mercoledì 13 aprile 2016

La fiducia non può reggersi sulla sfiducia

di Renzo Balmelli 

 

VALORI. Cercare la purezza in politica è impresa mille volte più ardua che scalare l'Everest a mani nude o trovare il classico ago nel pagliaio. Tuttavia, pur facendo la tara delle umane debolezze e senza scivolare nei giudizi giacobineggianti, v'è pur sempre un limite da rispettare se non altro per tenere ben separata la gestione della cosa pubblica dagli interessi privati. Ciò vale a maggior ragione a sinistra, dove la questione morale è giustamente collocata in cima alle priorità. Ne consegue che su questo fronte trasparenza e onestà dovrebbero essere valori non negoziabili in nessuna circostanza. Arrivare quindi al punto di costringere un ministro a dimettersi a causa di un passo falso che svela i retroscena di una vicenda, denominata "Tempa Rossa" e dai contorni opachi, non è una nota di merito. Ne va del rapporto di fiducia con i cittadini che non può reggersi sulla sfiducia.

 

TENSIONI. Tempesta in un bicchier d'acqua per taluni, scandalo epocale per altri, il caso che ha portato il ministro Federica Guidi a gettare la spugna ha tutta l'aria, così come si presenta, di finire nel lunghissimo elenco dei tanti misteri italiani. La ragione è presto detta. La vicenda cade nel bel mezzo delle tensioni che arroventano il clima elettorale segnato da appuntamenti cruciali: referendum di aprile, amministrative di giugno, riforma costituzionale in autunno. La questione legata al viluppo di telefonate più o meno interessate attorno al giacimento petrolifero in Basilicata continuerà dunque a tenere banco fino a quando dalle urne usciranno i verdetti destinati a disegnare i futuri assetti e i nuovi equilibri della mappa politica. Alla triplice sfida la maggioranza si avvicina proclamando la propria buona fede, mentre l'opposizione, che quando governava accettò senza battere ciglio la deriva del bunga-bunga, ora si erge a improbabile Catone. Ci mancava anche questa!

 

IMBROGLI. Che l'evasione fiscale sia una foresta più intricata di quella in cui si perse il dottor Livingstone non è una novità. Ma che ci fosse una sorta di Grande Fratello a dirigere la piovra della frode planetaria ai danni dello Stato e della popolazione è una rivelazione che aggiunge un nuovo, inquietante tassello alla storia infinita dei paradisi fiscali e dei suoi protagonisti. Con i "Panama Papers", frutto del lavoro di un consorzio internazionale di giornalisti investigativi, è venuta alla luce una rete di imbrogli miliardari che coinvolge sovrani, capi di stato, leader politici e vip intessuta all'interno di un mondo spregiudicato, senza regole, o provvisto di regole tutte sue che garantiscono infiniti privilegi negati al comune cittadino, tassato fino all'ultimo centesimo. Forse non esiste più l'elvetico segreto bancario di una volta, ma gli esperti del ramo non hanno perso tempo a trovare altre scappatoie. E neppure stupisce il tentativo degli ambienti colti col dito nella marmellata di denigrare l'inchiesta volta ad alzare i veli sulla palude della corruzione, definendola poco onorevole. Poco onorevole per chi?

 

SOLIDARIETÀ. Aiutare i profughi a casa loro è il ritornello caro a quella destra che i migranti non li vuole e non lascia nulla di intentato per tenerli lontani, spostandoli da un campo all'altro, da una frontiera blindata a un muro, come fossero bestiame e non essere umani. Ovviamente, così di primo acchito, la frase potrebbe apparire convincente, suadente, se non fosse permeata dall'ambiguità che prima o poi finisce con lo sfociare nella xenofobia. Poiché si fa in fretta a invocare forme di assistenza in loco senza però accompagnarle da seri e concreti programmi di intervento a media e lunga scadenza messi in atto col concorso politico e finanziario della comunità internazionale. Quello che facciamo, diceva madre Teresa, è solo una goccia nell'oceano, ma se non ci fosse quella goccia, all'oceano mancherebbe. Non c'è altro modo per declinare la solidarietà.

 

ARROGANZA. Nel film di Ettore Scola "C'eravamo tanto amati", Vittorio Gassman, si improvvisa posteggiatore di un parcheggio per non svelare la sua vera identità di riccone con scarse basi morali. Nella realtà Carmela Rozza, assessore milanese, donna di saldi principi, non ha nulla da nascondere, ma si batte contro l'arroganza da parte del solito cafone e dei tanti come lui, a loro volta di non solide basi morali, che lasciano la macchina dove gli pare. Con la pennellata sulla fiancata dell'auto in sosta vietata l'esponente del Pd si aspettava che la discussione si aprisse sullo scandalo di chi si arroga il diritto di rendere insicuro i marciapiedi destinati a tutelare l'incolumità di bambini e ai disabili. Invece si è trovata nel mezzo di una bufera per quella mano di vernice forse inappropriata per chi esercita le sue funzioni ma che voleva essere un gesto forte, una denuncia per l'evidente sopruso e il malcostume di chi parcheggia in seconda o terza fila incurante del prossimo.