giovedì 9 aprile 2009

Protesta

L'irritazione del Pdl era palese. La CGIL è scesa in piazza contro la politica economica di Palazzo Chigi: una grande manifestazione di democrazia che ha dato voce a un profondo disagio sociale.

di Renzo Balmelli

MALESSERE - Prima di pensare alle riforme presidenzialiste che altro non servono se non a costruire un'impalcatura di potere per un solo uomo, Berlusconi e il suo esecutivo dovrebbero dedicare il loro tempo a cercare risposte piu' appropriate alla situazione economica. Le misure concrete e incisive tuttavia tardano a concretizzarsi, ed é per questo motivo  che centinaia di migliaia di italiani, preoccupati per il loro avvenire, hanno risposto all'appello della CGIL contro la politica economica di Palazzo Chigi,  portando in piazza il loro malessere. Si é trattato di una grande manifestazione di democrazia che ha dato voce a un profondo disagio sociale, cui non serve replicare con i soliti slogan di facile suggestione.  L'irritazione del Pdl  per un evento che ovviamente ha avuto risvolti politici oltre che sindacali, era palese.  Nelle sue  reazioni la destra ha espresso giudizi arroganti, al limite del disprezzo,  derubricando  la dimostrazione   a semplice "scampagnata" a una " gita fuori porta", come se la crisi fosse un piacevole passatempo, un lieto  " déjeuner sur l'herbe" per ingentilire il week-end.  Che tristezza. Ma lo spiazzo del Circo Massimo nereggiante di folla ha mostrato  un fronte progressista che seppure con qualche fatica cerca di ritrovare l'unità a tutela dei lavoratori e di tutte le categorie che stanno soffrendo sulla loro pelle i contraccolpi del disastro finanziario che la maggioranza tende invece a minimizzare gestendola in modo populistico.

VERTICI -  Dall’immancabile gaffe di Berlusconi, cui é bastata una giornata a Londra e un’altra a Strasburgo per confermare la sua fama, ai completi indossati da Michelle Obama, ormai sulla buona strada per fare ombra a Carla Bruni, il G20 é stato un incontro di sicuro effetto mediatico. Non meno intenso é stato il seguito del balletto diplomatico che aveva lo scopo di portare l’umanità fuori dal tunnel della crisi e in pari tempo di delineare un futuro senza armi nucleari. Sono due sfide strettamente intrecciate che vanno vinte entrambe per non trovarsi sull’orlo dell’abisso. I pericoli tuttavia sono lungi dall’essere scongiurati e l'ambizioso obbiettivo é ancora lontano. Se il giro del mondo non in ottanta, bensi’ in soli quattro giorni sia stato sufficiente per colmare le attese riposte nel summit, lo sapremo quando dalle enunciazioni di principio si passerà all’attuazione pratica degli impegni sottoscritti al tavolo delle trattative. E non é detto che la cosa riesca. L’impressione é che l’asticella sia stata posta troppo in alto e che dopo le promesse il risveglio possa essere piuttosto brusco. Già solo riuscire a cancellare la dose di scetticismo cresciuta in parallelo con l’impotenza di cui fin qui hanno dato prova i governi, sarà un lavoro di lunga lena che non ammette reticenze. Di buono, dalle consultazioni, é arrivato un primo segnale di volontà politica collettiva nella gestione dell’emergenza. La boccata d’ossigeno per la fiducia potrebbe tuttavia esaurire in fretta il suo effetto benefico se ognuno, tornato a casa sua, dimenticherà i propositi virtuosi. La posta in palio per avviare la ripresa sono i 20 milioni di posti di lavoro in meno annunciati per il 2010 che se non verranno assorbiti grazie a incisive manovre occupazionali rischiano di creare situazioni di grave disagio esistenziale. Sul piatto ci sono 5 trilioni di dollari, una cifra colossale a 12 zeri, finalizzati a contrastare non soltanto gli effetti della crisi, ma anche a rendere meno illusorio l’avvento del nuovo ordine mondiale di cui si é tanto favoleggiato, ma che ancora manca di un solido impianto. Senza benessere non puo’ esservi pace e la capacità di vincolare questo principio a provvedimenti di rapida applicazione potrebbe essere la principale conquista dei vertici d’aprile. Sotto questa soglia ci sarebbe unicamente un cammino lastricato di buone intenzioni e nient’altro.

