Klarsfeld al Corsera – "per raccontare alle nuove generazioni cosa hanno fatto certi personaggi arrivando a cent'anni bevendo birra". E arrivarci con l'aria spavalda di chi ha insanguinato e imbrogliato la storia. Per questo prioritario è tenere viva la memoria di quello che fu e resta il male assoluto.



LIBERTÀ. Ha fatto parecchio discutere la mancata attribuzione del Nobel per la pace a Malala, la ragazza pachistana vittima della violenza bruta e del bieco oscurantismo talebano. Il premio, com'è noto, serve ripagare gli sforzi di chi si batte per rendere possibile un mondo migliore. Nessun dubbio che la giovane eroina dell'emancipazione l'avrebbe strameritato. Ma anche onorare l' Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche è stata sua volta una scelta legittima che coglie perfettamente nel segno. Gli interessi inconfessabili che circondano il turpe commercio di questi ordigni impediscono la messa al bando definitiva dei temibili strumenti di morte, obiettivo al quale l'OPAC tende con tutte le sue energie materiali e morali. Per Malala, simbolo della lotta alla prevaricazione e per il diritto all'istruzione, andrebbe coniato un Nobel speciale, il Nobel della libertà, sinonimo di pace e progresso. Per il suo straordinario impegno le è stato conferito il prestigioso premio Sakharov e noi siamo tutti con lei.



INGHIPPO. Potenza delle statistiche, aveva del miracoloso la ricerca di un autorevolissimo istituto bancario elvetico dal qual risultava che ogni persona residente nella Confederazione elvetica possiede in media un gruzzoletto di ben 513 mila dollari. Insomma, come se uno nascesse con l'assegno in mano. Fosse vero, sarebbe un prodigio da fare invidia al buon Gesù. Ma siccome la moltiplicazione del pane e dei pesci riusciva bene soltanto a Lui, gratta, gratta, ecco saltar fuori l'inghippo in questo quadro idilliaco: a dispetto delle cifre e delle percentuali da Paperon de Paperoni, il divario tra ricchi e poveri rimane costante. Stavolta chi non crede nei miracoli ha avuto ragione, di modo che un certo signor Trilussa ha potuto sorridere sotto i baffi nel vedere quanto sia sempre attuale il suo famoso e sarcastico stornello sui polli ben poco equamente divisi.

lunedì 14 ottobre 2013

I solenni proclami

E accanto alle cronache del dolore pubblicità a tutta
pagina di un "ninnolo" da quarantamila dollari…

di Renzo Balmelli


LACRIME. Si levano solenni proclami e vibranti contestazioni per porre fine alle insopportabili tragedie del mare di cui si scrive a caratteri cubitali quando la conta dei morti assume proporzioni bibliche. Ma fino a quando sussisteranno le sperequazioni più vistose e intollerabili tra il sud e il nord del pianeta il dolente corteo delle sofferenze continuerà a mietere vittime. Scoprire accanto alle cronache del dolore la pubblicità a tutta pagina di un "ninnolo" da 40 mila dollari è un rozzo accostamento tra il lusso estremo e l'indigenza totale che indigna profondamente mentre tra le onde galleggiano le povere cose di chi non c'è più. Per le traversate gli scafisti senza scrupoli esigono mille dollari a testa, la qualcosa significa che la vita di quaranta disperati vale quanto un accessorio per ricchi. Inaudito. Se non si taglierà alle radici l'origine del male le lacrime che si versano oggi sono lacrime di coccodrillo che asciugano in fretta.



NOBEL. Chi salva un uomo salva il mondo intero. Onore quindi agli abitanti di Lampedusa che ogni giorno, facendo propria la grande lezione della tradizione ebraica e guadagnandosi la stima del mondo, si prodigano senza sosta con la loro abnegazione e il loro spirito di sacrificio per tendere una mano salvifica ai derelitti che bussano alle nostre porte. Chi vive quotidianamente a contatto con lo strazio di donne, uomini e bambini sente su di se il peso della tragedia più grande nella storia dei flussi migratori; avverte il senso della vergogna che interpella le nostre coscienze. La vergogna dell'Europa e del mondo. Si parla di proporre l'isola per il Nobel della pace, ma la gente di qui chiede anzitutto più solidarietà e aiuti alla comunità internazionale; chiede di non essere lasciata sola prima che sia troppo tardi.



