lunedì 5 settembre 2016

Quando la terra trema

di Renzo Balmelli 

 

MACERIE. Quando la terra trema raramente siamo di fronte soltanto a un'oscura fatalità. Sul bilancio delle vittime pesa quasi sempre il reticolo di colpevoli inadempienze che amplificano la forza devastante della natura. Lo stesso scenario si staglia davanti ai nostri occhi mentre l'Italia prova tra infinite sofferenze a riemergere dalle macerie morali oltre che materiali del terremoto che ha devastato il Centro della penisola. Tra lutti, feriti e dispersi è carissimo il prezzo pagato alle scelte sbagliate, alle promesse disattese. In mezzo a tanto dolore, l'Italia generosa del volontariato e della solidarietà che nulla chiede, l'Italia migliore, tiene accesa la speranza di riportare la vita dove adesso c'è una desolante distesa di morte e distruzione. La ricostruzione non si fa con le parole e le auto blu. Ai superstiti servono risposte concrete, e subito, risposte trasparenti, non diluite nel limbo impalpabile del "faremo" o nella prospettiva sconsolante di un futuro di la da venire, mai veramente coniugato al presente.

 

FIDUCIA. Da Amatrice, luogo simbolo della catastrofe, si alza una domanda che non ammette rinvii in politichese stretto. Quanta fiducia può avere il cittadino in chi avrebbe dovuto investire tutte le risorse disponibili per evitare lo sfacelo? Poca verrebbe da dire, tanto più che le linee guida e le leggi previste all'uopo, ottime in teoria, all'atto pratico hanno trovato finora applicazioni che soltanto in minima parte rispondono alle reali necessità delle popolazioni colpite. Nelle zone a rischio vi sono stati interventi antisismici di modesta efficacia e i fondi a disposizione sono stati usati male per opere di ripristino, senza tenere conto delle durissime lezioni del passato. L' imprevidenza, la cupidigia, l'avidità formano la tela di fondo di una situazione da recidere con un taglio netto e non con i soliti pannicelli caldi. Insomma non dovrà mai più accadere che un vigile del fuoco col cuore infranto lasci una lettera sulla bara della piccola Giulia scusandosi per non essere arrivato in tempo a salvarla da sotto le rovine. Da quel gesto trapela il sentimento di impotenza per un dramma che poteva, doveva essere evitato.

 

ANGOSCIA. Con la sferzata micidiale del sisma si è chiusa nel più triste dei modi un'estate di cattive notizie che ne fanno la peggiore del secolo. Ci fosse Céline parlerebbe di un lungo viaggio al termine di una stagione buia come la notte in cui la parola che ricorre con maggiore frequenza è " angoscia". Ci sovrastano mille pericoli che si insinuano nell'animo e determinano reazioni incontrollate e incontrollabili che finiscono col fare il gioco di chi sguazza nel disordine mondiale; disordine di cui il terrorismo di matrice jihadista è certo una componente sanguinaria e velenosa che rovina lo sguardo dell'uomo sull'uomo, ma niente affatto l'unica. Mentre ci interroghiamo sulla sorte dei nostri valori, nell'aria riecheggiano le parole di Antonio Gramsci quando ammoniva che "il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri".

 

SFIDE. Sono trascorsi quasi 45 anni dal giorno in cui la foto che ritrae una bimba in fuga dal suo villaggio in Vietnam bombardato con il napalm fece il giro del mondo gettandoci in faccia tutto l'orrore e il dramma della guerra. E in questo lasso di tempo nei libri di storia nulla è realmente cambiato, se non in peggio. Oltre a quello scatto che rese celebre il reporter Nick Ut, ora in pensione, altre immagini sono andate ad aggiungersi fino ai giorni nostri alla galleria delle atrocità che hanno fatto crescere in maniera inaccettabile le morti dei bimbi nel mondo, coperti di sangue e ceneri. Qualcuno ha detto che le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono. Che ci voglia una foto per risvegliare le nostre assopite coscienze evidenzia l'assoluta necessità di cambiare marcia nell'affrontare le vere sfide che incombono sulla società , senza sprecare energie nella penosa disputa del burkini. In caso contrario mal si intuisce che cosa possiamo aspettarci di diverso da quello che sta accadendo.

 

RICADUTE. Si parla tanto di Brexit, tema evocato senza cedere al pessimismo al recente vertice tripartito italo-franco-tedesco di Ventotene, culla del sogno federalista di Altiero Spinelli. Eppure, nonostante le inevitabili ricadute del voto britannico, a tenere banco tra gli osservatori internazionali è il referendum istituzionale italiano ritenuto nell'immediato più delicato e importante del divorzio da Londra. Collocata al pari delle presidenziali americane tra gli appuntamenti cruciali dell'autunno, la riforma costituzionale è vista a dipendenza dell'esito delle urne come lo snodo che nella peggiore delle ipotesi potrebbe consegnare al Paese maggioranze diverse non si sa quanto affidabili e con quali rischi per la governabilità che verrebbe messa in forse a perdita d'occhio. Certo è che la prospettiva di una simile incognita congiunta alla mina vagante rappresentata da una eventuale vittoria di Trump non lascia presagire sviluppi confortanti, ma unicamente tanta confusione, per l'avvenire prossimo venturo. L' 'Europa in particolare e l'occidente in generale hanno assolutamente bisogno di reinventarsi e di non avventurarsi lungo i sentieri minati della demagogia di facile suggestione per impedire di crollare e finire in mano al populismo più sbracato.

 

REVISIONISMO. All'età di 93 anni si è spento a Berlino, dopo una breve malattia, lo storico Ernst Nolte da annoverare, con Jünger e Heidegger, tra le figure più complesse e controverse dell'intellettualità tedesca formatasi all'ombra del nazismo e delle sue depravazioni. La longevità ha consentito ai tre di assistere all'ascesa e alla caduta del Reich e quindi di riflettere sulle immense responsabilità del regime, senza però mai liberarsi completamente da talune ambiguità nell'analisi conclusiva del fenomeno. In quest'ottica intrisa di revisionismo, proprio Nolte ha provato a dare una lettura poi molto contestata del male assoluto, che a quel punto assoluto più non era, presentandola quale risposta al bolscevismo. Lo storico vide nel Gulag la premessa della Shoah con una tesi assai avventata e pericolosa che gli valse le critiche severissime da parte di chi lo accusava, con fondate ragioni, di volere cancellare la memoria del genocidio, sminuendo la portata sconvolgente della Endlösung, la soluzione finale della questione ebraica. Quanto pesino ancora le sue tesi nella formazione dei movimenti neonazisti è un dato ancora tutto da appurare, ma il testo di una sua conferenza intitolata "Il passato che non vuole passare", testo quanto mai sfuggente, può essere letto in vari modi, nessuno dei quali però con animo tranquillo.