martedì 26 aprile 2016

A dispetto dei cattivi profeti

di Renzo Balmelli 

 

CAREZZA. Speranzosi e forse anche un pochino ingenui, ci eravamo illusi di poter crescere nell'Europa senza frontiere. Purtroppo tra il vino sempre più acido di Matteo S. e il bel Danubio sempre meno blu sono aumentate a dismisura le probabilità che i sogni muoiano all'alba. In risposta al colossale esodo di migranti sappiamo solo mobilitare gli eserciti che per effetto dei vasi comunicanti rischiano di trasformare il continente in uno sterminato "deserto dei tartari" irto di filo spinato. A chi ha venduto l'anima per un pugno di voti maledetti poco importa se il naufragare nel mare della disperazione sarà una sconfitta irrimediabile per l'intera umanità. Dopo l'ennesimo barcone colato a picco sorge però un interrogativo angoscioso. Quanti ne devono morire ancora e quando si capirà finalmente, a dispetto dei cattivi profeti, che questa è una tragedia umanitaria di proporzioni bibliche? Quando prenderemo coscienza che solo una carezza e non uno sdegnoso rifiuto potrà dischiudere la flebile speranza di un avvenire migliore alla mamma spaventata che sotto la pioggia allatta il suo bimbo infreddolito nell'orrore dei lager. Quando?

 

PROGRESSO. Coi tempi che corrono, parlare di integrazione dei profughi, soprattutto rispetto a una cultura diversa, identitaria e radicata, è un messaggio che trova scarsa e difficoltosa rispondenza. Molto più gettonati sono gli appelli alla chiusura e al sabotaggio degli accordi di Schengen che significherebbero l'inizio della fine per i valori nei quali crediamo. Ma forse non tutto è perduto se la Germania, in controtendenza rispetto alla deriva populista, di colpo, dopo le turbolenze che hanno fatto traballare il trono della Cancelliera, si ravvede e decide che di muri le ne è bastato uno e che nella sua storia non ci sarà un altro passato di cui vergognarsi. Con la nuova legge sull'immigrazione che fa perno attorno al concetto della reciprocità è stato compiuto il primo passo verso un diverso concetto dell'accoglienza che è già stato definito un progresso storico pur suscitando, come era facile immaginare, molte polemiche e reazioni ostili .

 

PARTIGIANO. "Una vita ricca di emozioni, avventure, ideali, impegno sociale e solidarietà" è quella del medico ticinese Sandro Pedroli, membro onorario del Cooperativo, raccolta nel bel ritratto-intervista curato dal giornalista Silvano De Pietro per il settimanale "Ticinosette". Nel servizio, ricco di aneddoti e testimonianze, scopriamo un personaggio fuori dal comune che a Zurigo ha curato e assistito migliaia di emigranti, quando la loro condizione non era tutta rose e fiori, dopo essere stato a sua volta un "Gastarbeiter" a Torino con passaporto svizzero. Ma non un immigrato che si limitava a frequentare la facoltà di medicina, bensì forse l'unico ticinese "ad avere collaborato in prima persona" alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo, guadagnandosi sul campo, correndo non pochi pericoli, la tessera di volontario rilasciata da Giustizia e Libertà al "partigiano Sandro" che ancora oggi è sempre in prima fila a tenere alta la bandiera della Resistenza in occasione del 25 Aprile.

 

SLOGAN. Più che mai dopo le primarie di New York, diventata a sorpresa lo spartiacque per la corsa alla Casa Bianca, sembra impossibile fermare la cavalcata di Donald Trump a meno che i repubblicani, divisi e confusi, decidano con un atto coraggioso, però assai poco probabile, di mettergli i bastoni fra le ruote. Dietro il tycon che prova a smembrare i valori sui quali è stata costruita l'America, il miliardario che divide e radicalizza il confronto anziché unire, si è formato un elettorato eterogeneo e sensibile agli slogan di facile suggestione che possono diventare davvero un pericolo. Con Bernie Sanders i democratici avrebbero avuto un candidato capace di rompere le stereotipo secondo il quale alcune cose negli Stati Uniti non possono essere fatte. Ad esempio rigenerare il concetto di solidarietà. E saranno questi i temi che Hillary Clinton, ormai quasi certa dell'investitura, dovrà recuperare nel solco di una tradizione che va da Franklin Roosvelt a Barak Obama e che il socialista del Vermont ha usato nella sua campagna fuori dagli schemi per scuotere l'establishment. 

 

UOMINI. E' difficile dire se Matteo Renzi pesino più le trivelle o la geografia. Certo è che agli svizzeri, popolo abituato a fare colazione con pane e referendum, è parso piuttosto strano quel quesito in cui occorreva votare SI per dire NO. Ancora più strana agli occhi del popolo elvetico, geloso custode del San Gottardo, è però sembrata la cantonata del premier che ha millantato inesistenti meriti per il nuovo traforo ferroviario da inaugurare il primo giugno. Quasi un affronto di lesa maestà alpina che richiederà un delicato rammendo diplomatico per non appesantire le relazioni tra i due Paesi. Peccato però che nessuno nella foga della polemica abbia ricordato quanta parte d'Italia è invece presente sul cantiere del Gottardo: presente coi nomi incisi nel granito di coloro venuti da oltre confine; coloro che non erano braccia, ma uomini, e che a furia di scavare si sono spezzati le ossa e hanno dato la vita per avvicinare i popoli. Ma questa è un'altra storia!

 

SEGNO. Che succede col cinema italiano? L'interrogativo è stato rilanciato con toni preoccupati dopo la conferma che quest'anno nessun film realizzato in Italia sarà in gara al concorso principale di Cannes, tra tutte le rassegne quella che ha l'identità più forte. Si dice che la settima arte, come tutte le altre d'altronde, sia lo specchio del Paese, dei suoi problemi e della sua capacità di affrontarli. . Considerato che lo scorso anno sulla Croisette i registi venuti dall'Italia erano tre, si potrebbe parlare di un momento di crisi temporanea. Ma così non sembrano pensarla gli addetti ai lavori, convinti invece che il cinema italiano stia vivendo un'era incerta, una fase di transizione durante la quale non è sempre facile confrontarsi con i nuovi orientamenti dei grandi festival. Basterà però rifarsi all'immortale lezione del neorealismo e della commedia all'italiana, capaci al momento giusto di interpretare il segno dei tempi, per ritrovare la vena creativa da cui sono nati tanti capolavori 

 

FUMO. Sullo schermo gli attori non fumano più e se lo fanno fuori dal set lo fanno di di nascosto per non dare il cattivo esempio. Certo è che l'inversione di tendenza è vistosa. Con tre pacchetti al giorno il primo James Bond si metteva in corpo un nemico ancora più temibile del cattivissimo Spectre. Era una finzione, però ormai scomparsa dai copioni. Nemmeno dalla terrazza dell'immaginaria Vigata, dove Montalbano si riposa tra un'inchiesta e l'altra, sale uno solo fil di fumo, benché Camilleri, fumatore accanito, conceda al suo commissario il piacere di una "bionda", ma solo nei romanzi, mai in televisione. Anche nel mondo della celluloide è ormai acquisito il concetto che il fumo è nocivo e può indurre negli spettatori poca consapevolezza dei danni. E' tutto vero, giusto e salutare, ma a costo di commettere peccato di cui chiediamo venia, bisogna però convenire che Casablanca con Humphrey Bogart senza il trench, tornato di moda, e senza l'inconfondibile sigaretta non sarebbe la stessa cosa.