di Renzo Balmelli
SCHIAVI. Ogni anno il 12 febbraio si celebra la Giornata internazionale contro lo sfruttamento dei bambini soldato. L'impegno è lodevole anche se talvolta scivola via un po' troppo in sordina per una manifestazione che considerando l'estrema gravità del fenomeno meriterebbe un maggiore risalto mediatico. Difatti nonostante la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la ricorrenza è funestata dai drammatici dati sui casi di minorenni assoldati da eserciti regolari o irregolari e da individui privi di scrupoli che ne fanno oggetto di un turpe mercato di esseri umani. Centinaia di migliaia di ragazzine e ragazzini strappati alle loro famiglie e impiegati come soldati, schiave sessuali, stuprate o adibiti a lavori faticosi, se sfuggono alla morte subiscono traumi dai quali non si riprenderanno mai per tutta la vita. La piaga infernale dall'infanzia rubata e bruciata è in aumento in tanti Paesi africani ma anche in alcuni dell'Asia e del Sudamerica malgrado gli strumenti a disposizione del Diritto internazionale di cui i responsabili di violenze inenarrabili ridono senza ritegno.
ASTUZIA. Quanto sono insistenti i seguaci di Schwarzenbach, il politico di Zurigo che detestava i "Gastarbeiter" meridionali. Insistenti nel rovistare tra gli istinti più riposti per ricavarne vantaggi elettorali. In vista del prossimo affondo hanno nel mirino il referendum per l'espulsione dei criminali stranieri, problema serio di per sé già regolato da leggi severissime, che però nelle loro mani diventa una potentissima "arma di distrazione di massa". Con diabolica astuzia gli strateghi del fronte populista elvetico hanno partorito un mostriciattolo giuridico di facile suggestione che non serve a nulla tranne che ad alimentare la cultura del sospetto. Intuendo la pericolosità del testo che antepone la giustizia punitiva a quella giusta in barba ai Diritti umani, Parlamento, governo e ampi settori della società civile vi si oppongono con fermezza. Ma in un clima continentale sempre più brutalmente xenofobo e contagioso, la partita per il NO si fa ostica. Sotto l'occhio dell'Europa e il tifo della vociante galassia "lepenista", si vota a fine febbraio di un anno bisesto che nella tradizione popolare fa rima con funesto.
RICORDO. Verissimo e inconfutabile: l'emigrazione italiana nella Confederazione elvetica è una storia di successo; un successo però non regalato, ma conquistato a caro prezzo. Nel corso degli anni, dalla tragedia di Mattamark a molte altre rimaste impunite, tante sono le pagine di una grandiosa vicenda umana scritte con l'inchiostro del dolore. Lungo è l'elenco degli emigranti restituiti alle famiglie in una cassa di legno tra mortificanti lungaggini burocratiche per vedere riconosciuti i propri diritti. Col passare del tempo gli anniversari provvedono a fare in modo che su quei drammi non cada la patina dell'oblio. Mezzo secolo fa la località di Robiei, nel cantone Ticino, fu teatro di una delle peggiori disgrazie che abbia colpito i cantieri di montagna. Nella galleria della diga rimasero imprigionate 17 persone, due pompieri svizzeri e 15 lavoratori italiani, asfissiati dalla mancanza di ossigeno. Non fu la fatalità, ma l'avere scordato che si aspettavano braccia ed erano arrivati uomini. I loro nomi scolpiti sulla lapide ricordano ai posteri il sacrificio dei caduti sul lavoro che hanno contribuito in modo esemplare a costruire il benessere del Paese.
TELEFONO. E' già stata definita la " telefonata della guerra fredda", ossia più formale che sostanziale, quella intercorsa tra Putin e Obama per rendere meno cupo il futuro della Siria. Nell'ottica diplomatica, il brusco ritorno alla terminologia del passato già evocata dal premier russo Dimitri Medvedev, in effetti non promette nulla di buono se non nuovi i temporali. La Russia a Damasco c'è e fa sapere di volere restarci, mentre le relazioni tra Washington e Mosca rimangono imbrigliate dalle divergenze di fondo sulle modalità per arrivare al cessate il fuoco. Intanto la diplomazia balbetta, limitandosi ad applicare un cerotto del tutto inadatto a cicatrizzare la spaventosa ferita che in quella regione ha innescato la più grave tragedia umanitaria del secolo. Ad Aleppo, splendida città distrutta e senza vita, migliaia di persone fuggono dalle bombe di origine sospetta, dalle armi stupide che fanno strage di civili e aggravano le sofferenze della popolazione anziché debellare il terrorismo.