DECADENZA. Letta guarda avanti e dopo la fiducia sentenzia: è finito un ventennio. Giusto. Non esiste nessun motivo per cui un uomo possa farsi scudo a suo piacimento di un intero Paese a tutela degli interessi personali. Non si gioca con le emozioni degli altri per suscitare ammirazione. Un vero leader deve far sognare, ma soltanto se il sogno non è sinonimo di inganno. Diviso sul dopo Berlusconi, il Pdl fa l'offeso. Ma ora la palla è nel suo campo dove è in corso uno scontro feroce dal cui esito si potrà misurare l' autonomia dei dissidenti. Gli indizi non sono promettenti . Sui giornali di casa circola una domanda: secondo voi è giusta la decadenza del Cavaliere? Questione pleonastica alla quale ha già risposto la Storia ( si quella con la S maiuscola) prima ancora del Senato: sull'infausto ventennio berlusconiano è calato il sipario e sono sempre in meno a chiedere il bis.



PASSATO. Per uno di quegli strani paradossi della politica, a Ginevra, capitale europea dell'ONU e centro cosmopolita per antonomasia, alle elezioni spopolano i movimenti che puntano a fare leva sui sentimenti di chiusura e altre spinte meno confessabili per incanalare il malcontento popolare. Non è un fenomeno isolato. Schieramenti consimili avanzano un po' ovunque nel continente e se per ora ognuno declina ancora in termini propri le rispettive modalità d'azione, a renderli simili e temibili è l'uso spregiudicato degli slogan di facile suggestione per accrescere i consensi . Definiti genericamente schieramenti " contro", insofferenti alla libera circolazione, stupisce come riescano ad avere il vento in poppa a dispetto di programmi e contenuti tanto confusi quanto velleitari. Più che un futuro sembrano avere un passato davanti a loro, ma è proprio questo anacronismo a farne una forza da prendere con le pinze.



OMINO. In battaglia il generale Giap, morto alla veneranda età di 102 anni, ebbe contro alti ufficiali usciti dalle più prestigiose accademie militari e dai nomi altisonanti: l'aristocratico De Lattre de Tassigny all'epoca della guerra d'Indocina contro i francesi, l'ambizioso Westmoreland durante l'offensiva americana nel Vietnam. Furono sorci verdi per entrambi. Von Clausewitz, che se ne intendeva, avrebbe ammirato quel grande tattico, ma ancora più grande stratega, preso sottogamba dai nemici e che invece divenne l'incubo di eserciti preponderanti in uomini e mezzi, ma inadeguati a competere con la tecnica della guerriglia. Chi l'ha visto da vicino faticava a credere che quell'omino dentro l'uniforme troppo grande fosse l'eroe della riunificazione, colui che inflisse agli invasori alcune tra le più cocenti sconfitte militari della loro storia.

