martedì 24 gennaio 2017

Il cambio della guardia alla Casa Bianca

di Renzo Balmelli

CIRCO. Fino a dove ci porteranno gli stravaganti volteggi di Trump è l'interrogativo che terrà il mondo col fiato sospeso a partire da domani, quando sarà andato in scena il burrascoso cambio della guardia alla Casa Bianca che qualcuno, con una punta di sarcasmo, ha definito come il Barnum della politica. Con la non trascurabile differenza però che il circo prima di chiudere ha divertito milioni di persone per un secolo e mezzo, mentre sotto il tendone del vincitore, tranne il ridicolo spettacolo dei compagni di merenda che sgomitano per conquistarsi anche solo un misero strapuntino alla corte del tycoon, per il resto, stando agli indizi, non c'è molto di cui stare allegri. Lasciamoci sorprendere incrociando le dita. Basteranno le prime mosse dell'eletto per capire se l'enorme cambiamento in atto a Washington segnerà l'inizio di un incubo politico, economico e sociale. Ma soprattutto etico. Lecito è quindi il dubbio che il 20 gennaio non sia una giornata fausta. Ne per l'America ne per il mondo.

IPOTESI. Non sappiamo se gli americani conoscono il verbo rottamare, ma ben presto dovranno imparare a convivere con un fenomeno che dalle nostre parti non ha lasciato grandi ricordi. Scardinare non soltanto la riforma sanitaria del suo predecessore, ma anche rivoltare come un guanto l'intero impianto della politica estera americana è ormai diventata una vera e propria ossessione per la destra repubblicana. Con questi verbi in testa, e sospinto da un incontenibile furore iconoclasta, Trump ne ha per tutti: i media, i migranti, la NATO, la Merkel, l'ONU. Dell'Unione europea, poi, non sa che farsene. Salva soltanto la Brexit, vellicando le nostalgie revansciste degli schieramenti nazionalisti. Ma è soprattutto sui rapporti con il Cremlino, rapporti che sembrerebbero ruotare attorno al concetto di una “nuova Yalta” a due, che si giocherà una partita decisiva per i futuri assetti internazionali, riservando agli altri il ruolo di spettatori. Per ora è soltanto un'ipotesi, ma abbastanza realistica, e comunque da contrastare per non alimentare tentazioni autoritarie, nella consapevolezza che la democrazia partecipativa non è un valore negoziabile.

IDENTITÀ. La nuova ripartizione delle sfere di influenza a cui guardano con malcelato interesse le due superpotenze – una di stampo neo zarista e l'altra tentata dal protezionismo -sarà una spina nel fianco, una in più, del Vecchio Continente in concomitanza con il cambio di governo in alcuni dei maggiori Paesi sui quali soffia il vento gelido del populismo. In questo difficile e scivoloso contesto, il 2017 si preannuncia come l'anno più tormentato dell'UE stretta tra i due grandi duellanti e chiusa nella morsa di chi ne auspica il funerale. Ne va infatti della sua identità come mito e come realtà all'interno di una storia, la storia delle idee, che si pone in contrapposizione al clima di odio fomentato dal terrorismo e dalle spinte neofasciste visceralmente ostili alle ragioni e le conquiste per cui vale la pena di vivere e lottare. L'unità nella diversità che ci ha donato il più lungo periodo di pace a cavallo di due secoli è l'argomento più valido a sostegno dell'Unione.

GARANTE. Sulla vocazione europeista e super partes di Antonio Tajani non dovrebbero esserci dubbi. L'ha dimostrato in varie occasioni e sicuramente saprà fornirne altre prove tangibili proprio adesso, mentre va ad occupare lo scranno di Presidente dell'Europarlamento. Non si dimentichi infatti che il candidato dei popolari succede a Martin Schulz che subì una ingiuria oltraggiosa ad opera di Berlusconi, protagonista di gaffe incendiarie alle quali Tajani riuscì in qualche modo a mettere una pezza. Sfortunatamente la sua elezioni non cade in un periodo felice. L'Europa è nella sua peggior forma. È la situazione più difficile da quando vennero firmati i trattati di Roma. Quindi più il primo cittadino europeo starà alla larga dalle beghe di casa e meglio saprà affrontare da garante delle istituzioni le sfide che si pongono al Parlamento in un momento che richiede doti di mediatore. Sarebbe perciò riduttivo parlare di un derby italiano tra lui e il socialista Pittella. Se derby dev'essere sia quello per l'Europa vincente.

DISUGUAGLIANZA. Di comici e miliardari prestati alla politica se ne potrebbe fare volentieri a meno. I primi saranno pure bravi e simpatici, ma poco in sintonia con l'arte del governare. Gli altri, alle spalle imperi economici gestiti dai clan famigliari, tendono più che altro a preservare i loro interessi. I risultati quasi sempre sono deludenti. Deludenti, ma non per la categoria dei super ricchi che da soli (il loro numero si conta su due mani) possiedono la stessa ricchezza (426 miliardi di dollari) della metà più povera della terra, vale a dire 3,6 miliardi di persone. L'annuale rapporto sulla disuguaglianza mondiale evidenzia un fenomeno che anziché diminuire diventa sempre più drammatico. Di fronte a queste condizioni estreme, la necessità di un ripensamento profondo dell'economia mondiale ha ormai un carattere d'urgenza, anche perché – come afferma Obama – "ora è il tempo migliore per essere vivi". E per reagire!

ENIGMA. Comunista, capitalista o celestiale impero, la Cina resta ancora oggi un enigma irrisolto. Cosicché questo millenario laboratorio, culla e ospite di grandi civiltà e di non meno dolorosi stravolgimenti continua a interpellarci senza svelare i suoi misteri. Per una curiosa e forse non casuale concomitanza, la prima volta di un Presidente della Repubblica popolare al forum di Davos, coincide con la settimana inaugurale di Donald Trump. Il segnale non è sfuggito alle Cancellerie tanto più che Xi Jinping è arrivato nei Grigioni fermamente intenzionato a rivendicare per il suo Paese un ruolo guida in alternativa a Mosca e Washington. Nella moderna versione della lunga marcia rappresentata dalla fantasmagorica skyline di Shanghai, la leadarship cinese parla di progresso e di valori condivisi. Ma la svolta epocale non sarà mai realmente compiuta fino a quando dietro le luci della ribalta si agiteranno le ombre del maggior problema insoluto: il problema dei diritti umani sacrificati alla ragion di stato. E non è cosa da poco!