di Renzo Balmelli
STRACCI. De gustibus non disputandum est. Sarà. Però che gusto ci sia a guardare giovani donne travestite da Obama o da giudice Boccassini per allietare gli ozi dei potenti è un mistero destinato a rimanere avvolto nelle nebbie di Arcore. Fellini ci avrebbe costruito un corrosivo ritratto dei suoi, la metafora perfetta della decadenza di un sistema. Di fronte allo squallore si misurano in tutta la loro gravità i rischi corsi dall'Italia rimasta alla mercé di una classe dirigente inetta, che sprecava il suo mandato trastullandosi anziché governare. La consapevolezza del pericolo dovrebbe se non altro contribuire a sventare senza indugi il bluff del presidenzialismo alla francese, l'ultima trovata raschiata dal fondo del cilindro sulla quale il Pdl pensa di fondare la Terza Repubblica prossima ventura, targata Berlusconi. Come se non avesse combinato abbastanza guai nella Seconda. Si rassegni il partito più malato della legislatura. Sul palco ormai il re ormai è nudo. A terra restano gli stracci di un progetto fallito, le ricadute di una sconfitta impossibile da azzerare.
GERUNDIO. Strano il destino dell'Italia in cui si bistratta la straordinaria potenza creativa della commedia dell'arte con volgari imitazioni. C'è stato il premier mutatosi in comico, più bravo a promettere che a mantenere. A furia di repliche stucchevoli e inconcludenti, il biglietto d'ingresso per il Barnum di Palazzo Grazioli alla fine era diventato troppo caro e il teatro ha chiuso per mancanza di idee e spettatori. Adesso va forte il comico mutatosi in politico, deciso a farsi strada urlando, imprecando e litigando. E' difficile prevedere fin dove arriverà Grillo, di sicuro però l'attore genovese non ricorda le parole di Benedetto Croce, il quale ammoniva che "mal comincia un periodo con un gerundio". Infine, se Dio vuole, c'è Paolo Rossi il quale non chiede che di fare bene il suo mestiere di comico dedicandosi agli "esercizi spirituali di rifondazione umoristica". Candidarmi? Mai, mi voterei contro. In tanta presunzione, una sana boccata d'ossigeno!
GESTI. Tempo fa, nella presentazione del duello Sarkozy-Hollande, un quotidiano della destra ha usato un paragone orribile: non si può chiedere a una persona di scegliere tra la morte a causa delle peste e quella a causa del colera. Non sappiamo come l'abbia presa l'ex presidente, ma il nuovo non si è scomposto. Con lo stile tranquillo tipico del suo carattere, Hollande si è guardato bene dal replicare con toni arroganti. Il neo eletto non scambia l'Eliseo con Versailles, non confonde la presidenza con la monarchia. Usa i mezzi pubblici, non strapazza le auto blu per fare shopping, vuole essere cittadino tra i cittadini, interagire con gli altri. Di fronte alla crisi l'Europa avverte il bisogno di una nuova offerta politica fondata sulla solidarietà e la capacità di ascoltare. Quelli del socialista Hollande sono piccoli gesti, d'accordo, impreziositi però dalla semplicità e dalla modestia. Aiutano ad accorciare le distanze, e, ciò che più conta, a creare un clima meno cupo, alla faccia degli uccelli di malaugurio.
VERGOGNA. Diceva Nereo Rocco a un suo difensore troppo irruente sull'avversario: te go dito tocalo, non copalo! Marcalo, non ucciderlo. Adesso forse nemmeno con la sua verve il popolare allenatore troverebbe le parole giuste di fronte all'enormità della catastrofe che poco alla volta sta uccidendo il calcio italiano, il suo calcio pulito, travolto da una ondata di illeciti, scommesse e partite truccate arrivata a lambire anche la sacralità della Nazionale. Sconcerto, umiliazione, vergogna sono le reazioni alla scoperta della corruzione sotto la crosta, della gramigna dei risultati da aggiustare, del giro di irregolarità milionarie destinato fatalmente ad alterare il campionato e a causare un danno devastante all'immagine e alla credibilità del calcio italiano nel mondo. Chi ha sbagliato, pagherà, almeno si spera. Ma avere rovinato lo spettacolo e il piacere ai tifosi con l'ombra del sospetto diventato ormai certezza è un fallo da rigore imperdonabile. E i reprobi non erano soltanto poche mele marce.
