giovedì 15 novembre 2012

Povero Mao


di Renzo Balmelli 


DINASTIA. Povero Mao. Dal mausoleo sulla piazza Tienanmen, meta di sempre più rari pellegrinaggi devozionali, assiste alla lenta, ma inesorabile erosione del suo mito e alla messa al bando di chi,  come Boxilai, sotto processo per corruzione, ha provato a raccogliere  l'eredità spirituale del Grande Timoniere. Ma così va la Cina del terzo millennio che di volta in volta alla lunga marcia iniziata nelle campagne stremate dalla fame  e sfociata nelle sfavillanti skyline di foggia americana, aggiunge altre tappe sulla via delle riforme, senza tuttavia discostarsi dalla marchiana contraddizione di un sistema di potere in cui i diritti democratici restano senza eccezione fuori dalla stanza dei bottoni. In questi giorni, seppure con un'enfasi mediatica neppure lontanamente paragonabile a quella degli USA, ma con una posta in palio di pari grado se non addirittura maggiore, si riunisce per la diciottesima volta il congresso del partito comunista, una sorta di segretissimo conclave rosso convocato per definire il futuro di quella che fra non molto è destinata a diventare la prima potenza mondiale. La prossima tappa sarà l'edificazione della cosidetta "Società armonica" che conterrà soltanto vaghi riferimenti al marxismo, ma che a dispetto delle apparenze niente concede al pluralismo e al coinvolgimento  critico della popolazione nel processo di trasformazione della classe dirigente, di par suo molto attenta a fare in modo che tutto cambi affinché tutto rimanga come prima nella distribuzione dei privilegi. Nel Politiburo, a Hu Jintao e Wen Jibao, attuali detentori delle massime cariche alla testa del partito, della Repubblica e del governo, succederanno, secondo un copione immutato nel tempo, Xi Jinping e Li Keqjang, già denominati il tandem Xi-Li , che attraverso i loro delfini , a meno di sorprese o rivolte di palazzo, formeranno  la nomenklatura cinese per i prossimi 20 anni fino al 2032. Insomma, una vera e propria dinastia imperiale sotto mentite spoglie. Quella che si va delineando è una società cinese deputata da un lato a veleggiare dall'alto del suo sviluppo, seppure tra squilibri e scompensi sociali macroscopici, ma che dall'altro  non potrà mai definirsi veramente armonica senza il conforto della libertà di pensiero e di espressione.  


BRUTALITA'. Come il funzionario della televisione che nel bel film di Ettore Scola "La terrazza" di colpo trova sbarrata la porta del suo ufficio, anche un centinaio di dipendenti dell'Ubs, la maggior banca svizzera, sono stati respinti all'ingresso della sede londinese dell'istituto. Licenziati sui due piedi, dalla sera alla mattina, senza preavviso. Il colosso bancario elvetico, uno dei giganti della finanza internazionale, sta riducendo la propria forza lavoro in tutto il mondo e agisce con una durezza insolita, che, come ha scritto il Times, segna il ritorno dalla brutalità nella City. Gnomi senza cuore sacrificano al Dio profitto il destino di migliaia di persone, incuranti del gravissimo danno fatto a chi ne è direttamente colpito e anche all'immagine di un sistema che fondava la sua reputazione sull'etica del lavoro.


SQUALLORE. Carismatica non è. Anche i suoi più solerti sostenitori ammettono che Angela Merkel difficilmente potrà eguagliare agli occhi dell'opinione pubblica l'ascendente di Willy Brandt o di Adenauer. Ma determinata lo è, eccome, quanto i suoi illustri predecessori, se non di più. E senza peli sulla lingua. Al punto da sfidare l'impopolarità quando pronostica un altro lustro di lacrime e sangue per uscire dalla crisi. Dire che la eiserne Dame di Berlino non è simpatica a tutti, è quasi una ovvietà. Ma quel "Sado Angela, vaffan Merkel" con cui un quotidiano della destra nostrana ha commentato la notizia, è di uno squallore incommensurabile che davvero non fa onore allo stile e all'eleganza italiana.


INCOERENZA. La crisi? Non c'è, non esiste. E' un'invenzione della sinistra per nuocere all'Italia. Suppergiù in questi termini si esprimeva Berlusconi un anno fa in uno dei suoi soliti monologhi tesi dimostrare strampalati teoremi sui ristoranti pieni quale simbolo di un paese benestante. Adesso il Cavaliere chiede scusa agli italiani per avere fallito gli obiettivi, imputandone la responsabilità non alle proprie inadempienze e a quelle del suo governo, non alle energie sprecate nella guerra ai magistrati, bensì – guarda un po' – alla crisi che prima non c'era e ora spunta fuori dal vecchio cilindro sfondato quale attenuante per mascherare il fallimento. Un bell'esempio d'incoerenza!


NOSTALGICI. Qualcuno ha scritto che con la scomparsa di Pino Rauti è morto l'ultimo fascista. Sarà. Ma a giudicare dall'accoglienza riservata a Fini ai funerali del fondatore del MSI, in un crescendo di sputi, botte e insulti, non sembra che la "cultura" squadrista sia soltanto un ricordo dei tempi passati. L'impressione è piuttosto che di nostalgici, con o senza " neo", con o senza doppiopetto, in circolazione ve ne siano ancora, fortemente condizionati dalle teorie di Julius Evola e non di rado in difficoltà nell'accettare la legalità democratica, ritenuta grigia e ugualitaria, lontana dal modello mussoliniano. Ancora non è tempo di abbassare la guardia.