lunedì 18 dicembre 2017

Forse non sa di cosa parla quando ne parla

di Renzo Balmelli 

BRANDELLI. Può darsi che oltre Atlantico sia meno nota che in Eu­ro­pa. A maggior ragione leggere La Gerusalemme liberata potrebbe gio­vare agli attuali vertici della Casa Bianca e in primis a Donald Trump che forse non sa di cosa parla quando ne parla. Recuperare la me­moria letteraria sarebbe oltremodo utile per andare a fondo di una re­altà che da millenni si basa su un delicatissimo sistema di equilibri e compromessi. Facendolo saltare si rischia di accendere una miccia dal­le conseguenze incalcolabili. Quando il Tasso compose il suo mirabile poe­ma epico l'America era ancora in fasce, ma oggi che è rimasta l'uni­ca grande potenza ha il dovere di dare prova di saggezza. De­ru­bri­care la città a spavaldo oggetto del desiderio come fosse una prateria del Far West significa saltare di pari passo dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata e di conseguenza ridurre a brandelli ciò che resta del dialogo tra israeliani e palestinesi in quei luoghi ricchi di storia e profonde emozioni che sono di tutti noi.

SCHIAFFO. Sulle testate on line e sui blog di destra, di solito così so­lerti a incensare ogni mossa di Trump, la sconfitta in Alabama del can­didato repubblicano al Senato non si è trovata da nessuna parte. O, se c'era, in pochi l'hanno vista, sperduta tra le notizie in breve. E dire che in questo Stato, dove appena un anno fa il Presidente aveva disinte­gra­to Hillary Clinton, il Gran Old Party da vent'anni poteva starsene co­mo­damente nel fortino senza che la sua su­pre­ma­zia venisse mai posta in discussione. Ma nemmeno l'invincibilità più ferrea, quando il trop­po è troppo, poteva bastare a contenere le stralunate esternazioni di Roy Moore, estre­mi­sta filo-razzista, coinvolto in una serie di scandali ses­suali e che faceva campagna a cavallo ma­gnificando l'età dello schia­vi­smo. A rompere la roccaforte repubblicana ha provveduto il de­mo­cra­tico Doug Jones, che oltre a incassare una vittoria clamorosa rende ancora più stri­min­zita la maggioranza repubblicana al Camera alta. Uno schiaffo per Trump, che era sceso in campo personalmente per sostenere il suo candidato; uno schiaffo destinato a lasciare a lasciare il segno a un anno dalle legislative. Un personaggio come Ray Moore in un altro Stato anche solo un pochino meno reazionario dell'Alabama non sarebbe stato neppure presentabile.

DIRITTI. Siamo rimasti impietriti per la tragica fine di Madina, la bim­ba afgana di sei anni travolta e uccisa dal treno mentre camminava sui binari sognando l'Europa. La sua giovane vita è stata spezzata bru­tal­­mente mentre errava da una frontiera all'altra come migliaia di pro­fu­­ghi in cerca di asilo. Per lei la Dichiarazione universale dei diritti del­­l'uomo era solo un pezzo di carta ignorato dai responsabili di tali atro­­cità. L'anno prossimo si celebrerà il 70esimo anniversario della Di­chia­razione, voluta quale risposta agli orrori, le ferite e le rovine della Se­conda guerra mondiale. Di progressi in questo campo ne sono stati fatti, certo, ma l'odissea di Madina testimonia, specie di questi tempi segnati dall'intolleranza verso chi fugge dai conflitti e dalla fame, quan­­ta strada resta ancora da fare prima di debellare le peggiori di­scri­mi­nazioni a danno dei più deboli. Se i valori insiti nella Dichiarazione sono i pilastri fondamentali di una società giusta, difenderli può costare la vita o la privazione delle libertà individuali. Guai, quindi, arrender­si.