ANTIFASCISMO -  Il contratto che siglava il matrimonio tra An e Forza Italia era ancora bagnato d’inchiostro, che già circolavano le prime variazioni sul tema. Una rivendicazione in particolare ha creato non poche perplessità. Nel clima di restaurazione che ha fatto da sfondo all’incoronazione del nuovo leader, ha colpito l’insistenza con la quale alcuni ambienti tendono a considerare ormai superato l’antifascismo. La tesi piu’ o meno é questa: archiviato quel che del fascismo rimaneva con lo scioglimento di Alleanza nazionale nel Pdl, l’antifascismo puo’ andare in soffitta in quanto non ci sarebbe alcun rischio di deriva anti-democratica. La risposta é ovvia: un NO chiaro e tondo. L’antifascismo é una categoria di pensiero, una scelta ideale, un fondamentale movimento d'opinione che di volta in volta va modellato sulla situazione contingente al fine di intervenire con prontezza contro altre e nuove forme di autoritarismo di stampo populista e telecratico che in Italia preoccupano e fanno discutere.

RAI -  Com’era facile prevedere, il valzer delle poltrone alla guida di alcune importanti testate giornalistiche ha risvegliato gli appetiti per la direzione della RAI e del Tg1. Non appena annunciato l’arrocco che vede Ferruccio De Bortoli tornare alla testa del Corriere della Sera e la sua sostituzione al Sole24ore con Gianni Riotta, attuale direttore del Tg1, sono scattate le grandi manovre. A suo tempo De Bortoli se n’era andato da via Solferino per una questione di conflittualità" con l'allora premier Silvio Berlusconi, dopo le sue pressioni sulla direzione del giornale. Il suo rientro é una designazione di forte indipendenza. Quanto a Riotta lascia un Tg1 che in questi anni ha confermato la sua leadership. Ed é appunto l’ammiraglia di Saxa Rubra l’oggetto del desiderio nient’affatto oscuro che da tempo fa gola alla maggioranza. Tanto che la dalla centrale operativa di Palazzo Chigi la destra ha già mosso la cavalleria per l’assalto al Forte Apache della RAI. Il candidato maggiormente gettonato alla direzione del Tg1 é Maurizio Belpietro, berlusconiano di ferro, che si é guadagnato i galloni prima al Giornale e ora alla direzione di Panorama. A prescindere dalle qualità professionali di Belpietro, che non sono in discussione, se la sua nomina fosse confermata, la real casa di Arcore avrebbe un potere di controllo quasi illimitato sull’informazione televisiva pubblica e privata che di fatto verrebbero fuse in un solo, immenso monopolio ad personam. Una situazione che non ha uguali in Europa.

POLENTA -  Il “senatur” Umberto Bossi ne ha escogitata una delle sue per marcare la distanza dal neonato Pdl. Il giorno in cui Roma sembrava tornata ai fasti imperiali, il ministro delle riforme ha voltato le spalle al tripudio di inni e bandiere al vento ed ha varcato la frontiera per fare una capatina dagli amici svizzeri. Il pretesto era un incontro con gli esponenti della Lega del canton Ticino per rianimare il concetto di “Regio insubrica”, un’organizzazione transfrontaliera che va ripensata e rilanciata. L’intento era “ diplomaticamente” ineccepibile, ma la coincidenza era fin troppo palese per passare inosservata. Bossi d’altronde non si é tirato indietro e non ha avuto nessuna esitazione ad ammettere che le grandi cose, leggi Pdl, sono piu’ pesanti da digerire della polenta e stufato , rigorosamente settentrionale, consumata a pranzo. Tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola, diceva lo scrittore Leo Longanesi. Ma a giudicare dalle reazioni, non sembra affatto che la Lega sia sazia.