WEIMAR - Viene ricordata come una sfortunata opera incompiuta la breve eppure esaltante stagione della Repubblica di Weimar. Il perché si sia arresa al rullo compressore delle camicie brune è ancora oggi la questione maggiormente dibattuta dagli storici. Tanto più che come sottolinea Eric Weitz, uno dei massimi esperti di quel periodo, nel suo libro uscito da poco (La Germania di Weimar. Utopia e tragedia, Einaudi) non c'era alcunché di inevitabile nella marcia trionfale del nazismo. Nulla, tranne la colpevole condiscendenza delle varie gerarchie che voltarono la testa dall'altra parte in nome di interessi inconfessabili.
Il volume di Weitz, docente all'università del Minnesota, ha il grande merito, grazie a una ricca e dotta documentazione, di cogliere la centralità della scuola weimariana nella storia delle idee del ventesimo secolo, quando la Germania era il fulcro del pensiero mondiale. Poi la luce si spense e l'eredità di quella che fu la culla della prima democrazia liberale tedesca riuscì a scampare alla morte certa cui l'aveva condannata la bacata ideologia del Terzo Reich solo grazie agli esuli che ne piantarono i semi un po' ovunque.
Weimar è stata simbolo del sapere fin dai tempi di Goethe e Schiller, per poi conoscere una nuova, esaltante fioritura col Bauhaus e le spinte più innovative della modernità. La sofferta esistenza di quella inesauribile fucina di creatività ci è stata tramandata non solo come eredità spirituale, ma anche come monito affinché non si scordi mai di quali follie sono capaci le dittature, di quali piaceri perversi riescono a macchiarsi i regimi totalitari per soffocare la cultura . In questo senso la lezione di Weimar rimane una pietra miliare per esortarci a tenere alta la guardia contro le prevaricazioni del potere, quelle di ieri e quelle di oggi.
REGIME - Ha fatto rumore l'editoriale di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera che butta la croce sulla "stupefacente inazione" della sinistra e di D'Alema nel bloccare Berlusconi quando verso la metà degli anni novanta esistevano le condizioni per farlo. Secondo il ficcante " j'accuse", anziché escogitare efficaci contromisure sono stati commessi sbagli colossali fino a " regalargli" l'impero tv, tutto quanto, pubblico e privato, da cui è partita la sua irresistibile ascesa. E fu lì che cominciò pure la lenta, inesorabile crisi della sinistra. L'ipotesi è destinata a riaccendere il fuoco della polemica, considerando che sulla vicenda si sono sprecate le speculazioni. Senza esito.
Con quali subdole manovre il Cavaliere sia riuscito a impadronirsi delle reti, è uno dei tanti misteri italiani che si perdono nelle nebbie del sottobosco politico. In eredità resta l'anomalia mai risolta del colossale conflitto di interessi che impedisce di governare in modo sereno, imparziale. Il partito elettoralistico di Silvio esiste soltanto - è sempre Sartori che parla - "per vincere le elezioni e catturare il governo".
Prova a tenergli testa quello che il politologo definisce il "partito-testimone" che si costituisce per affermare valori etico-politici di cui si vanno perdendo le tracce. Se il tempo sarà galantuomo un giorno forse tornerà a vincere. Per ora il paese deve fare i conti con le pulsioni autoritarie del Cavaliere che riemergono ciclicamente come un fiume carsico in simultanea con la classifica dei suoi redditi che Forbes stima in 6,5 miliardi di dollari. Oddio, che il Berlusconi Paperon de Paeroni nutrisse un totale disinteresse per la cultura costituzionale e il suo spirito, non si scopre oggi. Se pero' gli alleati di una certa destra post-fascista trovano " divertente e interessante" la proposta di fare votare in Parlamento soltanto i capigruppo, forse sarebbe ora di trasferire le ronde a difesa della democrazia.
Nasce il sospetto di assistere a una prova di regime coi fiocchi e controfiocchi. Se come pare probabile il premier stravincesse le europee non avrebbe piu' rivali e potrebbe fare cose inimmaginabili per svuotare l'Aula dalle sue prerogative. Finché un giorno voterebbe soltanto lui. Nei meandri della potere è difficile vederci chiaro, ma se davvero dovesse prevalere la tesi che il parlamento dopotutto non è che una scocciatura, allora che Dio salvi l'Italia.