INDIETRO. Il difficile comincia adesso. Agli eurofobici incalliti non sembrava vero di recitare il De Profundis dell'UE dopo il primo parziale successo dei negoziati sulla Brexit. Aggiungendovi, tanto per non farsi mancare nulla, il solito benservito alle " zecche rosse" che svendono l'Italia per trenta denari. Ma l'intesa tra Bruxelles e il Regno Unito è soltanto il primo tassello di una ancora lunga marcia negoziale il cui esito alla fine molto dipenderà dagli equilibri politici a Londra. Theresa May torna a casa con la consapevolezza che il divorzio si consumerà nel reciproco rispetto, ma senza la certezza di riuscire a portarlo a buon fine. La sua sopravvivenza a Downing Street deve fare i conti con gli umori dell'opinione pubblica, consapevole che il distacco sarà molto oneroso, e con la possibilità che i laburisti vadano al governo. Tanto che Oltremanica più di qualcuno vorrebbe rimettere indietro le lancette del referendum. Anche quelle della Brexit.

RISORSE. A vederla in televisione con quel viso tirato e gli occhi sempre più grandi e corrucciati, anche i suoi avversari più determinati provano una certo imbarazzo a metterla alle corde. Però, malgrado il dovuto rispetto, non si può fare a meno di analizzare l'operato di Virginia Raggi, che da quando è diventata sindaca di Roma ha fatto e disfatto la sua giunta, ma ha governato e combinato poco. Colei che doveva essere l'alfiere del cambiamento e il simbolo della "rivoluzione grillina" a ragion veduta un anno dopo l'elezione presenta un bilancio molto modesto. D'accordo, cambiare Roma in tempi brevi è impossibile. Ma nella "caput mundi" nulla sembra essere mutato e se la città mantiene ancora intatto il suo fascino agli occhi di milioni di turisti non è certo per il mito appannato della felliniana Dolce vita, ma per il concentrato di storia che vi si respira a ogni angolo. L'inquilina del Campidoglio non è l'unica responsabile del degrado che nell'Urbe ha radici antiche. Ora arriveranno nuove risorse per rilanciare la ripresa, ma resta da vedere se la Raggi sarà ancora alla guida della città anche dopo le elezioni di primavera.

SCANDALO. A guardare bene non è poi così esatto sostenere che l'ex cavaliere, tornato di colpo al centro della scena politica, sia il capostipite di quel fenomeno di costume ormai noto e citato in tutto il mondo col nome di "bunga bunga". Le "cene eleganti" sono sempre esistite ed a ricordarcelo è la scomparsa di Christine Keeler, splendida modella degli anni sessanta, che si trovò coinvolta in una torbida vicenda di tale ampiezza da fare tremare l'occidente. Ora il suo nome dice nulla ai più, ma quando aveva appena 19 anni la sua torrida relazione con John Profumo, allora ministro della guerra, portò alla caduta di un intero governo di Sua Maestà, quello conservatore guidato da Harold Macmillan. E poiché tra le relazioni della ragazza figurava anche un agente del controspionaggio sovietico ne scaturì in piena guerra fredda uno scandalo enorme che metteva a repentaglio la sicurezza nazionale e internazionale secondo i canoni di una spy story in piena regola, consumata tra le lenzuola.

SIMBOLI. Un altro attentato a New York. Nelle mille luci che illuminano l'immensa metropoli natalizia e festante, di colpo si è fatto buio. Come una folata di vento impetuoso il bagliore dell'esplosione ha paralizzato l'affollatissima Times Square, la piazza simbolo della città dove transitano 500 mila pedoni al giorno. La paura per le conseguenze immediate del folle gesto si è dileguata in tempi brevi, una volta capito che non c'erano vittime. Ma l'inquietudine per quel " terrore fai da te" con l'ausilio di una bomba rudimentale rimane comunque presente nei gangli vitali della città che ha conosciuto prove ben più drammatiche, ma che sempre ha reagito senza cedere all'isteria. L'attentatore, sbucato dal nulla, è un lupo solitario che si definisce militante dell'Isis, che forse è stata debellata ma non nelle menti di chi ne è rimasto contagiato: la qualcosa rende lui ed i suoi imitatori ancora più pericolosi e incontrollabili. Ma New York non sarebbe New York se non tenesse i nervi saldi. Nelle avversità la Grande Mela ha le sue ancore di salvezza, i suoi simboli vincenti entrati nell'immaginario collettivo come il famoso bacio del marinaio all'infermiera, proprio a Times Square; un bacio più forte delle calamità per festeggiare la fine della guerra e di un incubo.