lunedì 7 ottobre 2013

Lungo viaggio al termine della notte

di Renzo Balmelli

CONVERSIONE. Al termine del lungo viaggio attraverso la notte più tragica, convulsa e assurda della Seconda Repubblica, il governo di Enrico Letta ha ottenuto la fiducia col voto decisivo del Senato. Scontato quello della Camera in virtù della ampia maggioranza di cui dispone il Pd. Ma non è il caso di balzare in piedi sulla poltrona per compiere salti di gioia. Si può tutt'al più tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di una crisi al buio che avrebbe esposto l'Italia al severo giudizio della comunità internazionale. In questo clima di estrema incertezza economica e sociale, la prosecuzione del mandato, che verosimilmente sarebbe arrivata anche senza gli imprevisti e teatrali scarti di umore di Berlusconi , era un atto dovuto, un gesto di elementare responsabilità verso gli elettori. Come si può facilmente intuire la fiducia ritrovata è soltanto il primo passo di un doloroso processo di profondo rinnovamento della politica più che mai urgente, ma che sul suo cammino troverà però ancora parecchi ostacoli. Di questa destra improvvisamente convertita al buon senso sulla sua via di Damasco, difatti è meglio non fidarsi, specie dopo il drammatico Barnum messo in scena dal Cavaliere e dai suoi compari di merenda per assecondare quelli che Sergio Romano ha definito i conati velleitari di un uomo, l'ex premier appunto, arrivato al capolinea. Le prossime mosse diranno con maggior chiarezza se il ravvedimento dell'ultimo minuto è stato soltanto il solito giro di carte truccate per nascondere una sconfitta, oppure se il pentimento per i rischi fatali fatti correre al Paese era sincero. Ad ogni buon conto, definirsi come ha detto Alfano, " diversamente berlusconiano" nasconde non poche ambiguità. Visti i trascorsi è quindi consigliabile non abbassare mai la guardia e diffidare dalle profferte posticce d lealtà piovute in aula tra il lusco e il busco quando l'ala intransigente del Pdl, ormai alle corde, ha intuito, assieme al suo leader in affanno e rassegnato alla resa, che di questo passo si sarebbe trovata isolata all'opposizione senza poter contare sulle furbizie ormai consunte di Silvio.

CAOS. A fare il matto non è stato soltanto Berlusconi, ma tutta quella destra che passando con colpevole disinvoltura dal caos alla follia ha fatto sorgere inquietanti interrogativi sulla sua reale natura al limite dell'eversione. Per un volta, una sola, diamo ragione a Beppe Grillo che nel suo ossessivo e spesso inutile vociare impreca contro il teatrino della politica. Sbaglia tuttavia il comico quando sul palcoscenico ci mette tutti, in una ammucchiata senza distinzione di ruoli e di stile. Nel citare Croce ed Einuadi era implicito il richiamo di Letta all'ala liberale, moderata ed europea di una destra italiana di cui si rischiava di perdere le tracce, stritolata dalle spire di pitoni e pitonesse senza etica e senza decenza. Il laborioso passaggio a Palazzo Madama sancisce quindi nuovi equilibri tra le forze della maggioranza e dentro la destra di cui bisognerà tenere conto per non dilapidare il significato di una svolta che potrebbe rivelarsi provvidenziale al fine di riportare il Paese al ruolo che gli compete di grande potenza industriale. Per la prima volta Berlusconi ha dovuto inseguire i suoi che gli stavano sfuggendo. Se non è la fine è un altro passo sulla via del tramonto.

DERIVE. Enrico Letta è una persona per bene e glielo si legge in viso. Ovunque è stato, ha trovato porte spalancate e accoglienze calorose. Obama ha espresso il suo apprezzamento per la riconferma alla guida di un Paese amico di un alleato prezioso che a sua volta, come accade adesso a Washington, ha dovuto confrontarsi con pericolose derive populiste. Indecente ed eversiva la destra si sta dimostrando infatti pure negli Stati Uniti, dove non esita a spingere il Paese sull'orlo del baratro per contrastare l'odiatissimo inquilino della Casa Bianca e la sua riforma sanitaria. Un atteggiamento a dir poco suicida in nome di tardive e sordide rivalse. Beppe Severgnini ha scritto che se Berlusconi avesse amato l'Italia almeno un pò, non l'avrebbe tenuta in ostaggio. Col suo comportamento la destra repubblicana di sicuro non ama l'America, ma la tiene sotto ricatto senza avere tuttavia un progetto alternativo da presentare se non quello infarcito dai soliti e ripetivi slogan di facile suggestione sl Paese in mano ai comunisti.

