mercoledì 28 ottobre 2015

Quella coltellata da non dimenticare

 di Renzo Balmelli 

 

RANCORI. Sarebbe assai importante che l'opinione pubblica non dimenticasse l'attentato xenofobo ai danni di una esponente della giunta comunale di Colonia. Bisogna rendersi conto che si è trattato di un episodio gravissimo, specchio di una comunità in fibrillazione. Se Alfred Döblin tornasse fra noi, potrebbe addirittura scovarvi inquietanti analogie con la torbida atmosfera della sua berlinese Alexanderplatz, presagio di altre tragedie. E s'interrogherebbe sul clima di odio che l'estremismo dei cattivi profeti concorre ad alimentare sfruttando le tensioni che attraversano la società contemporanea. Dietro quella coltellata vibrata da un individuo sano di mente s'intravvede un grumo di rancori più diffuso di quanto si voglia immaginare. Per fortuna la città non si è fatta intimidire. A rendere meno angosciante la portata di quell'atto criminale ha dato un contributo di alto valore simbolico l' elezione a sindaco di Henriette Reker, un gesto riparatore nei confronti della vittima che fuga i fantasmi, ma non li cancella.

 

INTIFADA. E' una tendenza carica d'insidie: la sindrome del duello rusticano sembra contagiare vari emuli dei compari Alfio e Turiddu in un territorio, quello mediorientale, già esplosivo e che di tutto aveva bisogno fuorché di una Intifada dei coltelli. Ciò che va accadendo in questi giorni nella pluridecennale contrapposizione tra Israele e Palestina è una nuova escalation, condotta con mezzi rudimentali, che rischia di vanificare del tutto gli esili, forse già non più esistenti spazi per un tentativo di conciliazione. Sotto le feroci coltellate degli attentatori palestinesi, esaltati dai video che girano su internet, e le dura replica dell'esercito israeliano si è messa in moto una spirale del terrore che oltre ad aumentare il caos crea uno scenario propizio ai jihadisti che si affacciano minacciosi dalle alture del Golan.

 

TATTICA. Con la brutta aria che tira e l'onda populista che non accenna a decrescere, la destra nazionalista svizzera per stravincere le elezioni federali ha avuto gioco facile. Per incamerare consensi a suon di proclami le è bastato intercettare , meglio di quanto abbiano fatto gli altri partiti, le preoccupazioni della gente sui temi di maggior impatto emotivo per poi piazzare , di contro balzo, alcuni colpi ad effetto e di rara potenza sui flussi migratori, l'Europa e i fantomatici nemici interni ed esterni che a suo dire assediano la Confederazione. E' stata una tattica pagante, a cavallo tra Salvini e Le Pen, in un periodo come questo segnato da profondi mutamenti del quadro socio-economico su cui aleggia la paura, che non è mai una buona consigliera. Forte di un successo elettorale astronomico per i parametri elvetici, l'UDC del tribuno populista Blocher dovrà ora dimostrare nei fatti ciò che davvero vale al di la della strategia ormai un po' consunta di arroccamento in difesa del proprio giardino. Resta da verificare se i trionfatori sapranno rinunciare a un programma infarcito di slogan ma sguarnito d'ideali, che però assicura voti a bizzeffe. Vedremo. Dopo una svolta a destra di tale portata e non priva di incognite, dubitare è lecito. 

 

ODISSEA. Quando ci mettiamo al collo una catenina d'oro forse nemmeno immaginiamo che il metallo giallo di quel monile potrebbe arrivare da molto lontano, dai giacimenti del Perù dove i minatori-bambini si spaccano la schiena e si rovinano la salute per rifornire i ricchi mercati occidentali con quella preziosa materia prima. Nella denuncia presentata dall'Associazione per i Popoli Minacciati ricorre spesso il riferimento all'odissea dell'oro maledetto, termine che sta a indicare le condizioni spesso disumane in cui bambini a volte di appena cinque anni sono costretti a lavorare in aperta violazione dei trattati internazionali. L'obbligo di verifica dovrebbe porre un argine allo sfruttamento della manodopera infantile strappata alla famiglia. Una condanna a vita che nessuno si merita. Purtroppo in un sistema sconfinante nell'illegalità non è sicuro che tale obbligo venga rispettato.

 

PERICOLO. Sull'altra sponda del Mediterraneo la primavera araba era la grande speranza cui aggrapparsi per immaginare un avvenire diverso, migliore. Ora quel sogno di democrazia, già soggetto ad amare delusioni , rischia di farsi travolgere dalla furia iconoclasta del terrorismo fondamentalista e di infrangersi contro il muro di una situazione andata via via degenerando in modo quasi irreversibile. E' perciò nell'ottica di un contributo al Quartetto di Tunisi, che più di ogni altro si impegna per portare avanti il discorso del cambiamento, che va letto il Nobel per la pace attribuito a un popolo coraggioso e determinato a non piegarsi ai ricatti delle forze oscurantiste. Ma senza aiuti e senza dialogo con l'esterno, il pericolo di un ritorno all'autoritarismo non è affatto scongiurato.