mercoledì 14 gennaio 2009

Rischi, timori e speranze nell'anno che inizia

di Renzo Balmelli
GRUMI IRRISOLTI. Medio Oriente: come prima, peggio di prima. Sono ricordi sbiaditi dal tempo i Nobel che premiarono i negoziatori piu’ coraggiosi. Suona vuoto il desiderio laico di un’esistenza piu’ dignitosa per tutti, entro frontiere sicure. Impotenti gli sforzi della diplomazia.

La fiammata di violenza che ora scuote i Territori è anch’essa figlia dei grumi di odio sedimentati in uno scenario atavicamente immutabile, brodo di coltura per il terrorismo, la latenza antisemita, l’Intifada, la disperazione.

A fronteggiarsi due diritti: quello di un popolo che combatte per la sua sopravvivenza dopo essere scampato alla maledizione dell’Olocausto, e quello dei Palestinesi ad avere il loro Stato, affrancato dalla disumana realtà di Gaza.

In questa reminiscenza di guerra fredda, asservita a interessi globali e sorda al richiamo del dialogo, la logica perversa delle armi pone ostacoli insormontabili ad altre iniziative men che provvisorie. La speranza di una pace duratura si spegne tra le sofferenze della popolazione civile.

VIATICO. Sta per iniziare l’era Obama e la destra guerrafondaia affila le armi per rendere la vita difficile al nuovo inquilino della Casa Bianca. Ormai è sotto gli occhi di tutti che i militari e l’Intelligence, in procinto di perdere il controllo della Sala Ovale dove con Bush spadroneggiavano, proprio non amano l’indirizzo programmatico del presidente eletto.

Le sue scelte, dall’intenzione di chiudere Guantanamo, alla nomina di una candidato esterno, l’italo-americano Leo Panetta, alla testa della CIA, rappresentano un segnale inequivocabile di discontinuità.

Lo scopo: recuperare la credibilità ed il prestigio morale di istituzioni che otto anni di regno repubblicano hanno pesantemente intaccato. Il salto di qualità è reso ancora piu’ esplicito dalla determinazione con la quale Obama si accinge ad affrontare i nodi della crisi economica, deciso a sfidare il mostro della disoccupazione.

Comunque, non sarà impresa facile tenere a bada i reazionari di ogni risma, gelosi custodi dei loro privilegi di casta. Le premesse tuttavia ci sono. Con tre conflitti drammaticamente aperti - Iraq, Afghanistan, Medio Oriente - la consapevolezza di avere un presidente che per cultura e formazione non considera la guerra come l’inevitabile prosecuzione della diplomazia con altri mezzi è già di per se un viatico promettente.

MINA VAGANTE. A trent'anni dalla rivoluzione khomeinista - era il 16 gennaio 1979 - la politica nuclear-militare del regime iraniano è una mina vagante per la tranquillità dell’intero pianeta. Eppure, al suo insorgere, la rivolta degli ayatollah contro l’impero declinante e corrotto delle Scià venne accolta con benevolenza nelle cerchie riformiste. Con grande disappunto dell’Occidente le cose andarono invece diversamente e l’ascesa al potere della nuova classe dirigente divenne di fatto - come ricorda Bernardo Valli su Repubblica - la prima rivoluzione “a ritroso” negli annali della storia. La prima a infrangere l'idea, la certezza quasi dogmatica, che una rivoluzione equivalga a un'accelerazione dei tempi, a una spinta in avanti.

Dopo tre decenni la "Bastiglia alla rovescia" di Teheran resta un grave fattore di instabilità che, oltre a riproporre l'intollerabile ricatto dell'insidia atomica, concorre a rendere incandescente la situazione mediorientale. Incandescente e piu’ che mai imprevedibile. Per uscire dalle secche il tandem Hillary-Obama proverà a fare cio’ che Bush non ha fatto: creare una coalizione che contenga le mire iraniane senza tuttavia ricorrere all’uso della forza.

Un’ampliamento del conflitto avrebbe conseguenze devastanti per i precari equilibri di tutta la regione. Gli Stati Uniti avranno pero' bisogno di ampi sostegni, specie nel mondo arabo, per riuscire in un’impresa che nei palazzi di Ahminejad pare chiusa dall’intransigenza fondamentalista.