domenica 3 marzo 2019

Non solo soliti idioti

di Renzo Balmelli  

 

AGGRESSIONE. Che oggi non vi siano più limiti a pescare nel torbido e nel servirsi degli istinti più riposti per creare consenso, è dimostrato ampiamente dagli episodi di intolleranza che si ripetono con allarmante frequenza. Con la sua logica perversa e con la sua cultura della violenza, l'antisemitismo dilaga e guadagna terreno in Europa come se la memoria collettiva fosse stata cancellata. Lo "JUDEN" che a Parigi ha imbrattato le vetrine di un negozio ebraico, e, pochi giorni dopo, l'insultante "sporco ebreo" rivolto al filosofo Alain Finkielkraut, sono lo specchio del degrado morale attribuibile non soltanto ai soliti idioti. Fomentatori di ideologie bacate si sono insinuati nei molteplici e insospettabili gangli della società mostrandone il loro lato oscuro. Con l'aggressione allo studioso francese, i gilet gialli, che godevano di una certa simpatia, sono riusciti a gettare discredito sul loro movimento nato con ben altri intenti. Tutti sappiamo come l'odio antisemita è cominciato, ma la virulenza con la quale è tornato a diffondersi sta a dimostrare che ancora non è finito e forse non finirà mai se lo si lascerà fare girando lo sguardo dall'altra parte. 

 

MANETTE. Nel corso dei secoli il tintinnar delle sciabole e quello delle manette non ha mai portato nulla di buono. Entrambe hanno lo stesso suono metallico, truce, simile a quello delle porte che si chiudevano dietro i tribunali dell'Inquisizione. Sciabole a parte, anche oggi le vicende giudiziarie che hanno avuto quali protagonisti, seppure per motivi diversi, i genitori di Renzi e Matteo Salvini, - la cui attività in veste di ministro detto per inciso ci è del tutto estranea- lasciano in bocca l'amaro sapore della sconfitta per tutti. In democrazia vi sono altri mezzi per esprimere il proprio dissenso: il voto, i partiti, il Parlamento, la piazza, le manifestazioni, la civile protesta, le inchieste giornalistiche. Tentare altre strade o provare subdole manovre dai contorni sempre opachi per screditare l'avversario è un misero stratagemma che da un lato non fa che ingrandire il vuoto della politica e dall'altro mostra l'imperizia di coloro che invece la dovrebbero amministrare all'insegna del buon governo. La giustizia ha altri compiti.

 

TRAGEDIA. Com'è suo costume, Gianpaolo Pansa non ha perso l'abitudine di provocare. Col suo ultimo libro intitolato "Quel fascista di Pansa" (Rizzoli), il noto e controverso giornalista lancia il classico sasso nello stagno mettendo in copertina una sua fotografia in divisa littoria. Affari suoi, nessun glielo ha impedito. Nella sua urticante rilettura della Resistenza e nel riscrivere, con la puntigliosità del cronista schierato, la storia dell'immediato dopoguerra, l'autore muove però da una posizione che non è corretto presentare come una fondamentale "opera di verità". Mettersi dalla parte di coloro che hanno perso e hanno sofferto è una scelta editoriale che non è di per sé biasimevole, bensì del tutto legittima nell'ambito della libertà di espressione e di coscienza. A patto però di non dimenticare che i "vinti" di cui Pansa ha preso le difese stavano dalla parte sbagliata della Storia e ci sono rimasti anche quando non potevano più invocare la buona fede. I morti sono tutti uguali e tutti degni di rispetto, ma chi ha servito il fascismo fino all'ultimo è stato complice della tragedia. 

 

TORCIA. Alla fine di maggio mancano poco più di tre mesi, ma in vista delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo il fuoco sotto la miccia sta ormai ardendo con crescente intensità. Nella politica europea si è aperta una stagione di conflitto al calor bianco che tiene le Cancellerie col fiato sospeso. Tra populismo e sovranismo crescono i timori per un possibile sconvolgimento degli attuali equilibri nell'Eurocamera. I sondaggi tendono a escludere questa ipotesi catastrofica, ma le scosse di assestamento della Brexit, la tempesta che agita la Spagna di nuovo alle prese con la spinosa questione catalana, l'incerta identità del gruppo di Visegrad, gli interrogativi legati all'asse franco-tedesco e le spinte populiste dell'Italia non consentono di formulare pronostici rassicuranti. La torcia dell'indipendentismo e delle frontiere strettamente sorvegliate come i treni di Menzel e Hrabal è in mano a una eccitata torma di conservatori dalla quale ci si può attendere di tutto.

 

TREDICI. Ho fatto tredici! Persino l'irreprensibile Peppone non seppe resistere, oltre che allo sguardo languido della bella segretaria venuta dalla città, alla tentazione della schedina del Totocalcio che prometteva vincite sbalorditive. La sera in cui seppe di avere azzeccato la cifra magica che valeva dieci milioni, una somma enorme per quell'epoca in cui la lira era grande come un fazzoletto, il sindaco non ebbe più pace e con Don Camillo, rivale, ma anche complice, escogitò vari stratagemmi per non farsi scoprire. Sei milioni alla famiglia, uno al partito e tre alla Chiesa sancirono il patto tra il sacro e il profano volto a "santificare" l'intesa tra il combattivo Reverendo e il pugnace comunista. Dai fasti di quel passato ormai non resta quasi più nulla e il Totocalcio, soverchiato da Internet e da decine di pronostici, rischia di scomparire in seguito alla nuova legge sulle lotterie. Con quella schedina che prometteva di cambiarti la vita se ne va un altro spaccato dell'Italia che si stava faticosamente riprendendo dalle follie mussoliniane cullando la speranza di un futuro migliore. Nel ricordo di quegli anni non stupisce che la scomparsa di uno dei concorsi a premi più popolari del secolo scorso sia stata accolta con unanimi sentimenti di stupore e tristezza.

 

ELETTI. Nell'ambiente convulso, elitario e carissimo dell'alta moda si aggirano personaggi fuori dal comune capaci di trasformare un pezzo di stoffa qualunque non soltanto in un abito prezioso, ma anche in un piccolo oggetto d'arte presente a volte nei musei. In questa galleria spiccano, accanto a Karl Lagerfeld, scomparso a 85 anni, i nomi di moltissimi italiani che hanno segnato un'epoca nella storia del costume e reso famoso in tutto il mondo il "made in Italy" a volte costretto a subire le fanfaronate della politica. Erede designato di Coco Chanel, lo stilista tedesco, al pari della creatrice del famoso tailleur e del non meno celebre profumo, diffidava del romanticismo e delle convenzioni dell'epoca. Si dice che fosse il solo che poteva rendere il bianco e il nero pieno di colori, travalicando i limiti del suo lavoro. Ma siamo pur sempre in un campo riservato a pochissimi eletti che con il valore di un solo vestito potrebbero cambiare la sorte di coloro che sono nati nel cono d'ombra del benessere e per i quali sarebbe invece molto necessario quel "politicamente corretto" che Lagerfeld invece detestava cordialmente dall'alto della sua imponente figura.