TERREMOTO. Nemmeno Dan Brown con il fantasioso "Codice da Vinci" o il maligno Peyrefitte col sulfureo "Le chiavi di San Pietro", forse, sarebbero stati capaci di immaginare e descrivere la nuova tempesta che investe il Vaticano mentre la Curia romana sta ancora faticosamente rielaborando la triste vicenda dei preti pedofili. Tra fughe di carte segrete e il documento con cui la Santa sede sfiducia il numero uno dello IOR si dipana una trama da romanzo noir in cui la realtà supera la fantasia. Sul piano delle cose terrene un colpevole delle malefatte è già stato trovato: è il maggiordomo, la persona più vicina al Papa, ma è un epilogo fin troppo banale. Da questo uno-due di segreti, intrighi e ipocrisie riaffiorano i ricordi dolorosi di scandali passati, da Marcinkus alla fine mai chiarita di Calvi sotto il ponte londinese dei Frati neri, tanto da indurre Benedetto XVI, esterrefatto e addolorato, a evocare la tragedia di nuova Babele capace di corrompere anche le anime dei devoti. La Chiesa non cade perché è fondata sulla roccia, recita il Vangelo. Stavolta però la fragorosa irruzione delle tentazioni temporali nel cuore del potere spirituale lascia intendere che il terremoto potrebbe essere solo all'inizio.
ILLUMINISMO. Gran consulto al capezzale dell'Europa sofferente. E' un mal sottile, quello dell'UE, reso insidioso dalla mancanza di fiducia nell'euro, dal viaggio verso l'ignoto della sindrome greca, dalla cocciutaggine della Germania, dall'incomprensione tra i governi, dai rinascenti egoismi nazionalisti, ma soprattutto dalla progressiva dispersione degli ideali comunitari tramandati dai padri fondatori. Un vistoso deficit culturale non meno drammatico di quello di bilancio. Non a caso sul Corriere della Sera, Gian Arturo Ferrari parla dell'Unione come di una "orchestra senza musica", mentre André Glucksmann esorta a ritrovare l'identità comune nei valori dell'Illuminismo. Ora tocca alla politica indicare la strada, ma fin qui le risposte sono state meri esercizi strategici, spesso discordanti e troppo poco persuasivi per riuscire a rianimare il dibattito oltre l'egemonia dei listini di borsa.
DISUNIONE. Fino a quando ha tenuto l'illusione della presunta superiorità morale, la Lega ha avuto gioco facile nel deridere il meridione, Roma ladrona, l'unità d'Italia e l'Europa allargata. Ma, dal giorno in cui ha perso l'innocenza, al Carroccio non resta molto altro per sfuggire al declino se non togliere dall'armadio le idee più strampalate come quella sentita in questi giorni di annettere la Lombardia alla Svizzera. Visto che non ha funzionato in patria, si esporta la secessione all'estero, promuovendo nostalgiche dinamiche sul miraggio di un continente all'antica, frantumato in tante signorie, su cui costruire un primo nucleo dell'Europa delle regioni, per altro già archiviata da tempo, che finirebbe col far saltare il patto di solidarietà tra i popoli. A sostegno della mirabolante operazione si cita addirittura Dostoevskij che, notoriamente, non era amico di Cavour. Ma la disunione europea non sarà mai una carta vincente.
ARCHITRAVE. In Egitto la soddisfazione per il primo voto democratico in cinque mila anni di storia è offuscata dal ballottaggio di metà giugno per la presidenza al quale si presenteranno un leader islamico conservatore e un ufficiale, esponente del vecchio regime. Sarà in sostanza una sfida gattopardesca, dalla quale sono esclusi moderati, laici, liberali e progressisti, in modo da lasciare le cose come prima. C'è sconcerto e delusione specie tra i giovani. Quella che altrove sulla costa africana è stata chiamata rivoluzione araba, al Cairo è soltanto una transizione strettamente controllata dai militari. La consultazione assomiglia sempre più all'enigma della Sfinge, impossibile da sciogliere. Dopo una ventata di speranze inaudite, ora tradite, il sipario sembra già calato sul paese che per cultura e tradizione avrebbe dovuto formare l'architrave del moderno Medio oriente.