PACE. Se non fosse irriverente verrebbe da dire: non è mai troppo tardi. Agli occhi del profano tuttavia non risulta facile capire come mai due Chiese importanti come quella cattolica e ortodossa che affidano la loro missione alla riconciliazione tra i popoli, abbiano deciso soltanto oggi di andare oltre un millennio di incomprensioni e divisioni per trovare un comune terreno d'intesa sulle calamità che sconvolgono il mondo. Mille anni non sono una bazzecola. Stando alla prima impressione, pare vi sia un senso di urgenza dettato dalla gravità della situazione nel vertice cubano di Papa Francesco e del Patriarca Kirill, finalmente non più ingabbiato negli antichi dogmi. Superati gli steccati, ciò che più conta ora è l'esortazione a non lasciare cadere il tavolo negoziale per porre fine al dramma che si sta consumando in Medio Oriente. Per dare un senso compiuto al messaggio dell'Avana, capitale che dopo la caduta dell'embargo è sempre più crocevia di storiche iniziative, è però indispensabile che il processo avviato in questi giorni dia risposte all'odissea di tutti, dei cristiani e dei fedeli di altre religioni, anch'essi vittime del caos e dei soprusi. Prima appunto che sia troppo tardi.
ATTACCO. A dieci mesi dalle presidenziali, la destra repubblicana sta rendendo impossibile la vita a Obama scatenandogli addosso il fuoco incrociato del livore. Tutta la bile accumulata nei due mandati ormai prossimi alla fine di colui che i suoi rivali considerano "l'intruso di colore nella Stanza ovale", ora travolge gli argini senza nessun riguardo per la dignità della funzione. La parola d'ordine nel giro di Trump consiste nel negare al Presidente le sue prerogative con metodi che vengono considerati un attacco senza precedenti se non addirittura un oltraggio all'esecutivo. L'ennesima sfida ruota attorno al braccio di ferro per l'eredità di Antonin Scalia, il giudice italo-americano scomparso a 79 anni, che da ultra conservatore ha favorito tra l'altro la nascita di movimenti radicali come il Tea Party. Dall'esito del confronto politico-istituzionale che Obama è determinato a condurre senza farsi imporre umilianti diktat, forse capiremo meglio come sarà il volto dell'America quando avrà scelto il nuovo inquilino della Casa Bianca.
ANALOGIE. Per uno strano, ma non casuale concorso di circostanze, la bufera che ha investito la sanità lombarda riporta alla memoria le vicende legate agli anni di Tangentopoli. Anche Mani pulite ebbe inizio nelle corsie del Pio Albergo Trivulzio che gestiva case di cura e ospedali per anziani il cui direttore venne colto con le mani nel sacco mentre intascava mazzette. Questa volta nel nuovo scandalo che si abbatte sulla Regione Lombardia e che ha portato a numerosi arresti eccellenti è finito in manette un alto papavero leghista che si fregiava del titolo di padre della riforma sanitaria, tuttavia senza spiegare come. Le gravissime accuse puntano il dito contro il potere politico usato come strumento per accumulare ricchezze attraverso un sistema chiamato "Spectre", un nome in codice irriverente e più che azzeccato dietro il quale scorrevano fumi di danaro illecito. Insomma come ai tempi di Tangentopoli il vizio della illegalità, carico di analogie con il passato, arriva come una mazzata che rischia di vanificare la ripresa morale e materiale avviata dal successo dell'Esposizione universale.
DISCORDIA. Solleva parecchie inquietudini in Svizzera la prospettiva invero poco rassicurante di vedere il San Gottardo trasformato in un groviera pieno di buchi in seguito alla paventata realizzazione di un altro tunnel autostradale. La sorte del progetto miliardario che fa gola a molti, è legata al referendum di fine mese sul quale pesano molte incognite, tanto da essere già chiamato il traforo della discordia. La vastità del cantiere, destinato a stravolgere gli equilibri ambientali, pone infatti serie ipoteche sulla salvaguardia del delicato eco-sistema alpino, già oggi sottoposto a carichi pesantissimi. Con quattro corsie a disposizione incombe la minaccia di creare una prateria di cemento sulla quale finiranno con lo scorrazzare mandrie di bisonti motorizzati. Uno scenario da incubo in stridente contrasto con la posta in palio se l'intento è invece quello di consegnare alle future generazioni un mondo sano, intatto, grazie a una politica dei trasporti rispettosa dell'ambiente e non solo al servizio dell'economia.