di Renzo Balmelli
FIDUCIA. E' prematuro dire se il cambio della guardia alla testa del Pd sia il presagio di un periodo di bonaccia nella convulsa politica italiana. Bisogna augurarselo, ma di sicuro la reazione non mollerà la presa tanto facilmente pur di tenere il Paese sotto scacco. Comunque sia, intanto il governo incassa la fiducia delle Camere; un gesto che non era scontato, soprattutto al Senato, dopo la vociante sarabanda messa in scena da Forza Italia e dai pentastellati. E quindi ancor più significativo, se si considera l'ampiezza della posta in palio. Ora non resta che mettersi all'opera per non sprecare altro tempo prezioso. Il voto del Parlamento non è una cambiale in bianco, questo no, ma un segnale molto importante che oltre a confermare il sostegno all'Esecutivo lascia sperare nella possibilità di una navigazione meno turbolenta in vista delle riforme. Che è poi quanto ha bisogno l'Italia in questo periodo segnato dalla crisi, dalla rassegnazione e dalle sventurate contorsioni di chi cavalca il movimentismo non certo animato da nobili intenti .In politica il passato pesa, specie dopo un ventennio traumatico, ma se persino Obama e Raul Castro si stringono la mano in mondovisione è immaginabile che anche a Roma si possa pianificare il futuro con maggiore serenità e in un clima meno esasperato.
DIGNITÀ. Ogni successione importante contempla la speranza di un cambiamento. Nel Pd, erede di una tradizione culturale votata al primato delle idee, sono maturate dopo un lungo travaglio le condizioni per uno storico mutamento che non può in nessun modo venire disatteso. In quest'ottica Matteo Renzi si accinge ora ad affrontare la prova del fuoco. Senza indugi il nuovo segretario dovrà dimostrare non soltanto a parole, di cui non è certo sprovvisto, ma anche nei fatti, di essere l'uomo giusto al posto giusto, all'altezza del trionfale mandato ricevuto alle primarie. Da qui non si scappa: l'incentivo rappresentato dal maggior partito italiano è l'unica alternativa in grado di arrestare la marea montante di una destra sempre più demagogica. D'altronde dovrebbe essere chiaro a tutti che l'obiettivo primario di una sfida epocale in cui per vincere non basta rottamare, consiste proprio in questo: consiste nella capacità di ricostituire il tessuto morale per portare la nazione fuori dall'infausto inverno di Arcore. Richiesti all'uopo sono, in ugual misura, grandi visioni e progettualità concrete nella piena consapevolezza che "sinistra" significa in primo luogo dignità.
"NEGRI". Gli hanno tributato onori planetari, ma il più importante sarà di non lasciare che gli ideali di giustizia e libertà – per i quali Mandela si è battuto fino a quando le forze lo hanno sorretto – finiscano in uno scatolone chiuso nel mausoleo della storia. Per misurare l'ampiezza dello straordinario cammino compiuto da colui che verrà ricordato come l'ultimo mito del Novecento, bisogna immaginare cos'era l' orrenda realtà dell' apartheid, quando i neri del Sud Africa erano considerati dai coloni bianchi poco più che oggetti di cui disporre a piacimento, e non persone. Per porre fine allo scempio, colui che spezzò le catene della prevaricazione dell'uomo sull'uomo, ha trascorso un terzo della sua vita in carcere, convinto che il mondo non avesse un solo colore. C'è riuscito, ma ora, come detto, è la sua eredità che andrà amministrata e perpetuata con saggezza per far sì che la gramigna del segregazionismo, mai del tutto estirpata, non torni ad attecchire e a infestare i comportamenti verso coloro che sono ridiventati i "negri" agli occhi degli incalliti oppressori sparsi ai quattro angoli della terra.
SGOMENTO. Nei rigurgiti del razzismo che intossicano l'Europa, non c'è più rispetto nemmeno per Anna Frank, la ragazzina ebrea trucidata dai nazisti. L'ennesimo episodio antisemita arriva dal cuore di Roma e ruota attorno al tifo esasperato tra opposte fazioni in cui l'immagine della giovane è stata oltraggiata in modo abominevole. Si rimane sgomenti di fronte a un episodio tanto aberrante; un'escrescenza nauseabonda che è la spia di una sottocultura frutto dell'ignoranza e degli esempi forniti dai cattivi maestri. A tal punto da perdere di vista il rispetto verso il passato. Che poi, su questo fronte, agiscano forze che campano sugli istinti riposti e le ideologie bacate per raccattare voti, non fa che accrescere lo sconcerto in chi paventa derive ancor più minacciose.
GOGNA. Avrà tanti difetti, ma l'Italia non è di sicuro un Paese autoritario. Tuttavia pare non sia tramontato il vizietto della gogna mediatica e delle liste di proscrizione per i giornalisti sgraditi al "regime" di cui si ebbe una prima, eloquente dimostrazione col famigerato editto bulgaro di Silvio B. Ora sembra che anche i grillini vogliano mettere il bavaglio alla libertà di criticare e quindi alla libertà di stampa. Si va così costituendo una sconclusionata alleanza che ha quale collante il populismo e che si sviluppa lungo due direttrici, l'una non meno perniciosa dell'altra: da un lato gli attacchi sconsiderati al Colle, dall'altro il piacere maligno di soffiare sul fuoco per portare il Paese allo sfascio. Dove vogliano arrivare con un programma tanto velleitario e confuso è una incognita non esente da pericoli: ma qualsiasi cosa sia non sembra portare a buon fine. Forse a chi si ostina a farla fuori dal vaso sfugge il fatto che nel giornalismo è un obbligo morale diffidare del potere, specie se ha queste fattezze.
MOBILITAZIONE. Mai come adesso è parso necessario mobilitarsi per salvare l'Europa dal nazionalismo che di giorno in giorno si sta facendo sempre più forte, incendiario e ostile, col rischio di portarla alla rovina. Sullo sfondo dei moti che dall'Ucraina all'ira dei "forconi" testimoniano l'esistenza di un profondo disagio, la tendenza a esasperare le difficoltà – che pur ci sono e sono tante – rispetto ai progetti comunitari, può magari far vincere una singola battaglia elettorale, ma alla fine – chiosa Enrico Letta – costruire solo macerie. Parole sante, poiché fu proprio sulle macerie che nacque l'Europa unita, determinata a bandire la guerra dal suo orizzonte. Sessant'anni di pace sono li a dimostrare che l'impresa è possibile, non soltanto per farne una terra di opportunità economiche, ma anche di giustizia e libertà.
VITALITÀ. Metti sullo stesso palcoscenico l'intoccabile Traviata e una regia molto poco tradizionale, e lo spettacolo nello spettacolo, tra applausi interminabili e manifestazioni di dissenso, è assicurato. Si sa che ogni prima alla Scala crea rari momenti di totale concordia. La contestazione è però anche un segno di vitalità. Mostra infatti l'altra Italia, la migliore, quella non contaminata dal bunga-bunga, quella che lo stesso giorno ha trionfato grazie a Paolo Sorrentino, regista, e Paolo Servillo protagonista, all'Oscar europeo del cinema con " La grande bellezza". Mentre si faceva buona cultura, da destra si levavano le solite berlusconate di fine impero. Come volevasi dimostrare, la decadenza non è di un uomo solo, ma del sistema da lui creato e di chi l'ha tenuto in piedi.