IPOTESI. Se Roma piange, Berlino e Vienna non ridono. Il crollo verticale dei liberali in Germania e l'avanzata minacciosa dei nipotini di Haider in Austria hanno modificato mica male il quadro politico di due nazioni ritenute stabili e al riparo dai tormenti dell'italico governo delle larghe intese. All'ombra del Prater la " Grosse Koalition" rosso-nera si salva per il rotto della cuffia, ma si preparara a vivere giorni difficili per tenere a bada le pulsioni anti europee dell'estrema destra. Sotto la porta di Brandeburgo invece non si è ancora del tutto dissipata la diffidenza verso il " matrimonio degli elefanti", ovvero la grande coalizione tra i due maggiori partiti, SPD e CDU, che seppure tra i mugugni e lo scontento di entrambi gli schieramenti si va vieppiù ipotizzando come la più probabile via d'uscita dalla situazione di stallo creatasi dopo le elezioni. Roseo comunque il clima non è, tanto più che le ipotesi di una maggioranza alternativa di sinistra al Bundestag o di un monocolore democristiano minoritario non sono da escludere. Forse non era proprio questo il trionfo che Angela Merkel sognava.

ORGOGLIO. Nell'Italia due volte devastata, prima dalle scelleratezze del fascismo, poi dalle rovine della seconda guerra mondiale, arrivò sugli schermi il capolavoro di Roberto Rossellini " Roma città aperta" che oltre a rappresentare il manifesto del neorealismo, mostrò al mondo il talento insuperabile di una delle maggiori attrici mondiali, quello di Anna Magnani. A quarant'anni dalla scomparsa della grandissima interprete, l'immagine della " sora Pina" abbattuta da una raffica mentre cerca di salvare il marito dalla furia nazista, fa di questa donna, come ebbe a dire Fellini, la figura femminile che diede agli italiani un motivo d' orgoglio dopo le privazioni della dittatura. E nessuno seppe uscire d scena come la Magnani, Mamma Roma, lupa e vestale, aristocratica e stracciona, quando nel film Roma chiude ridendo la porta in faccia al maestro di Rimini e con una sola frase conclude la sua magnifica carriera di attrice: Federico, vai a dormire!

 

giovedì 26 settembre 2013

A Stoccolma gli scienziati…

Riuniti in conclave al capezzale del nostro pianeta, gli scienziati dell'ONU scuotono il capo come in presenza di un malato grave

 di Renzo Balmelli 

 CLIMA. Non è la prima volta, né sarà l'ultima, che gli esperti lanciano messaggi angosciosi sulla sorte della Terra. A Stoccolma gli scienziati dell'ONU riuniti in conclave al capezzale del nostro pianeta, scuotono il capo come in presenza di un malato grave. Dal loro rapporto, un librone di 2200 pagine frutto di sei anni di lavoro, risulta che abbiamo davanti al massimo due lustri per evitare la totale e irreversibile catastrofe climatica. Senza misure drastiche contro il surriscaldamento e l'emissione di sostanze nocive, milioni di individui rischiano di non più avere risorse idriche e alimentari. Ora le proposte passeranno al vaglio dei governi, ma e proprio questo che inquieta. Il tempo per salvare la Terra è pochissimo, ma a volte prevale l'impressione che la voce dei ricercatori si perda nel deserto delle cancellerie, soffocata da interessi che prevalgono sul bene comune dell'umanità.

 INTESE. Forse alla Germania farebbe comodo Enrico Letta, il più "tedesco" dei premier italiani. Senza dubbio i consigli di un maestro ed esperto come lui in fatto di " larghe intese" impossibili, potrebbero essere di aiuto ad Angela Merkel che per un soffio ha fallito la maggioranza assoluta. Nel trionfo la regina d'Europa è sola dopo il tracollo dei liberali che la costringono a cercare nuove alleanze per guidare il processo di crescita dell'UE . Ma l'ipotesi della Grosse Koalition, ossia le larghe intese in salsa berlinese, non sarà come quella di Roma con l'inaffidabile Pdl, bensì il risultato di trattative con un partner, l'SPD, che ,seppure con fatica e in ritardo, ha ripreso taluni postulati della sinistra dopo le sbandate liberiste che le avevano alienato il consenso di molti elettori delusi.

