di Renzo Balmelli
PLACEBO. Regge poco la tesi che era soltanto il primo "tour", che i conti si faranno a bocce ferme e che dopotutto zia e nipote Le Pen non hanno vinto le elezioni nazionali, ma soltanto le regionali. Già, ma intanto il loro programma che pur facendo perno attorno alla radicalizzazione xenofoba è riuscito malgrado le poco edificanti premesse a raccogliere una valanga di voti, dilata le dimensioni del successo e accresce le inquietudini. La signora che infiamma gli estremisti non ha d'altronde nessuna intenzione di fermarsi. Vuole l'Eliseo, la cacciata dei socialisti, il funerale dell'Europa, la crociata anti immigrati e non predica certo la concordia. Scusate se è poco. Comunque sia, regionale o nazionale , la scossa provocata dal Fronte Nazionale è stata avvertita ben al di fuori dei confini francesi con tutti gli interrogativi sulle implicazioni culturali oltre che politiche di un possibile, incontrollabile contagio dalle conseguenze che vanno oltre ogni immaginazione. In un continente che di colpo potrebbe ritrovarsi molto "Vecchio", il ricorso alla desistenza per fare vincere il meno peggio potrà forse servire nell'immediato a contenere i danni, ma in proiezione futura altro non è che un placebo di limitata efficacia, comunque inadatto a frenare l'avanzata di un partito esecrabile
VENTO. In queste ore difficili, scandite dalla perversa miscela di terrorismo ed estremismo, ci si chiede se l'ondata populista esplosa in Francia possa mettere in dubbio l'Ue così com'è stata ideata finora. Un semplice ripasso della storia ci dice che le grandi intuizioni non muoiono, mentre le ideologie peggiori finiscono sempre col soccombere. Ma è una consolazione passeggera. Nell'indigesto cocktail sono finiti troppi ingredienti per placare l'ansia di coloro che paventano il ritorno dei nostalgici, dei faziosi nemici della Repubblica e della democrazia. Il Fronte è una realtà radicata nei gangli della società transalpina, complici- purtroppo - anche le ambiguità della destra moderata e le divisioni della sinistra che hanno regalato al frontismo un terreno praticamente già arato. Alla luce di quanto si è visto, ormai non è più possibile tergiversare: solo il ricorso alla ragione può bloccare la disgregazione dei valori ereditati dall'Illuminismo, prima che il vento lepenista finisca col travolgere i nostri ideali più cari.
VULNERABILITÀ. Con mirabile intuito già vent'anni fa lo scrittore Henning Mankell, la cui prematura scomparsa ha gettato nello sconforto milioni di lettori, aveva capito quali avrebbero potuto essere le insidie celate in una rete di comunicazione sempre più intensa e rapida. Nel romanzo "Muro di fuoco", tradotto in italiano da Marsilio e considerato uno dei suoi migliori, il padre del commissario Wallander mostrava il rovescio della medaglia di un sistema dove un tempo la paura correva sul filo, mentre ai giorni nostri, come l'autore aveva previsto, il terrorismo viaggia indisturbato via Internet, diventato ormai la piattaforma prediletta per azioni di propaganda, mobilitazione e proselitismo. Ne abbiamo avuto la prova nella strage di Parigi che ha messo in luce l'inquietante vulnerabilità di una società apparentemente molto efficiente, molto interconnessa, ma proprio per questo sempre più in balia delle forze del male.
PREDICATORE. All'opposto di Milano, che per la prima della Scala non ha ceduto alla paura e non si è fatta intimorire, nell'America profonda si risvegliano gli istinti più riposti per mano di sciagurati avventurieri della politica. Messo ai margini il Tea Party, gli americani stanno per ritrovarsi un nuovo condottiero della purezza " made in USA" chiamato Donald Trump, il miliardario che tenta la scalata alla Casa Bianca accanendosi contro i mussulmani, tutti i mussulmani, con lo stesso livore usato in passato dai reazionari con i "negri" che inseguivano il sogno di Martin Luther King. Tra gli imbarazzati silenzi dei repubblicani sulle deliranti provocazioni del magnate estremista, molti si chiedono se l'America non abbia trovato il suo Le Pen che cresce nei sondaggi ed è sempre più solo in vetta agli indici di popolarità all'interno del suo partito grazie all'aggressiva potenza comunicativa e la capacità di interpretare in modo rozzo ma pagante le paure dell'elettorato di destra.
ANTIDOTO. Sarà un casuale concorso di circostanze, ma ogni qual volta l'umanità cade in preda dell'inquietudine cominciano a rifiorire le leggende metropolitane sui mondi sperduti nelle galassie e popolate da esseri viventi dalle fattezze più incredibili. Tra le ultime variazioni sul tema, si è parlato in questi giorni di una misteriosa cupola aliena che un gruppo di cacciatori UFO avrebbe individuato sulla superficie di Marte e che secondo questa fonte potrebbe nascondere i resti archeologici di una antica civiltà marziana. Per completare il quadro c'è chi giura di avere visto due figure umanoidi vestite come astronauti camminare sul pianeta rosso non lontano dalla famigerata cupola. La psicologia avrà molti argomenti per spiegare la tendenza a proiettare nelle profondità siderali le fantasie che fin dall'antichità popolano la mente degli uomini nella ricerca di un antidoto all'insoddisfazione e allo snervante logorio della vita sulla terra.
DISAGIO. Per vincere la depressione c'è lui, depresso per antonomasia, a offrirci un corroborante cordiale con i suoi film sempre uguali e sempre diversi nel segno di una continuità affascinante. Lui, Woody Allen, il genio del cinema, ottant'anni appena compiuti, che in mezzo secolo di carriera ha girato 45 pellicole senza mai perdere di vista la sua cifra stilistica in cui si intrecciano, con il tocco del maestro, la commedia, l'umorismo e le citazioni dotte. Al ritmo di quasi un film all'anno, Woody Allen ha interpretato senza mai smentirsi lo stesso ruolo di uomo colto, intellettuale, ironico e pieno di dubbi che sa trasferire le sue nevrosi in tanti capolavori e trasformare Manhattan in un luogo dell'immaginario collettivo. Ma sempre ricordandoci "che Dio è morto, Marx è morto e pure lui si sente esistenzialmente poco bene". E proprio Irrational Man, l'ultimo suo lavoro, sintetizza seppure con fasi alterne il disagio e il senso dell'esistenza sui quali il regista, alle prese con l'eterno dilemma del rapporto tra "Delitto e castigo" proposto dal suo amato Dostoevskij, non smette di interrogarsi e di interrogare gli spettatori nel solco di uno stimolante confronto.