di Renzo Balmelli
RESISTERE.
Come l’uomo del monte di una nota pubblicità, anche il sultano di Arcore si degnerà di scendere dalla collina per spiegare al “popolo” la sua riforma della giustizia, meglio nota come decreto sfascia-processi. Ormai l’urgenza di chiudere la partita giudiziaria per rendersi immune dalla legge è l’ossessione permanente del premier. Ne consegue un vistoso imbarbarimento dell’azione politica che porta a un vero e proprio degrado dei valori collettivi. Di questi sentimenti si è fatto interprete Carlo Azeglio Ciampi con un’intervista a Repubblica da cui emerge la sua amarezza per i colpi di piccone inferti ai punti cardini del vivere civile. E mai come in questa occasione il presidente emerito è stato tanto esplicito nell’indicare in Berlusconi e la sua maggioranza i responsabili dello sfascio istituzionale. Prova ne sia che nel cestino del generale marasma è finita mestamente anche l’ elezione di D’Alema alla guida della diplomazia europea, una delle pagine meno gloriose per l’Italia e il suo prestigio di paese fondatore. In questo “paesaggio in decomposizione” , come lo definisce Ciampi , è di importanza capitale dire basta alle leggi ad personam che non risolvono i problemi della gente e non aiutano la nazione a migliorare. Ma come? Oggi, dice l’ex capo dello Stato, l'unica regola da rispettare è quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: “resisti”. In ballo c'è la buona democrazia, quanto basta per non mollare. Ciampi, che nel suo settennato si è opposto piu’ volte alle spallate del Cavaliere, non nomina Napolitano, ma il riferimento al Colle sembra implicito.
EVITA.
Il parere é unanime e bipartisan. L’ Obama capace di risvegliare l’America dal suo torpore avrebbe dovuto farlo subito il pellegrinaggio a Hiroshima e Nagaski, sui luoghi dell’olocausto nucleare. Sarebbe stato un acuto di straordinaria valenza a coronamento della sua missione in Asia. Un po’ come il celeberrimo e travolgente “ Ich bin ein Berliner” di Kennedy. Ci tornerà, ma l’effetto non sarà piu’ lo stesso. Quando la diplomazia si trasforma in eccessiva cautela, rischia di scivolare nella banale quotidianità del potere. Se invece l’impegno conclamato è di dare vitalità e slancio a chi lo ascolta, il presidente non puo’ accontentarsi della routine. I consensi in calo, il dossier della sanità ancora in forse e il ritorno in grande spolvero di Sarah Palin, che sbanca il botteghino col suo libro di memorie inclemente con l'inquilino della Casa Bianca, sono la spia di un qualcosa che non va per il verso giusto. Certo, la leadership di Obama è solida. Se le elezioni si tenessero oggi, l’ex numero due del ticket repubblicano perderebbe di nuovo. Ma tre anni in politica sono un’eternità e la signora dell’Alaska potrebbe avvalersene per rincuorare l’America conservatrice, rurale e bigotta che vede in lei la versione light di Evita Peron.
BON TON.
Tremonti e Brunetta che minacciano di prendersi a calci nel sedere: normale dialettica interna , secondo il premier. Di ben altro registro i giudizi scandalizzati e iprocriti del governo sull ‘imitazione di Cambronne fatta da Fini. Eppure il ruvido affondo non era una rissa. Toccava pero’ il nervo scoperto dei diritti umani e della pari dignità tra le persone. Roba da comunisti per i “ profeti” delle ronde. Aveva dunque un senso , e che senso, il provocatorio richiamo del presidente di Montecitorio, nel preciso istante in cui tra l’indifferenza della maggioranza si consuma la vergogna di Coccaglio, il comune leghista del Bresciano diventato simbolo di esclusione, che prepara il “ White Christmas”, il “ bianco” Natale , cacciando gli immigrati di colore. Sono episodi che ripugnano le coscienze e infangano l’immagine dell’Italia. Essi ci dicono altresi quanto sia arduo amalgamare equilibri e identità multietniche e multiculturali che riescano a fare coincidere le linee della convivenza con quelle del cuore. All’uopo occorrono i contenitori adatti per miscelare bene un prodotto dagli ingredienti sempre nuovi e per qualcuno anche molto indigesti. Ma vivaddio, schierarsi con i piu’ deboli val bene uno “stronzo”, alla faccia del bon ton.
DIALETTO.
Quando la Lega propugna l’adozione del dialetto al festival di San Remo, è ovvio che non ri riferisce al romanesco. Fin troppo scoperto appare il tentativo di occupare con lo stratagemma delle canzoni in meneghino una fascia di territorio che vista la sua ampia diffusione mediatica puo’ rivelarsi un eccellente serbatoio di consensi . Ma non è cosi che funziona. Certo, attorno al dialetto si costruiscono e consolidano identità socio-culturale di grande spessore. Ma farne un uso strumentale, cedendo al peccato originale dei calcoli elettorali, significa svilirne il significato. Oltretutto l’iniziativa è fasulla anche dal punto di vista musicale. Dagli stornelli trasteverini alle ballate della “mala”, dalle struggenti liriche siciliane alle canzoni napoletane, da Gaber a Jannacci, da Milva e De Andrè, il dialetto ha tenuto a battesimo alcuni tra i maggiori successi discografici famosi nel mondo intero. Ed è stata la genialità di compositori e cantautori, liberi da qualsiasi costrizione, a farne piccole, grandi gemme del made in Italy.