 DIAVOLETTO. Certo, per chi da vent'anni è costretto a subirle ogni giorno condite in tutte le salse mediatiche possibili e immaginabili, non sarà facile depurarsi dalle tossine del berlusconismo. Se poi a dare manforte al Cavaliere ci si mette pure quel diavoletto di Putin, non propriamente un modello da imitare, il rattoppo, cioè la difesa d'ufficio, finisce col trascinare la vertenza verso gli abissi più profondi dello squallore. Il dire , come fa il padrone del Cremlino, che se Silvio fosse gay non lo toccherebbero , scatena sui blog reazioni che nemmeno si immaginavano. Anche se fosse stato "negro" - scrive un lettore- non lo avrebbero sfiorato con un dito. E via di questo passo. E' solo uno scampolo di una fiumana di " bravo Vladimir" che da quel pulpito lascia interdetti!

 VELO. Sull'onda dell'emotività l'occidente viene a volte attraversato da turbolenze anti-burqa, in verità un problema più simbolico che reale, quasi inesistente qui da noi. Pone quindi un interrogativo di carattere universale il referendum che nella Svizzera italiana ha sancito il divieto, ancorato nella costituzione, di indossare il burqa nei luoghi pubblici. Universale, perché il voto tocca un nervo scoperto che va oltre i confini regionali senza tuttavia affrontare con la necessaria serenità di giudizio un argomento dal quale non è estranea la paura. Se da un lato può infatti avere una sua legittimità il desiderio di opporsi alla mentalità oscurantista che occulta ed emargina la donna, dall'altro nell'Europa erede della cultura illuminista il velo non può diventare il facile pretesto per scatenare un conflitto tra opposte culture.

 POLPETTA. Di norma si mangia col risotto, ma chissà che non rappresenti una rivoluzione nella gastronomia del "fast-food" il menù a base di patatine e "ossburger", ossia il panino con l'ossobuco, frutto dell'intraprendenza di un imprenditore cui non difetta la fantasia per dare un tocco originale alla polpetta ideata in omaggio a Expo 2015 di Milano. Anche questa è l'altra Italia che piace al mondo, l'Italia affrancata dalle pitonesse della politica, così come piace l'insurrezione contro l'oltraggio fatto a Venezia con l'ignobile sfilata nella Laguna di pachidermiche navi da crociera. Mentre sull'altare del profitto si celebrava, come ha detto Celentano, l'eterno funerale delle bellezze del mondo, sarebbe bastato uno stupido inchino per sfregiare la Serenissima, città unica al mondo, splendida e fragile. Come l'Italia, appunto!

 

martedì 24 settembre 2013

Un video-gioco di vecchia generazione

SPIGOLATURE 

 di Renzo Balmelli 

 RISCATTO. Non pianger per me, Italia. Qui ci sono e qui resto. Con una spolverata di pathos alla Evita (dont cry for me Argentina) e convinto più che mai che la politica sia un infinito musical, anche in attesa del giudizio Berlusconi non si è fatto mancare niente. Davanti a un Paese sempre più esterrefatto, il Cavaliere ha cavato dal logoro cilindro l'ennesimo, stantio teorema sul complotto dei magistrati, il "mostruoso" partito dell'odio e la democrazia dimezzata. Ma le polveri ormai sono bagnate ed il video-messaggio pareva un vecchio video-gioco di un'altra generazione. Nel suo caso e nella rete d'interessi imbastiti con consumata abilità, In questo triste finale di partita il bilancio è magro, mentre c'è invece molto da piangere e nulla da rimpiangere. Con la decadenza che non è di un uomo solo ( quelli passano, restano le idee, ammoniva Kennedy) ma di un ventennio che a proposito di idee lascia un vuoto sconcertante, si avvia alla chiusura un ciclo che ha fatto parlare di se in tutto il mondo per tanti motivi, ma non per la qualità dei contributi messi in campo al servizio del bene comune. Quando la patina del tempo si sarà posata su questo periodo infausto, nei libri di testo, a dispetto dei proclami roboanti, sarà arduo trovare un solo atto di governo degno di essere ricordato. D'ora in poi nessuna astuzia di Silvio e dei suoi cortigiani riuscirà a contenere l'irrefrenabile esigenza di serietà e pulizia morale che sale dalla società civile di fronte a un sistema di potere che ormai sa di muffa. E a proposito del bisogno di aria nuova, la trepidazione con la quale è stato seguito il recupero della Costa Concordia affidato a uomini di valore, ne è la prova eloquente. Dall'isola del Giglio è venuta la dimostrazione che c'è un'altra Italia, c'è sempre stata anche quando pareva relegata nell'ombra dai fasti del sultanato di Arcore. Un'altra Italia affidabile e laboriosa, ben diversa dall'immagine approssimativa e cialtrona del bunga-bunga. E questo si chiama riscatto.

