mercoledì 17 febbraio 2016

A costo di ripetersi

SPIGOLATURE 

  

Bisogna cercare di "cambiare lo stato di cose presenti", come scriveva Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato al Cairo.

 

di Renzo Balmelli 

 

INCUBO. Quando il dolore e l'indignazione si intrecciano come dopo l'ennesima strage di migranti nell'Egeo, il rischio è di non trovare più le parole giuste per stigmatizzare la crudele, intollerabile, assurda violazione dei diritti umani. A costo di ripetersi bisogna invece andare avanti e reagire senza tregua per cercare di "cambiare lo stato di cose presenti" come scriveva Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano assassinato al Cairo. Anch'egli vittima della brutale, insensata violenza di forze oscure e spietate che assistono con sguardo indifferente alla riedizione dell'olocausto consumato in presa diretta, tra bimbi annegati. barconi afflosciati, scafisti senza cuore. Che nel terzo millennio, nonostante le lezioni della storia, tante atrocità fossero ancora possibili al punto da chiedersi se ragione e sentimenti siano ormai un bene definitivamente rottamato, è qualcosa che stravolge i sogni di un mondo migliore trasformandoli in un incubo senza pace.

 

VEZZO. Ricco di una tradizione che ne fa il secondo più vecchio partito socialista e operaio del mondo (solo l'SPD tedesca venne fondata prima), allo PSOE si presenta l'opportunità di riconsegnare alla Spagna un esecutivo di sinistra. Dopo l'incolore stagione di Mariano Rajoy e del suo Partido Popular, duramente punito dalle urne, la svolta avrebbe un effetto salutare per rimodulare in senso progressista il panorama politico sia nel Paese iberico, sia in Europa dove le spinte populiste e xenofobe non promettono nulla di buono. Però c'è sempre un però. Che qui si chiama litigiosità, quella che sta dentro al partito del giovane leader socialista Pedro Sanchez incaricato di formare il governo ma che potrebbe inciampare nei veti e nelle ostilità dei suoi, un vezzo dal quale lo PSOE, simile in questo a quanto accade in seno al Pd, non riesce a guarire, rischiando di farsi male da solo e di mancare l' appuntamento con la storia.

 

QUINTE. Che si considerasse il padre della Patria se non addirittura un regalo della Provvidenza per trasformare l'Italia nel Paese delle sette meraviglie è un concetto col quale Silvio Berlusconi è riuscito, a dire il vero con grande abilità, a farsi aprire una linea di credito di cui però, come si è visto, non ha fatto l'uso migliore. Nel consuntivo dei suoi vent'anni di gloria effimera il saldo attivo è piuttosto modesto. Eppure, nonostante le batoste elettorali, giudiziarie e il suo partito ai piedi dei sondaggi, il Cavaliere si ostina ancora oggi, come ha ripetuto nel corso di una corposa intervista al Corriere del Ticino, a rivendicare per se un ruolo di primo piano nell'affrontare le sfide nazionali e internazionali. Al maggiore quotidiano svizzero di lingua italiana, il Cavaliere consegna una sorta di manifesto politico con il decalogo di quanto ancora farà per salvare l'Italia. Ma salvarla da chi e da cosa? Magari, senza volerlo, lo ha già fatto stando dietro le quinte.

 

BATTAGLIA. Risultati alla mano, nessuno dei suoi rivali potrà dire di Bernie Sanders, come andava ruminando Don Abbondio, "Carneade, chi era costui". Con la sonante seppure annunciata vittoria nella primarie del New Hampshire in cui ha surclassato Hillary Clinton, il senatore socialista del Vermont si attesta come una figura di primo piano, capace di interpretare meglio degli altri la voglia di cambiamento specie tra i giovani e di declinare su un registro più equo e solidale l'aspirazione verso il sogno americano. Si è trattato con ogni evidenza di un voto anti sistema e questo promette una battaglia lunga e complicata per la nomination visto che l'outsider non gode dei favori dell'establishment democratico. Chiunque salirà alla Casa Bianca dovrà comunque tenere in debito conto le pulsioni espresse dall'elettorato che si affaccia ora sulla scena politica per non consegnare gli Stati Uniti alla retrograda retorica della destra repubblicana. 

 

BRAMA. Dopo la dissoluzione dell'Unione sovietica si disse che la storia aveva imparato a correre. Seppure non sempre in modo positivo, la profezia in parte si è avverata. Nessuno però avrebbe immaginato, neppure scrutando la sfera di cristallo, che la destra nostrana in preda a strane scalmane voltasse le spalle all'America, un tempo suo faro e guida, accusandola di losche manovre per imporre la propria Weltanschauung. L'America di Obama, s'intende, non quella di Trump e dei suoi compagni di merenda che in quel circolo verrebbero accolti a braccia aperte. Non siamo ancora all'impero del male rovesciato, ma poco ci manca, tanto più che ora l' oggetto del desiderio è la Russia neo zarista; la Russia di Putin che nella repressione del dissenso e nei bombardamenti indiscriminati in Siria, non può dirsi un modello di democrazia. E' la brama dell'uomo forte che torna a fare capolino incurante delle tragedie già vissute.

 

TORPORE. Andare a Zurigo senza fare un salto al Cabaret Voltaire sarebbe come sprecare un'occasione per rivivere l'atmosfera che vi regnava cento anni fa, quando nel famoso locale nacque la corrente artistica e letteraria del Dadaismo. Come nel film "Midnight in Paris" in cui il personaggio creato da Woody Allen si innamora di un sogno incontrando i suoi autori preferiti, la stessa cosa potrebbe succedere lungo la Spiegelgasse, nel cuore del centro storico zurighese, entrando nel locale che fu la culla del movimento di rottura con le convenzioni imperanti. Una boccata d'aria fresca che proponeva nuovi percorsi nell'universo estetico e creativo mentre l'Europa era dilaniata dal conflitto mondiale. Tra magia e ironia si potrà assaporare l'onda lunga del Dadaismo immaginando di essere a tu per tu con i suoi impetuosi personaggi e con loro immergersi nel mondo sfavillante, stravagante, irriverente ,rivoluzionario e libero da costrizioni capace di accendere le più audaci fantasie. Quel mondo che un secolo dopo potrebbe risvegliarci dal torpore .

 

VETRINA. Sessantasei edizioni fa, rigorosamente in bianco e nero e con la rima obbligata "amore e cuore" per non offendere il comune senso del pudore, non occorreva blindare la perla della Riviera per assistere al Festival di San Remo. Tra pizzi, merletti e bianche colombe la vetrina della canzone italiana era ciò che doveva essere per appagare l'immaginario collettivo: allegra, canora, melodica e controllata dai rigidi censori democristiani. Nessuno insomma avrebbe immaginato che un giorno su quel palco , mentre risuonavano le note di Elton John, incontrastata icona gay, sarebbero comparsi i nastri arcobaleno a sostegno delle unioni civili. Anche quest'anno dunque il Festival ha assunto una connotazione politica, forse ancora più marcata che in precedenza, segno di un inarrestabile cambiamento del costume che scandalizza solo i benpensanti di facciata. Tanto da far dire a qualcuno che per riformare l'Italia basta riformare l'Ariston!