lunedì 8 giugno 2009

La sfida di Obama e le urne d'Europa


di Renzo Balmelli

LA SFIDA. Chissà cosa avrà pensato l’afro americano Barack Hussein Obama nell’ascoltare lo sprezzante giudizio di Berlusconi sul continente dei suoi antenati. Mentre il presidente pronunciava lo storico discorso all’università del Cairo, in Italia il capo della destra parlava di Milano, tanto sporca e piena di stranieri da sembrare una città dell'Africa. Un modo ben squallido per conquistare l'ovazione della platea leghista. Dopo l’Obama “ abbronzato”, pensavamo che fosse stato toccato il fondo. Ma il Cavaliere ci ha abituati che con lui al peggio non c'é limite. L'improvvido commento, già pesante da qualunque parte esso provenga, ma da brivido se pronunciato da chi ha responsabilità di governo, non fa che aggiungere un'altra perla al lungo elenco di gaffe berlusconiane che hanno creato scalpore nel mondo intero. Oltre che volgare e indegna, l'incauta frase sul continente nero si pone in stridente contrasto con i propositi del presidente USA, deciso invece di par suo a smantellare i pregiudizi che avvelenano le relazioni fra i popoli. Se si accostano e si mettono a confronto i due interventi, la distanza che li separa é addirittura aghiacciante. Se nella Milano di marca leghista vince chi fa leva sui sentimenti piu' riposti, nella capitale egiziana quasi alla stessa ora é stato compiuto un passo significativo per rimettere la storia in movimento e per gettare le basi di un nuovo inizio nei rapporti col mondo islamico. “Assalaamu alaykun”, ha esordito Obama con il saluto di rito in arabo che é un invito alla pace e alla fratellanza. Quando i seguaci del senatur passeggiavano con un maiale al guinzaglio per profanare il prato su cui doveva sorgere una moschea, nemmeno avevano coscienza di cio' che calpestavano. Cio’ rende ancora piu’ decisivo il confronto con la forza del dialogo, coniugata con la determinazione a combattere chi lo rifiuta in nome di ideologie spesso bacate e intrise di xenofobia. All’interno di una strategia che punta in prevalenza sulla diplomazia, quello di Obama é stato un discorso per la modernità che trova nella biografia del giovane presidente la ragione per rifiutare il conflitto di civiltà. La ridefinizione politica dell'America avrà dunque una funzione fondamentale per abbattere i bastioni dell’incomprensione e spezzare il circolo vizioso dei sospetti e dei contrasti. Piuttosto è «l’estremismo violento», l’integralismo di Al Qaeda, l’avversario da combattere con tutti i mezzi. Un avversario che si può sconfiggere solo se si collabora con gli islamici e se si fa capire loro che il terrorismo non minaccia solamente l’occidente, ma anche i fedeli di Allah. La nuova dottrina fa perno attorno alla condivisione di valori universali come la libertà, la tolleranza, i diritti umani, quelli delle donne, e un concetto genuino della democrazia che educhi al rispetto degli altri. Se le ambizioni risulteranno vincenti, si vedrà. Dire che siamo ai primi gradini della scala é quasi un’ovvietà. Obama ne é perfettamente consapevole: occorre conquistare prima le menti e poi il cuore di chi é chiamato a compiere scelte difficili lasciandosi alle spalle decenni e decenni di incomprensioni, specie in Medio Oriente, regione che ha visto infrangersi tutti i tentativi di istaurare un clima propizio alla distensione duratura e consolidata tra arabi e israeliani. D’altro canto l’ America non puo’ fare la pace da sola. Con la fine dell’era Bush si é comunque già creata un’opportunità unica per aprire una fase densa di significati e di speranze. L’arma del dialogo, se tutti saranno disposti a remare nella stessa direzione, potrebbe rivelarsi un mezzo piu’ devastante di qualsiasi cannoniera per costruire davvero un nuovo ordine mondiale capace di esorcizzare l'esclusione e di promuovere la dignità degli esseri umani. Tutti gli esseri umani. La sfida é lanciata.


