di Renzo Balmelli
DESTINO. Felix per un giorno, uno solo: il giorno dello scampato disastro. All'indomani di un voto che per un soffio le ha evitato l'onta di essere il primo Paese dell'UE con un Presidente di estrema destra, voto che però ha solo arginato provvisoriamente il fiume della rabbia, l'Austria si interroga sul suo destino in presenza del forte pericolo ultra nazionalista che il passaggio nelle urne non ha cancellato. Ora più che mai gli europei orgogliosi di esserlo non potranno accontentarsi di tirare un sospiro di sollievo. Altri Hofer infatti sono in agguato un po' ovunque per riportare indietro le lancette del progresso. All'Europa serve un deciso cambio di passo per ritrovare senza indugi i principi cardini dei padri fondatori, tanto più che il populismo non fa appello alla capacità di giudizio delle persone, ma alla forza dei loro pregiudizi.
ASSETTI. Pur celebrando la vittoria di Alexander Van der Bellen, un professore ecologista di ampie vedute, sono ancora tante le minacce attorno a noi che consigliano di non abbassare la guardia. Prendiamo il Brexit ad esempio, oppure il Front National in continua crescita, due tessere del complesso e delicato mosaico continentale che nella sciagurata ipotesi di un loro successo potrebbero sconvolgere gli assetti dell'UE con conseguenze inimmaginabili. Con la zia Marine, che insegue il mito di Marianne, e la nipote Marion, con aspirazioni da Giovanna d'Arco, siamo agli antipodi del nuovo capo di stato austriaco, un signore che con orgoglio si dichiara "figlio di immigrati". Quegli immigrati appunto che l'agguerrito binomio Le Pen vorrebbe invece spazzare via per evitare il "fastidioso contagio multiculturale".
SILURI. Che il problema, invero di grosse proporzioni, rappresentato dal flusso dei migranti sia una formidabile macchina di consensi a buon mercato per gli xenofobi di ogni risma è un fatto grave e accertato, al pari della deriva che lo accompagna nelle sue manifestazioni più retrive. Quindi o si reagisce secondo le regole della democrazia frutto degli assetti maturati attraverso le varie fasi dell'integrazione europea, oppure sono da prevedere non pochi siluri in grado di mettere a rischio l'esistenza stessa della casa comune. Tante per cominciare sarebbe ora di riflettere sulle origini del fenomeno migratorio e dirsi che se non si vogliono i rifugiati per prima cosa si dovrebbe porre fine alle guerre. Soluzione che non fa comodo ai populisti, essendo risaputo che senza capro espiatorio nessuno più li vota.
FORAGGIO. Quanti "se". Sono la somma delle incognite che gravano sull'Italia alla vigilia di una lunga stagione che si preannuncia politicamente molto calda. Calda e dall'esito incerto in quanto il Paese passerà da una logorante campagna elettorale all'altra a partire dalle prossime comunali fino all'autunnale referendum sulla riforma costituzionale. Nell'attuale congiuntura, scandita dal clima di incertezza che regna sia all'interno, sia sul piano internazionale, è difficile esprimere un pronostico sul verdetto delle urne. Al massimo si può formulare un auspicio e sperare che non si realizzino le condizioni per insediare a Roma l'anti politica che costituisce il miglior foraggio per coloro che plaudono ai muri. In quest'ottica il centro sinistra è chiamato a dare una prova di coesione che però non appare scontata.
COSCIENZA. Anche da morto hanno provato a rinchiudere Marco Pannella dentro una cornice dalla quale questo moderno Don Chisciotte si è sempre tenuto lontano, sfuggendo a qualsiasi catalogazione con intelligenza, intuito e furbizia. Del suo testamento politico, se mai ne avrà uno, resterà il ricordo delle sue battaglie civili condotte anche a sprezzo della salute allo scopo di affermare - spiegava lui - "il diritto alla vita e la vita del diritto". Come ha scritto un lettore, per quelli della sua generazione il leader radicale è stato" un impasto di sentimenti complessi e contraddittori tra ciò che avremmo potuto essere e non siamo diventati". Destino comune a tutti coloro che, al pari di Pannella, lottando e anche sbagliando sono stati comunque un pezzo di coscienza nel Bel Paese dei troppi compromessi.
CANDORE. Dall'Europa all'America e ritorno. Sulla falsariga di quanto accade nel Vecchio, anche nel Nuovo Mondo i residui egoisti della storia rimbalzano da una costa all'altra dell'Atlantico condizionando pesantemente la campagna elettorale negli USA. Sotto la spinta di Donald Trump, capace di cavare dal suo cilindro il peggio del peggio, il vento gonfio di collera e rancori è simile a quello che soffia dalle nostre parti. Chi ha lasciato fare l'ineffabile miliardario senza provare a cambiare registro con l'audacia, l'onestà e il candore del signor Smith ideato da Frank Capra, avrà parecchi conti da rendere alle future generazioni. Qualora l'impensabile diventasse possibile e il repubblicano finisse alla Casa Bianca, dai tasti del pianista sull'oceano salirebbero note intrise di tristezza per la fine del sogno americano.
MESSAGGIO. Si usa dire che gli assenti hanno sempre torto. Quest'anno però, pensando all'esclusione dell'Italia dal concorso principale, non si può affermare, a schermi spenti, che il Festival di Cannes sia stato una fucina di originalità e di novità, benché i nomi fossero di tutto rispetto. Fa eccezione l'intramontabile Ken Loach, un valore sicuro che si erge una spanna sopra gli altri. Col suo I, Daniel Blake, a detta dei critici uno dei suoi film più convincenti, l'autore ha vinto la sua seconda Palma d'oro, privilegio raro sulla Croisette. Fedele allo stile che ha sempre guidato il suo impegno sociale, il regista ha colto il segno dei tempi lanciando, con la sensibilità che gli è propria, un commovente messaggio a favore dei diseredati del mondo intero la cui situazione non fa che peggiorare.