di Renzo Balmelli
Quando prendeva carta e matita, Norberto Bobbio di sconti non ne faceva a nessuno e senza peli sulla lingua, come suo costume, non esitava a scrivere che “Berlusconi, come il tiranno classico, ritiene che per lui sia lecito quello che i comuni mortali sognano”. Sono passati alcuni anni, eppure il giudizio calza alla perfezione, oggi come ieri. Silvio IV in effetti altro non è che la replica esatta del ritratto che ne faceva tempo fa il filosofo torinese: un governo “dell’uomo solo al comando” concepito a immagine e somiglianza del capo. In quest’ordine di idee, l’esecutivo del Cavaliere si configura come il combinato disposto di una schiera di solerti gregari, chi piu’ tosto, chi meno, per i quali non esiste comunque alternativa se non quella di assecondare il primato del leader.
Il reuccio di Arcore, evidentemente, ha capito la lezione allontanando i promotori del “terrorismo interno” che finirono col logorare la sua coalizione in un negoziato permanente, ricco di conflitti e poverissimo di risultati. A questo punto sorge una domanda. E' mai possibile che al quarto tentativo d’un colpo tutto sia cambiato? E' veritiera l'immagine del Pdl saldato dal “vogliamoci bene” attorno alla paterna figura del capo saggio e illuminato? Francamente, osiamo dubitarne. Affidiamoci piuttosto alla buona regola e diffidiamo dalle apparenze, che spesso ingannano. La sfilza di “avv.”, “prof.” e “dott.” con la quale Berlusconi ha indorato il blasone della lista dei ministri non è automaticamente sinonimo di coesione e armonia. La luna di miele post-elettorale con Lega e AN che, da quanto traspare, si sono piegate piu’ nolenti che volenti all’ansia decisionale del premier, potrebbe presto non bastare più, quando i primi nodi varranno al pettine, quando Palazzo Chigi dovrà inevitabilmente gestire un problema di consenso reale dentro il Paese, quando il braccio di ferro sul federalismo tornerà a innescare potenziali motivi di dissenso.
Comunque sia, la vera sfida dei primi cento giorni, la sfida che va a incominciare riguarda l’opinione pubblica. La portata del successo e le difficoltà in cui versa la sinistra offrono in teoria margini di manovra quasi illimitati a Berlusconi. Ma la vittoria, ancorché cospicua, non è garanzia assoluta di riuscita. Anzi, ci sono segnali che dovrebbero dare da pensare al nuovo inquilino della stanza dei bottoni. Gli stessi elettori che hanno decretato il trionfo della destra, si sono fatti stranamente guardinghi e già dalle prime verifiche sembrano avere assunto un atteggiamento critico, per nulla disposti a concedere alibi di sorta al governo che il Cavaliere ha plasmato con le sue mani. Questo diffuso orientamento emerge dai sondaggi online delle maggiori testate, sondaggi che ovviamente non hanno un valore scientifico, ma rappresentano comunque un dato da non sottovalutare. La radiografia che ne risulta rivela che la nuova squadra di governo, così com’è composta, piace poco, quando non si colloca addirittura sotto la sufficienza nel gradimento dei lettori.
Solo un paio di ministri passa l’esame. Il risultato negativo più clamoroso è di Sandro Bondi, elevato al rango di improbabile titolare della cultura, che rimedia una bocciatura superiore all’80%. Probabilmente un errore di comunicazione. Il premier forse non intendeva ministro della cultura, bensì del culto. Ministro del culto di Berlusconi. In effetti, Bondi ne è il solerte sacerdote officiante. Lui e altri ministri di basso profilo come lui sono proprio il tipico esempio di quei collaboratori remissivi di cui il Cav. ama circondarsi: gente di retroguardia, incaricata di fornire al Capo le munizioni atte a compiere un percorso di guerra col quale, a 72 anni, gli riesca finalmente di passare alla storia da statista repubblicano, puntando dritto al Quirinale: la sua "magnifica ossessione".
Questo governo, così piatto, per l'Italia può anche non servire granché. Anzi, come i precedenti esecutivi in salsa berlusconiana sarà fonte di molte delusioni. Ma per il Cavaliere sembra il perfetto trampolino di lancio, costruito proprio con quell'unico scopo: il grande salto verso il Colle. Con uno sfoggio di spavalderia che la dice lunga sul personaggio, Berlusconi ha detto “di voler riprendere il lavoro dopo due anni di interruzione”, nella certezza, dopo la sconfitta di Veltroni, di non incontrare ostacoli.
Nell'ottica del Cavaliere il governo di Prodi era un incidente di percorso, anche se in realtà nel confronto diretto con il Professore è sempre stato battuto. Ora Prodi è uscito di scena. Il Pd litiga sul governo ombra. Tre milioni di militanti di sinistra non hanno più voce in parlamento. E il popolo della sinistra, frastornato, anziché proporsi come seria alternativa a colui che quando era all’opposizione rifiutò sdegnosamente di dialogare con la maggioranza, è totalmente in balia dei marosi. In queste condizioni appare chi potrà fermare il premier nella scalata finale al suo personalissimo sogno di potere? Eppure una via d’uscita ci sarebbe.
Se la sinistra per prima cosa almeno una ne capisse, se cominciasse a rendersi conto, invece di pensare a improbabili accordi, che la destra dai contorni ambigui con la quale si trova ora confrontata non è soltanto un incidente di percorso bensì un incidente della storia, sarebbe già un passo avanti: sarebbe un piccolo ma significativo progresso per rendere la pariglia e ritrovare il coraggio, l’unità, l’identità perduta.
E’ difficile, conveniamone, ma dopotutto non sta scritto da nessuna parte che la stella di Berlusconi sia intramontabile anche se lui appare ormai convinto di essere il Padreterno.