 ABUSI. Con il video di Berlusconi, il video del tramonto, le televisioni pubbliche e private hanno reso un pessimo servizio al pluralismo dell'informazione. Al messaggio privatissimo e autoreferenziale, che ha fatto l'apertura di tutti i telegiornali, è stato infatti concesso uno spazio enorme, sproporzionato, che negli Stati Uniti non verrebbe mai accordato nemmeno a Obama se non in una situazione di gravissima emergenza. Tale anomalia è motivo di sconcerto all'estero dove non si capisce come un politico che non ha cariche di governo e sta per decadere dalla carica di senatore possa monopolizzare le principali emittenti a suo piacimento ed a suo esclusivo  beneficio, senza mai essere interrotto dalle domande dei giornalisti. L'intervento dell'ex premier è stato in pratica un monologo di oltre 15 minuti infarcito di toni eversivi – da guerra fredda, ha commentato Epifani – e offensivi nei confronti degli avversari, delle istituzioni, dei magistrati, della sinistra e di tutti coloro che ponendosi  al servizio dello Stato mai potrebbero permettersi simili abusi verbali, intercalati da minacciosi appelli alla ribellione e alla rivolta. Queste sono cose che possono accadere soltanto in Italia dove da tempo ormai, come fanno notare molti osservatori, esiste una sola stagione politica, la stagione dell'irrealtà, altro frutto bacato del berlusconismo.

 PROVOCAZIONE. In televisione le donne e gli uomini del Cav garantiscono che la giustizia è uguale per tutti. Per tutti, forse, tranne che per uno, tranne che per il capo a giudicare dalla baraonda inscenata dopo la condanna a un anno e la conferma della mega-multa per il Lodo Mondadori. Da queste parti il lupo perde il pelo, ma non il vizio, e l'irruzione sul palco del protagonista che non ha più voce nel copione, sta a significare che la commedia ancora non è finita e che il rischio di prolungare l'inerzia non è scongiurato. Il partito Mediaset si propone precisamente questo da quando nacque vent'anni fa: salvare il soldato Berlusconi e creare un'altra politica al riparo dai controlli istituzionali. Già l'ipotesi di affidare il timone della rinascente Forza Italia a Guido Bertolaso, cioè di colui che nella gestione della Protezione civile non ha lasciato un ricordo adamantino, è un messaggio dal significato inequivocabile in cui si sfiora però la provocazione, specie dopo il successo della mission impossible del Giglio. Con ogni evidenza si è trattato non di un casuale concorso di circostanze, bensì di una strategia calcolata per fare sapere che lui c'è e che nemmeno ai domiciliari o ai servizi sociali libererà il campo. Almeno per ora. Comunque sia, lascia perplessi il solito proclama del predellino, in palese ritardo sulla storia , il quale assicura che presto tornerà a risplendere su Roma il sole di Forza Italia. Ma quando mai. Il "sol dell'avvenire" è già spuntato da un pezzo ed era un'altra cosa.

