domenica 4 ottobre 2015

Another Brick in the Wall…

 
 
di Renzo Balmelli  
 
MURI. Quando i Pink Floyd composero il celebre "The Wall", pietra miliare del rock impegnato, l'Europa da est a ovest era ancora tagliata in due da una frontiera di mattoni, simbolo delle barriere materiali o metaforiche che hanno deturpato e deturpano la storia dell'umanità. Da allora il mondo è cambiato, ma non come si sperava. Per un muro che crolla, altri cento ne sorgono tra l'astio e i sospetti. Non sorprende quindi che a quasi quarant'anni dalla prima pubblicazione, l'opera dei Floyd conservi intatto tutto il suo potenziale e continui a fare riflettere con rinnovata intensità grazie al film di Roger Waters, da poco nelle sale, dedicato all'album omonimo della band inglese. Fin dall'antichità l'uomo ha sempre costruito barriere materiali e psicologiche a difesa del proprio territorio e del proprio potere in nome di ideali spesso assai discutibili. Magari è vero che i muri servono a proteggere dalle intemperie, ma nel momento in cui assistiamo all'odissea dei profughi, ben più numerosi sono quelli della disperazione contro i quali si infrangono le speranze.
 
IMMAGINE. A proposito di muri vecchi e nuovi solleva interrogativi, a loro volta vecchi e nuovi, l'esito delle elezioni in Catalogna che si presta a varie chiavi di lettura. Difatti se da un lato questo voto tende a confermare l'ampiezza del sentimento separatista, senza essere tuttavia un plebiscito, dall'altro porta acqua al mulino degli eurodisfattisti che sulla disunione, l'esclusione e la nostalgia delle piccole patrie ci campano alla grande. Il verdetto delle urne, pur senza autorizzare conclusioni definitive, sembra infatti marcare, oltre a un serio problema interno per la Spagna, l'inizio di un percorso che si muove in senso contrario rispetto a quello originale , ormai lontano dal progetto politico e culturale dei padri fondatori. E proprio questi sono oggi i limiti dell'Unione, poiché l'Europa "immaginata" da chi la tenne a battesimo – annota Ilvo Diamanti su Repubblica – "è rimasta appunto un'immagine, un orizzonte lontano".
 
VERTICE. Nel Medio Oriente le possibilità sono due. O l'incombente minaccia dell'Isis, frutto di tante cose oltre che di una palude mediatica senza precedenti, riesce, obtorto collo, a riavvicinare Washington e Mosca unite contro il comune nemico dopo due anni di gelo, oppure nella regione in cui opera potrebbero presentarsi condizioni non lontane da quelle di una terza guerra mondiale. Che la vasta zona compresa tra la Libia, l'Iraq e la Siria sia il teatro di ogni sorta di prevaricazione è ormai evidente anche agli occhi di chi preferisce guardare altrove. Impedire che la situazione possa degenerare fino al punto di non ritorno dovrebbe essere una preoccupazione più che sufficiente per consigliare ad Obama e Putin di farsi folgorare sulla via di Damasco e di non lasciare a metà il brindisi e il faccia a faccia che dovrebbero suggellare la strategia condivisa sulla sorte di Assad. A tale proposito le posizioni sono ancora parecchio lontane, ma a dispetto delle divergenze è lecito pensare che a nessuno dei due farebbe piacere trovarsi il califfato davanti alla porta di casa.
 
VEEMENZA. Tutto sommato sono tra le più tranquille del panorama continentale, ma ciò non deve indurre a credere che le elezioni per il rinnovo del parlamento federale svizzero, in programma il 18 ottobre, servano unicamente a confermare la tradizionale e immutabile governabilità di un Paese che non ama gli scossoni e non conosce crisi ministeriali. Dalle urne non usciranno esiti sconvolgenti , dato questo che sondaggi alla mano appare assai probabile. Le oscillazioni saranno però una radiografia degli umori prevalenti tra la popolazione rispetto ai temi che maggiormente la preoccupano: il franco forte, la controversa libera circolazione della manodopera estera, i rapporti con l'Europa -piuttosto convulsi di questi tempi - l'afflusso dei migranti , la protezione delle frontiere. Su questi argomenti, di forte contenuto emotivo, la temperatura elettorale è salita alle stelle sotto la spinta dei populisti che ne hanno fatto il soggetto centrale se non l'unico della loro campagna con una veemenza pari a quella delle famigerate iniziative anti stranieri di Schwarzenbach negli anni Settanta che spaccarono in due la Confederazione. Agli altri e in particolare alla sinistra il compito di impedire che si trasformino in una ossessione.
 
PAROLE. Funambolo della politica, Matteo Renzi non passa certo inosservato quando si muove sul palcoscenico internazionale dove i commentatori provano a sviscerare la personalità del premier che si professa di sinistra però senza mai spiegare esattamente come. Alla CNN è stato addirittura accostato a Bill Clinton e Tony Blair, due pezzi da novanta della terza via liberal-socialista rimasta però una bella incompiuta. In uno slancio di modestia, dopo questo paragone il premier si è detto pronto a fermarsi e a lasciare finendo diritto diritto nelle fauci della satira, feroce e irriverente. Se avessimo saputo che era così facile, sai quanti esempi avremmo potuto sfornare ogni giorno hanno detto i Crozza di turno con un'allusione carica di significati. Tanto più, che l'esclamazione "In America, in America", cara a non pochi onorevoli, sembra essere la versione italiana del famoso appello "A Mosca a Mosca" della letteratura russa in cui i personaggi intessevano le loro reti di rapporti, il loro gioco di parole.