Europa - Che l’esito delle elezioni europee non possa appagare le attese di chi ha il cuore a sinistra, appare evidente. I partiti socialisti e socialdemocratici tradizionali, figli del secolo passato, non sono riusciti a interccettare le istanze che salgono dal paese reale in maniera innovativa. E’ stata, fuori da ogni metafora , una prova molto triste per le forze progressiste dell’UE. Le urne hanno mostrato che nel continente il vento di destra, per quanto scarsamente propositivo, soffia piu’ forte che mai e travolge anche alcuni bastioni rossi che finora avevano retto all’erosione dei consensi. Se il mediocre risultato dei laburisti inglesi era in parte scontato, sorprende in negativo la controprestazione dei socialisti di Zapatero che cedono troppo terreno all’avanzata dei conservatori. Francia e Germania si muovono lungo i binari già tracciati alla vigilia, senza premiare tuttavia la Grosse Koalition che vede sia la CDU di Angela Merkel, sia la SPD perdere svariati consensi a favore dei liberali. Sempre a destra l’affermazione dell’ala radicale, intrisa di xenofobia e venata da tentazioni razziste, é un serio motivo di preoccupazione per tutti i sinceri democratici. Ma la nota in controtendenza, inaspettata se non addirittura clamorosa, arriva dell’Italia , dove la Lega ha “ sfondato il Po” e il Pdl di Berlusconi , contrariamente ai sondaggi, ha faticato molto piu’ del previsto. Il Cavaliere aveva posto l’asticella molto in alto, ma l’arretramento del suo partito ha ridimensionato il significato plebisciatrio da lui attribuito al voto. Lo sciame di scandali, gossip e voli di stato per il diletto del sovrano di Arcore, ormai ha stancato l’opinione pubblica. Le bizzarrie del Cavaliere hanno alterato l’ordine del giorno, relegando in un angolo, per una Noemi qualsiasi, il vero ogetto del contendere. Nel bel mezzo di una crisi mondiale, é andata negletta la posta in palio e la maggioranza é uscita ridimensionata dalla consultazione che nei suoi auspici doveva invece moltiplicarne il potere e il controllo sul paese. C’é tuttavia un altro dato, non meno inquietante, che accomuna molti degli stati membri dell’Unione. Al di là del colore del voto, l’ aspetto che induce a riflettere é l’astensione che ha segnato il minimo storico rispetto alle precedenti consultazioni comunitarie. Cartina di tornasole per valutare non soltanto gli aassetti politici nazionali, ma anche per misurare il grado di identificazione negli ideali dell’UE, l’affluenza alle urne ha offerto un quadro piuttosto sconcertante. Eppure l’ evento era di prima grandezza. Dal Mediterrano e Capo nord, dall’Atlantico agli Urali, oltre 350 milioni di europei erano chiamati alle urne per essere rappresentati da 736 eurodeputati attraverso le piu’ grandi elezioni transnazionali nella storia del Vecchio Continente. Una cosa che ancora non molti anni fa pareva impensabile nel clima di odio innescato dalle tragedie ideologiche che hanno insanguinato il secolo scorso. L’Europa nata sulle macerie del nazifascismo, sancita dal Trattato di Roma e rilanciata dal crollo del muro di Berlino, meritava qualcosa di meglio, qualcosa di piu’ di un voto tiepido, povero di speranze e segnato dallo scetticismo. Se l’Europa non esiste ancora abbastanza - ha detto Clauidio Magris - questa è una disgrazia o almeno una fase di stallo che va superata. Con l’Europa - é ancora Magris che parla - esiste un forte eppur vago senso di appartenenza che non si lascia definire. E’ un rapporto ambivalente che si riscontra un po’ ovunque. Nei 27 paesi dell’UE sembra prevalere l’idea che il Parlamento sia un’entità lontana nella quale, in linea generale, non si varano leggi da cui dipende il proprio destino. Si invocano riforme incisive, pero’ si bocciano i referendum costituzionali. Piu’ che un alleato a volte l’Europa assume le sembianze di un Moloch da cui stare alla larga. Ma guai se i fondi europei tardano ad arrivare : l’eco del mugugno arriva fino in cielo. Magari gli elettori pensano che il legislativo comunitario sia un pozzo senza fondo, costoso, buono al massimo per parcheggiare gli amici degli amici. Un sigaro e una onoreficenza non si negano a nessuno -ironizzava il re Vittorio Emanuele. In realtà 109 euro pro capite é una cifra modesta , assolutamente insufficiente rispetto all'ambizione dell’UE di essere un interlocutore alla pari con gli Stati Uniti e con le potentieconomie dei paesi emergenti. Mediamente - ed é un paradosso - in Europa si spende poco, ma si spreca molto. Fors’anche per questo, per l’assenza di una solida cinghia di trasmissione tra il centro e la periferia, la mobilitazione non ha riscaldato gli animi, v’é stata poca passione , infinitamente meno di come pensavano e sentivano i padri fondatori.