 FRONTIERA. Oggi come ieri, alla destra populista hanno sempre fatto comodo i capri espiatori. Di solito la perfidia colpisce i lavoratori stranieri come accadde nella Confederazione elvetica all'epoca delle iniziative del tribuno xenofobo Schwarzenbach. In tempi più recenti la perfidia si è indirizzata verso il fantomatico idraulico polacco, i frontalieri ed i padroncini italiani, accusati delle peggiori infamie. Ironia della sorte, a dispetto delle campagne cariche di veleno, la Svizzera si è però attivata in tutti i modi per invitare le imprese della vicina Italia a trasferirsi al di qua del confine, offrendo loro condizioni di favore. Orbene, l'iniziativa ha avuto un tale successo da costringere i promotori a porvi fine a malincuore prima del termine stabilito. Le disponibilità erano infatti esaurite. Un bello schiaffo alla faccia di chi crede, cullandosi nella miope visione della società e della civile convivenza, che il mondo finisca alla frontiera.

 GIACCA. In Germania mancava una nota curiosa per rendere un po' meno soporifera la campagna elettorale piuttosto noiosa. A rianimare la competizione ha provveduto la giacca di Angela Merkel che in pubblico ne sfoggia un'intera collezione, tutte uguali nel taglio, ma dai più svariati colori. Quale sarà la tinta del capo d'abbigliamento che indosserà dopo le elezioni di domenica è l'interrogativo che tiene banco nei media e appassiona i tedeschi. Se la sua rielezione appare scontata da quando il voto della Baviera, come recita la pubblicità di una nota bevanda , le ha messo le ali, meno sicuro è sapere con chi governerà dopo il tonfo dei liberali. La FDP sta elemosinando il secondo voto per superare la soglia di sbarramento del 5% che garantisce l'accesso al Bundestag, ma l'impresa appare disperata. Con un linguaggio da gossip, vista la difficoltà di ripristinare la vecchia coalizione nero-gialla, ci si sbizzarrisce a speculare con chi la Merkel convolerà a nozze dopo il voto e con quale giacchetta. Quella rossa, a pochi giorni dall'apertura dei seggi, è balzata in testa delle ipotesi più accreditate, sebbene lo scenario di una grade coalizione CDU/SPD, sulla quale convergono i pronostici, sia causa di non pochi mal di pancia nei due schieramenti. Ma ormai anche nella Germania " maestrina di virtù", gli elettori si sono rassegnati all'idea che dalle urne uscirà non un volo d'amore nuziale nel cielo sopra Berlino, ma un classico matrimonio di interessi. Forse l'unico a non volerlo è Peer Steinbrück.

 FELICITA'. Convince poco la pagella della felicità elaborata dall'ONU che prova a catalogare sentimenti per loro natura incompatibili coi freddi parametri statistici. In questa curiosa classifica al secondo posto figura la Norvegia, paese all'avanguardia, ma non certo al riparo da prove laceranti, fonte di gravi disagi. Dando per buono il PIL della felicità, ribattezzato FIL (felicità interna lorda), sorge qualche dubbio sull'attendibilità della ricerca al pensiero che nella ricca petro-monarchia del nord siano gli xenofobi puri e duri del SIV, il partito del Progresso in cui militò lil criminale Anders Breivik, a fare da ago della bilancia per garantire la maggioranza al prossimo governo di centro-destra. Il ghigno dell'estremista, autore del massacro in cui morirono 77 persone, suona come una condanna ben diversa dal concetto di felicità.

 SGOMENTO. Nasce nei laboratori nazisti il gas sarin impiegato in Siria e causa di atroci sofferenze. Fu infatti ottenuto per la prima volta nel 1939 da due scienziati tedeschi che misero la loro scoperta al servizio di Hitler e della sua sanguinaria brama di potere. La comparsa di questa terribile arma chimica, comprovata dal rapporto dell'ONU, ci riporta a uno dei periodi più tragici dell'umanità, quando in quella sorta di antro sinistro e crudele che erano le fabbriche della morte del Terzo Reich si faceva a gara nel mettere a punto le più spaventose armi di distruzione di massa. Che lo scempio sia sopravvissuto alla storia non fa che accrescere lo sgomento e la condanna verso chi ha messo la firma sulla strage di innocenti.